Si,
possiamo dirlo: se anche solo un parte della accuse che gli vengono
mosse è vera Silvio Berlusconi è decisamente peggio di Al Capone.
In questi ultimi 20 anni Berlusconi è stato accusato di corruzione,
concussione, peculato, corruzione giudiziaria, favoreggiamento della
prostituzione, traffico di droga, truffa finalizzata alla evasione
fiscale, falso in bilancio, voto di scambio; è stato inoltre
indicato come il “referente politico” di cosa nostra e accusato
di concorso esterno in associazione mafiosa, oltre che di aver
organizzato stragi mafiose. Se si esclude, forse, l'abigeato
Berlusconi ha commesso praticamente tutti i crimini previsti dal
codice penale. Su Berlusconi hanno indagato nel corso di questi 20
anni numerosissime procure, decine e decine di magistrati; le sue
aziende sono state oggetto di centinaia di perquisizioni, su di lui
esistono centinaia di migliaia di intercettazioni. L'ex presidente
del consiglio ha finora accumulato la bellezza di 33 processi. Al
Capone non si è mai neppure lontanamente avvicinato a simile vette.
La superiorità criminale di Berlusconi rispetto ad Al Capone
risulta anche dagli anni di prigione a loro inflitti. Malgrado sia
stato molto spesso assolto con varie motivazioni Silvio Berlusconi ha
fino ad oggi collezionato condanne, sia pure non definitive, per
complessivi DODICI ANNI di reclusione; Al Capone invece è stato a
suo tempo condannato per evasione fiscale ad UNDICI ANNI, malgrado
fosse considerato il “nemico pubblico numero uno”. “Beh, era
ora!” potrebbe dire qualcuno. Finalmente il lavoro di magistrati
onesti ed imparziali sta dando i suoi frutti! Berlusconi
è in effetti peggio di Al Capone,
come Al Capone Berlsusconi è riuscito per molto tempo a farla in
barba alla legge, finalmente però i nodi stanno venendo al pettine.
Se i magistrati della cassazione si comporteranno come devono il
mostro sarà sconfitto: gli angeli della giustizia schiacceranno la
testa del serpente velenoso. L'aria della nostra bella Italia tornerà
ad essere respirabile, e tutti vivremo felici e contenti, o quasi.
Però, ci sono alcuni particolari che non quadrano in questo
quadretto edificante. Diamolo pure per scontato: Berlusconi è peggio
di Al Capone; una cosa simile è priva di conseguenze? Il fatto che
un paese come l'Italia sia stato governato per oltre dieci anni dal
peggior criminale comune di tutti i tempi non fa sorgere alcuna
domanda, non induce a nessuna riflessione sulle istituzioni del
nostro paese, sul suo stesso popolo? Francamente penso di no.
La magistratura,
“prima”. Berlusconi
non è nato con “forza Italia”. Prima di diventare un politico
importantissimo il cavaliere è stato uno dei primi imprenditori
italiani, forse il primo, insieme ad Agnelli, capo di un impero di
dimensioni colossali. Partito praticamente dal nulla questo criminale
è riuscito ad accumulare una fortuna favolosa. Perché non è stato
fermato prima? Perché i coraggiosi magistrati italiani non hanno
cercato di bloccare il mostro prima che diventasse tanto potente e
pericoloso? Berlusconi è il cancro delle democrazia, ha detto
qualcuno. Bene, lo sanno tutti: con tumori sono fondamentali la
diagnosi precoce e la tempestività delle terapie. Il cancro va
distrutto sul nascere, e Berlusconi era, è, un cancro. Perché lo si
è lasciato crescere? Perché non sono partiti subito gli avvisi di
garanzia a raffica, le inchieste al ritmo di una al mese, le
intercettazioni a strascico, le perquisizioni a tappeto? Qualcuno
dice che anche prima del suo ingresso in politica Berlusconi è stato
fatto oggetto di “attenzioni” da parte della magistratura. Però,
si è trattato di ben misere “attenzioni”, non più gravi di
quelle di cui sono stati fatti oggetto Romiti, Agnelli o De
Benedetti, nulla di neppure lontanamente paragonabile alla valanga di
inchieste degli ultimi venti anni. Pretendere di fermare un criminale
come Berlusconi con simili, benevole, “attenzioni” è un po' come
voler curare il cancro con l'aspirina. Possibile che magistrati tanto
bravi come quelli che hanno indagato sul cavaliere (a proposito,
perché è stato nominato cavaliere?) non si siano accorti del mostro
che stava crescendo sotto i loro vigili occhi? Se Berlusconi è
peggio di Al Capone molti magistrati sono stati, almeno
indirettamente, suoi complici. Una simile conclusione può non
piacere ma è la logica ad imporcela. Il
suo partito, e i suoi alleati. Qualcuno
riesce ad immaginare Al Capone che fonda un partito politico e
non
lo utilizza per favorire la sua attività criminale? E' credibile un
Al Capone che da un lato si dedica a svariate attività criminose e
poi, come capo del suo partito, si limita ad una normalissima
attività politica? Ed ancora, è credibile che Al Capone fondi un
partito politico i cui membri non siano a conoscenza delle attività
criminali del loro leader, non siano, a tutti gli effetti, suoi
complici? Si tratta di una ipotesi del tutto infondata. Se Berlusconi
è un criminale peggio di Al Capone non è possibile considerare
Forza Italia o il Pdl come normali partiti politici. E non è
possibile non sottoporre ad indagine Alfano o Brunetta, Quagliariello
o Fini, Tremonti o Martino. Sottoporli ad indagine, attenzione, non
per questo o quel circoscritto atto illegale, estraneo magari alla
attività del Pdl, ma per essere stati, o essere ancora, complici del
più pericoloso criminale comune della storia. Se Berlusconi è
peggio di Al Capone Alfano è segretario di una organizzazione
malavitosa, non possono esserci dubbi. Considerazioni simili possono
farsi su tutti i partiti che in un modo o nell'altro sono stati
alleati col Pdl. Insomma, se Berlusconi è peggio di Al Capone
partiti che rappresentano la metà circa dell'elettorato sono
associazioni criminali ed andrebbero trattate di conseguenza. La loro
messa fuori legge andrebbe messa all'ordine del giorno.
Il
presidente. In
Italia il capo del governo non è la massima autorità. Ben sopra il
capo del governo la costituzione pone il presidente della repubblica,
garante delle istituzioni, arbitro della contesa politica e simbolo
della unità nazionale. Cosa dovrebbe fare un capo dello stato quando
si accorge con raccapriccio che il governo del paese è finito nelle
mani di uno dei più feroci e pericolosi criminali della storia?
