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giovedì 3 marzo 2016

LIBERALISMO E UTERO IN AFFITTO




Il "caso Vendola" ha scatenato dibattiti molto accesi, come c'era da aspettarsi, ed ha posto a tutti problemi teorici non indifferenti. Qui mi interessa affrontarne uno, parziale ma di una certa rilevanza.
Molti hanno polemizzato con Vendola sottolineando la sua ipocrisia. Lui, l'uomo che denuncia per 25 ore al giorno la “mercificazione” del corpo femminile, e non solo, ricorre alla pratica dell'utero in affitto! E' diventato liberista dall'oggi al domani? Tutto giusto, a mio modesto parere, però il discorso potrebbe essere reversibile. Vendola detesta il mercato e ricorre alla pratica dell'utero in affitto, è in contraddizione con se stesso. Però, i suoi critici sono molto spesso dei liberali che invece il mercato lo difendono. Non sono anche loro in contraddizione con se stessi? Non si può, in nome della sacrosanta libertà individuale, vendere il proprio seme o il proprio ovulo ad una clinica che poi, a pagamento, li inietterà nel ventre di una donna che affitta il proprio utero? Se siamo liberi non dovremmo avere il diritto di fare cose simili?
Il problema sta nello stabilire se davvero la filosofia liberale, o almeno quella liberista, ritengano che tutto possa essere oggetto di compra vendita. Penso che la risposta ad un simile quesito sia NO. Certo, possono esserci pensatori liberali che sostengono simili tesi, queste però restano estranee al liberalismo e probabilmente allo stesso liberismo. Sono semmai proprie della filosofia libertina e, per venire a tempi recenti, del movimento libertariano o “anarco capitalista”, qualcosa che forse assomiglia qua e la al liberalismo ma ne è nella sostanza estraneo. E' davvero difficile trovare in un Locke, o in un Tocqueville, in un Constant o in un Kant una sola parola che possa essere portata a sostegno della tesi secondo cui tutto può essere oggetto di compra vendita.

