Per
la ambasciatrice americana all'ONU
l'astensione USA sulla risoluzione che condanna Israele per gli
insediamenti nei “territori” garantirebbe la “sicurezza dello
stato ebraico. Tale risoluzione favorirebbe una soluzione in linea
col principio “due
popoli due stati”,
la sola in grado di garantire la pace ed insieme la sicurezza di
Israele.
La questione è piuttosto importante, e val la pena di esaminarla in dettaglio. Vediamo.
Due popoli due stati.
Sono in molti, in occidente a parlare di “due popoli due stati” ed anche in medio oriente ci sono dei leader arabi che ripropongono ogni tanto questo slogan. Ma si tratta, nella gran maggioranza dei casi, di pura mistificazione.
I due popoli per due stati ci sarebbero dal 1948 se i paesi arabi avessero accettato la risoluzione 181 del 29 novembre 1947. Tale risoluzione infatti dava vita, insieme, allo stato di Israele e ad uno stato arabo palestinese, i famosi due stati per due popoli. Gli israeliani accettarono tale risoluzione, tutti i paesi arabi NO. Non era passata un'ora dalla approvazione di quella risoluzione che i vari stati arabi attaccavano militarmente il neonato stato di Israele. Da quel momento è stata guerra, una guerra che dura ancora oggi. Ed ancora oggi i movimenti palestinesi rifiutano l'esistenza dello stato ebraico. Hammas la rifiuta in maniera esplicita e nettissima. Ecco cosa dice in proposito il suo statuto:
“Il Movimento di Resistenza Islamico crede che la terra di Palestina sia un sacro deposito (waqf), terra islamica affidata alle generazioni dell’islam fino al giorno della resurrezione. Non è accettabile rinunciare ad alcuna parte di essa. (...) la Palestina è terra islamica affidata alle generazioni dell’islam sino al giorno del giudizio”. Più chiari di così si muore, altro che “due popoli due stati”!
La autorità nazionale palestinese dal canto suo non parla più di distruzione dello stato di Israele, ma si guarda bene dal riconoscerne esplicitamente il diritto alla esistenza entro confini sicuri. In particolare la ANP rifiuta di riconoscere Israele come stato ebraico e pretende che tutti i “profughi” palestinesi possano rientrarvi. I palestinesi però hanno questo di particolare: possono tramandarsi di padre in figlio lo status di profugo. Così nel tempo questi profughi sono incredibilmente cresciuti di numero, oggi sono circa cinque milioni di persone, quasi lo stesso numero degli ebrei israeliani. Per capirci, far tornare questi profughi in Israele sarebbe come accettare in Italia una quarantina di milioni di “profughi” musulmani. E' più che evidente che un simile ritorno distruggerebbe Israele in quanto stato degli ebrei. Per la ANP quindi “due popoli due stati” significa, insieme, creazione di uno stato palestinese e fine di Israele in quanto stato ebraico. In maniera meno diretta e brutale si persegue lo stesso obiettivo di Hammas: la distruzione di Israele.
I territori
I famosi territori di cui tanto si parla sono stati conquistati da Israele nella guerra dei sei giorni del 1967. In quella guerra Israele sconfisse una coalizione di paesi arabi, guidata dall'Egitto, che lo avevano aggredito mirando a cancellarlo dalla faccia della terra.
Chi considera i famosi “territori” una conquista “coloniale” degli “imperialisti israeliani” provi a fare un piccolo esperimento mentale.
E' appena finita la seconda guerra mondiale. L'Italia la ha condotta dalla parte sbagliata, ha assecondato la follia aggressiva e criminale della Germania hitleriana ed è stata sconfitta. Come conseguenza della sconfitta ha perso l'Istria, che è passata alla Jugoslavia. L'Italia però reclama a gran voce l'Istria ed accusa gli Jugoslavi di essere degli aggressori colonialisti. Non solo. Chi governa il nostro paese non si accontenta di rivolere l'Istria, ma strilla a gran voce che la Jugoslavia non ha diritto di esistere e che tutto il suo territorio deve diventare parte dell'Italia.
Sembra fantascienza vero? Eppure è esattamente quello che accade per Israele. Gli arabi hanno perso dei territori perché sconfitti in una guerra di aggressione; malgrado questo, non si accontentano di reclamare i territori persi ma negano ad Israele vincitore il diritto di esistere. Se una cosa simile avvenisse in qualsiasi altra parte del mondo le grida di protesta toccherebbero il cielo. Ma succede in medio oriente, riguarda i rapporti arabo israeliani, quindi è tutto normale.