Meglio, cosa dovrebbe fare prima
che questo accada? Contrariamente a quanto molti pensano, la
costituzione non obbliga affatto il capo dello stato ad affidare
l'incarico di formare il nuovo governo al leader del partito che ha
vinto le elezioni. Il capo dello stato può nominare chi
vuole alla
carica di presidente del consiglio, con un unico vincolo: il nuovo
governo deve ottenere la fiducia delle camere. Ebbene, un bel giorno
un criminale pericolosissimo vince le elezioni, malgrado le indagini
che da anni coraggiosi magistrati svolgono sul suo conto. Cosa fa il
capo dello stato? Non denuncia l'anomalia di un paese civile che sta
per cadere nella mani di un nuovo Al Capone, non lancia un messaggio
alla nazione, non affida ad una personalità di sicura garanzia
democratica l'incarico di formare il nuovo governo, invitando il
parlamento a votarlo, non convoca nuove elezioni. No, il capo dello
stato nomina tranquillamente il criminale presidente del consiglio,
gli permette di mettere le mani sul governo del paese. Non solo,
una volta che il governo del criminale è in carica il capo dello
stato promulga in prima istanza moltissime delle leggi che questo ha
fatto votare ad un parlamento ormai diventato una sorta di bivacco di
cosche mafiose, non le rinvia sistematicamente alle camere, come pure
sarebbe suo potere fare. Ed ancora, il garante delle istituzione non
invia messaggi alle camere chiedendo che tutte le forze sane in esse
presenti si uniscano per cacciare il mostro; il simbolo della unità
nazionale si comporta come se la situazione fosse normale, magari
insoddisfacente dal punto di vista politico ma istituzionalmente
normale. Se, invece di parlare genericamente di “capo dello
stato”, ci riferiamo al presidente Giorgio Napolitano le cose se
possibile si aggravano. Dopo avere accettato di sostenere l'onere di
un secondo mandato presidenziale Giorgio Napolitano ha pronunciato di
fronte alle camere riunite un discorso inequivocabile. In quel
discorso il capo dello stato ha detto chiaramente che deve finire il
periodo delle contrapposizioni rissose, che accordi fra le principali
forze politiche sono non solo possibili ma necessari in una
situazione drammatica come quella che il pese sta vivendo. In breve,
il presidente Napolitano ha auspicato un accordo di governo fra il Pd
ed il Pdl, cioè un accordo fra una normale formazione politica ed
una organizzazione malavitosa. Se Silvio Berlusconi è il nuovo Al
Capone forse non hanno torto i Grillo ed i Di Pietro quando accusano
di complicità il capo dello stato...
Il popolo
italiano. Da
circa venti anni il popolo italiano regala ai partiti fondati e
guidati dal criminale milioni e milioni di voti. Il Pdl è giunto a
sfiorare, nel momento di massima espansione elettorale, il quaranta
per cento dei suffragi, per anni si è mantenuto intorno al 35%. La
coalizione di centro destra ha conquistato in più di una occasione
oltre il 50% dei consensi. Insomma, la metà circa del corpo
elettorale vota per una organizzazione mafiosa o per i suoi alleati,
vuole che un pericolosissimo criminale governi l'Italia. E non si può
dire che tutti questi cittadini ignorino la realtà dei fatti. Da
anni valorosi magistrati indagano sul mostro, e le loro indagini sono
amplificate e portate a conoscenza di tutti dalla informazione che,
malgrado i suoi tentativi di imbavagliarla, si è conservata libera.
Giornalisti amanti della verità come Scalfari, Santoro e Travaglio,
artisti democratici come Benigni e Celentano, profondi intellettuali
come Camilleri e Battiato hanno denunciato senza paura alla pubblica
opinione crimini del mostro. Un piccolo inciso: chi a suo tempo
lottava contro Al Capone rischiava di vedere la sua casa distrutta da
una bomba, o di trovarsi con le gambe spezzate, o, peggio ancora, con
un proiettile fra gli occhi. Oggi gli eroici attori comici,
intellettuali, giornalisti, opinionisti, filosofi, scienziati,
scrittori di romanzi gialli, economisti, barzellettieri ed affini che
denunciano il criminale diventano in poco tempo milionari, piccole
anomalie della storia. Comunque, anomalie a parte, moltissima gente
coraggiosa ha denunciato le attività criminali di Silvio Berlusconi,
nessuno
può dire: “non sapevo”.
Eppure, tante nobili e coraggiose denunce non sono servite a nulla!
Milioni e milioni di italiani hanno continuato a votare per il
criminale, fregandosene degli sforzi che i magistrati stavano facendo
per incastrarlo, anzi, rendendo ancora più difficile il loro
compito, e delle coraggiose denunce di tanti valorosi giornalisti.
Come si può spiegare un fatto tanto grave?
Qualcuno potrebbe
dire che in fondo non si tratta di un fenomeno nuovo. Milioni di
tedeschi diedero a suo tempo il loro voto ad Hitler, e milioni di
lavoratori in tutto il mondo hanno per decenni considerato Stalin il
nobile difensore degli oppressi. Il paragone però è poco
appropriato. Hitler e Stalin hanno commesso crimini orrendi,
addirittura più gravi di quelli commessi da Berlusconi (Marco
Travaglio forse ha dei dubbi in proposito), ma si tratta di crimini
politici
o che hanno una fondamentale dimensione
politica.
L'olocausto e la dekulakizzazione, la collettivizzazione forzata
dell'agricoltura e il massacro di zingari e omosessuali, le leggi
razziali e la caccia ai “nemici del popolo” sono qualcosa di
radicalmente, qualitativamente, diverso dal falso in bilancio, dalla
corruzione e della concussione, dallo stesso stragismo mafioso. Si
tratta di crimini non finalizzati all'incremento del proprio
patrimonio privato ma alla realizzazione di (criminali) obiettivi
politici. Certo, anche nel caso di Hitler e di Stalin valgono
considerazioni legate alla loro personale sete di potere, ma la sete
di potere è, di nuovo, qualcosa di intimamente legato alla politica,
alla vita e a fini pubblici. Berlusconi, dicono i suoi nemici, è
entrato in politica per meglio tutelare i suoi interessi privati,
Hitler e Stalin al contrario hanno enormemente ampliato l'area del
loro arbitrio privato per realizzare i loro interessi pubblici,
politici. La dimensione privata è assolutamente preminente nella
attività di Berlusconi, come in quella di Al Capone, quella pubblica
in un Hitler e in uno Stalin. E mentre è comprensibile che milioni
di esseri umani seguano dei leader che indicano loro alcuni fini
politici, anche se criminali, resta incomprensibile lo spettacolo di
milioni di esseri umani che appoggiano un leader che non ha altro
obiettivo se non quello di incrementare il proprio conto in banca.
L'odio razziale o di classe sono sentimenti collettivi, capaci,
purtroppo, di mobilitare milioni di persone, si può dire altrettanto
del desiderio di veder incrementati gli utili e le ricchezze del
signor Silvio Berlusconi?
