L'uomo è solo individuo? O è solo un
universale astratto? Esiste solo Tizio, quel certo uomo,
unico, isolato, una sorta di monade senza finestre sul mondo? O
esiste solo l'uomo in generale, la idea dell'uomo platonica o
la aristotelica “forma sostanziale” umana?
C'è da chiederselo leggendo certi commenti agli ormai notissimi, malgrado i tentativi di censura, fatti di Colonia. Da un lato c'è chi dice che si tratta solo di una somma di fatti individuali, che riguardano solo chi li ha commessi. Dall'altro ci sono gli svolazzi di chi parla della natura umana in generale, meglio della natura di quella metà dell'umanità che è formata da chi è di sesso maschile. Tutto è individuale, quindi, oppure tutto è universale. Cosa manca in questi quadretti? Semplice, manca il particolare. Manca ogni riferimento al quadro sociale, alla cultura, alla civiltà. Da un lato la natura umana, dall'altro Tizio, Caio e Sempronio, in mezzo nulla.
Eppure proprio la sinistra ha fatto a suo tempo del particolare la chiave che apre ogni porta. L'uomo in generale non esiste, hanno ripetuto sino alla noia i cultori del materialismo storico, si tratta di una cattiva astrazione. Ed astrazione ancora peggiore è quella dell'individuo, del singolo considerato a prescindere dal gruppo sociale di appartenenza. L'uomo va considerato sempre e solo quale membro di un collettivo, di un gruppo sociale. Non esistono individui o uomini astrattamente intesi, esistono borghesi e proletari, signori feudali e servi della gleba; il quadro sociale determina il modo di pensare ed agire degli esseri umani, per intero, senza residui . Quando erano marxisti gli uomini di sinistra ripetevano fino alla noia simili concetti. Ora li hanno non corretti, rivisti o esplicitamente abbandonati. Semplicemente rimossi. O almeno, li rimuovono quando c'è di mezzo una certa cultura, una certa civiltà, l'oggetto del nuovo loro amore: l'Islam.
In realtà l'uomo non è solo individualità, universalità o particolarità. Parafrasando Aristotele possiamo dire che l'uomo è sinolo di i individualità, particolarità ed universalità. Tizio è un individuo, è quel certo uomo, diverso da tutti gli altri e si sviluppa come individuo nell'ambiente socio economico e culturale di cui è membro. Ma può avere un tale sviluppo perché è genericamente essere umano, partecipe di una natura umana che lo rende in qualche modo simile a tutti gli altri uomini.
Chi riduce l'uomo al gruppo sociale di appartenenza dimentica l'elementare verità che la capacità di relazionarsi socialmente è parte della natura umana. I gruppi sociali esistono perché esistono esseri umani ed individui capaci di reciproche relazioni, non viceversa. I lombrichi non creano gruppi sociali, e le società animali sono radicalmente diverse da quelle umane. D'altra parte chi sottovaluta il momento della particolarità non tiene conto del fatto che qualsiasi individuo appartiene sempre ad un gruppo sociale e culturale e che molto nel suo comportamento è influenzato da questa appartenenza. Certo, non esistono catene socio culturali che rendano impossibile ad un individuo abbandonare idee, usi e costumi, abitudini, ereditate dal gruppo di appartenenza, ma il fatto stesso che si possano abbandonare, e con difficoltà, queste idee, abitudini, usi e costumi ereditati dimostra insieme la loro esistenza e la loro importanza. Chi è nato e vissuto in una società schiavista può interrogarsi sulla liceità dello schiavismo e contestare le idee di chi invece considera del tutto “naturale” questa istituzione, ma questo dimostra solo che l'uomo non è un prodotto automatico dell'ambiente sociale e culturale non che questo non esista o non conti.
Proprio questo fanno invece gli esponenti della sinistra italiana, e non solo, ogni volta che che i nostri fratelli islamici ne combinano qualcuna delle loro, cioè, quasi tutti i giorni, ormai.
“Bisogna arrestare i colpevoli” strillano. “Non generalizziamo”, aggiungono. “Non si tratta di islamici ma di criminali” concludono con piglio severo. La giusta, sacrosanta, esigenza di punire i colpevoli, i singoli colpevoli, di attentati e massacri viene usata per far passare in secondo o terzo piano il problema del rapporto politico con una cultura che produce di continuo il terrore. Un po' come se i crimini di Stalin avessero riguardato solo Ivan, Fedor ed Igor e lo sterminio degli ebrei potesse essere considerato, prima che la caratteristica criminale di un movimento politico, un crimine da perseguire solo giudiziariamente.
