“In Africa c'è un fabbricante di
zanzariere che ne produce circa cinquecento la settimana. Da lavoro a
dieci persone, ognuna delle quali (come in molti paesi africani) deve
mantenere fino a quindici familiari. Per quanto lavorino sodo la loro
produzione non è sufficiente a combattere gli insetti portatori di
malaria.
Entra in scena un divo di Hollywood che fa un gran
chiasso per mobilitare le masse e incitare i governi occidentali a
raccogliere e inviare centomila zanzariere nella regione infestata
dalla malaria al costo di un milione di dollari. Le zanzariere
arrivano e vengono distribuite. Davvero una buona azione.
Col
mercato inondato da zanzariere, però, il nostro fabbricante viene
immediatamente estromesso dal mercato, i suoi dieci operai non
possono più mantenere le centocinquanta persone che dipendono da
loro (…) e, fatto non trascurabile, entro cinque anni al massimo la
maggior parte delle zanzariere importate sarà danneggiata ed
inutilizzabile.”
Si tratta, afferma Dambisa Moyo, nel libro “
la
carità che uccide” (BUR saggi 2011) del “paradosso
micro-macro: un intervento efficace a breve termine può apportare
pochi benefici tangibili di lunga durata; peggio ancora può,
involontariamente, minare ogni fragile possibilità di sviluppo già
esistente”.
Dambisa Moyo, economista di fama mondiale, è
originaria dello Zaire. Nel libro di cui ci stiamo occupando, una
volta tanto, i problemi dall'Africa sono affrontati da una africana,
non da divi del rock, stelle del football, attori ed attrici di
Hollywood. La tesi principale della Moyo è estremamente semplice e
contrasta con tutti i luoghi comuni politicamente corretti che
imperversano in occidente:
gli aiuti ai paesi poveri, e, nello
specifico all'Africa non servono. Non solo non servono,
sono
dannosi. L'esempio del fabbricante di zanzariere è quanto mai
significativo. Una delle peggiori conseguenze degli aiuti è che
bloccano lo sviluppo di una imprenditoria locale, l'unica che
può garantire un decente sviluppo economico. Ben lungi dall'aiutare
i paesi africani ad uscire dalla tragica spirale del sottosviluppo
gli aiuti sono uno dei fattori, forse il principale, che impedisce
che questa spirale sia spezzata.
Gli aiuti possono servire quando
si tratta di interventi limitati, concentrati nel tempo, accompagnati
da precise condizioni, insomma, prestiti da restituire in tempi
determinati. Gli aiuti all'Africa sono però di tipo ben diverso: sono
praticamente a fondo perduto, con debiti che vengono periodicamente
“ridotti” solo perché se ne contraggono di nuovi, di fatto
incondizionati, a tempo indeterminato.
La Moyo parte da un dato
di fatto incontrovertibile: in meno di sessanta anni l'Africa ha
ricevuto aiuti per circa
mille miliardi di dollari, molti di più se si tiene conto della svalutazione, comunque una cifra
non da poco. Eppure non solo questi aiuti non hanno innescato alcun
decollo economico, ma la situazione dell'Africa si è
progressivamente aggravata. Qualche decennio fa molti paesi africani
se la passavano meglio di altri come la Cina o l'India, oggi la
situazione si è invertita e l'Africa vede peggiorare tutti i
principali indicatori economici e sociali. “L'Africa non sta
soltanto tendendo verso il basso” afferma la Moyo, “sta
completamente scollegandosi dai progressi raggiunti nel resto del
mondo”. Una situazione tragica, malgrado gli aiuti. Malgrado? Per
la Moyo
in conseguenza degli aiuti.
Gli aiuti, ben
lungi dal favorire lo sviluppo, favoriscono un incredibile aumento
della corruzione. Non vanno a finanziare, se non in misura
ridottissima, opere pubbliche o investimenti produttivi, finiscono
nelle mani di governi corrotti e tirannici e delle loro fameliche
clientele. In parte le somme erogate a favore dell'Africa non restano
neppure in Africa: finiscono in conti esteri.
Quando in occidente
si pensa che una certa somma sia spesa per costruire un ospedale, in
Africa si sta costruendo un bordello, ricorda provocatoriamente la
Moyo.
