giovedì 28 maggio 2015

I TRE ROM

E' vero, la responsabilità penale è individuale.
E' vero, a bordo dell'auto che ha seminato il terrore a Roma potevano non esserci tre ragazzi rom.
E' vero, non bisogna imputare a popoli, razze od etnie i crimini dei singoli.
Chi scrive ritiene, da vecchio liberale, che l'individuo venga prima dei gruppi sociali, etnici o culturali, anche per questo detesta qualsiasi forma di pogrom. Ha ragione chi dice che non bisogna imputare ai popoli le responsabilità dei singoli, ma limitarsi a dire questo significa trasformare il pensiero liberale nella caricatura di se stesso.
Riconoscere la priorità dell'individuo sui gruppi non significa non vedere che in certi gruppi sociali, etnici o culturali la criminalità, o certe forme di criminalità, sono assai più diffuse che in altri. Non per motivi razziali, certo, per motivi storici, sociali e culturali, ma questo non cambia la realtà delle cose.
Qualcuno ricorda vecchi film come “sedotta e abbandonata” o “divorzio all'italiana”? Trattavano del “matrimonio riparatore" e del “delitto d'onore” ed erano ambientati in Sicilia. Si trattava di film “razzisti”? No, ovviamente: era vero che nel periodo in cui quei film vennero prodotti una certa mentalità era assai diffusa nella nostra bella isola. Considerazioni simili possono farsi per un film come “il padrino”, i cui protagonisti sono quasi tutti, non a caso, italo americani.
Lasciamo perdere i film. Vediamo due bambine che invece di essere a scuola sono per strada a chiedere l'elemosina e diciamo: “si tratta di piccole rom”. Siamo razzisti o realisti? La risposta è ovvia.
Apprendiamo da un TG che un tale si è fatto esplodere in una pizzeria, nel centro di una grande città. Subito pensiamo che si tratti di un islamico, questo fa di noi degli “islamofobi”? E continuiamo ad essere “islamofobi” se, venendo a sapere che una donna è stata lapidata perché adultera, diciamo che quasi certamente si tratta di un evento che riguarda gli islamici? E' ridicolo sostenerlo.
Al centro di tutto sta l'individuo, è vero, ma l'individuo è sempre inserito in qualche contesto, sociale, etnico e culturale. E i contesti sociali, etnici e culturali sono caratterizzati da certi modi di agire e di pensare. Ignorarlo non significa essere liberali, semplicemente stupidi.
Niente pogrom quindi, e niente estensione ai popoli delle responsabilità dei singoli, ma neppure l'idiozia di non vedere che nella società multiculturale che molti vogliono edificare interi gruppi non si riconoscono in valori, idee, comportamenti che per noi sono scontati. In Italia non si fa altro che strillare “legalità”, ma, dietro a questi strilli avanza e si diffonde sempre più l'area della illegalità. Parti consistenti della popolazione non si riconoscono più nelle leggi né, ed è questa la cosa più grave, nei valori che stanno alla base di certe leggi. In nome del “rispetto per il diverso” stiamo trasformando la società in un aggregato informe di etnie, non unite da nulla. Una sorta di nuovo tribalismo che disgrega il tessuto sociale ed è destinato, forse in tempi brevi, a rendere impossibile qualsiasi forma di civile convivenza.
A questo dovrebbe indurci a pensare il tragico episodio dei tre giovani rom.
Ma non sarà così, è fin troppo facile prevederlo.

giovedì 21 maggio 2015

VOGLIAMO DIRCELA TUTTA?




Vogliamo dircela tutta? Fare un attentato è facile. Non un attentato alla vita del capo dello stato o del presidente del consiglio, un attentato che miri a distruggere vite umane a casaccio. Un giovanotto si procura una mitraglietta, cosa non difficile, visto che esiste il mercato clandestino delle armi, malgrado i moniti di papa Francesco; poi entra in un centro commerciale, simbolo del consumismo vizioso, e comincia a sparare sulla gente. Il gioco è fatto. Un bel po' di consumisti infedeli muoiono, e ben gli sta. Se il giovanotto è fanatico al punto giusto può sostituire la mitraglietta col giubbotto al tritolo, il risultato non cambia. Se in Italia si avesse la buona abitudine di chiamare le cose col loro nome il gesto dell'ormai celebre Kabobo sarebbe da definire attentato. Un attentato in tono minore, certo, compiuto a colpi di piccone, senza spari ed esplosioni, con pochi, insignificanti morti ammazzati, ma un attentato non dissimile, nella sostanza, da altri. Ma noi definiamo “attentato” solo quello compiuto con esplosivo o armi da fuoco da persone affiliate a qualche gruppo terrorista ufficialmente riconosciuto. Facciamo finta di non vedere il fenomeno inquietante del terrorismo diffuso, dell'odio cieco che spinge persone apparentemente “normali” ad uccidere, a casaccio.