Poi arrivano i dotti filosofi e completano l'opera. “La violenza è connaturata all'uomo” affermano con aria triste. “Il maschilismo esiste ovunque”, aggiungono quasi singhiozzando. E la civiltà, la cultura, il famoso “quadro socio economico” su cui i politici di sinistra hanno scritto centinaia di pagine, facendo scorrere autentici fiumi di inchiostro? Scomparso, volatilizzato! Culture, civiltà, classi sociali, ambiente socio economico non esistono più, si sono dissolte in un batter d'occhio.
Qualche ingenuo forse potrebbe gioire di tutto questo. I marxisti sono diventati liberali potrebbe pensare, hanno riscoperto l'uomo e l'individuo! Ma, chi la pensasse in questo modo sarebbe uno stupido prima che un ingenuo, uno stupido che non ha capito assolutamente nulla del liberalismo.
Il liberalismo è universalista e pone al centro dei suoi interessi l'individuo ma non sottovaluta il ruolo della società né delle culture.
Qualcosa ha valore universale non perché nasca e si sviluppi al di fuori di un certo contesto culturale ma perché, pur facendone parte, lo travalica. Lo stesso universalismo liberale e democratico è il prodotto storico di una certa civiltà. Le filosofie di Aristotele e Confucio, la musica di Beethoven, la pittura di Raffaello e Leonardo, la scienza di Newton, la prosa di Dostoevskij nascono tutte in precisi contesti culturali, ma hanno un valore che va ben al di la di questi. Tutti questi prodotti della umana creatività non sono qualcosa di disincarnato, vuote astrazioni prive di riferimenti storici e culturali. Sono, nel contempo, qualcosa di individuale, particolare ed universale. Prodotti di certi individui, inseriti in certe civiltà che vanno oltre i loro confini e riguardano tutti gli esseri umani, per il solo fatto che sono esseri umani.
E ciò che vale in positivo vale, a maggior ragione, in negativo. Si considerano universali valori che molti non accettano e si considerano degni di universale esecrazione disvalori in cui molti al contrario si riconoscono. In questo non c'è nulla di paradossale a meno di non voler considerare un paradosso il mancato adeguamento della realtà al valore. L'universalismo liberale e democratico ritiene che ogni essere umano, quale che sia il suo gruppo sociale, la sua nazionalità o la sua cultura, sia meritevole di rispetto, ma non illude nessuno sulla reale portata della adesione a tale principio. Per l'universalista liberale tutti, e tutte, possono essere interessati alla libertà personale, alla partecipazione democratica alla vita pubblica, alla parità di diritti e doveri fra i sessi, ma questo non esclude che in importanti zone del mondo questi valori siano rifiutati. Credere nella portata universale di certi valori, non equivale a tapparsi gli occhi per non vedere che intere civiltà li rifiutano.
C'è da chiederselo leggendo certi commenti agli ormai notissimi, malgrado i tentativi di censura, fatti di Colonia. Da un lato c'è chi dice che si tratta solo di una somma di fatti individuali, che riguardano solo chi li ha commessi. Dall'altro ci sono gli svolazzi di chi parla della natura umana in generale, meglio della natura di quella metà dell'umanità che è formata da chi è di sesso maschile. Tutto è individuale, quindi, oppure tutto è universale. Cosa manca in questi quadretti? Semplice, manca il particolare. Manca ogni riferimento al quadro sociale, alla cultura, alla civiltà. Da un lato la natura umana, dall'altro Tizio, Caio e Sempronio, in mezzo nulla.
Eppure proprio la sinistra ha fatto a suo tempo del particolare la chiave che apre ogni porta. L'uomo in generale non esiste, hanno ripetuto sino alla noia i cultori del materialismo storico, si tratta di una cattiva astrazione. Ed astrazione ancora peggiore è quella dell'individuo, del singolo considerato a prescindere dal gruppo sociale di appartenenza. L'uomo va considerato sempre e solo quale membro di un collettivo, di un gruppo sociale. Non esistono individui o uomini astrattamente intesi, esistono borghesi e proletari, signori feudali e servi della gleba; il quadro sociale determina il modo di pensare ed agire degli esseri umani, per intero, senza residui . Quando erano marxisti gli uomini di sinistra ripetevano fino alla noia simili concetti. Ora li hanno non corretti, rivisti o esplicitamente abbandonati. Semplicemente rimossi. O almeno, li rimuovono quando c'è di mezzo una certa cultura, una certa civiltà, l'oggetto del nuovo loro amore: l'Islam.