Secondo alcune stime, viene ricordato, “risulta che
almeno il 25% dei 525 miliardi di dollari (cioè 130 miliardi)
prestati dalla banca mondiale ai paesi in via di sviluppo sia stato
usato in modo disonesto. Le enormi somme degli aiuti quindi non solo
incoraggiano la corruzione: la generano”. E, ovviamente, la
corruzione è un potentissimo fattore frenante dello sviluppo: è
molto difficile che un investitore straniero rischi i propri capitali
in un pese in cui la corruzione dilaga a tutti i livelli.
La
corruzione indotta dagli aiuti ha conseguenze sociali, oltre che economiche. In particolare blocca lo sviluppo di quel potente fattore di stabilità sociale costituito dal ceto medio. In
Africa esiste un ceto medio, ma è solo marginalmente legato allo
sviluppo delle attività produttive, si tratta per lo più di un
sottile strato di popolazione foraggiato da denaro pubblico, quindi,
in larga misura dagli aiuti. Tutto questo ha ripercussioni negative sulla formazione del capitale umano. Il capitale umano è un
fattore decisivo della crescita economica: si tratta dell'insieme
delle competenze diffuse a livello di società e, soprattutto, del
clima di fiducia che lega i cittadini fra loro ed al loro governo. In
società dipendenti da aiuti esteri, con un ritmo di sviluppo
autonomo estremamente basso ed in balia della corruzione, il capitale
umano non può che deteriorarsi, e questo diventa un nuovo ostacolo
allo sviluppo. Molti governi africani del resto considerano, a
ragione, gli aiuti una sorta di sostitutivo delle entrate fiscali.
Non esistono tasse quindi, ed i governi non si sentono in alcun modo
obbligati a fornire ai propri cittadini alcun servizio pubblico. La
bassa pressione fiscale favorisce lo sviluppo, ricorda la Moyo, ma la
assenza di tassazione crea un clima di reciproca estraneità fra
governi e cittadini e questo è un fatto negativo.
Del resto,
anche quando una parte degli aiuti finisce nelle tasche della gente
comune questo non favorisce se non marginalmente l'economia. In
economie stagnanti e tecnologicamente arretrate l'aumento della
domanda si traduce non in un incentivo alla produzione ma in un
incremento dell'inflazione. Allo stesso modo, le iniezioni di
liquidità derivanti dagli aiuti determinano spesso pressioni sul
cambio della moneta (i dollari devono essere convertiti in valuta
locale), questa si rivaluta con conseguenze negative sulle
esportazioni, cosa grave in paesi che vivono spesso di
esportazioni.
Infine, ma non certo di scarsa importanza, gli aiuti
favoriscono il clima di perenne guerra che opprime larga parte del
continente africano. I vari capi e capetti militari cercano
affannosamente di conquistare il potere statale perché lì sta il
principale rubinetto del denaro. Le somme messe in circolazione dagli
aiuti vengono spesso spese in armi e servono per fidelizzare la
soldataglia intorno a piccoli, e spietati, signori della guerra.
In occidente sono in molti a rendersi conto che gli aiuti
prendono direzioni ben diverse da quelle volute, e c'è chi teorizza
che si dovrebbe controllare come gli aiuti vengono utilizzati; però,
pensare che da un comodo ufficio di New York si possa “controllare”
come vengono spesi un bel po' di dollari nell'Africa sub sahariana è
semplicemente ridicolo. L'unico “controllo “ possibile sarebbe
legare la prosecuzione degli aiuti al raggiungimento di chiari,
controllabili, livelli di sviluppo, ma questo significherebbe di
fatto la fine degli aiuti. Gli aiuti non favoriscono la crescita,
anzi, la ostacolano e questo crea una domanda supplementare di aiuti.
Questa è la tragica spirale in cui si dibatte l'Africa.
Può
essere spezzata questa spirale? A questa domanda cerca di dare
risposta la parte propositiva del libro di Dambisa Moyo.
L'Africa
ha bisogno di fondi, ma questi possono essere reperiti, meglio che
dagli aiuti, sul mercato obbligazionario internazionale. Perché
emettere obbligazioni è meglio che ricevere aiuti? Si tratta
comunque di somme prese a prestito, e le emissioni di obbligazioni
hanno un costo maggiore. Però, se un paese emette obbligazioni sa
che deve rimborsare il prestito alla scadenza, se non lo fa non
troverà tanto facilmente altri sottoscrittori, inoltre per piazzare
le proprie obbligazioni c'è bisogno di un rating, buono
possibilmente. Tutto questo invoglia, si potrebbe dire
obbliga,
i governi ad utilizzare in maniera molto oculata i soldi avuti in
prestito. Questi devono servire ad attività economiche produttive,
non essere sperperati in spese futili, depositati in conti esteri o
usati per finanziare clientele fameliche.
