Passeggio su una spiaggia deserta. Ad un tratto vedo qualcosa, in lontananza. Affretto il passo, mi avvicino, e sono colto dal raccapriccio. Sul bagnasciuga giace il corpo inanimato di un bambino, le onde lo lambiscono e ogni tanto lo scuotono. Cosa faccio, e cosa fa chiunque sia un essere umano e non una bestia? Cerco di soccorrerlo. Lo allontano dall'acqua, lo metto supino, gli pratico la respirazione bocca a bocca, chiamo il pronto soccorso, cerco l'aiuto di persone più esperte di me che forse sono in grado di fare qualcosa. Di certo fotografarlo è l'ultimo dei miei pensieri.
Cosa ha fatto invece la giornalista Nilufer Demir, dell'agenzia di stampa turca Dogan? Ecco le sue parole: “Appena ho visto il bimbo di 3 anni, Aylan Kurdu, mi si è gelato il sangue. Non c'era nulla che potessi fare per lui. L'unica cosa che potevo fare era far sentire l'urlo del suo corpo che giaceva a terra, e così ho fatto”. La umanitaria giornalista ha subito stabilito che non poteva fare nulla per il bambino se non fotografarlo, per “far sentire al mondo l'urlo del suo corpo”. Non cerca di rianimarlo, non lo toglie dall'acqua, pensa solo all'impatto mediatico che possono avere le foto del piccolo corpo; l'esigenza politica di “scuotere le coscienze” prevale su tutto, da subito.
Mi chiedo, come faceva la solerte giornalista a stabilire, solo guardandolo, che il bambino era morto e che non poteva essere rianimato? Gli ha tastato il polso, ha cercato di stabilire se il cuore batteva ancora? Sono cose minime queste, cose che chiunque cerca di fare, chiunque, tranne gli occidentali umanitari trasudanti bontà.
Ma, ammettiamo che il racconto della giornalista sia inesatto, che Nilufer Demir abbia cercato in qualche modo di soccorrere il piccolo. In questo caso sorge spontanea una domanda, cosa ha fatto la giornalista dopo aver cercato invano di rianimarlo? Ha rimesso in acqua il corpo del piccolo per fotografarlo? Vedo il corpo inanimato di un bambino, lo tolgo dall'acqua, cerco di rianimarlo, non ci riesco, allora lo rimetto in acqua e lo fotografo? Questo è avvenuto su quella maledetta spiaggia?
Comunque si rigirino le cose una conclusione è d'obbligo. Nella vicenda del piccolo siriano l'esigenza mediatica ha avuto la prevalenza assoluta su tutto il resto. L'importante non era la vita del bambino ma l'impatto propagandistico della sua morte, in perfetto stile goebbelsiano. E la cosa non riguarda solo la giornalista che ha fotografato il piccolo. Il TG di Sky ha fatto un sondaggio ponendo ai telespettatori la interessante domanda: “pensate che la foto del bimbo siriano scuoterà le coscienze?”. Renzi, in occasione di una pubblica manifestazione ha esposto la foto del piccolo, vivo per fortuna, con tanto di orsacchiotto, ed ha definito “bestie” coloro che non accettano la politica delle porte aperte ai clandestini. Nessuno è tanto privo di umanità quanto gli “umanitari” politicamente corretti.
Grazie per questo post.
RispondiEliminaHo pensato la stessa cosa, molti anni fa, nel vedere una sequenza fotografica, mi pare di Robert Capa (dico, Robert Capa!). Bianco e nero. Interno di un appartamento. Un soldato steso a terra, vicno ad un terrazzo, centrato da un cecchino. Le quattro foto sono identiche, tranne che per un particolare: la chiazza di sangue sotto il soldato, sempre più grande. Cazzo, ho pensato, ma i morti non sanguinano! Quello ti agonizza a un metro di distanza, e tu pensi a fotografarlo?
RispondiEliminaL'ho pure trovata: vista molti anni fa, ma mi era rimasta impressa moltoo bene. Qui c'è solo una foto, ma giuro che fa parte di una sequenza, e le foto devono essere distanziate, una dall'altra, almeno un minuto.
Eliminahttp://www.gdemilia.com/main/wp-content/uploads/2013/11/12-RC-Soldier-killed-by-German-snipers_3117_1992.jpg
I giornalisti sono un branco di avvoltoi.
RispondiEliminaI giornalisti sono un branco di avvoltoi.
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