Adam Smith è noto per la “Ricchezza delle nazioni”, ma ha scritto anche la “Teoria dei sentimenti morali”, un'opera di grande rilevanza in cui sostiene che dietro agli scambi economici stanno sentimenti, idee, convinzioni etiche che li garantiscono e li rendono possibili.
Potrebbero Tizio e Caio scambiarsi qualcosa se non esistesse una certo grado di fiducia fra loro, se entrambi non ritenessero che è sbagliato derubare l'altro? Qualcuno potrebbe rispondere che si, potrebbero farlo, perché la legge tutela entrambi, ma, a parte il fatto che con questo ammetterebbe che lo scambio ha bisogno di precondizioni giuridiche e politiche, basta davvero la legge a garantire il regolare andamento degli scambi? La risposta è con tutta evidenza negativa. Lo scambio è possibile se esiste un certo grado di reciproca fiducia fra compratore e venditore, se entrambi presuppongono l'uno nell'altro un certo livello di onestà, hanno qualche valore, qualche convinzione etica in comune. La gran maggioranza delle persone non cerca di allontanarsi da un negozio senza pagare il conto e ad impedir loro di farlo non è tanto il timore del carcere quanto della vergogna che proverebbero se fossero scoperte. Per la gran maggioranza degli esseri umani “passare alla cassa” è un comportamento naturale. Dietro al fatto economico dello scambio ci sono convinzioni, sentimenti e c'è, in ultima istanza, la legge; in una parola, molte cose che non possono a loro volta essere oggetto di scambio.
E' quasi un luogo comune dire che l'onestà, la correttezza, la fedeltà alla parola data non possono essere oggetto di scambio, come non possono essere oggetto di scambio le sentenze dei tribunali. Ovviamente, capita, ed anche spesso, che onestà e correttezza vengano comprate, ma questo le distrugge come correttezza ed onestà, col risultato di rendere più difficili gli scambi, di inquinare la vita economica con la corruzione ed il malaffare. E capita anche che correttezza ed onestà finiscano per avere, in senso buono, un prezzo sul mercato, come quando una azienda, nell'assumere un manager, valuta oltre che la sua competenza la sua onestà e correttezza. In questo caso però non si mira a corrompe una persona onesta e corretta, la si assume e la si paga proprio perché tale.
Storicamente la affermazione generalizzata della economia di mercato ha ristretto, non ampliato l'area di ciò che è possibile comprare e vendere. Il sistema feudale si basava su uno scambio fra imperatore e signori feudali con il quale il primo comprava la fedeltà dei secondi cedendo loro terre. Nelle società precapitalistiche si potevano comprare e vendere uomini e, soprattutto, donne, cariche pubbliche, sicurezza, giustizia. La possibilità di fare un certo mestiere doveva essere comprata, un criminale poteva comprare il “perdono” dei parenti delle sue vittime. Tutte queste forme di compra vendita sono diventate obsolete o sono scomparse con l'affermazione piena dell'economia di mercato Le cause sono molteplici. Economiche, certo. Il lavoro schiavo è, ad esempio, poco produttivo, non grado di adeguarsi alle mutevoli situazioni di mercato. Ma non solo economiche. Lo scambio è tale solo se avviene fra soggetti formalmente uguali e liberi. Lo ha messo in evidenza Marx: lo scambio di equivalenti presuppone l'eguaglianza formale e la libertà di disporre di se stessi, quindi un sistema giuridico caratterizzato da leggi uguali per tutti e la garanzia generalizzata della sicurezza. Tutto questo è incompatibile con la compravendita, ad esempio, di esseri umani, della giustizia o della protezione dal crimine. Economia di mercato non vuol dire quindi che tutto possa essere comprato e venduto. Se davvero tutto potesse essere immesso sul mercato a non funzionare sarebbe proprio questo, il mercato.
Avviene precisamente il contrario nelle economie globalmente pianificate. In queste
tutto, ma proprio tutto, può essere inserito nella pianificazione. Quella pianificata è una economia di comando: una autorità centralizzata e dotata di enorme potere decide cosa, come e quanto produrre e tutti si devono adeguare. Ormai nessuno, tranne pochi dinosauri, cerca di negarlo: il lavoro forzato, con milioni di esseri umani trattati peggio degli schiavi, ha avuto un ruolo di primaria importanza nella costruzione dell'industria sovietica, e non solo. In Cina veniva, ed in parte avviene ancora, pianificato l'incremento demografico tramite la pratica degli aborti selettivi e l'obbligo per le coppie di non avere più di un figlio. Le libertà elementari degli esseri umani, quelle che non possono essere oggetto di compra vendita alcuna, erano toccate direttamente dalle inappellabili decisioni dei pianificatori, facevano parte del piano come le quantità di petrolio o carbone da estrarre. I nostalgici di baffone Stalin e del celeste presidente non hanno proprio alcun diritto di indignarsi per l'utero in affitto!