Si possono fare
considerazioni simili per gli investimenti internazionali. L'Africa,
afferma Dambisa Moyo, può rappresentare una ottima occasione per
investitori in cerca di nuove occasioni di profitto, a condizione che
si doti di istituzioni adeguate, riduca il peso di una burocrazia
inefficiente e si emancipi, almeno in parte, dalla situazione di
dilagante corruzione in cui si dibatte attualmente. Lo stesso vale
per il commercio. Le materie prime di cui l'Africa abbonda fanno gola
a molti ed è possibile ricavarne i fondi indispensabili per lo
sviluppo. Sono in molti a voler commerciare con l'Africa, Cina in
testa, basta creare una situazione istituzionale idonea, e dal
commercio possono venire proventi assai più cospicui che non dagli
aiuti. Quello che occorre all'Africa, afferma la Moyo, non sono
stuoli di giovanotti pronti a partecipare a collette umanitarie.
Servono investitori, commercianti, sottoscrittori di obbligazioni.
Gente che vuole lavorare in Africa e con l'Africa e che esige che la
sua attività sia adeguatamente remunerata. Un investitore cinese che
costruisce una strada assume operai africani, immette liquidità nel
sistema, sveltisce le comunicazioni, quindi rende più facili, o meno
difficili, ulteriori iniziative economiche. Questo investitore, che
mira, ovviamente, al profitto, fa per gli africani molto più di
quanto non facciano tanti “generosi” sottoscrittori di aiuti a
fondo perduto.
Dambisa Moyo dedica molte pagine assai
interessanti al microcredito. Di cosa si tratta? Di prestiti di
modesta entità concessi a piccoli o piccolissimi aspiranti
imprenditori. Il guaio di chi chiede soldi a prestito in Africa
consiste nel fatto che non è in grado di prestare garanzie. Una
banca specializzata in microcredito cosa fa? Seleziona un gruppo di
aspiranti lavoratori in proprio, ad esempio, donne che hanno bisogno
di una macchina da cucire per lavori di piccola sartoria. Il prestito
viene prima concesso ad A, quando A lo rende viene concesso a B e
così via. Se Invece A non restituisce, B non avrà accesso al
credito. In questo modo, malgrado le aspiranti sarte non siano
obbligate in solido, si crea fra loro un interesse comune alla
restituzione. Se per caso A non riesce a far fronte ai suoi impegni
B, C, D intervengono per darle una mano. Questa solidarietà di
gruppo diventa un ottimo sostituto delle garanzie: in effetti le
percentuali di insolvenza nel microcredito, in America latina ad
esempio, sono insolitamente molto basse. “Ricordate il fabbricante
di zanzariere che, a causa degli aiuti, ora è estromesso dal
mercato?” si chiede la Moyo, “quanto sarebbe potuto invece andare
meglio se anche solo la metà del milione di dollari in donazioni
fosse stata investita col microcredito?” La domanda è
retorica.
L'occidente fa molte elemosine all'Africa, afferma
la Moyo, ma non fa ciò che invece occorrerebbe davvero a questo
continente in preda ad un sottosviluppo endemico: ridurre
drasticamente i dazi protettivi che penalizzano le esportazioni
africane di prodotti agricoli. “Se l'occidente vuole fare della
morale sul mancato sviluppo dell'Africa, la questione da affrontare è
il commercio, non gli aiuti”. Sia gli Stati Uniti che l'Unione
europea spendono somme ingentissime in sussidi alle proprie
agricolture e questo impedisce agli africani un accesso paritario ai
mercati, di fatto li strangola. “Nell'Unione europea ogni bovino
riceve sussidi per 2,5 dollari al giorno, un dollaro di più di
quanto un miliardo di individui, molti dei quali africani, hanno ogni
giorno per vivere (…) questi sussidi hanno un doppio impatto: i
coltivatori occidentali vendono i propri prodotti in patria, ad un
consumatore prigioniero, a prezzi superiori a quello di mercato, e
possono permettersi di vendere sottocosto all'estero (…). I
coltivatori africani non possono assolutamente competere con i
milioni di tonnellate esportazioni sovvenzionate a prezzi tanto
bassi”. Altro che “liberismo” che affama l'Africa! è il
protezionismo statalista che contribuisce ad affamarla, e crea
inoltre, è bene ricordarlo, numerosi problemi negli stessi paese
avanzati.