Sano realismo
Israele non ha mai fatto della conservazione dei territori un dogma intoccabile. Gli israeliani, o almeno, la loro netta maggioranza, desiderano solo di poter vivere in uno stato come tutti gli altri. Uno stato con confini sicuri, universalmente riconosciuto, non obbligato a difendersi da continui attacchi terroristici. Insomma, uno stato di cui nessuno debba dire che “ha diritto di esistere”. Al fine di raggiungere questo obiettivo gli israeliani hanno rinunciato in passato a grandi porzioni dei territori occupati. L'Egitto ad esempio aveva perso il Sinai nella guerra dei sei giorni, gli è stato restituito quando il presidente Sadat, superate le vecchie posizioni nasseriane ed antisemite, ha fatto proprio una politica realistica ed ha riconosciuto lo stato di Israele. Da allora Egitto ed Israele hanno convissuto l'uno accanto all'altro, in pace. Si è trattato di un fatto probabilmente senza precedenti nella storia: un paese subisce una aggressione, vince una guerra, conquista delle terre che successivamente cede in cambio del semplice riconoscimento diplomatico. Quale stato “imperialista”, anzi, quale stato tout court si è mai comportato in questo modo?
E qualcosa di simile è avvenuto nei confronti dei palestinesi che reclamano un loro stato. I palestinesi il loro stato lo avevano avuto nel 1948, e lo hanno rifiutato; la Giordania del resto può a tutti gli effetti essere considerata uno stato palestinese. Dopo lunghe esitazioni gli Israeliani hanno accettato il principio dei “due popoli due stati”, anche se tutto l'atteggiamento dei palestinesi avrebbe giustificato una loro chiusura su questo punto. Si sono ritirati da Gaza per cederla ai palestinesi (cosa che l'Egitto non aveva mai fatto) ed hanno concesso ai palestinesi di Cisgiordania una amplissima autonomia.
Ma gli israeliani, se sono realisti, non sono per questo ingenui: pretendono che un eventuale stato palestinese riconosca Israele, e lo riconosca per quello che è, lo stato degli ebrei, gli riconosca dei confini difendibili e non chieda in cambio di tale, normalissimo, riconoscimento, ritorni in massa dei “profughi” palestinesi. Uno stato palestinese che nascesse senza che questo fosse stabilito con la massima chiarezza sarebbe una spina nel fianco di Israele e ne comprometterebbe la sicurezza. Basti pensare che se venissero ripristinati i confini del 1967 i missili palestinesi potrebbero colpire tutti i giorni Tel Aviv. Gli israeliani fanno benissimo a non cedere su questo punto.
Gerusalemme
“Gerusalemme è una città santa per tre religioni” si dice e si ripete spesso e volentieri. La affermazione è vera nella sostanza, ma gravemente inesatta. Gerusalemme è certamente sacra per due religioni: quella ebraica e quella cristiana. Lo è anche per la religione musulmana solo perché i musulmani hanno la pessima abitudine di dichiarare sante per l'Islam molte delle città che conquistano.
Ma, tralasciamo. Dato per scontato che Gerusalemme sia una città sacra per le tre religioni monoteiste, resta da porsi una domanda: quale amministrazione è più affidabile nel garantire ai fedeli di tutte e tre le religioni la libera professione della propria fede? Una Gerusalemme amministrata dagli israeliani garantirebbe maggiore o minore libertà di culto rispetto ad una Gerusalemme amministrata dai palestinesi? I musulmani sono più o meno tolleranti in materia religiosa degli ebrei? Basta porsi la domanda per avere la risposta. In Israele, paese grande quanto la Lombardia e costantemente nel mirino del terrorismo islamico, sorgono più di 200 moschee, quante sinagoghe esistono a Gaza? Quanto in Siria, quante in Iran?
Insediamenti
Gli israeliani controllano territori che hanno conquistato in una guerra combattuta per garantire l'esistenza del proprio stato. Potrebbero cederne una gran parte, ma non possono farlo fino a che i palestinesi non riconosceranno senza se e senza ma il diritto di Israele ad esistere.