Non tutto si può comprare o vendere quindi, questo però lascia irrisolto il problema sul
cosa si possa invece vendere e comprare, lo lascia irrisolto proprio a proposito di temi come la “maternità surrogata” e l'utero in affitto.
Nel “
mercante di Venezia” Shakespeare presenta una situazione che ricorda un po' l'oggetto di tanti odierni dibattiti. Antonio, un ricco mercante veneto, garantisce un prestito che Shylock, un usuraio ebreo, ha fatto al suo amico Bassanio. Antonio si impegna, nel caso non riuscisse a pagare il debito, di dare a Shylock una libbra della propria carne, tagliata all'altezza del cuore. L'opera di Shakespeare è stata al centro delle attenzioni soprattutto per ciò che concerne la polemica sull'antisemitismo, ma non è questo che ora ci interessa.
Antonio può impegnarsi a dare a Shylock una libbra della propria carne e Shylock ha diritto di pretenderla? Il contratto fra loro da un lato è
giusto: entrambi lo hanno firmato in piena libertà, senza pressioni o violenze di sorta, ma è anche un contratto iniquo: vendere la propria carne è qualcosa che degrada la dignità umana.
Con un piccolo sforzo è possibile immaginare situazioni simili: ho diritto di firmare un contratto con cui divento schiavo di una persona che si impegna a versare una certa rendita a mia moglie ed ai miei figli? O posso impegnarmi con Tizio al suicidio in cambio di certe azioni che lui si impegna a fare dopo la mia morte? In una parola: avere la libertà su se stessi significa poter disporre
senza limite alcuno di se stessi? O questo non è ammissibile in quanto una simile libertà è per definizione abbruttente ed una sua pratica generalizzata distruggerebbe prima di ogni altra cosa proprio la libertà degli esseri umani? E cosa si può includere, e cosa escludere, dal novero delle cose di cui non può disporre senza limite alcuno? E' un quesito difficile. Alcuni vorrebbero allargare il numero delle cose di cui non si può disporre tanto da vanificare ogni libertà personale. Altri vorrebbero che nei fatti non ci fosse alcun limite.
E ci sono persone che da un lato sono pronte ad invocare leggi e regolamenti su tutto, dall'altro teorizzano una libertà senza limiti proprio riguardo a quelle cose su cui è invece lecito per lo meno chiedersi se non sia giusto porre limiti rigorosi. L'Europa, lo si sa, è la madre delle più assurde politiche programmatorie. La UE pone regole e vincoli su tutto, dal diametro della pizza alla portata degli sciacquoni nei cessi. Però pretende, in nome della libertà individuale, che si possano vendere ovuli ed affittare uteri, e che un bambino possa avere un numero imprecisato di genitori. Molto bizzarro.

Non amo nascondere le mie opinioni, quindi, una volta riconosciuto che si tratta di scelte difficili, su cui è praticamente impossibile arrivare a conclusioni largamente condivise, dico chiaramente come la penso sul problema. Personalmente sono del tutto
contrario alla pratica dell'utero in affitto ed alla vendita, comunque mascherata, di sperma od ovuli, il tutto indipendentemente dal fatto che la coppia richiedente sia omo od eterosessuale. Lo sono principalmente per quattro motivi, che espongo in ordine crescente di importanza.
In primo luogo
, non è possibile ignorare che lo scambio avviene sempre fra soggetti che non si trovano affatto nelle stesse condizioni economiche e sociali.
Non sono un egualitario, sono profondamente convinto che l'uguaglianza economica e sociale non sia possibile e neppure desiderabile. La stessa eguaglianza nei punti di partenza, che ad alcuni liberali sembra accettabile, si rivela, se si approfondiscono un attimo le cose, del tutto illusoria. Una buona società dovrebbe garantire a tutti un numero sufficientemente elevato di possibilità di emergere, non certo la totale ed assoluta eguaglianza dei punti di partenza. Questa è solo una cattiva illusione, se non altro perché, anche ammettendo che tutti abbiano uguali punti di partenza, è lo stesso gioco della vita a rendere diseguali nuovi punti di partenza: chi è stato primo a scuola avrà un migliore punto di partenza nel lavoro, ad esempio. Da questo però non deriva che si debbano accettare pratiche che sembrano fatte apposta per rendere ancora più svantaggiati coloro che già la vita ha reso tali. Acquistare parti del corpo di altri esseri umani vuol dire usare la propria superiorità economica per cacciare di fatto questi in una situazione di permanente emarginazione sociale. E' quanto meno dubbio che un simile uso della libertà possa davvero essere consentito.