In realtà l'uomo non è solo individualità, universalità o particolarità. Parafrasando Aristotele possiamo dire che l'uomo è sinolo di i individualità, particolarità ed universalità. Tizio è un individuo, è quel certo uomo, diverso da tutti gli altri e si sviluppa come individuo nell'ambiente socio economico e culturale di cui è membro. Ma può avere un tale sviluppo perché è genericamente essere umano, partecipe di una natura umana che lo rende in qualche modo simile a tutti gli altri uomini.
Chi riduce l'uomo al gruppo sociale di appartenenza dimentica l'elementare verità che la capacità di relazionarsi socialmente è parte della natura umana. I gruppi sociali esistono perché esistono esseri umani ed individui capaci di reciproche relazioni, non viceversa. I lombrichi non creano gruppi sociali, e le società animali sono radicalmente diverse da quelle umane. D'altra parte chi sottovaluta il momento della particolarità non tiene conto del fatto che qualsiasi individuo appartiene sempre ad un gruppo sociale e culturale e che molto nel suo comportamento è influenzato da questa appartenenza. Certo, non esistono catene socio culturali che rendano impossibile ad un individuo abbandonare idee, usi e costumi, abitudini, ereditate dal gruppo di appartenenza, ma il fatto stesso che si possano abbandonare, e con difficoltà, queste idee, abitudini, usi e costumi ereditati dimostra insieme la loro esistenza e la loro importanza. Chi è nato e vissuto in una società schiavista può interrogarsi sulla liceità dello schiavismo e contestare le idee di chi invece considera del tutto “naturale” questa istituzione, ma questo dimostra solo che l'uomo non è un prodotto automatico dell'ambiente sociale e culturale non che questo non esista o non conti.
Proprio questo fanno invece gli esponenti della sinistra italiana, e non solo, ogni volta che che i nostri fratelli islamici ne combinano qualcuna delle loro, cioè, quasi tutti i giorni, ormai.
“Bisogna arrestare i colpevoli” strillano. “Non generalizziamo”, aggiungono. “Non si tratta di islamici ma di criminali” concludono con piglio severo. La giusta, sacrosanta, esigenza di punire i colpevoli, i singoli colpevoli, di attentati e massacri viene usata per far passare in secondo o terzo piano il problema del rapporto politico con una cultura che produce di continuo il terrore. Un po' come se i crimini di Stalin avessero riguardato solo Ivan, Fedor ed Igor e lo sterminio degli ebrei potesse essere considerato, prima che la caratteristica criminale di un movimento politico, un crimine da perseguire solo giudiziariamente.
Poi arrivano i dotti filosofi e completano l'opera. “La violenza è connaturata all'uomo” affermano con aria triste. “Il maschilismo esiste ovunque”, aggiungono quasi singhiozzando. E la civiltà, la cultura, il famoso “quadro socio economico” su cui i politici di sinistra hanno scritto centinaia di pagine, facendo scorrere autentici fiumi di inchiostro? Scomparso, volatilizzato! Culture, civiltà, classi sociali, ambiente socio economico non esistono più, si sono dissolte in un batter d'occhio.
Qualche ingenuo forse potrebbe gioire di tutto questo. I marxisti sono diventati liberali potrebbe pensare, hanno riscoperto l'uomo e l'individuo! Ma, chi la pensasse in questo modo sarebbe uno stupido prima che un ingenuo, uno stupido che non ha capito assolutamente nulla del liberalismo.
Il liberalismo è universalista e pone al centro dei suoi interessi l'individuo ma non sottovaluta il ruolo della società né delle culture.
Qualcosa ha valore universale non perché nasca e si sviluppi al di fuori di un certo contesto culturale ma perché, pur facendone parte, lo travalica. Lo stesso universalismo liberale e democratico è il prodotto storico di una certa civiltà. Le filosofie di Aristotele e Confucio, la musica di Beethoven, la pittura di Raffaello e Leonardo, la scienza di Newton, la prosa di Dostoevskij nascono tutte in precisi contesti culturali, ma hanno un valore che va ben al di la di questi. Tutti questi prodotti della umana creatività non sono qualcosa di disincarnato, vuote astrazioni prive di riferimenti storici e culturali. Sono, nel contempo, qualcosa di individuale, particolare ed universale. Prodotti di certi individui, inseriti in certe civiltà che vanno oltre i loro confini e riguardano tutti gli esseri umani, per il solo fatto che sono esseri umani.