Il libro della Moyo ha fatto molto discutere,
soprattutto è stata al centro di molte polemiche la sua affermazione
che la democrazia non sempre favorisce lo sviluppo economico. In
paesi poverissimi la lotta alla povertà ha la precedenza sulla
stessa democrazia. Certo, la democrazia liberale è il sistema che
più di ogni altro favorisce la crescita dell'economia, questo
Dambisa lo riconosce senza esitazioni, ma in situazioni come quelle
africane può non avere effetti positivi. Più che della democrazia
molti paesi dell'Africa avrebbero bisogno di “un dittatore benevolo
e risoluto che introduca le riforme indispensabili a mettere in moto
l'economia”. Si tratta di una tesi assai discutibile, del resto è
la stessa Moyo a ricordare che “disgraziatamente, troppo spesso, le
dittature sono tutt'altro che benevole”, ed inoltre, non è affatto
detto che, una volta avviato lo sviluppo il “dittatore benevolo”
si faccia da parte. Tuttavia è una tesi che, almeno in parte coglie
il bersaglio, prova ne siano i fallimenti dei maldestri tentativi
occidentali di imporre la democrazia in paesi del tutto privi di
tradizioni democratiche. E prova ne sia, purtroppo, anche il chiaro
fallimento delle varie “primavere arabe”.
L'Africa si è
armai assuefatta agli aiuti, è un continente dipendente, drogato
dalla “bontà” di cui è fatto oggetto. E si è assuefatto agli
aiuti anche l'occidente, dove è sorta una autentica industria della
solidarietà che da lavoro e redditi a decine di migliaia di persone.
“I donatori occidentali hanno un'industria degli aiuti da
alimentare, agricoltori da placare (vulnerabili quando le barriere
del commercio vengono rimosse), elettori liberal con intenzioni
“altruistiche” da tenere a bada, e, dovendo affrontare le proprie
difficoltà, economiche, assai poco tempo per preoccuparsi della
morte dell'Africa”. Gli aiuti insomma sono una droga non solo per
l'Africa, lo sono, in maniera radicalmente diversa, è ovvio, per lo
stesso occidente. Però, è necessario abbandonare gradualmente questa droga, è
necessario anche se per gli africani può essere, all'inizio, doloroso. Continuare con la politica
degli aiuti non serve a nulla, anzi, aggrava tutti i problemi.
Ciò
che la Moyo vorrebbe è un'Africa capace di sviluppo, come sono stati
capaci di sviluppo la Cina e l'India, il sud Corea ed il Brasile. Non
piace alla economista originaria dello Zaire la prospettiva di
un'Africa eternamente dipendente dalla “bontà” degli occidentali
politicamente corretti, fatta oggetto di continuo di concerti di
solidarietà, collette di solidarietà, campagne mediatiche di
solidarietà. Dietro a tanta “bontà” si cela una sorta di nuovo,
strisciante razzismo. “Il problema”, afferma la Moyo in un passo
assai significativo ӏ se considerare gli africani come bambini,
incapaci di progredire autonomamente e di crescere senza che venga
mostrato loro in che modo o senza esservi costretti; oppure trattarli
come adulti e offrir loro la possibilità di tentare uno sviluppo
economico duraturo. L'inconveniente del modello di dipendenza dagli
aiuti è proprio che l'Africa viene sostanzialmente tenuta in un
perpetuo stato infantile”.
“
La carità che uccide”
è un autentico pugno nello stomaco, una provocazione contro chi ha
fatto della “bontà” la scusa per non pensare, non affrontare i
problemi, non vedere la realtà. Le sue tesi possono certo essere
discusse ma non rimosse con una sprezzante alzata di spalle, cosa in
cui eccellono gli “intellettuali” del politicamente corretto.
Scritto in uno stile piano ma coinvolgente, anche se non
particolarmente brillante, con tecnicismi ridotti al minimo, questo
libro offre un quadro dell'Africa e dei suoi problemi di cui non è
possibile non tener conto. Non a caso è subito diventato un best
seller mondiale. Fa piacere imbattersi in un libro simile sfogliano
in libreria i tanti testi sul sottosviluppo trasudanti idiozie e
banalità. Insomma, un libro da leggere, assolutamente.