In secondo luogo
pratiche come la compra vendita di semi ed ovuli o l'utero in affitto sono umanamente degradanti di per se. Portare a termine una gravidanza e dare ad altri il bimbo appena partorito trasforma la donna in una mera produttrice di bambini, le toglie qualcosa di profondamente, intimamente suo, mutila la sua essenza umana. Soprattutto, una tale pratica toglie alla donna (o all'uomo che vende il suo seme) qualsiasi diritto, presente o futuro, sul proprio figlio. Se io vendo la mia auto perdo, ovviamente, ogni diritto futuro sulla stessa, non c'è assolutamente in questo nulla di male. Ma se una donna partorisce un figlio che viene consegnato ad un'altra persona e perde su questo ogni futuro diritto la cosa cambia. Cambia perché un figlio non è un'auto. Il figlio è parte di questa donna, una sorta di prolungamento di se stessa. Nessun contratto, nessun libero accordo fra le parti, può obbligare una persona a non avere diritti su ciò che è profondamente, intimamente ed inseparabilmente suo.
La natura disumana di una simile situazione emerge con chiarezza se la si paragona ad un'altra situazione: quella dell'artista nel rapporto con la sua opera. In un cerro senso un romanzo è parte dello scrittore, una cristallizzazione della sua personalità, qualcosa di profondamente
suo. Lo scrittore può, ovviamente, vendere i diritti sul romanzo, firmare contratti che lo riguardano. Non perde però ogni diritto sulla sua opera. L'editore avrà l'esclusiva delle pubblicazioni, ma nessuno impedirà allo scrittore di dire che quel romanzo è suo, che scrivendo quelle certe cose intendeva dire questo o quello, che questa o quella interpretazione della sua opera sono errate. Nessun contratto fa si che un libro, o un quadro o una sinfonia, cessino di essere, in senso profondo, opera di chi le ha create.
Nel caso dell'utero in affitto questo avviene. Si recide il legame fra la donna e la persona, non il romanzo, il quadro, la canzone,
la persona, che questa ha partorito. In un momento di bisogno o di disperazione, o di scarsa capacità di pensare, una donna può decidere di affittare il proprio utero. Ma è lecito che rinunci al diritto di ripensarci? Che non abbia la possibilità di cercare quello che è comunque suo figlio? Di chiedergli se vuole venire a vivere con lei? Di dirgli, almeno di dirgli: “io sono tua madre”? Basta porre la domanda per avere la risposta. Tra l'altro molti contratti prevedono esplicitamente la possibilità del ripensamento. Un cantante, un calciatore, un attore possono, pagando delle penali, rescindere i legami con certe società. Fare un film o giocare al pallone sono davvero più importanti di partorire?
In terzo luogo
, Il bambino. Un bambino, e poi un adulto, ha il diritto di sapere chi sono i suoi genitori naturali, quelli che gli hanno trasmesso il patrimonio genetico. Ha diritto a porsi la domanda: da dove vengo? Chi sono veramente? Rescindere il legame fra il bambino e chi lo ha davvero fatto, fra l'uomo e la sua natura originaria è quanto di più radicalmente innaturale, nel senso negativo, peggiore, del termine, si possa concepire. Certo, esistono genitori che rifiutano i figli, non li vogliono, in questo caso, ben vengano le adozioni. Ma una cosa è rimediare, tramite un benemerito istituto, a tragiche situazioni che la vita crea, cosa del tutto diversa è pretendere di trasformare in ovvia normalità certe situazioni.
Infine
, la cosa più importante di tutte. La pratica dell'affitto dell'utero e della compra vendita di seme ed ovuli è ad un passo dall'eugenetica. Non solo si sceglie il bambino, si cerca di costruirlo, si vuole che sia conforme a certi standar prestabiliti.
Altro che accordo fra “maternità surrogata” e pensiero liberale! Il pensiero liberale pone al centro di tutto la
singola persona umana, il soggetto etico e razionale che vale di per se e che non può essere "costruito" da nessuno. L'eugenetica, sia essa privata o di stato, distrugge l'autonomia del singolo, irripetibile essere umano, lo fa dipendere sin nelle sue più intime caratteristiche dalle scelte di un altro. Non a caso è da sempre il sogno dei totalitarismi, l'oggetto della loro folle volontà di potenza. E non a caso è stata una delle caratteristiche più mostruose del nazismo.