Impazza la polemica sulla vicenda del tunisino arrestato. L'intelligence ha lavorato bene tuona Alfano, no,  male, replica Salvini. In effetti pare che il giovanotto sia entrato ed uscito come voleva dal nostro paese e questo lascia alcuni dubbi sull'efficacia dei nostri servizi di intelligence. Questo però ha una importanza secondaria Nessuna intelligence, nessuna polizia, per quanto abile e bene organizzata, è in grado di impedire attentati se si prosegue con la politica delle porte aperte. Pensare che sia possibile controllare le migliaia di persone che tutti i santi giorni sbarcano sulle nostre coste, tra l'altro prive di documenti, è semplicemente ridicolo. Una parte non irrilevante di queste persone neppure transita nei centri di accoglienza ormai al collasso: arriva qui da noi e sparisce, punto e basta.

Azzardo una ipotesi. Penso che in Italia non si sia ancora verificato un grave attentato per il semplice motivo che questo non conviene ai caporioni del terrorismo. L'Italia è il ventre molle dell'Europa, la porta aperta attraverso la quale i “migranti”, e fra loro gli eventuali terroristi, arrivano nel vecchio continente. Un attentato grave rischierebbe di chiuderla, questa porta, o di renderla un po' meno aperta. Non amo i complottisimi e le dietrologie, ma non escluderei qualche sorta di tacito accordo del tipo: “noi facciamo gli umanitari e vi facciamo entrare, voi evitate i botti”. Si tratta solo di una IPOTESI, ci tengo a sottolinearlo, ma forse non è completamente campata in aria. Comunque, anche a prescindere da ogni considerazione etica, un simile accordo, SE ci fosse, alla lunga non ci salverebbe da attentati. In primo luogo perché i leader delle organizzazioni terroriste non ragionano in termini di confronto razionale fra costi e benefici e potrebbero decidere di fare ciò che non sembrerebbe esser per loro conveniente, in secondo perché esiste il fenomeno del terrorismo diffuso, di coloro che non fanno parte di alcun gruppo organizzato, ma ci odiano, e potrebbero decidersi ad agire, un giorno o l'altro.

Il pericolo più grave è costituito dalla nostra infinità stupidità pseudo “umanitaria”. Quella che ci fa confondere con normali flussi migratori un autentico esodo, che ci spinge a definire in blocco “perseguitati politici” uomini che a volte sarebbero da annoverare fra i persecutori, che ci impedisce di vedere i problemi economici, politici, sociali, di sicurezza inevitabilmente connessi alla accoglienza senza limiti e controlli.
Spero che tutto questo non si traduca, a breve, in lacrime e sangue. Lo spero, ma ci credo poco.

venerdì 15 maggio 2015

SI POSSONO FERMARE I BARCONI?



Non si possono distruggere né fermare i barconi dei migranti, dicono i “buoni”. “Che succederebbe se i migranti non si volessero fermare?” o se si volessero imbarcare comunque, malgrado le minacce? Dovremmo forse sparar loro addosso?” chiedono con espressione tragica in viso.
La sostanza del loro discorso è questa, più o meno: ogni tentativo di bloccare i barconi e di rispedire a casa i loro passeggeri, dopo averli aiutati, ovviamente, è IMPOSSIBILE. Per bloccare i “migranti” rischieremmo di causare delle vittime e questo non si può fare.
Però, se le cose stessero davvero così potremmo, molto semplicemente, rinunciare ad avere delle forze di polizia, un esercito, una marina.
In una strada c'è un posto di blocco. Un poliziotto fa cenno ad un'auto di fermarsi, l'auto non si ferma, anzi accelera e forza il blocco. Che fare? Sparare al conducente? NO. Forse il conducente è un'ottima persona che distrattamente non ha notato il blocco. Allora bisogna inseguirlo, accostare la sua auto e costringerlo a fermarsi? MAI! Così facendo si rischia un incidente stradale. Conclusione: lasciamo che chi ha forzato il blocco si allontani indisturbato.
Tizio sta rapinando una banca. Un carabiniere lo vede, che deve fare? Intervenire, intimargli di alzare le mani? NO! Tizio potrebbe non ubbidire, il carabiniere sarebbe costretto a sparargli e Tizio, anche se rapinatore, è una brava persona, e poi in Italia non esiste la pena di morte. Lasciamo che Tizio rapini indisturbato la banca.
Caio sta stuprando una bambina. Lo vede Gigi, un privato cittadino campione di arti marziali. Che deve fare? Dirgli: “smettila immediatamente”? E se Caio non ubbidisce che deve fare Gigi? Tirare un pugno allo stupratore? E se il pugno lo uccide? Cercare di bloccarlo con una presa di lotta? E se lo stupratore è malato di cuore e gli viene un infarto? Gigi deve astenersi da ogni intervento e lasciare che la bimba venga violentata.
Sempronio partecipa ad una manifestazione NO TUTTO. Pieno di sacro furore brucia un'auto, sfascia le vetrine di una filiale di banca e lancia nella stessa una bottiglia incendiaria. I poliziotti lo vedono ma, che possono fare? Se intervengono si rischiano scontri, feriti, forse ci scappa il morto. Si può solo lasciare che l'auto bruci, e la banca pure. E se per caso c'è qualcuno, dentro a quella banca? Pazienza.
La conclusione logica di certi modi di “ragionare” (si fa per dire) è una sola: mettiamo fuori legge la legge, lasciamo che ognuno faccia il cazzo che gli pare. Il divertente è che a sostenere cose simili sono gli stessi che si riempiono di continuo la bocca con la parola “legalità”.