E' ammissibile che gli ebrei israeliani non possano vivere in nessuno dei territori solo perché questi potrebbero in futuro far parte di uno stato palestinese? Israele dovrebbe sobbarcarsi gran parte dei costi dell'amministrazione di territori in cui nessun suo cittadino dovrebbe avere il diritto di abitare? In Italia è esistito per molto tempo un movimento indipendentista in Alto Adige. Questo avrebbe dovuto impedire che in quel territorio vivessero cittadini italiani? Pochi, credo , potrebbero sostenere una simile tesi.
Cosa sono, alla fin dei conti questi famosi insediamenti? Non sono altro che normalissime costruzioni di abitazioni civili in cui vanno a vivere dei civili israeliani. Tempo fa, a poche decine di metri dalla casa in cui vivo è stata costruita una villetta in cui è andata a vivere una famiglia albanese. Né io né nessun altro ha parlato di “insediamenti”, “aggressione coloniale” o simili idiozie. Lasciamo perdere gli esempi personali. In Israele vivono moltissimi arabi e nessuno parla di “colonizzazione” araba dello stato ebraico. Per i palestinesi la questione si pone in maniera del tutto diversa. Dove vivono loro non possono vivere gli ebrei, quanto meno, non possono vivere come liberi cittadini dotati dei loro stessi diritti e doveri. Quando gli israeliani hanno ceduto Gaza tutti gli abitanti ebrei della striscia hanno dovuto abbandonarla. Sono state smantellate le sinagoghe, addirittura rimosse le salme dai cimiteri. Qualsiasi traccia della presenza ebraica costituiva una insopportabile “offesa” per i palestinesi, quindi doveva essere cancellata, con la massima cura. Su questa base dovrebbero sorgere i famosi “due stati” per “due popoli”? Tutti coloro che appoggiano la soluzione dei due stati, sulla carta del tutto ragionevole, dovrebbero quanto meno porsi il problema dei diritti degli ebrei che per ventura dovessero trovarsi a vivere in uno stato palestinese. Ma i “pacifisti” questo problemino non se lo pongono. Pronti a strillare per ogni presunta violazione dei diritti dei palestinesi trovano del tutto normale la pretesa palestinese di non vedere neppure un ebreo nei loro territori, salvo poi cercarli, gli ebrei, quando c'è da trovare un lavoro o avere forniture di acqua e gas.
Ipocrisia
Per concludere, la vicenda dei “territori” mostra tutta la doppiezza e l'ipocrisia dei sostenitori della causa palestinese. Gli israeliani hanno conquistato i territori in una guerra combattuta per affermare il loro diritto ad esistere, ma dovrebbero cederli senza avere in cambio neppure il riconoscimento diplomatico. Sostengono gran parte dei costi per la gestione dei territori ma nessun cittadino israeliano può vivere negli stessi, devono accogliere i “profughi” palestinesi ma questi non possono ammettere che un ebreo possa vivere accanto a loro. La sola esistenza di un cittadino ebreo costituisce una “offesa” per loro. E tutto questo sarebbe “pacifismo” e “tolleranza”. Servirebbe addirittura, come con somma ipocrisia ha detto l'ambasciatrice statunitense all'ONU, alla “sicurezza di Israele”. Si tratta invece di antisemitismo, puro e semplice.
La questione è piuttosto importante, e val la pena di esaminarla in dettaglio. Vediamo.
Due popoli due stati.
Sono in molti, in occidente a parlare di “due popoli due stati” ed anche in medio oriente ci sono dei leader arabi che ripropongono ogni tanto questo slogan. Ma si tratta, nella gran maggioranza dei casi, di pura mistificazione.
I due popoli per due stati ci sarebbero dal 1948 se i paesi arabi avessero accettato la risoluzione 181 del 29 novembre 1947. Tale risoluzione infatti dava vita, insieme, allo stato di Israele e ad uno stato arabo palestinese, i famosi due stati per due popoli. Gli israeliani accettarono tale risoluzione, tutti i paesi arabi NO. Non era passata un'ora dalla approvazione di quella risoluzione che i vari stati arabi attaccavano militarmente il neonato stato di Israele. Da quel momento è stata guerra, una guerra che dura ancora oggi. Ed ancora oggi i movimenti palestinesi rifiutano l'esistenza dello stato ebraico. Hammas la rifiuta in maniera esplicita e nettissima. Ecco cosa dice in proposito il suo statuto:
“Il Movimento di Resistenza Islamico crede che la terra di Palestina sia un sacro deposito (waqf), terra islamica affidata alle generazioni dell’islam fino al giorno della resurrezione. Non è accettabile rinunciare ad alcuna parte di essa. (...) la Palestina è terra islamica affidata alle generazioni dell’islam sino al giorno del giudizio”. Più chiari di così si muore, altro che “due popoli due stati”!