Ancora un paio di considerazioni, prima di concludere. E' diventato una moda dire che “è genitore chi ama il bambino, lo alleva, lo educa”. La maternità e la paternità sarebbero solo fatti sociali, culturali, senza legame alcuno con la natura. Si tratta di una evidente forzatura, che sono proprio coloro che ricorrono alla maternità surrogata a smentire. Se davvero paternità e maternità fossero solo fatti culturali perché ricorrere alla maternità surrogata? Perché non adottare, semplicemente, un bambino abbandonato dai genitori naturali? Vendola poteva adottare un bambino, non lo ha fatto. Ha voluto che il suo seme (o quello del suo compagno) fecondasse l'ovulo di una donna e che l'ovulo fecondato fosse impiantato nell'utero di un'altra donna. Ha voluto un figlio che fosse, in parte, suo, che contenesse parte del suo patrimonio genetico, o di quello del suo compagno. E' comprensibile, in fondo. Chi ha figli vuole anche, forse soprattutto, lasciare nel mondo qualcosa di se, qualcosa di intimamente, essenzialmente suo. La riproduzione è legata al desiderio di opporsi al nulla, desiderio che è proprio dell'uomo, e solo dell'uomo. Comprensibilissimo che un omosessuale provi questo desiderio, anche se smentisce le sue stesse teorizzazioni sul carattere solo sociale di maternità e paternità. Ma il desiderio di prolungare in qualche modo la nostra permanenza nell'essere non può giustificare pratiche non rispettose della umanità che è dentro di noi, e che è alla base del desiderio di permanenza.
L'omosessualità è del tutto lecita e rispettabile. Cercare di criminalizzarla, considerarla un “vizio” o una “perversione” da reprimere, emarginare o “curare” è nel migliore dei casi una idiozia, una porcheria nel peggiore. Ma
non è una forma di sessualità “normale”, per lo meno nel senso che non è praticata dalla gran maggioranza degli esseri umani. Soprattutto, è una forma di sessualità separata da paternità e maternità, in una parola, dalla procreazione. Sono convinto che la maggioranza degli omosessuali, e la gran maggioranza di quelli di buon senso, sono perfettamente d'accordo con questo. A non esserlo, a voler costruire ad ogni costo un impossibile legame fra procreazione ed omosessualità, non sono gli omosessuali in quanto tali, sono gli omosessuali, e gli eterosessuali, malati di ideologia. Sono coloro che, a prescindere dalla sessualità che praticano, credono nella ideologia “gender” e nella sua assurda pretesa che il sesso non abbia nulla a che fare con la natura, sia una “convenzione sociale”, un fatto solo o prevalentemente culturale. E tutto questo coi diritti, le libertà, e la filosofia liberale, ha ben poco a che vedere.

3 commenti:

  1. Ogni volta che ti leggo, mi sembra di leggere i miei pensieri, magari esposti con maggiore chiarezza di come potrei esporli io, ma che sono in sostanza quello che pensavo io, o cose che non avevo ancora pensato, ma che faccio subito mie.

    Su una sola cosa (tra le tante su cui concordo pienamente) ho un pensiero un po' diverso. Hai scritto
    // La riproduzione è legata al desiderio di opporsi al nulla, desiderio che è proprio dell'uomo, e solo dell'uomo. //
    Non sono convinto che non esista, anche in alcuni animali, questo desiderio o istinto che li porta a vedere nei figli un prolungamento di sé stessi, e lo vedo nei sacrifici, nell'amore, nella difesa fino al dare la propria vita, che hanno alcune mamme animali nel confronto dei loro piccoli.
    Secondo me.

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  3. Grazie per le belle parole ed anche per l'obiezione, che mi da modo di chiarire meglio il mio pensiero.
    Nell'uomo l'opporsi al nulla è desiderio di lasciar qualcosa di se nel mondo quando il nulla ci avrà assorbiti. E' legato ad un nostro triste privilegio: il SAPERE DI DOVER MORIRE. Per questo ha poco a che vedere, mi sembra, con l'attaccamento istintivo alla prole che in effetti alcuni animali superiori hanno. Non a caso questo attaccamento è esclusivo delle femmine, i maschi si comportano in maniera ben diversa: il alcune specie,ad esempio fra i leoni, i maschi uccidono i piccoliper far si le femmine tornino più rapidamente in calore. Il desiderio di lasciar qualcosa di se nel mondo riguarda invece, nella nostra specie, i maschi come le femmine. A modo suo il "caso vendola" ne è una conferma.

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