In realtà se una nave armata intima ad un barcone di fermarsi questo quasi sicuramente si ferma, e per distruggere a terra i barconi non occorre aspettare che siano pieni di “migranti”. Al tempo dei tanto contestati "respingimenti"  non ci sono stati incidenti gravi, mi sembra di ricordare; questi casomai caratterizzano la attuale politica delle porte aperte. Lo spauracchio delle vittime è agitato ad arte da chi non vuole alcun limite alla immigrazione clandestina.
“Ma, se succedesse?” Incalzano i politicamente corretti, “se i migranti rifiutassero di tornare indietro? Se si imbarcassero comunque?”. E' fin troppo facile rispondere che ci sono molti modi di fermarli senza sparar loro addosso. Ogni buon poliziotto ed ogni buon militare sanno come ridurre all'impotenza delle persone senza procurar loro danni irreparabili. Una cosa però va detta, anche se può non piacere. I migranti sono, anche in base alla attuale legislazione, persone che stanno commettendo una illegalità. Se qualcuno intima loro di fermarsi e questi non ubbidiscono, se cercano comunque di raggiungere le nostre coste, cessano di essere “migranti” e diventano, a tutti gli effetti, invasori. Anche in questo caso è umano cercare di respingerli in maniera non traumatica, ma è comunque doveroso respingerli, anche rischiando incidenti. Se no, lo ripeto, tanto varrebbe rinunciare ad avere una polizia, delle forze armate, dei confini vigilati. Dovremmo diventare una sorta di “paese aperto” meta indifesa delle mire di tutti. In nome, ovviamente, della solidarietà, dell'accoglienza e, perché no? Della “legalità”.

domenica 10 maggio 2015

ISRAELE E LE RISOLUZIONI ONU

I giardini di Tizio e di Caio confinano. Quello di Tizio è piccolo ma tenuto benissimo, quello di Caio invece è grande, ma lasciato in gran parte nel più totale abbandono.
Dal suo giardino pieno di ortiche Caio lancia di continuo sassi nel giardino di Tizio. A volte, nottetempo, scavalca le recinzioni, distrugge fiori ed aiuole, poi scappa e torna sul suo territorio.
Un bel giorno Tizio perde la pazienza ed invita Caio a smetterla. Fra i due nasce una lite, vengono alle mani, Tizio ha la meglio.
“Ora farò in modo che aggredirmi ti sia molto difficile” dice Tizio a Caio, e mette in atto quanto promesso. Occupa una parte del giardino di Caio e costruisce un muro molto alto per separarlo dalle restanti proprietà del suo rissoso vicino. “Ora le tue pietre non potranno raggiungere tanto facilmente i miei fiori”, afferma, “ed anche scavalcare la recinzione ti sarà molto difficile”.
I vicini dei due però protestano, si rivolgono ad un giudice. Questi esamina quanto accaduto ed alla fine decide che:
1) Tizio deve restituire a Caio la parte di giardino occupata.
2) Caio la deve smettere di lanciar sassi e compiere incursioni notturne nel giardino di Tizio.
Caio però non la smette neppure per un giorno con le sue aggressioni. Si procura una fionda e continua a bombardare la proprietà di Tizio. Non solo, dichiara a gran voce che non riconosce a Tizio il diritto di avere un suo giardino. “Le terre su cui sorge il giardino di Tizio un tempo appartenevano alla mia famiglia”, afferma, “e devono tornare ad esserlo, fino al giorno del giudizio”.
“Io quelle terre le ho regolarmente acquistate dai tuoi nonni e l'atto di acquisto è stato riconosciuto valido da tutti i giudici” replica Tizio, “comunque, se tu continui con le aggressioni io non abbandono la parte di giardino che ho occupato, anzi, visto che non mi piace lasciarla piena di ortiche, comincio a farci dei lavori”.
Tizio si comporta di conseguenza. Non abbandona il giardino occupato e compie in esso dei notevoli lavori di miglioria. Tuttavia ribadisce di esser pronto a restituire quel terreno a Caio, se questi rinuncerà alle aggressioni e riconoscerà il suo diritto alla proprietà. Non solo, un bel giorno, per cercare di farla finita con i continui litigi, restituisce una parte del giardino occupato. Caio però trasforma la terra che gli è stata restituita in una base da cui lanciare di continuo pietre sui fiori di Tizio, questi risponde per le rime e gli scontri fra i due non accennano a finire.
I vicini sono indignati con Tizio. “Ma come, il giudice gli ha imposto di restituire il territorio abusivamente occupato e lui non lo fa”, esclamano. “Tizio cerca di apparire rispettoso della legge ma è il primo a non applicarla! Non rispetta le decisioni delle corti di giustizia! E' un bandito, un pirata, un fuorilegge! BOICOTTIAMOLO!!!”

