lunedì 20 febbraio 2017

ORLANDO FIGES: LA TRAGEDIA DI UN POPOLO.



























Finora nessuno sembra essersene accorto, ma in Russia cento anni fa, proprio in questi giorni, scoppiava la rivoluzione di febbraio ed iniziava quella crisi che si doveva concludere, nell'ottobre del 1917, con la rivoluzione, meglio sarebbe dire il golpe, dell'ottobre.
Ottima occasione per leggere il libro di Orlando Figes “La tragedia di un popolo. La rivoluzione russa 1891 1924”. Oscar Mondadori 2016.
Un libro semplicemente fantastico. Quasi mille pagine che si leggono, letteralmente, tutte d'un fiato. La rivoluzione russa è vista nelle sue origini storiche. La narrazione inizia dal 1891, anno in cui una terribile carestia provocò una grave frattura fra l'autocrazia zarista ed il suo popolo, e prosegue fino al 1924, quando il regime postrivoluzionario si è ormai consolidato e Stalin sta dando la scalata al potere personale assoluto.

Figes individua le origini del dramma nella struttura sociale della Russia zarista. Una monarchia incapace di autoriforma, una oligarchia terriera sorda, almeno nella sua gran maggioranza, alle istanze riformiste, una intellighenzia borghese troppo debole ed una classe operaia in cui il riformismo non aveva messo radici costituiscono lo sfondo sociale in cui matura la presa del potere da parte dei bolscevichi. Figes analizza col massimo scrupolo questa struttura, la crisi dell'impero scosso da sempre rinnovate richieste di autonomia ed indipendenza da parte delle nazionalità oppresse, la debolezza delle sue colonne portanti: la grande proprietà terriera, l'esercito, la Chiesa. Ma non c'è nella narrazione di Figes alcun determinismo socio economico. Lo storico inglese alterna infatti l'analisi socio economica con mirabili pagine dedicate alla psicologia delle masse operaie e, soprattutto, contadine, ed alle idee politiche embrionali in queste presenti.
E dedica anche pagine molto belle allo studio dei protagonisti individuali del dramma. Lo zar Nicola, legato ideologicamente all'ideale autocratico ma incapace di metterlo davvero in pratica. La zarina Aleksandra, fanatica sostenitrice dell'autocrazia, la figura spregevole di Rasputin, Stolypin, il riformatore arrivato troppo tardi. E poi i protagonisti della rivoluzione. Il principe L'Vov, ottima persona ma troppo debole per far fronte ad una situazione disperata, l'insulso Kerenskij, Kornilov ed i generali bianchi, Trotzki, grandissimo oratore ed ottimo organizzatore, ma inguaribilmente dottrinario e, sopra tutti, il capo: Lenin.
Figes non prende troppo sul serio le teorie leniniste dello stato o dell'imperialismo, dedica anzi a queste pochi accenni. Concentra invece la sua analisi sulla teoria leninista del partito. Ad essere del tutto centrale in Lenin è l'esigenza del potere. Dotato di una intelligenza politica di prim'ordine e di una straordinaria capacità di “cogliere l'attimo” il dirigente bolscevico capisce che il paese sta attraversando una crisi tale da consentirgli il “colpaccio”. Ingaggia una lotta politica durissima nel suo partito, contrario a tentare il tutto per tutto e disposto ad appoggiare il governo provvisorio, la vince ed inizia una avventura che si concluderà nel 1989, lasciandosi alle spalle decine di milioni di morti.
Proprio le pagine splendide che Figes dedica ai giorni dell'ottobre dimostrano che, se erano presenti nella storia della Russia le premesse sociali e culturali del dramma, questo non era inevitabile. Senza Lenin la rivoluzione d'Ottobre non ci sarebbe stata, e tutta la storia successiva avrebbe preso un corso diverso afferma chiaramente Figes, ed è impossibile dargli torto.