E ciò che vale in positivo vale, a maggior ragione, in negativo. Si considerano universali valori che molti non accettano e si considerano degni di universale esecrazione disvalori in cui molti al contrario si riconoscono. In questo non c'è nulla di paradossale a meno di non voler considerare un paradosso il mancato adeguamento della realtà al valore. L'universalismo liberale e democratico ritiene che ogni essere umano, quale che sia il suo gruppo sociale, la sua nazionalità o la sua cultura, sia meritevole di rispetto, ma non illude nessuno sulla reale portata della adesione a tale principio. Per l'universalista liberale tutti, e tutte, possono essere interessati alla libertà personale, alla partecipazione democratica alla vita pubblica, alla parità di diritti e doveri fra i sessi, ma questo non esclude che in importanti zone del mondo questi valori siano rifiutati. Credere nella portata universale di certi valori, non equivale a tapparsi gli occhi per non vedere che intere civiltà li rifiutano.
I
democratici liberali non hanno mai creduto che il nazismo o il
comunismo fossero una somma di crimini individuali o la generica
manifestazione della “umana cattiveria”. Si trattava di movimenti
politici che erano la negazione dell'universalismo liberale e
democratico e come tali andavano affrontati e combattuti, a tutti i
livelli.
Considerazioni analoghe si possono fare
per l'Islam fondamentalista di oggi. Il fondamentalismo islamico non
è una serie di abominevoli crimini individuali o di gruppo, né la
generica manifestazione della malvagità umana. E' una ideologia
religioso politica con le sue caratteristiche sociali, la sua storia,
i suoi contesti. Si tratta di un insieme articolato di idee, usi e
costumi, modi di vedere il mondo, l'uomo ed i rapporti fra gli esseri
umani. Ridurlo a mero fatto criminale, o follia, o a generica “umana
malvagità” significa non capirlo, quindi non poterlo combattere. E
questo vale, è bene sottolinearlo, indipendentemente da qualsiasi
cosa si pensi sulle strategie, i mezzi specifici, concreti, con cui
lo si può e lo si deve combattere. Chi sottovaluta la portata
culturale di un fenomeno come il fondamentalismo islamico non è un
liberale che pone al centro di tutto l'individuo genericamente umano,
è, nella migliore delle ipotesi, un cretino che non capisce né il
liberalismo né, cosa ancora più grave, l'Islam. Nella peggiore un
furbetto disonesto che bara.
Furbetto disonesto che bara. Il sospetto è fondato, bisogna ammetterlo. Si, perché i famosi contesti, che scompaiono quando ci sono di mezzo gli attentati dei terroristi islamici, ricompaiono quando si tratta di garantire, sempre agli islamici, determinati diritti.
In occidente, è notorio, il contratto sociale è scritto in forma individualistica. Lo stato riconosce a tutti certi diritti ed impone a tutti certi doveri, indipendentemente dalla classe sociale, dal credo religioso, dalla militanza politica. Si riconoscono anche certi diritti di gruppo, ma questi affondano le loro radici nei diritti delle persone, delle singole persone, e non possono comunque contrastare con tali diritti. Lo stato ad esempio riconosce la libertà di culto, ma così facendo tutela e garantisce il diritto di ogni singolo alla libertà religiosa e non garantisce comunque quelle pratiche che siano, o possano essere, contrastanti coi diritti delle persone: se un certo culto prescrivesse, ad esempio, sacrifici umani questi non sarebbero consentiti, almeno, si spera.
Con l'Islam però le cose spesso cambiano. Vengono riconosciuti, quanto meno di fatto, agli islamici diritti che appaiono in contrasto coi fondamentali diritti individuali. Di fatto la poligamia è ammessa oggi in occidente, per chi viene dai paesi islamici e l'infibulazione, per quanto formalmente proibita, è di fatto tollerata. Intere zone delle città occidentali sono in realtà sottratte alla legislazione ufficiale ed affidate alla sharia. Al di la degli esempi concreti, l'occidente assomiglia sempre più ad una sorta di mosaico: certe aree sono ancora, formalmente occidentali ed in queste valgono le nostre leggi, altre sono di fatto stati negli stati in cui le nostre leggi cessano di valere. La società perde il suo cemento unificante e si trasforma in una accozzaglia di gruppi non tenuti insieme da nulla. E quello che vale per aree geografiche vale ancora di più in aree, diciamo così, sociali. Nei supermercati inglesi gli addetti alle casse musulmani si rifiutano di battere il prezzo di salumi ed alcoolici. Nei posti di lavoro un impiegato musulmano spesso e volentieri si rifiuta di obbedire ad un suo superiore se questo è donna, quanto accade sui treni riguarda la cronaca nera prima che il costume. Tutte queste belle cose trovano spesso qualche giustificazione da parte degli occidentali “buoni” e la trovano sempre con lo stesso argomento: bisogna rispettare la loro cultura. La cultura, la loro cultura, scomparsa dopo attentati e massacri, torna in campo quando si tratta di riconoscere a chi è venuto, non invitato, a casa nostra, diritti di gruppo che contrastano con valori che consideriamo universali e comunque con la nostra cultura, le nostre leggi, in nostri usi e costumi.