La storiella cerca di ritrarre, così, alla buona, la situazione dello stato di Israele nei suoi rapporti con i palestinesi e gli stati Arabi. “Israele non rispetta le risoluzioni dell'ONU” dicono questi, e tale accusa è ormai diventata un luogo comune. La ripetono, con incessante monotonia, sia gli implacabili nemici di Israele che i suoi “amici critici”. Strani amici che nelle loro “critiche amichevoli” ripetono più o meno le stesse cose che dicono coloro che Israele vorrebbero cancellarlo dalla faccia della terra. Lo diceva il dottor Joseph Goebbels: se si ripete continuamente una menzogna molti alla fine ci credono; questo è accaduto alla storiella su Israele che non rispetta le risoluzione ONU. In molti ci credono, anche fra coloro che non amano Hammas né il fondamentalismo islamico. Ma, stanno davvero così le cose? Davvero è Israele, e solo lui, a non rispettare le risoluzioni ONU? Per verificarlo esaminiamo la risoluzione che più di tutte israele è accusato di non aver rispettato: la 242 approvata il 22 novembre 1967 dal consiglio di sicurezza delle nazioni unite. La data è importante: questa risoluzione venne approvata al termine della famosa guerra dei sei giorni, quella in cui Israele sconfisse in brevissimo tempo una forte coalizione di stati arabi, capitanati dall'Egitto di Nasser, che non facevano mistero delle loro intenzioni: distruggere lo stato di Israele, punto e basta.
La famosa risoluzione dice:

“Il Consiglio di Sicurezza,
(…) Sottolineando che l’acquisizione dei territori con la guerra è inammissibile e che è necessario operare per una pace giusta e duratura, che consenta ad ogni stato della regione di vivere in sicurezza (…)
Afferma che il compimento dei principi della Carta esige l’instaurazione di una pace giusta e durevole nel Medio Oriente, che dovrebbe comprendere l’applicazione dei due seguenti principi:
a) Ritiro delle truppe israeliane dai territori occupati nel recente conflitto;
b) Fine di tutte le pretese e di tutte le situazioni di belligeranza e rispetto e riconoscimento della sovranità e dell’integrità territoriale e dell’indipendenza politica di ogni stato della regione e del loro diritto di vivere in pace entro frontiere sicure e riconosciute, al riparo da minacce ed atti di forza; ….”