E' davvero impossibile riassumere un libro come “La tragedia di un popolo”, o anche solo evidenziarne i punti più interessanti. Mi limito qui a ricordare come la narrazione del Figes confuti molte inesattezze che si sono dette e si dicono sulla rivoluzione d'ottobre. La prima riguarda il carattere “sovietico” del golpe dell'ottobre. In realtà quel golpe fu fatto contro i soviet. Lenin ingaggiò e vinse uno scontro molto aspro nel suo partito, soprattutto contro Kamenev, sul problema di quando tentare il colpaccio. Kamenev avrebbe voluto che fosse il congresso panrusso dei soviet a lanciare la parola d'ordine della insurrezione. In questo modo la rivoluzione avrebbe dato vita ad un governo di tutti i partiti rappresentati nel soviet: i bolscevichi certo, ma anche i menscevichi ed i socialisti rivoluzionari, sia di destra che di sinistra. Per lo stesso motivo Lenin impose che il golpe si facesse prima del congresso. Lo voleva mettere di fronte al fatto compito per poter formare un governo dominato dai bolscevichi. Così fu ed i soviet in poco tempo persero ogni rilevanza.
Nel suo libro Figes confuta anche la tesi, sostenuta da storici peraltro ottimi come Roj Medvedev, secondo cui il comunismo di guerra, con la militarizzazione del lavoro e la politica delle requisizioni dei raccolti ai contadini, fu una scelta puramente empirica imposta ai bolscevichi dalla situazione difficilissima del paese. La politica che meglio esprimeva gli ideali bolscevichi sarebbe stata, per questi storici, quella successiva della NEP. E' vero esattamente il contrario. La situazione era diventata disperata proprio in conseguenza della politica delle requisizioni che avevano scatenato una autentica guerra contadina contro i bolscevichi. Questi si decisero, dopo un anno di lotte sanguinosissime, a scegliere la NEP perché non potevano fare altro. Ad essere imposta dalle circostanze fu la NEP, non il comunismo di guerra.

E' inutile continuare nelle esemplificazioni: la materia trattata nel libro è davvero troppo vasta. Prima di concludere mi permetto di avanzare all'opera di Figes una critica. Mi sembra che ne “la tragedia di un popolo” restino un po' in ombra le lotte, anche dottrinarie, interne al partito bolscevico. Con due rilevanti eccezioni. La prima la si è già vista: lo scontro precedente il golpe dell'ottobre. La seconda: la pace di Brest Litovsk. Figes espone sin nei minimi dettagli il dibattito durissimo che oppose in quella occasione Lenin a Trotzki ed entrambi a Bukarin. Le altre lotte interne al partito di Lenin sono invece lasciate un po' in ombra. Si tratta probabilmente di una scelta dell'autore che preferisce concentrarsi sui grandi eventi di massa che precedettero e seguirono la rivoluzione. La scelta è condivisibile ed appare in netto contrasto con quella operata da altri storici nelle cui narrazioni il dramma rivoluzionario resta praticamente confinato dentro il partito di Lenin; però, a mio modesto parere, un po' di maggior attenzione alla dialettica interna a quel partito forse non avrebbe guastato.
La tragedia di un popolo” è comunque un grande libro, oserei definirlo un capolvoro. Un'opera nettamente superiore, a mio avviso, ad altre che trattano lo stesso tema, ad esempio alla troppo esaltata “storia della rivoluzione russa” del Carr. Leggerlo è un ottimo modo di ricordare gli eventi che, cento anni fa, cambiarono radicalmente la faccia del mondo.
Ne consiglio vivamente la lettura, a tutte e a tutti.

1 commento:

  1. L' ho letto l' anno scorso in una vecchia edizione, testo magistrale che ci fa comprendere come:
    1) fascismo e comunismo sono incomprensibili se non si comprende la rivoluzione comunista; e ci assomigliano più di quanto alle sinistre non faccia comodo ricordare;
    2) il comunismo era un male evitabile come tutti gli assolutismi ideologici e sanguinari del 20° secolo, nulla di più e nulla di meno
    3) la rivoluzione comunista è in realtà la solita rivoluzione di un piccolo gruppo che approfitta del casino generale nella capitale , e poi finisce per comandare e dirigere tutte le piccole rivoluzioni indipendenti degli incazzati in provincia ; non esiste una grande rivoluzione di popoolo

    4)la società russa moderata si è suicidata per desiderio di autoespiazione nei confronti dei contadini , come sta facendo la nostra società occidentale buonista e cretinista nei confronti del terzo mondo. Finendo però non per aiutare la gente in difficoltà , ma causando il tracollo del sistema e disastri a non finire. Emblematica la distruzione degli strumenti agricoli da parte dei contadini ignoranti durante le rivolte ;

    5) i governi o comunque le istituzioni che si reggono su semplice autoreferenzialità e culto della personalità e non affrontano i temi reali mettendosi in gioco e rischiando anche di perdere sono condannate non solo ad essere sconfitte ma anche a causare disastri di portata ben maggiore ( vedi Kerensky in parallelo con Renzi , paralleo spaventoso, ed i governi tecnici di questi ultimi anni); inoltre
    6) non comprendere i bisogni e le debolezze nazionali per i debiti di prestigio nei confronti delle altre potenze europee è una follia bella e buona ( vedi sempre kerensky con le ultime folli offensive vbelliche invece che la richiesta di pace, oppure i nostri governi minkioni con le ennesime manovre economiche depressive per salvare i conti)

    un libro terrificante.... letto con l' ottica odierna

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