La autorità nazionale palestinese dal canto suo non parla più di distruzione dello stato di Israele, ma si guarda bene dal riconoscerne esplicitamente il diritto alla esistenza entro confini sicuri. In particolare la ANP rifiuta di riconoscere Israele come stato ebraico e pretende che tutti i “profughi” palestinesi possano rientrarvi. I palestinesi però hanno questo di particolare: possono tramandarsi di padre in figlio lo status di profugo. Così nel tempo questi profughi sono incredibilmente cresciuti di numero, oggi sono circa cinque milioni di persone, quasi lo stesso numero degli ebrei israeliani. Per capirci, far tornare questi profughi in Israele sarebbe come accettare in Italia una quarantina di milioni di “profughi” musulmani. E' più che evidente che un simile ritorno distruggerebbe Israele in quanto stato degli ebrei. Per la ANP quindi “due popoli due stati” significa, insieme, creazione di uno stato palestinese e fine di Israele in quanto stato ebraico. In maniera meno diretta e brutale si persegue lo stesso obiettivo di Hammas: la distruzione di Israele.
I territori
I famosi territori di cui tanto si parla sono stati conquistati da Israele nella guerra dei sei giorni del 1967. In quella guerra Israele sconfisse una coalizione di paesi arabi, guidata dall'Egitto, che lo avevano aggredito mirando a cancellarlo dalla faccia della terra.
Chi considera i famosi “territori” una conquista “coloniale” degli “imperialisti israeliani” provi a fare un piccolo esperimento mentale.
E' appena finita la seconda guerra mondiale. L'Italia la ha condotta dalla parte sbagliata, ha assecondato la follia aggressiva e criminale della Germania hitleriana ed è stata sconfitta. Come conseguenza della sconfitta ha perso l'Istria, che è passata alla Jugoslavia. L'Italia però reclama a gran voce l'Istria ed accusa gli Jugoslavi di essere degli aggressori colonialisti. Non solo. Chi governa il nostro paese non si accontenta di rivolere l'Istria, ma strilla a gran voce che la Jugoslavia non ha diritto di esistere e che tutto il suo territorio deve diventare parte dell'Italia.
Sembra fantascienza vero? Eppure è esattamente quello che accade per Israele. Gli arabi hanno perso dei territori perché sconfitti in una guerra di aggressione; malgrado questo, non si accontentano di reclamare i territori persi ma negano ad Israele vincitore il diritto di esistere. Se una cosa simile avvenisse in qualsiasi altra parte del mondo le grida di protesta toccherebbero il cielo. Ma succede in medio oriente, riguarda i rapporti arabo israeliani, quindi è tutto normale.
Sano realismo
Israele non ha mai fatto della conservazione dei territori un dogma intoccabile. Gli israeliani, o almeno, la loro netta maggioranza, desiderano solo di poter vivere in uno stato come tutti gli altri. Uno stato con confini sicuri, universalmente riconosciuto, non obbligato a difendersi da continui attacchi terroristici. Insomma, uno stato di cui nessuno debba dire che “ha diritto di esistere”. Al fine di raggiungere questo obiettivo gli israeliani hanno rinunciato in passato a grandi porzioni dei territori occupati. L'Egitto ad esempio aveva perso il Sinai nella guerra dei sei giorni, gli è stato restituito quando il presidente Sadat, superate le vecchie posizioni nasseriane ed antisemite, ha fatto proprio una politica realistica ed ha riconosciuto lo stato di Israele. Da allora Egitto ed Israele hanno convissuto l'uno accanto all'altro, in pace. Si è trattato di un fatto probabilmente senza precedenti nella storia: un paese subisce una aggressione, vince una guerra, conquista delle terre che successivamente cede in cambio del semplice riconoscimento diplomatico. Quale stato “imperialista”, anzi, quale stato tout court si è mai comportato in questo modo?