C'è innanzitutto da fare una precisazione formale sul punto a). La traduzione italiana riportata parla di “ritiro dai territori occupati”, l'originale inglese però mette la preposizione from che, a voler essere precisi, si traduce con da. Quindi, non di ritiro dai territori occupati si dovrebbe parlare ma di ritiro da territori occupati. La differenza è rilevante: nel primo caso Israele si sarebbe dovuto ritirare da tutti i territori, nel secondo da alcuni, ed in effetti anni dopo Israele si sarebbe ritirato dal Sinai e dalla striscia di Gaza. Questi sono cavilli, è vero, ma val la pena di ricordarli visto che i filo palestinesi sono spesso molto cavillosi, quando c'è di mezzo Israele. Il punto davvero importante tuttavia è un altro: è vero che il consiglio di sicurezza chiede il ritiro dai (o da) territori occupati, ma chiede anche il “rispetto e riconoscimento della sovranità e dell’integrità territoriale e dell’indipendenza politica di ogni stato della regione”. Insomma: Israele si deve ritirare ma gli arabi lo devono riconoscere e rispettare, devono cioè rinunciare al loro obiettivo storico: cancellare lo stato ebraico dalla faccia della terra. Ora è precisamente questo riconoscimento e questo rispetto che sono mancati, sempre. Per i suoi critici, magari “amichevoli”, Israele deve rinunciare ai territori conquistati al termine di una guerra in cui ha sconfitto chi lo voleva distruggere, ma gli altri, gli arabi, i palestinesi, possono non riconoscerlo, possono continuare a parlare di “entità sionista”, possono bombardarlo con “bombe giocattolo” e piacevolezze di questo genere. Un po' quanto accade ai due protagonisti della storiella: Tizio deve rendere a Caio la parte di giardino occupata, ma Caio può continuare a lanciar sassi contro giardino di Tizio. Tutto molto giusto, molto “legale”.
In realtà la più importante risoluzione ONU da sempre clamorosamente violata è la
181 del 29 novembre 1947, quella sulla divisione della Palestina che dava vita a due stati: uno ebraico, lo stato di Israele, e l'altro arabo. La famosa formula: “due popoli due stati” sarebbe realtà da quasi 68 anni se gli arabi avessero accettato la risoluzione 181. Così non è stato. Un minuto dopo la sua approvazione gli arabi hanno aggredito il neonato stato ebraico ed è scoppiata una guerra che non è ancora finita. Altro che “Israele che non accetta le risoluzioni ONU”, sono gli arabi ed i palestinesi a non accettarle, da 68 anni.

Israele è uno stato grande, più o meno, quanto la Lombardia, popolato da sette – otto milioni di abitanti, sorge su un terreno desertico e privo di ricchezze naturali, ed è circondato da grandi stati con popolazioni spesso fanatizzate che sognano solo di distruggerlo. Nel corso della sua storia Israele non ha praticamente mai conosciuto una vera pace, né la conosce oggi. E' ovvio che uno stato che vive in una costante situazione di guerra cerchi di ingrandirsi e di dotarsi di confini più sicuri. Ed è anche inevitabile che se uno stato conquista dei territori prima o poi alcuni dei suoi cittadini ci vanno ad abitare, in quei territori. Pensare che il problema dei territori possa essere risolto semplicemente tornando ai confini del 1948 significa ignorare 68 anni di guerre e non capire, non
VOLERE capire, che:
1) quei confini sarebbero oggi indifendibili dagli israeliani.
2) La situazione sociale di alcuni territori è cambiata rispetto al 1948.
Tutto questo non precluderebbe la restituzione di gran parte dei territori occupati e la nascita di uno stato palestinese se i palestinesi accettassero di vivere
accanto e non al posto di Israele e se non considerassero offensiva la sola presenza di insediamenti israeliani nei loro territori.
Quali diritti civili e politici dovrebbero avere i cittadini ebrei di un futuro stato palestinese? Questo è un quesito politico di importanza decisiva che molti fra i critici di israele fingono di dimenticare. Per loro Israele dovrebbe restituire  i territori e gli israeliani che li abitano dovrebbero semplicemente abbandonarli, come è avvenuto per Gaza. Questo però è non solo assai poco “umanitario”, ma del tutto irrealistico. Molti arabi vivono oggi in Israele, godono dei fondamentali diritti civili e politici, possono pregare in una delle circa 200 moschee che esistono nello stato ebraico, votano ed hanno una loro rappresentanza in parlamento. Qualcuno deve spiegare perché mai invece dei cittadini ebrei non potrebbero vivere e godere dei fondamentali diritti, ed avere propri luoghi di culto, in uno stato palestinese. Di nuovo ci troviamo di fronte ad esempio di doppia morale: la minima violazione dei diritti dei palestinesi da parte di Israele viene additata come prova del carattere “razzista” di questo stato. Invece appare normale che a Gaza chiunque sia, o si ritiene sia, amico di Israele venga considerato una “spia” e linciato, o fucilato al termine di processi farsa. Piaccia o non piaccia la cosa, è molto difficile che su queste basi gli israeliani possano accettare la nascita di uno stato palestinese. E' difficile dar loro torto.

domenica 3 maggio 2015

GLI ADORATORI DEL NULLA



In una democrazia liberale si puniscono le azioni, non le intenzioni, i fatti, non le parole, a meno che queste non si configurino come incitamento a delinquere o apologia di reato. Su questo siamo tutti d'accordo, ovviamente. La responsabilità giuridica è individuale e riguarda le opere, non le idee. Ma, vale lo stesso per la responsabilità politica e morale?
Quasi nessuno fra i vari, noiosissimi, commentatori dello scempio commesso a Milano il primo maggio ha messo in rilievo questa distinzione. Nei discorsi di molti, anzi, emergeva una diversa di distinzione: quella fra le idee (sic) dei no expo, che sarebbero quasi condivisibili, ed il loro comportamento, da condannare. Si tratta, a ben vedere le cose, di una versione riveduta e corretta della distinzione fra i “pacifici” manifestanti che sfilavano accanto ai teppisti, guardandoli e filmandoli, e quegli stessi teppisti. Chi sfascia le vetrine è un violento, che lo applaude e lo fotografa un pacifico manifestante. Certo, giuridicamente la posizione di chi brucia un'auto e quella di chi si limita a guardarlo sono diverse, ma, lo sono anche politicamente e moralmente?