Comunque la si rigiri il fatto che
milioni di persone votino per un criminale che pensa unicamente al
suo privato tornaconto resta misterioso. Ci possono essere solo due
spiegazioni di un fatto tanto inconsueto. La prima è molto
semplice: si tratta di persone ingannate dal potere mediatico del
criminale. Si tratta però di una spiegazione molto poco convincente.
Il potere mediatico di Berlusconi non è, né è mai stato, assoluto.
Lo provano non solo le moltissime voci libere che si sono levate ad
accusarlo, ma il fatto innegabile che milioni di persone hanno saputo
riconoscere la natura diabolica di Berlusconi e non solo non lo hanno
votato, ma hanno coraggiosamente lottato contro di lui. Il potere
mediatico del cavaliere non spiega perché tanta gente abbia creduto
ad un procacciatore di puttane come Emilio Fede e non ad un
giornalista onesto e coraggioso come Santoro, abbia dato retta ad un
semi bandito come Vittorio Feltri e non ad un paladino del giusto e
del vero come Marco Travaglio: entrambi erano e sono presenti sui
media, ed il secondo più del primo, sembrerebbe. L'ipotesi del
potere mediatico non serve a spiegare il successo elettorale del
cavaliere, a meno che non sia supportata da una ulteriore ipotesi:
coloro
che votano per il cavaliere sono degli imbecilli senza possibilità
di recupero.
La metà circa del popolo italiano è composta da cerebrolesi, poveri
idioti, persone di cui si potrebbe dire, usando una terminologia
politicamente corretta, che sono “diversamente intelligenti” e
che come tali potrebbero anche essere un po' rispettate, se questa
loro diversità non consegnasse il paese nelle mani di un criminale
senza scrupoli. La seconda spiegazione è anch'essa molto
semplice: chi
vota per il cavaliere è, almeno tendenzialmente, un criminale come
lui.
Certo, non è colpevole, forse, di specifici delitti, non ha, forse,
commesso dei crimini sanzionati dal codice, di certo non ne ha
commesso tanti e tanto gravi come quelli che ha invece commesso il
cavaliere, ma questo si spiega solo con le diverse possibilità che
il cavaliere ha sempre avuto rispetto ai normali cittadini, oltre che
con la sua natura particolarmente demoniaca. Però, sotto sotto, chi
vota o ha votato Berlusconi è come minimo un criminale potenziale.
Basta con la scemenza di considerare buoni cittadini, magari
“ingannati”, gli elettori del centro destra! Non si tratta
affatto di cittadini ingannati, sono dei furfanti che hanno voglia di
partecipare al bottino, che sperano nei favori del cavaliere. Evasori
fiscali privi del minimo senso civico, egoisti capaci di far
affondare l'Italia pur di incassare un euro, avidi speculatori che se
ne fregano del bene comune, gente che si arricchisce sulle miserie
degli strati più disagiati della popolazione. In breve, non
rivali ma nemici,
e neppure nemici politici, nemici e basta perché non ha senso
considerare gli amici di Al Capone, o gli ammiratori di Totò Riina
come dei nemici politici. Sono dei disonesti che ogni persona onesta,
sia essa di destra o di sinistra, deve disprezzare e combattere,
punto e basta. Questa seconda spiegazione è la più convincente
di tutte, non a caso è stata sostenuta da fior di intellettuali
della sinistra italica, da Umberto Eco a Giorgio Bocca. Però, se è
vera, come del resto se è vera la prima, esiste in Italia un
problema immenso, e stupisce che persone come Eco e Bocca, oltre che
menti eccelse come quelle di Di Pietro, Marco Travaglio e Rosy Bindi
non lo abbiano neppure intravisto. La metà circa
della popolazione italiana è composta da criminali,
quanto meno da potenziali criminali, oppure
da incurabili imbecilli, oppure
da tutte e due le cose insieme:
molti imbecilli che si fanno abbindolare da molti criminali.
Solo questo può spiegare il mistero dei milioni di consensi che un
criminale ha potuto raccogliere e conservare tanto a lungo. Però, se
la situazione è questa, non si vede come la democrazia sia possibile
nel nostro paese. Se davvero siamo stati governati per oltre dieci
anni da un criminale, un criminale che anche oggi è in grado di
riscuotere un consenso molto elevato, i casi sono due: o
si permette alla democrazia rappresentativa di funzionare, ed allora
è lo stesso normale funzionamento del gioco democratico a produrre
governi che altro non che espressioni della criminalità, oppure non
si permette il regolare funzionamento della democrazia, ed allora il
paese scivola verso nuove, pericolosissime, forme di tirannide.
Qualcuno potrebbe ribattere che le cose non stanno così, che la
democrazia può benissimo funzionare, fermo restando che nessuno,
anche se riscuote milioni di voti, può infrangere la legge. Sono
tante le anime belle che formulano ragionamentini di questo tipo,
però di tratta, appunto, di ragionamentini, esercizietti mentali
privi di qualsiasi validità. E' vero, tutti, anche chi ottiene
milioni di voti, devono rispettare le leggi, però le leggi le fa il
parlamento e chi ottiene milioni di voti ha la maggioranza in
parlamento. Ed è vero che le leggi ordinarie non possono contraddire
la costituzione, ma è anche vero che le maggioranze schiaccianti
possono anche modificare le costituzioni. Qualsiasi democrazia, e a
maggiore ragione qualsiasi democrazia liberale, può vivere solo se è
supportata da un vasto sostegno popolare. Un certo livello di
consenso occorre in ogni tipo di organizzazione politica e sociale,
anche le peggiori tirannidi hanno bisogno del consenso, quanto meno
del consenso di chi fa parte del loro apparato repressivo; una
democrazia liberale che sia priva di un vasto sostegno popolare non
può vivere perché entrerebbe costantemente in contraddizione con se
stessa. Nulla è più errato dell'idea di una democrazia liberale
che possa sopravvivere al fatto che la metà circa del corpo
elettorale sia composta da imbecilli e da criminali. L'esistenza di
un simile corpo elettorale trasformerebbe fatalmente la contesa
democratica in una guerra fra bande criminali, o la democrazia in
una tirannide giustizialista. Dittatura dei giudici, quella che
Tocqueville definiva “la peggiore delle tirannidi”, o governo del
crimine organizzato. Se il popolo italiano è formato in larga parte
da criminali e da imbecilli che si fanno abbindolare dai criminali,
non abbiamo scampo: è questo il nostro futuro.