E qualcosa di simile è avvenuto nei confronti dei palestinesi che reclamano un loro stato. I palestinesi il loro stato lo avevano avuto nel 1948, e lo hanno rifiutato; la Giordania del resto può a tutti gli effetti essere considerata uno stato palestinese. Dopo lunghe esitazioni gli Israeliani hanno accettato il principio dei “due popoli due stati”, anche se tutto l'atteggiamento dei palestinesi avrebbe giustificato una loro chiusura su questo punto. Si sono ritirati da Gaza per cederla ai palestinesi (cosa che l'Egitto non aveva mai fatto) ed hanno concesso ai palestinesi di Cisgiordania una amplissima autonomia.
Ma gli israeliani, se sono realisti, non sono per questo ingenui: pretendono che un eventuale stato palestinese riconosca Israele, e lo riconosca per quello che è, lo stato degli ebrei, gli riconosca dei confini difendibili e non chieda in cambio di tale, normalissimo, riconoscimento, ritorni in massa dei “profughi” palestinesi. Uno stato palestinese che nascesse senza che questo fosse stabilito con la massima chiarezza sarebbe una spina nel fianco di Israele e ne comprometterebbe la sicurezza. Basti pensare che se venissero ripristinati i confini del 1967 i missili palestinesi potrebbero colpire tutti i giorni Tel Aviv. Gli israeliani fanno benissimo a non cedere su questo punto.
Gerusalemme
“Gerusalemme è una città santa per tre religioni” si dice e si ripete spesso e volentieri. La affermazione è vera nella sostanza, ma gravemente inesatta. Gerusalemme è certamente sacra per due religioni: quella ebraica e quella cristiana. Lo è anche per la religione musulmana solo perché i musulmani hanno la pessima abitudine di dichiarare sante per l'Islam molte delle città che conquistano.
Ma, tralasciamo. Dato per scontato che Gerusalemme sia una città sacra per le tre religioni monoteiste, resta da porsi una domanda: quale amministrazione è più affidabile nel garantire ai fedeli di tutte e tre le religioni la libera professione della propria fede? Una Gerusalemme amministrata dagli israeliani garantirebbe maggiore o minore libertà di culto rispetto ad una Gerusalemme amministrata dai palestinesi? I musulmani sono più o meno tolleranti in materia religiosa degli ebrei? Basta porsi la domanda per avere la risposta. In Israele, paese grande quanto la Lombardia e costantemente nel mirino del terrorismo islamico, sorgono più di 200 moschee, quante sinagoghe esistono a Gaza? Quanto in Siria, quante in Iran?
Insediamenti
Gli israeliani controllano territori che hanno conquistato in una guerra combattuta per garantire l'esistenza del proprio stato. Potrebbero cederne una gran parte, ma non possono farlo fino a che i palestinesi non riconosceranno senza se e senza ma il diritto di Israele ad esistere.
E' ammissibile che gli ebrei israeliani non possano vivere in nessuno dei territori solo perché questi potrebbero in futuro far parte di uno stato palestinese? Israele dovrebbe sobbarcarsi gran parte dei costi dell'amministrazione di territori in cui nessun suo cittadino dovrebbe avere il diritto di abitare? In Italia è esistito per molto tempo un movimento indipendentista in Alto Adige. Questo avrebbe dovuto impedire che in quel territorio vivessero cittadini italiani? Pochi, credo , potrebbero sostenere una simile tesi.
Cosa sono, alla fin dei conti questi famosi insediamenti? Non sono altro che normalissime costruzioni di abitazioni civili in cui vanno a vivere dei civili israeliani. Tempo fa, a poche decine di metri dalla casa in cui vivo è stata costruita una villetta in cui è andata a vivere una famiglia albanese. Né io né nessun altro ha parlato di “insediamenti”, “aggressione coloniale” o simili idiozie. Lasciamo perdere gli esempi personali. In Israele vivono moltissimi arabi e nessuno parla di “colonizzazione” araba dello stato ebraico. Per i palestinesi la questione si pone in maniera del tutto diversa. Dove vivono loro non possono vivere gli ebrei, quanto meno, non possono vivere come liberi cittadini dotati dei loro stessi diritti e doveri. Quando gli israeliani hanno ceduto Gaza tutti gli abitanti ebrei della striscia hanno dovuto abbandonarla. Sono state smantellate le sinagoghe, addirittura rimosse le salme dai cimiteri. Qualsiasi traccia della presenza ebraica costituiva una insopportabile “offesa” per i palestinesi, quindi doveva essere cancellata, con la massima cura. Su questa base dovrebbero sorgere i famosi “due stati” per “due popoli”? Tutti coloro che appoggiano la soluzione dei due stati, sulla carta del tutto ragionevole, dovrebbero quanto meno porsi il problema dei diritti degli ebrei che per ventura dovessero trovarsi a vivere in uno stato palestinese. Ma i “pacifisti” questo problemino non se lo pongono. Pronti a strillare per ogni presunta violazione dei diritti dei palestinesi trovano del tutto normale la pretesa palestinese di non vedere neppure un ebreo nei loro territori, salvo poi cercarli, gli ebrei, quando c'è da trovare un lavoro o avere forniture di acqua e gas.