Si, il presunto neo liberale di sinistra è un baro, non un cretino, o forse è tutte e due le cose insieme.
Furbetto disonesto che bara. Il sospetto è fondato, bisogna ammetterlo. Si, perché i famosi contesti, che scompaiono quando ci sono di mezzo gli attentati dei terroristi islamici, ricompaiono quando si tratta di garantire, sempre agli islamici, determinati diritti.
In occidente, è notorio, il contratto sociale è scritto in forma individualistica. Lo stato riconosce a tutti certi diritti ed impone a tutti certi doveri, indipendentemente dalla classe sociale, dal credo religioso, dalla militanza politica. Si riconoscono anche certi diritti di gruppo, ma questi affondano le loro radici nei diritti delle persone, delle singole persone, e non possono comunque contrastare con tali diritti. Lo stato ad esempio riconosce la libertà di culto, ma così facendo tutela e garantisce il diritto di ogni singolo alla libertà religiosa e non garantisce comunque quelle pratiche che siano, o possano essere, contrastanti coi diritti delle persone: se un certo culto prescrivesse, ad esempio, sacrifici umani questi non sarebbero consentiti, almeno, si spera.
Con l'Islam però le cose spesso cambiano. Vengono riconosciuti, quanto meno di fatto, agli islamici diritti che appaiono in contrasto coi fondamentali diritti individuali. Di fatto la poligamia è ammessa oggi in occidente, per chi viene dai paesi islamici e l'infibulazione, per quanto formalmente proibita, è di fatto tollerata. Intere zone delle città occidentali sono in realtà sottratte alla legislazione ufficiale ed affidate alla sharia. Al di la degli esempi concreti, l'occidente assomiglia sempre più ad una sorta di mosaico: certe aree sono ancora, formalmente occidentali ed in queste valgono le nostre leggi, altre sono di fatto stati negli stati in cui le nostre leggi cessano di valere. La società perde il suo cemento unificante e si trasforma in una accozzaglia di gruppi non tenuti insieme da nulla. E quello che vale per aree geografiche vale ancora di più in aree, diciamo così, sociali. Nei supermercati inglesi gli addetti alle casse musulmani si rifiutano di battere il prezzo di salumi ed alcoolici. Nei posti di lavoro un impiegato musulmano spesso e volentieri si rifiuta di obbedire ad un suo superiore se questo è donna, quanto accade sui treni riguarda la cronaca nera prima che il costume. Tutte queste belle cose trovano spesso qualche giustificazione da parte degli occidentali “buoni” e la trovano sempre con lo stesso argomento: bisogna rispettare la loro cultura. La cultura, la loro cultura, scomparsa dopo attentati e massacri, torna in campo quando si tratta di riconoscere a chi è venuto, non invitato, a casa nostra, diritti di gruppo che contrastano con valori che consideriamo universali e comunque con la nostra cultura, le nostre leggi, in nostri usi e costumi.
Si, il presunto neo liberale di sinistra è un baro, non un cretino, o forse è tutte e due le cose insieme.
L'Islam invade il mondo e' lo distrugge..e la decadente Europa si fa trascinare in questo abisso buio e pericoloso per le generazioni a venire..Disastro e tragedia da tutti i punti di vista..davanti a ciechi e sordi politici (io direi persino venduti).
RispondiEliminaInteressante, come sempre, ma penso che qualcuno si sia perso per strada, nel corso della lettura. Quanto al dilemma se i "sinistri" neo liberali siano bari o cretini, penso non ci siano dubbi.Barare presuppone comunque un minimo di intelligenza e, siccome di intelligenza nelle loro proposizioni non c'è traccia, ne consegue che di cretini si tratta, solo di cretini. Non si può essere contemporaneamente bari e cretini, "sinistri" e intelligenti. Per la contraddizion che nol consente...
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