Le cose che ho
scritto non intendono cercare di dimostrare che Silvio Berlusconi non
è
un criminale: scrivendole mi sono limitato ad esaminare quali
conseguenze avrebbe questo fatto qualora fosse vero. Se l'uomo che ci
ha governato per oltre dieci anni è il nuovo Al Capone non può
salvarsi nulla
del nostro paese: non la magistratura che per decenni non si è
accorta del cancro che stava crescendo, non il suo partito e neppure
gli altri partiti che in qualche modo sono stati suoi complici, non
il capo dello stato che ha trattato il nuovo Al Capone come un
normale uomo politico, non il popolo che la ha votato, non la
democrazia che ha reso possibile un tale, profondo pervertimento dei
suoi stessi meccanismi. Può darsi che sia proprio questa la
situazione del paese, io NON
lo credo, anzi, sono profondamente convinto che sia proprio
l'enormità delle accuse che gli sono state mosse a dimostrare come
la offensiva della magistratura contro il cavaliere non abbia nulla a
che fare con il diritto e la giustizia. Quello che credo io però ha
poca importanza. Chi, contrariamente da me, crede che il paese sia
stato governato per tanto tempo dal peggiore dei malfattori cerchi di
ragionare, di trarre da questo fatto enorme ed abnorme tutte le sue
logiche conseguenze. Nulla però è tanto faticoso oggi quanto il
ragionare. Ecco perché oggi si sentono strillare tanti slogan, ed
affermare tante sciocchezze, ma non si sentono, quasi mai,
ragionamenti degni di questo nome.
La
sentenza di Milano può essere commentata da diversi punti di
vista.
Nel merito, si tratta di una sentenza allucinante.
Tutto quello che il processo ha dimostrato è che il presidente del
consiglio ha tenuto una condotta discutibile dal punto di vista etico
e, probabilmente, troppo disinvolta per un uomo nella sua posizione.
Sarebbe stato molto meglio se Berlusconi non avesse organizzato in
casa sua cene con ragazze che, si dice, siano piuttosto allegre. Ma,
nei paesi civili, si puniscono i reati,
non i peccati,
ed i reati vanno provati, provati
in maniera chiara, inequivocabile, qualcuno dice provati al di la di
ogni ragionevole dubbio. Nei paesi in cui il diritto è una cosa
seria se non c'è la prova del reato si assolve l'imputato, lo si
assolve anche se sta antipatico, se lo si considera una persona
eticamente discutibile, se è un proprio rivale politico. E' ridicolo
sostenere che la prova dei reati sia emersa nel processo di Milano.
Lo dimostra, tra le tante altre cose, l'incredibile decisione della
corte di chiedere l'apertura di una inchiesta sui numerosissimi
testimoni a favore dell'ex premier. Il giudice non ha interrotto la
deposizione di questo o di quel teste a favore di Berlusconi, non ha
fatto notare le incongruenze e le falsità della sua testimonianza.
Il processo è proseguito regolarmente fino alla conclusione,
l'imputato è stato condannato ed i testi a suo discarico rischiano
ora una incriminazione per falsa testimonianza. La logica è questa,
più o meno: Berlusconi
è colpevole perché i testi a suo favore hanno mentito, i testi a
favore hanno mentito perché Berlusconi è colpevole.
Qualcosa di incredibile!!! Ancora più incredibile è la
dimensione della condanna. Misseri è stato condannato ad OTTO
anni per occultamento
di cadavere,
Berlusconi a SETTE
per una telefonata in questura e un (presunto) rapporto sessuale con
una diciasettenne. Siamo alla follia!
A livello più generale.
E' chiaro che una magistratura organizzata come quella italiana non
può dare garanzia di giudizi equi e ponderati. In Italia la
magistratura si “autogoverna”, cioè è il solo controllore di se
stessa, non esiste divisione delle carriere fra giudici e PM, non
esiste responsabilità civile dei magistrati, le carriere dei
magistrati sono di fatto automatiche. In Italia di fatto i magistrati
possono fare ciò che vogliono, possono farlo perché rispondono di
tutto solo di fronte a loro stessi. E' una anomalia unica in tutto
l'occidente.
A livello politico, fanno ridere coloro che
dicono che le sentenze non si commentano o che affermano che la
sentenza di Milano non sarebbe un fatto politico. Ma, stiamo
scherzando? Finora Berlusconi ha collezionato DODICI
anni
di reclusione, chi si becca DODICI
ANNI
di carcere è un criminale, per definizione. Perciò i casi sono due,
o Berlusconi è un criminale peggio di Al Capone e questo è un fatto
politico, oppure non lo è, ed allora è un fatto politico la
persecuzione giudiziaria di cui è oggetto. Quanto al non
commentare le sentenza, per favore, basta con le stronzate! Da sempre
in una democrazia le sentenze si commentano, da sempre ci si mobilita
contro sentenze che si giudicano aberranti. Sacco e Vanzetti,
Dreyfus, Valpreda, Tortora, i Rosemberg... si potrebbe continuare.
Magari si potrebbero aggiungere altri nomi: Radek, Zinoviev, Kamenev,
Bukarin, Tomsky, tutti rivali di Stalin eliminati al termine di
“regolari” processi conclusi con esemplari sentenze di condanna.
La sinistra comunista a suo tempo “commentò” quelle sentenze, le
commentò applaudendo i boia e i torturatori. Quindi, in un senso o
nell'altro le sentenze SI
COMMENTANO, SI SONO SEMPRE COMMENTATE. Esiste
in Italia un clima forcaiolo che fa paura. Un rigetto diffuso del
garantismo, un desiderio viscerale di risolvere i problemi a colpi di
giustizia sommaria. Ed esiste anche un profondo disprezzo per la
democrazia, la libera manifestazione della volontà degli elettori.
Berlusconi è votato da dieci milioni circa di italiani? E tre
giudici se ne fregano di questo particolare e lo condannano alla
interdizione perpetua dai pubblici uffici al termine di un processo
farsa. E non solo. In molti lo vorrebbero comunque ineleggibile in
base ad una legga degli anni 50, altri ancora vorrebbero ampliare le
norme sulla ineleggibilità, rendere automaticamente ineleggibile
chiunque abbia subito una condanna, anche senza che il giudice abbia
decretato la interdizione dai pubblici uffici, il tutto fregandosene
del principio secondo cui la pena estingue il reato e, ancora una
volta, della volontà degli elettori che magari possono dare la loro
fiducia anche a chi ha subito una condanna e ha pagato il suo debito
con la giustizia.
Stiamo attraversando momenti neri. Non so
che fine faremo, ma so di certo che nessuna speranza di ripresa, a
nessun livello, è possibile senza una profonda, radicale riforma
della giustizia. Non è un problema che riguardi il solo Berlusconi.
L'Italia rischia di diventare molto simile all'Iran e questo
riguarda, tutti, indistintamente tutti.
Non
sbagliavo, purtroppo. Berlusconi condannato a sette anni nel processo
Ruby. In un qualsiasi paese civile un simile processo non sarebbe mai
neppure iniziato. Un processo in cui i presunti concussi negano di
essere stati concussi, in cui non esistono parti lese, in cui non c'è
uno straccio di prova materiale, nè testimonianze che confermino in
maniera inequivocabile le tesi accusatorie; la gran
parte delle testimonianze anzi hanno negato queste tesi. Eppure, al
termine di questa farsa di sapore staliniano, la corte condanna
Berlusconi ad una pena addirittura superiore a quella richiesta dal PM!