Ipocrisia
Per concludere, la vicenda dei “territori” mostra tutta la doppiezza e l'ipocrisia dei sostenitori della causa palestinese. Gli israeliani hanno conquistato i territori in una guerra combattuta per affermare il loro diritto ad esistere, ma dovrebbero cederli senza avere in cambio neppure il riconoscimento diplomatico. Sostengono gran parte dei costi per la gestione dei territori ma nessun cittadino israeliano può vivere negli stessi, devono accogliere i “profughi” palestinesi ma questi non possono ammettere che un ebreo possa vivere accanto a loro. La sola esistenza di un cittadino ebreo costituisce una “offesa” per loro. E tutto questo sarebbe “pacifismo” e “tolleranza”. Servirebbe addirittura, come con somma ipocrisia ha detto l'ambasciatrice statunitense all'ONU, alla “sicurezza di Israele”. Si tratta invece di antisemitismo, puro e semplice.
Oltre ad Hamas, il problema di Israsele è quello di vivere nel mezzo degli stati arabi. Quelli non se la prendono con israele solo perchè 'Ci hanno rubato le terre!1!!11', ma anche perchè è una terra dove ci vivono gli 'infedeli'.
RispondiEliminaI muslims farebbero bene ad accontentarsi della Mecca.
Noi abbiamo Roma, gli ebrei hanno Gerusalemme come città sante principali, i Muslims hanno la mecca ove per noi infedeli è proibito anche solo il passaggio, mentre Gerusalemme e Roma sono aperte a tutti.
Io sono cattiva, ma se fosse per me ordinerei che i palestinesi lascino Israele e vadino a vivere in altri stati dell'islamia, Giordania in primis, mentre Gaza e Giudea/Samaria devono tornare in mano agli ebrei.
Qualche aggiunta e qualche puntualizzazione (mi si perdonerà se mi metto un po’ in cattedra ma, come canta l’Avvocato, “il maestro è nell’anima e nell’anima per sempre resterà”, anche quando va in pensione)
RispondiElimina1. Una partizione della Palestina mandataria (per la precisione: una partizione di quel 22% di Palestina mandataria che era rimasto dopo che la Gran Bretagna ne aveva sottratto il 78% per regalarlo all’emiro Abdallah detronizzato dall’Arabia), con conseguente nascita di uno stato ebraico e uno arabo, era stata proposta già dalla commissione Peel nel 1937, ed era stata rifiutata.
2. Hamas non rifiuta solo lo stato di Israele, ma anche quello di Palestina: l’obiettivo è quello di riunire la “Palestina” alla grande Umma, al Califfato. Lo stato di Israele viene combattuto (oltre che per l’obbligo coranico di far fuori tutti gli ebrei) perché ostacola la creazione del Califfato, non per fare uno stato di Palestina più grande.
3. L’autorità nazionale palestinese non parla di distruzione di Israele nei discorsi ad uso e consumo dell’Occidente, ma l’obiettivo è presente nei libri di testo delle loro scuole, nei programmi televisivi, nei discorsi in arabo, e nella costituzione di al-Fatah.
4. I territori di Giudea, Samaria e Gaza nonché la parte orientale di Gerusalemme, sono stato conquistati alla Giordania e all’Egitto (che li avevano illegalmente occupati nel 1948), non a un inesistente stato palestinese, quindi, in base a tutte le norme di diritto internazionale, non possono a nessun titolo essere considerati come territori occupati. Per inciso, una discreta parte degli insediamenti sono quelli da cui gli ebrei erano stati cacciati nel 1948: quando quei territori, nel 1967, sono stati liberati, sono semplicemente tornati a casa loro.
5. Gerusalemme è diventata la “terza città santa dell’islam” nel 1967: fino a quel momento a nessuna autorità, politica o religiosa, islamica era mai passato per la testa che Gerusalemme avesse una qualche importanza per l’islam.