Va detto con la massima chiarezza: esiste un nesso assai stretto fra l'ideologia dei fanatici violenti e la loro violenza fanatica. Un nesso probabilmente privo di conseguenze giuridiche, ma assai rilevante sul piano etico, culturale e politico.
Non è questa la sede per condurre analisi minimamente approfondite, ma un dato è possibile constatarlo: nella loro stragrande maggioranza i vari No Expo, No Tav, No Global eccetera non lo sanno, ma nei loro discorsi sono presenti temi e suggestioni che hanno caratterizzato tutto il pensiero rivoluzionario dell'occidente, da Rousseau a Marx, da Lenin a Guevara. Certo, si tratta di temi semplificati a volte fino all'inverosimile, con filosofie come il marxismo, discutibilissime ma degne di studio, ridotte ad una serie di slogan per minorati mentali. Così però va il mondo, purtroppo. Le analisi di Marx sul plusvalore si sono trasformate nell'invettiva contro la “finanza” e le “multinazionali” che inquinano, impoveriscono ed uccidono. Però un pallido riflesso dell'originale è presente nella deformazione. Soprattutto, esiste un legame ben preciso fra questa parodia di pensiero rivoluzionario e la violenza nichilista di chi lo professa. Contrapporre questa a quello è un errore gravissimo, ed un segno di viltà intellettuale.

L'ideologia dei vari NO (expo, Tav, Global eccetera) si può riassumere in tre parole: criminalizzazione, alienazione, nichilismo. Con tutta probabilità moltissimi dei manifestanti No Expo ed affini non conoscono il significato di queste parole, ciò non toglie che riassumano piuttosto bene il loro “pensiero” (sic) e la loro prassi.

Criminalizzazione.
Per i vari NO tutti i mali del mondo derivano dall'ingorda cupidigia di alcune classi sociali, addirittura di alcune aziende o di alcuni singoli capitalisti. Sarebbe vano cercare nei parti teorici (sic) dei vari esponenti del “movimento antagonista” una analisi minimamente approfondita del capitalismo come sistema, qualcosa di simile non dico al “Capitale” di Marx, ma anche solo a “l'imperialismo fase suprema del capitalismo” di Lenin, che pure è poco più di un libello propagandistico. Per i vari NO TUTTO, il mondo sarebbe nelle mani di un pugno di avidi briganti preoccupati solo di arricchirsi a danno della stragrande maggioranza del genere umano. Un manipolo di ladri e di mafiosi starebbe distruggendo il pianeta con tutti i suoi abitanti. Il pensiero può riposare tranquillo: non occorre studiare il funzionamento di un sistema economico, basta strillare contro i criminali che ci manipolano; questi sono i responsabili di tutto, dalla disoccupazione ai terremoti, un po' come gli “untori” di cui parla il Manzoni erano i responsabili della peste. Amen.

Alienazione.
Per gli “antagonisti” il mondo si divide, lo si è visto, in due campi contrapposti: un piccolo manipolo di criminali e la stragrande maggioranza del genere umano, oppressa, sfruttata, maltrattata da questi criminali. Però, anche a persone diversamente, molto diversamente, intelligenti come loro non può sfuggire una cosa: la stragrande maggioranza delle persone non condivide le loro analisi, meno che mai i loro comportamenti. Ci sono, è vero, in Italia e altrove, molte persone scontente di come vanno le cose, ma queste non si identificano affatto con i deliri di chi dice NO a tutto e anche i più arrabbiati con il “sistema” lo sono per motivi che poco o nulla hanno a che vedere con l'ideologia “antagonista”. Gli esseri umani in carne ed ossa vogliono un buon lavoro, un reddito decente, beni e servizi abbondanti e di buona qualità; sono preoccupati per una immigrazione clandestina che assomiglia ad una invasione e non amano i ragazzotti che passano la loro vita girando il mondo da un corteo all'altro. Gli antagonisti contrappongono le “masse” ad un pugno di criminali, ma le “masse” vere sono distanti anni luce da loro.
Per questo gli “antagonisti” le detestano, le famose “masse” a cui fanno sempre appello. I normali esseri umani sono per loro una sorta di fantasmi senz'anima; per usare una parola di cui certamente la maggioranza degli “antagonisti” non conosce il significato, sono degli alienati: uomini che hanno perso la loro umanità, non - uomini, poveri zombie che vagano per il mondo schiavi di falsi valori, false esigenze, falsi bisogni inculcati in loro dai criminali che dominano il mondo.
L'uomo normale ripete come un ebete ciò che vede alla TV, passa la vita al supermercato per comprare cose del tutto inutili, legge idiozie in cui crede ciecamente. E' un idiota tutto casa e ufficio, stadio ed expo, vive la vita fasulla che i “padroni del mondo” gli impongono di vivere. Gli unici a sfuggire a questo triste destino sono loro, ovviamente: gli alternativi. In un mondo di non - uomini loro sono gli unici esseri umani “autentici”, non condizionati da chi ha il potere di condizionare e dominare tutto. Gli alternativi non si fanno rincoglionire dai programmi televisivi, non credono alle menzogne globali dei signori della terra, hanno esigenze e bisogni autentici e non manipolati. Come fanno a sfuggire alla triste sorte che tocca invece a tutti gli altri? Si tratta forse di super uomini? A vederli ed a sentirli francamente non si direbbe, ma, tant'è, dobbiamo creder loro sulla parola.
 