Facciamo un po' di conti. Finora Berlusconi ha collezionato le seguenti condanne:
UN ANNO perchè è stata pubblicata su un giornale di proprietà del
fratello una intercettazione di Fassino (dopo che per anni centinaia di
intecettazioni di Berlusconi sono finite in pasto alla stampa)
QUATTRO ANNI per una presunta evasione fiscale da 4 milioni di euro,
evasione che riguarda una azienda in cui, all'epoca dei fatti,
Berlusconi non copriva più alcun incarico. SETTE ANNI per un
presunto rapporto sessuale con una diciasettenne, rapporto sempre negato
dalla stessa e di cui non esiste prova alcuna, e per una presunta
concussione smentita dagli interessati. IN TOTALE FANNO DODICI ANNI DI RECLUSIONE, qualcosa a cui in Italia non vengono condannati neppure gli stupratori assassini.
Da questo momento la cosa è ufficiale: IN ITALIA NON ESISTE GIUSTIZIA.
Una magistratura priva di ogni limite e controllo può fare ciò che
vuole. Da oggi è possibile essere condannati senza che la propria
colpevolezza sia stata minimamente provata. Un simile imbarbarimento del
paese non riguarda il solo Berlusconi, riguarda TUTTI, ma PROPRIO
TUTTI. Il Pdl DEVE reagire, subito. Se le sentenze a carico di
Berlusconi diverranno definitive, i parlamentari del Pdl DEVONO
DIMETTERSI IN BLOCCO. Nel frattempo sarebbe il caso di ricorrere alla
corte europea per i diritti dell'uomo. Confidare nell'appello o nella
cassazione può rivelarsi suicida. Se, in nome di un malinteso senso
di "responsabilità", il Pdl accetterà di farsi massacrare senza reagire
consegnerà il paese ai nuovi talebani, e allora sarà un disastro a
tutti i livelli, economia compresa.
Russia,
primavera del 1919, siamo in pieno comunismo di guerra. Il 13 Maggio
1919 compare sul “Notiziario del consiglio dei deputati operai di
Odessa” il seguente annuncio: “La giornata odierna, 13 maggio, è
stata decretata giorno di espropriazione della borghesia. (…) Le
classi possidenti dovranno riempire un questionario dettagliato,
elencando i prodotti alimentari, le calzature, gli abiti, i gioielli,
le biciclette, le coperte, le lenzuola, l'argenteria, il vasellame e
altri oggetti indispensabili al popolo lavoratore (…) Tutti devono
assistere le Commissioni di espropriazione in questo sacro compito
(…) Chi non obbedirà agli ordini delle Commissioni di
espropriazione sarà arrestato immediatamente. Chi resisterà verrà
fucilato sul posto”. Un episodio, uno dei tanti e neppure fra i
più gravi, eppure estremamente significativo di un modo di pensare,
di rapportarsi ai problemi economici. Ci si può rapportare
all'economia e ai suoi problemi in due modi. Il primo è quello
di cercare di accrescere
la produzione di ricchezza.
Per farlo occorre incentivare i produttori a lavorare nella maniera
più efficace ed efficiente possibile, aprire e snellire i canali del
commercio e del credito, invogliare chiunque ne abbia le possibilità
ad investire. Il secondo è quello di appropriarsi
della ricchezza già prodotta
per redistribuirla o comunque utilizzarla a fini che l'autorità
politica ha stabilito. Sappiamo bene quale fu a suo tempo la
scelta di Lenin e del suo governo: feroci requisizioni
nei confronti dei contadini, con conseguenti carestie, militarizzazione del lavoro, proibizione del commercio privato, razionamento. Dopo la breve pausa della NEP questa
linea fu ripresa ed amplificata fino al parossismo da Stalin, con
conseguenze umane, sociali ed economiche devastanti.
La
politica degli espropri e delle requisizioni può essere paragonata
al saccheggio:
“non
produrre ricchezza, toglila a chi la ha già prodotta”,
in particolare, nelle condizioni della Russia sovietica, ai contadini
(altro
che “borghesia e “classi possidenti”!). A parte tutte le
obiezioni che è possibile fare sul piano etico alla pratica del
saccheggio, è fin troppo chiaro che tale pratica è assolutamente
inefficace sul piano economico. Si
può saccheggiare l'altrui ricchezza solo se qualcuno la ha prodotta.
Il saccheggio ha comunque bisogno della produzione, non può
sostituirsi ad essa. Saccheggiare la gente vuol dire farla smettere
di lavorare e produrre. E' quanto avvenne in Russia coi contadini.
Espropriati di tutti o quasi i frutti del loro lavoro, si
tramutarono da produttori in orde di affamati che cercavano
disperatamente di dare l'assalto ai magazzini in cui il loro grano
era stato rinchiuso, quando non era lasciato a marcire al sole,
protetto però da guardie armate. L'agricoltura della Russia
sovietica non si sarebbe più ripresa da una simile follia. Inoltre,
anche a prescindere dalla corruzione e dalle ruberie inevitabilmente
connesse al sistema del saccheggio (la gran parte dei beni sottratti
ai “possidenti” non andavano al “popolo lavoratore” ma ai
membri delle “commissioni di espropriazione”), anche a
prescindere da questo, è fin troppo chiaro che la politica del
saccheggio non migliora in alcun modo la condizione dei meno
abbienti. Le condizioni di un operaio russo, inquadrato nelle squadre
di lavoro forzato ideate da Trotskij, non sarebbero migliorate,
neppure di pochissimo, se sua moglie avesse avuto un anello
espropriato ad una “possidente”, o se a lui fosse stato consegnato
un paio di mutande, (di quale taglia?) usate fino a poco tempo prima
da un “borghese”. Quanto ai generi alimentari, davvero si poteva
pensare che del pane o della carne sottratte alle mense dei “ricchi”
potevano risolvere il problema della fame endemica delle campagne e
delle città? La politica del saccheggio poteva avere conseguenze
solo politiche:
poteva servire a terrorizzare i nemici, veri o presunti, della
dittatura bolscevica, sul piano economico aveva conseguenze tutte e
solo negative.
Le requisizioni erano strumento di lotta sociale e
politica, oltre che rozzo e fallimentare tentativo di risolvere i
problemi economici; ma si trattava di uno strumento di lotta che
aveva alle spalle una concezione ben precisa dell'economia e della
società. Secondo tale concezione i problemi economici potevano
essere risolti solo in un'ottica di guerra di classe, ed i
comportamenti delle classi considerate nemiche erano tout court
assimilati a crimini. La resistenza contadina alle requisizioni
veniva in questo modo considerata un crimine da punire con inaudita
spietatezza, ma eguale spietatezza veniva riservata a tecnici,
impiegati, strati di piccola e media borghesia (non parliamo degli ex
imprenditori); gli stessi operai che si opponevano alla
militarizzazione del lavoro o che osavano scioperare per salari non
da fame erano considerati “nemici dello stato proletario” e
trattati di conseguenza. La riduzione dell'economia alla politica, e
della politica alla guerra di classe metteva il partito bolscevico in
guerra contro la società nel suo complesso. Si trattava però di una
società disgregata, priva di rappresentanza politica, quindi
incapace di organizzare una risposta unitaria. Il partito al potere
era l'unica forza organizzata in un oceano di disgregazione sociale.
Questo spiega la sua vittoria sulla società. Amara vittoria, pagata
ad altissimo prezzo da interi popoli.
Non voglio fare ridicoli
confronti fra la Russia di Lenin e Stalin e l'Italia di oggi. Simili
confronti sarebbero, fra le altre cose, offensivi per le innumerevoli
vittime del comunismo sovietico, e non solo. Esistono però, nel
panorama politico e culturale (si fa per dire) dell'Italia, e forse
anche dell'Europa, odierne idee, sentimenti, prese di posizione che
ricordano in qualche modo la filosofia politica di Lenin e dei primi
bolscevichi. Non si trovano i soldi per pareggiare il bilancio? Si
metta una bella tassa sulla casa; Cipro è troppo indebitata con
banche estere? Si confischi una parte del denaro dei correntisti, non
si sa come risolvere il problema degli esodati, creato da un ministro pasticcione? Si imponga a tutti, o
ad alcuni, una tassa di solidarietà. Tutto questo non è certo
saccheggio ma risponde ad un'ottica che gli si avvicina, in qualche
modo: non si riesce a produrre ricchezza, quindi si mettono le mani
sulla ricchezza già prodotta, che poi questo non risolva nulla,
anzi, aggravi tutti i problemi, è secondario. Ed ancora. L'ex
leader Monti che dichiara che lo stato è in guerra, si ha usato
proprio questo termine: guerra,
con gli evasori; il dottor Ingroia che propone tranquillamente
l'esproprio di tutti i patrimoni dei presunti evasori, lasciando
loro, bontà sua, sei mesi per dimostrare la loro innocenza (è il
sospettato a dover dimostrare di essere innocente, interessante);
Equitalia che mette all'asta la casa di chi ha un debito col fisco
anche di poche migliaia di euro, tutto questo prefigura una
concezione del rapporto stato cittadini che non è quella democratico
liberale. Una concezione per cui i cittadini, o certe categorie di
cittadini, sono nemici
da battere,
non persone che hanno doveri, certo, ma anche diritti, persone che se
in difficoltà è interesse di tutti aiutare, non spingere alla
disperazione. Si leggano con attenzione le dichiarazioni di un
Ingroia o di un Grillo, di una Rosy Bindi o di un Vendola e si vedrà
che la loro concezione del rapporto fra stato e cittadini è una
concezione di tipo bellico. Un sindacalista, non ricordo ora quale,
ha affermato negli scorsi giorni che la disoccupazione è un “crimine
contro l'umanità”; Grillo usa continuamente una terminologia
militare (arrendetevi e sarete risparmiati), Vendola e Rosy Bindi
parlano in continuazione di parassiti e speculatori da colpire. Tutti
sono alla costante ricerca di un nemico da battere, non delle misure
per far funzionare quel meccanismo delicato e complesso che è un
sistema economico. Non si tratta però di nuovi Lenin, questo deve
essere chiaro. Manca a queste mezze figure della italica politica il
fanatismo coerente di un Lenin, ma mancano loro anche, diciamolo
pure, le palle
di un Lenin, la capacità di rischiare tutto essendo pronti anche a
pagare di persona, e a prezzo assai caro. Gli italici radicali dei
nostri giorni sono persone sempre presenti nei salotti bene come in
TV, godono di invidiabili redditi, girano il mondo in business class
a spese dei contribuenti. Se il colpo di mano dell'ottobre del '17
fosse fallito Lenin rischiava la pelle, la breve avventura politica
di Ingroia gli è costata un... trasferimento in Valle d'Aosta (è
tanto bella la valle d'Aosta, perché rovinarla?). I radicali
italiani, ed europei, sono rivoluzionari da operetta, o da comiche
finali, molto ma molto meno pericolosi dei Lenin, dei Trotskij o dei
Robespierre che a volte cercano di scimmiottare. Non meritano di
essere odiati, ma neppure meritano il rispetto che è invece, forse,
dovuto ai grandi e tragici campioni del fanatismo.
Sinceramente
pensavo, quanto meno, avevo buone speranze, che la consulta avrebbe
dato ragione, in qualche modo, ai difensori di Berlusconi. Non perché
fossi convinto che i giudici costituzionali avrebbero esaminato con
serena obbiettività i fatti e, tenuto conto della normativa e della
giurisprudenza, avrebbero preso una decisione giuridicamente
ineccepibile. Chi è ancora convinto che 20 anni di inchieste, 33
processi, centinaia di migliaia di intercettazioni, abbiano alle
spalle una imparziale, serena aspirazione alla giustizia è sciocco o
in malafede. Solo, pensavo che i giudici avrebbero fatto una
valutazione politica intelligente. Il quadro è mutato, c'è un
governo di larghe intese che forse è in grado di fare qualcosa di
buono per il paese, nulla sarebbe più deleterio per l'economia che il riacutizzarsi di uno scontro frontale, senza esclusione di colpi
fra centrodestra e centrosinistra. In una situazione simile smorzare i toni,
mettere da parte le polemiche faziose, sarebbe nell'interesse di
tutti, comprese le massime istituzioni del paese. Per questo speravo,
e pensavo, che forse la Consulta avrebbe messo fine ad un processo
farsa che, se si concludesse con la condanna definitiva di
Berlusconi, porterebbe il paese in una situazione di scontro
drammatico. Sbagliavo. Esiste in Italia il partito della guerra
civile. Il partito che non vuole nessuna riforma istituzionale seria,
il partito di chi pensa si possa uscire dalla crisi economia
spremendo ancora di più i contribuenti, che considera la lotta
all'evasione un po' come Lenin considerava a suo tempo la lotta
contro i “kulaki”: uno scontro a morte, letteralmente.
Soprattutto esiste il partito di chi non vuole che si riduca di un grammo il peso politico della
magistratura. La democrazia italiana è e deve continuare ad essere
una democrazia sotto la tutela di giudici e PM. L'Italia deve restare
un paese in cui l'ultimo dei PM può fare intercettare chiunque, o un
qualsiasi giudice può decidere la data delle riunioni del consiglio dei ministri. Simili concezioni non sono solo degli
Ingroia e dei Travaglio, delle Rosi Bindi e dei Flores D'Arcais,
purtroppo, arrivano fino alla Consulta, che del resto, più di una
volta ha emesso in passato sentenze che di fatto erano, e sono, politiche.