Nichilismo.
NO Global, NO TAV, NO Terzo valico, NO Expo... Il NO è sempre lì, onnipresente. Un tempo si pensava che dire NO non bastasse. Non basta rifiutare qualcosa, occorre dire cosa in positivo si vuole al posto di ciò che si rifiuta. Ormai chi muove simili obiezioni alla valanga di NO che caratterizza le farneticazioni “antagoniste” viene guardato con aria di compatimento. “Il rifiuto è un valore!” replicano con foga i pochi “antagonisti” capaci di argomentare qualcosa. Il NO è qualcosa di positivo anche se è solo un NO, senza alcuna proposta, alcun SI.
Ancora una volta i ragazzotti tutti casa e corteo non inventano nulla di nuovo. Marx ha scritto ponderosi volumi di critica al capitalismo e solo poche striminzite paginette in cui cerca di dirci qualcosa sulla società perfetta destinata a sostituirlo. La “storia” avrebbe risolto il problema, inutile cercare di anticiparla, assicurava il barbone di Treviri. Lo si è visto, dopo, come la storia lo ha “risolto” il problema. E, dopo Marx, gli esaltatori del
NO si sono moltiplicati. I marxisti – freudiani della scuola di Francoforte hanno esaltato il pensiero negativo più o meno nello stesso periodo in cui Martin Heiddeger, che invece aderì al partito nazionalsocialista, definiva “autentico” il vivere – per – la – morte...
Lasciamo perdere. Parlare di Marx, Adorno ed Heidegger in un modestissimo scritto sui no - Expo è davvero esagerato. Questi telegrafici rimandi vogliono solo sottolineare quanto sia vasto il retroterra di certi slogan da minorati cui gli “antagonisti” ci hanno abituato.
Al di la di ogni rimando comunque, questo continuo richiamo al
NO ha un nome ben preciso: nichilismo. I vari teorici del NO sono i perfetti nichilisti di oggi. Se dovessero fare qualche proposta e se dovessero difenderla, la loro proposta, in un dibattito razionale i vari NO TUTTO sarebbero obbligati a fare i conti col vecchio, testardo, principio di realtà e tutta la loro desolante pochezza verrebbe allo scoperto. Si capirebbe allora che non basta strillare contro i “padroni del mondo” per costruire un mondo decente, e che non basta definire “alienati” gli esseri umani per risolvere i problemi da cui questi esseri umani sono assillati. E così i NO TUTTO li ignorano bellamente, i problemi degli esseri umani veri, e continuano a strillare contro i “padroni del mondo”, e non fanno proposta alcuna, a meno che non si vogliano scambiare per proposte dei volgarissimi slogan propagandistici. Ribellarsi è giusto affermava Mao Tze Tung, ed una canzone in voga negli anni 70 dello scorso secolo diceva: “distruggere Milano a volte è un po' più umano”. Ribellarsi per cosa? Per i Laogai e le decine di milioni di cadaveri che la follia maoista ha provocato? Distruggere Milano per cosa? Per far fallire l'Expo? Evviva la distruzione, evviva il nichilismo! Esaltiamo il grande nulla! Solo degli zombie alienati possono volere delle proposte positive!