Che
succederà ora? Se si arrivasse all'arresto di Berlusconi le
conseguenze sarebbero devastanti. Gli ipocriti possono dire ciò che
vogliono ma è ovvio che nessun può pensare che un partito che raccoglie, o può raccogliere,i consensi di quasi un terzo dei cittadini possa restare inerte mentre una magistratura super politicizzata mette in galera il
suo leader. Coloro che, come Epifani, continuano a ripetere che “le
sentenze non si devono commentare” provino a farsi questa
domandina: cosa sarebbe successo in altri tempi se Togliatti o Berlinguer fossero
stati imprigionati, dopo che un tribunale li avesse condannati per
aver ricevuto fior di finanziamenti da parte di una stato, l'URSS,
che era nostro nemico?
O se un solerte PM avesse cominciato ad
indagare Togliatti per spionaggio, sempre a favore dell'URSS? Avremmo
o non avremmo avuto le piazze piene di “sinceri democratici” in
lotta contro una “provocazione fascista”? Il Pdl non può
accettare di vedersi distruggere da un manipolo di magistrati. Lo stesso governo delle larghe intese cambierebbe natura se il Pdl fosse decapitato dalla magistratura,
cesserebbe di essere un governo di tregua, diventerebbe una trappola per il centro destra e in poco tempo sarebbe, con tutta
probabilità, sostituito da un esecutivo di ben diverso colore. C'è
solo da sperare che in estremis il buon senso prevalga, che la palla passi a qualche magistrato capace di fare seriamente propriolavoro, ce ne sono molti in Italia, per fortuna. Ma non c'è
da essere troppo ottimisti. In un paese come il nostro, dominato dalla faziosità
ideologica, tutto, ma proprio tutto, è possibile.
Detesto
Grillo, da tempi non sospetti. Però mi fanno sorridere le critiche
che oggi gli rivolgono un po' tutti, soprattutto trovo molto, molto
discutibile l'atteggiamento dei “ribelli” del M5S. La senatrice
Gambaro parla di scarsa democrazia nel movimento. Bella scoperta! C'è
da chiedersi: se ne accorge solo ora? Ci voleva la mente di
Aristotele per capire che la “democrazia del web” è una farsa
ridicola? Che per essere democratico un partito deve avere regole,
statuti, procedure formalizzate? Il M5S è una creatura di Beppe
Grillo e manca di quelle strutture che caratterizzano,
nel bene e nel male, i partiti politici “normali”. Esistono un
comitato centrale, una segreteria, un segretario generale del M5S?
NO. Nel M5S esiste il leader (o i DUE leader) e l'assemblea virtuale:
questa sarebbe per i grillini l'essenza stessa della democrazia.
Tutto questo piaceva fino a ieri ai “dissidenti” del movimento,
ha permesso loro, fra le altre cose, di diventare senatori e
deputati, con annessi stipendi e prebende. Ora si accorgono che il
loro movimento è troppo “diverso” dagli altri e se ne lagnano.
Beh, hanno poco da lagnarsi. E' proprio questa “diversità” che
ha permesso loro di arrivare in parlamento.
Quanto alle
critiche “politiche” che molti rivolgono a Grillo possono
tradursi in una sola parola: ISOLAMENTO. Grillo avrebbe dovuto dire
si a Bersani e formare con lui un bel “governo del cambiamento”.
Non dico nulla sulle misure che questo governo avrebbe preso e su
come queste sarebbero state catastrofiche per l'economia, e lesive
delle libertà di tutti. Mi limito a fare una sola considerazione:
chi voleva, e vuole, una qualche forma di alleanza fra Grillo e
Bersani ha capito poco dell'anima del grillismo. Grillo è un
demagogo giustizialista, però rivolge contro TUTTI la sua demagogia
forcaiola. I dissidenti invece si sentono traditi perché il loro
leader ha perso l'occasione storica di rendere, alleandosi con Bersani,
ineleggibile il cavaliere. Come i peggiori ipocriti del PD questi
parvenù della politica vorrebbero cacciare Berlusconi dal parlamento
e tacere, o dire solo poche parole imbarazzate, ad esempio sul caso
Monte Paschi. Splendido! Non so come evolveranno le cose. Certo,
se il M5S dovesse dividersi e i dissidenti fossero abbastanza
numerosi, tutto è possibile, anche che una qualche forma di
“governo del cambiamento” sostituisca il governo Letta. Un simile
ribaltone getterebbe il paese in una crisi terribile, ma cosa volete
che gliene freghi di questo a tipetti come Bersani o Rosy Bindi? O ad
un genio della politica come la senatrice Gambaro?
Ascoltavo
distrattamente un paio di giorni fa alcuni sapientoni che parlavano in
TV. Ad un tratto prende la parola un esperto di energia e, cosa
incredibile, comincia a fare un discorso sensato. Aguzzo le orecchie.
“Fatto pari a 100 il valore di una bolletta energetica” dice, “poco più
della metà di quel 100 copre le spese per le materie prime, petrolio
soprattutto, visto che in Italia non c'è
il nucleare. Del restante 50, 15 coprono i costi della rete
distributiva e 15 sono tasse. Il residuo 20 copre delle generiche spese
generali. Di cosa si tratta? Per la quasi totalità quel 20 va a coprire
contributi statali alla produzione ed al consumo di energie alternative”
Insomma, al 15 di tasse si aggiunge un altro 20 sempre di tasse che
finanziano la produzione di poca energia a costo elevatissimo. Una
simile follia favorisce solo la lobby delle energie alternative, per il
resto, colpisce imprese e famiglie, fa contrarre i consumi e
contribuisce al rallentamento generale dell'economia. Sarebbe
davvero ora di porsi la semplicissima domanda: QUANTO INCIDE
SULL'ECONOMIA LA TASSA IDEOLOGICA? Quanto costano misure, obblighi e
vincoli che non hanno nessuna utilità, anzi, sono spesso molto dannosi proprio per l'ambiente,
ma vengono imposti a famiglie ed imprese in nome di una visione
ideologica del mondo? La notizia è stata diffusa da un giornale
insospettabile come “La repubblica”. Negli ultimi 30 anni non c'è stato
alcun aumento significativo della temperatura globale del pianeta, pare
che l'aumento medio sia nell'ordine del MEZZO GRADO. Eppure tutti
continuano a parlare di “pianeta rovente” e continuano, soprattutto, a
buttar via un sacco di soldi per difenderci da una catastrofe che non
c'è.
Non è
stupefacente che le prime nazioni che hanno abolito la schiavitù, dopo
averne ampiamente approfittato, siano anche le sole ad essere oggetto di
accuse e di richieste di riparazione? In altri termini, il crimine
viene imputato solo a chi se ne è pentito - l'Europa e gli Stati Uniti,
che d'altronde hanno perso un milione dei propri figli nella guerra di
secessione per questa causa - e che
hanno definito il commercio umano una barbarie. (...) Perché
l'occidente e solo l'occidente viene accusato quando il mondo orientale e
quello africano, che non si sono mai pentiti pubblicamente, vengono
esonerati da qualsiasi incriminazione? Perché il primo è ricco e
sensibile alle argomentazioni morali, ed è in nome di queste
argomentazioni che è arrivato, prima in Inghilterra nel 1807, poi in
Danimarca e in Francia, ad arrendersi alle argomentazioni degli
abolizionisti. (...) Ricordiamo che il primo stato arabo mussulmano ad
abolire la schiavitù fu la Tunisia nel 1846, ma la misura divenne
efficace solo con la presenza dei francesi nel 1881. L'impero ottomano
seguirà questa via verso la fine del diciannovesimo secolo. Questo
traffico è stato dichiarato illegale nello Yemen e in Arabia saudita
solo nel 1962 ed in Mauritania nel 1980. Dire oggi che ci sono state tre
tratte, ovvero, quella orientale, che iniziò nel settimo secolo (17
milioni di schiavi secondo le stime), quella africana, che abbinò uso
interno e rete di esportazione (14 milioni di persone) e quella
atlantica che in un lasso di tempo più breve comportò la deportazione di
quasi 11 milioni di uomini donne e bambini, è ancora un tabù. Ogni
storico che si azzardi a fare una simile osservazione rischia di essere
accusato di revisionismo. (...) Aspettiamo che il mondo arabo
mussulmano faccia il suo pubblico mea culpa per il ruolo svolte nella
"caccia alle pelli nere" e si interroghi sul proprio razzismo (in arabo
la parola abid, schiavo, divenne a partire dall'ottavo secolo più o meno
sinonimo di nero). (…) Era dunque perfettamente legittimo
istituire una giornata di commemorazione della schiavitù dato che è
l'umanità intera ad essere macchiata da questa ignominia (…) è
indispensabile insegnare nel modo migliore ciò che era legato a questo
infame traffico. Ma questo insegnamento deve allora restituire il
fenomeno in tutta la sua complessità. (…) Volete onorare la memoria dei
deportati e dei suppliziati di ieri? Continuate la lotta degli
abolizionisti, battetevi per liberare dalle loro catene 12 – 20 milioni
di persone asservite oggi tramite il lavoro forzato e il traffico umano.
Com'è strano il mutismo delle nostre grandi coscienze su questo
soggetto scottante!
Pascal Bruckner: LA TIRANNIA DELLA PENITENZA. Saggio sul masochismo occidentale.
PS. Mentre consiglio a tutti la lettura di questo libro mi permetto di
aggiungere una brevissima considerazione: in alcuni paesi mussulmani la
quasi totalità delle donne vive in condizioni che possono, senza
esagerazione alcuna, definirsi di schiavitù.
In
Israele si stanno svolgendo gli europei di calcio under 21. Tutto
normale, tutto regolare... però, mi viene in mente una domandina
cattivella. Si potrebbero svolgere in Israele i MONDIALI di calcio, o le
OLIMPIADI? Penso di no. E non perché Israele non sia in grado di
organizzare simili eventi o perché non in grado di garantire le
necessarie misure di sicurezza. Non sarebbero queste motivazioni a
rendere impossibile lo svolgersi di eventi simili in Israele. No, il
motivo sarebbe un altro, molto più grave. Se le olimpiadi o i mondiali
di calcio venissero organizzati in Israele molte nazioni diserterebbero
l'evento. Pakistan, Arabia saudita, Iran, Iraq ed altre non ci
sarebbero. Dal punto di vista tecnico sportivo non sarebbe una gran
perdita, ma dal punto di vista della “universalità” della manifestazione
sarebbe un duro colpo. Qui si può toccare con mano l'ipocrisia che
regna nello sport mondiale. Uno stato che fa parte regolarmente di tutte
le organizzazioni sportive internazionali non può organizzare una
grande manifestazione sportiva perché in un caso simile questa sarebbe
disertata da altri stati. I guru dello sport mondiale fanno di continuo
discorsi sullo sport come strumento di comprensione fra i popoli, ed
intanto alcuni stati considerano un altro indegno di organizzare una
qualsiasi manifestazione sportiva che li veda coinvolti. Non sarebbe ora
di ESCLUDERE dalle manifestazioni sportive gli stati che non accettano,
per motivi politici o ideologici, di gareggiare con un qualsiasi stato
membro delle federazioni internazionali?
Qualcuno
si ricorda di Pietro Guerrieri? Era una delle “bestie di Satana”
complice di un paio di omicidi (se ricordo bene). E' stato condannato a
12 ANNI di carcere, ne ha fatti SETTE, ora è in semi libertà, o affidato
ad una comunità. SETTE ANNI: gli stessi richiesti dal PM al processo a
carico di Emilio Fede ed altri per “favoreggiamento della
prostituzione”. Insomma, scavare una fossa
in cui occultare dei cadaveri di ragazzi morti ammazzati è grave quanto
organizzare delle cene con ragazze belle e, FORSE, un po' sportive. Dal
canto suo il cavaliere, solo negli ultimi tre processi, ha cumulato,
fra richieste dei PM e sentenze di primo o secondo grado, qualcosa come
11 ANNI di reclusione. Quindi, avere, EVENTUALMENTE, fatto sesso con
Ruby (e i trans di Marrazzo?), avere, EVENTUALMENTE, evaso il fisco per 4
milioni (e i 30 di Maradona?), essere proprietari di un giornale in cui
viene pubblicato il testo di UNA intercettazione (e le centinaia
pubblicate da “la repubblica?) è grave quanto essere complici in un
duplice omicidio. Molto, molto interessante.
Si parla di
riforme istituzionali ed emergono puntualmente i difensori della
costituzione più bella del mondo. Sono tutti schierati contro il
presidenzialismo. E' loro diritto esserlo, figuriamoci. Però, è
interessante il motivo di tanta opposizione. La elezione diretta del
capo dello stato va rifiutata perché.... perché potrebbe essere eletto
Silvio Berlusconi. Favoloso! Ragionando in questo modo andrebbero
abolite le elezioni! O si dovrebbero organizzare elezioni in cui gli
unici concorrenti siano Vendola e Rosy Bindi, Bersani e Laura Puppato!
Questa si che sarebbe una bella democrazia!
Mentre nella Europa
politicamente corretta si parla per 24 ore al giorno di dialogo, e si
vuole ad ogni costo la Turchia nell'unione, in Turchia sono sempre di
più coloro che si oppongono alla reislamizzazione del paese. Se qualcuno
manifestasse a Parigi o a Roma contro la islamizzazione di Francia ed
Italia sarebbe subito definito “razzista”, e rischierebbe denunce per
"oltraggio alla religione islamica". Per fortuna che ci sono i turchi!