Dovrebbe essere chiaro a questo punto perché il “pensiero” degli odierni “antagonisti” è strettamente collegato alla loro prassi delinquenziale. I loro nemici non sono dei semplici rivali politici, sono un branco di delinquenti, colpevoli dei più orrendi crimini. Ha senso chiedere che si combatta contro simili mostri in maniere “democratica” e non violenta? Se vedo un bruto che sta violentando ed uccidendo una bambina che faccio, discetto amabilmente con lui di etica kantiana? I nemici dei
NO TUTTO sono dei bruti che violentano ed il pianeta e l'umanità intera, vanno sconfitti, ad ogni costo. Che si debba o non si debba usare la violenza è per i NO TUTTO una scelta puramente tattica. La violenza va evitata quando può risultare controproducente, va perseguita negli altri casi. Se la loro analisi è giusta la la loro prassi è giustificata. Accettare, anche in parte, la prima, come fanno tanti giornalisti, e rifiutare la seconda è una pura idiozia.
Ma, gli altri? I proprietari della auto incendiate, i commercianti che si trovano con i locali devastati, i pacifici cittadini che hanno la sventura di vivere nei luoghi in cui i
NO TUTTO mettono in atto le loro macabre manifestazioni? Loro non fanno parte della banda di criminali che “dominano il mondo”. Come la mettiamo con loro?
La domanda non spaventa gli “antagonisti”. I pacifici cittadini, i commercianti, i proprietari delle auto sono individui “alienati” persone che danno più importanza alla loro casa, o alla loro auto, o al loro esercizio commerciale che alle sorti del pianeta. Non sono, in senso proprio, uomini, sono zombie consumisti che passano la loro grigia esistenza cercando di soddisfare i loro bisogni inautentici. Perché simili non – uomini andrebbero rispettati? Perché andrebbero rispettate le loro auto, i loro luoghi di lavoro, le loro case? L'odio misto ad aristocratico disprezzo che i
NO TUTTO provano nei confronti di coloro che conducono una dura, normale esistenza, i normali esseri umani che vanno tutti i giorni a lavorare e cercano faticosamente di migliorare la propria posizione, è agghiacciante. Ricorda altri odi, ed altri disprezzi che hanno letteralmente insanguinato il mondo. Esagero? Non credo, basta questa breve citazione di uno dei teorici della “decrescita felice”, Filippo Schillaci, per rendersene conto:
“Un treno carico di pendolari è uno degli spettacoli più deprimenti (…) una sfilata interminabile e cupa di volti resi inespressivi dalla monotonia, di un parlottare banale di calcio e di soldi (…) non di sorrisi, non di socialità, non di vita”. Ed ancora: “l'interminabile processione di signori Rossi che continuano a rimbalzare fra scrivania e supermercato, bistecca e televisore...” (Citato in: Luca Simonetti, Contro la decrescita, Longanesi 2014, pag. 133 – 134).
Non occorrono troppi commenti, basta chiedersi: sono
davvero uomini i pendolari dai volti inespressivi che parlano solo di soldi e partita e che passano la vita fra scrivania e supermercato? O non si tratta di sotto uomini, un po' come per qualcun altro erano sotto uomini i kulaki e gli ebrei?
Non è il caso di approfondire troppo il paragone, che del resto manca di riscontri visto che, per fortuna, i
NO TUTTO non hanno il potere. Una cosa però è certa, a questi ragazzotti poco importa delle esigenze dei normali esseri umani. Essere violenti nei loro confronti si può, anzi, si deve. E questa opzione violenta è perfettamente coerente con le loro analisi (sic) ed i loro valori (sic sic).

Tiriamo telegraficamente le somme. Contrapporre le teorizzazioni alle azioni dei
NO TUTTO ha senso dal punto di vista giuridico, ma non ne ha alcuno da quello politico, culturale e morale, esattamente come non ha senso politico culturale e morale contrapporre i manifestanti “bravi” ai teppisti. La violenza pratica degli “antagonisti” è diretta conseguenza delle loro teorizzazioni, del modo in cui considerano i rapporti sociali, i grandi problemi del pianeta, i normali esseri umani. Soprattutto è diretta conseguenza del loro nichilismo. I NO TUTTO, lo abbiamo già ricordato, non possono avanzare proposte positive perché ogni proposta positiva cozzerebbe contro i fondamenti stessi della loro ideologia, del loro modo di essere e sentire. Tutta la loro strategia si compendia così in una sola parola: NO. Ma il NO ha senso quando è un no determinato, un no a questo che implica un si a quello. Quando invece è rivolto a tutto e a tutti il no diventa puro nichilismo, esaltazione della distruzione, e nulla è tanto distruttivo quanto la violenza, la violenza cieca, indiscriminata, fine a se stessa.
Il vero obiettivo positivo dei
NO TUTTO è proprio questo: la distruzione per la distruzione. Ancora una volta nulla di nuovo: si tratta di ciò che da sempre perseguono i fanatici adoratori del nulla.