Succede
ormai in tutte le consultazioni elettorali che si concludono con
risultati contrastanti il pensiero unico dominante. Si tratti della
Brexit , del voto in Austria o delle elezioni americane, i vari
inviati non hanno ancora finito di comunicare i risultati che si
alzano cori di protesta. “Hanno vinto le forze xenofobe” strilla
il primo annunciatore. “Una ondata di populismo razzista attraversa
l'occidente” gli fa eco una cortese annunciatrice.
Il giorno dopo, o la sera stessa, arrivano gli immancabili “dibattiti” e se ne sentono di tutti i colori. Volano nuove accuse di “xenofobia islamofoba” rivolte agli elettori che si sono permessi di votare come a lorsignori non piace. Qualcuno strilla, i volti sono mesti.
E c'è sempre, ovviamente, il “moderato” che intende “approfondire” il discorso, “cercare di capire”. “Trump, la brexit, tutte cose oscene”, esordisce”, “ma dobbiamo capire le esigenze che stanno dietro a queste aberrazioni”. Insomma gli elettori sono dei perfetti imbecilli che votano contro le proprie “esigenze”. Quali esigenze? Quelle che spiega loro un compassato esperto appollaiato sulla poltrona di uno studio televisivo.
Poi, il gran finale. Arrivano gli analisti. Ci mostrano grafici, snocciolano cifre e comunicano trionfanti: “hanno votato Trump, o Brexit, o Le Pen, le persone anziane, per lo più maschi adulti, in maggioranza non laureati che vivono in piccoli centri”.
“La parte più arretrata del popolo?” chiede ansiosamente il conduttore. “Si” risponde l'analista, “la parte culturalmente più arretrata, retriva, con scarse prospettive”. Interviene l'ospite d'onore, un pensoso intellettuale, e assesta il colpo finale, da KO: “una simile fetta dell'elettorato non ha futuro” sentenzia. Tutti tirano un gran sospiro di sollievo. Se a votare brexit o Trump sono dei vecchietti, siamo a posto! Fra un po' moriranno e tutto si sistemerà.
Ma un tipo del pubblico, invitato a parlare in nome della democrazia televisiva, rovina un po' la festa. “chi vi assicura che i giovani di oggi domani non cambino idea?” chiede sommessamente. L'esperto sbuffa, il conduttore fa segno di no con la testa, l'analista gela il poveretto con un sorrisino insieme ironico e severo. Sigla finale. Applausi, ricchi premi e cottillon. Domani si ricomincia.
Per farla breve, il responso delle urne non viene accettato. Non viene accettato, attenzione, non perché si accusi qualcuno di brogli, si sospetti che il risultato elettorale sia stato manipolato. E neppure si accusa chi ha vinto le elezioni di voler ledere i diritti di chi le elezioni le ha perse. No, i vincitori non attentano ai diritti degli sconfitti, e i voti sono validi, tutti. Alcuni voti però sono infetti. Esprimono le idee, gli interessi, i valori, della parte malata del corpo elettorale. Dietro alla Brexit, o a Trump, o a Marine Le Pen, o a Salvini ci sono l'ignoranza, il razzismo, il sessismo, l'omofobia e queste cose non possono avere rappresentanza in una democrazia politicamente corretta. Il pensiero unico colloca nel campo dell'impresentabile ciò che contrasta coi suoi paradigmi e l'impresentabile non può avere rappresentanza. Per l'impresentabile non si può, non si deve votare. E se, per qualche strano motivo, l'impresentabile si afferma, si permette addirittura di vincere, il risultato non può essere accettato.
Le piazzate in America contro la vittoria di Trump, i tentativi di vanificare in Gran Bretagna l'esito della brexit, la stessa vicenda di Silvio Berlusconi, battuto in Italia non dai voti ma da venti anni di inchieste giudiziarie, sono lo specchio di una simile mentalità. Esiste una parte “sana” del paese, composta da gente aperta, colta, giovane, cosmopolita, solidale, ed una parte “malata”, un'orda di “poveretti”, così ebbe a definirli la Clinton, egoisti, ignoranti, xenofobi e razzisti. Un branco di bottegai provinciali ed evasori fiscali. La parte sana non può accettare che la parte malata freni il suo nobile slancio equo e solidale. Punto.
Non ho intenzione di riaprire qui il discorso sui limiti al potere della maggioranza e sulla democrazia liberale. Mi permetto di rimandare chi fosse interessato allo scritto: “La dittatura dei sapienti” presente sul mio “blog di Giovanni”. Mi interessa ora spendere due parole su un problemino non da poco, cui, se avessero un minimo di cervello, gli “intellettuali progressisti” dovrebbero riflettere. Cosa deve fare chi non accetta il responso delle urne?
Non si tratta di una domanda irrilevante. Ammettiamo pure, solo per comodità di ragionamento, che i “progressisti” abbiano ragione. Chi è fuori dai loro paradigmi è un provinciale ignorante, egoista, xenofobo e sessista. Le sue idee, i suoi interessi, i suoi valori non possono avere una adeguata rappresentanza istituzionale, meno che mai possono aspirare alla guida di un paese “avanzato”. Tutto OK, tutto giusto, facciamo finta che sia vero. Ma, cosa discende da una simile impostazione? Semplice, discende che la democrazia fondata sul suffragio universale deve essere abolita. In una democrazia fondata sul suffragio universale tutti possono votare e chi vince ha diritto a governare, per un certo periodo di tempo e rispettando i diritti dei perdenti. Chi non accetta queste regole potrà avere tutte le ragioni del mondo ma è fuori dal gioco democratico. Però, come può chi non accetta il gioco democratico togliere ad un sacco di gente il diritto di voto? Come abolire il suffragio universale e, di conseguenza, la democrazia? E' un bel problema.
Si può mettere ai voti la abolizione della democrazia? E' possibile sottoporre a referendum la eliminazione del suffragio universale? E' difficile che un simile gioco riesca. Ed anche se riuscisse, anche se la maggioranza votasse per l'abolizione del principio di maggioranza, questo si collocherebbe fuori dalla struttura istituzionale di tutti i paesi occidentali. E difficilmente gli sconfitti accetterebbero di vedersi privati dei diritti politici fondamentali. La violenza ha avuto sempre una parte fondamentale nella eliminazione della democrazia. Questa non è mai avvenuta in maniera soft, seguendo onestamente le regole democratiche. Qualcuno fa a volte l'esempio di Hitler e dei nazisti. Ma, i nazisti non hanno mai raggiunto la maggioranza assoluta dei suffragi in elezioni multipartitiche, ed è impossibile spiegare l'ascesa di Hitler prescindendo da Rohm e dalle camicie brune, da anni di continue violenze e scontri di piazza, dall'incendio del Reichstag e dalle sue conseguenze.
Siamo al punto fondamentale. I dissidi politici possono venire risolti col voto. Ci si confronta verbalmente, si mettono ai voti le varie proposte e le forze politiche che le sostengono. Chi vince ha il diritto di realizzare il suo programma, nel rispetto dei diritti della minoranza e della dignità di tutti i cittadini. Se non si accetta questo metodo non resta che una strada: i dissidi si risolvono sparandosi addosso a vicenda. Se si ritiene che una certa parte della popolazione sia “sporca, brutta e cattiva”, non meriti di avere rappresentanza e meno che mai di poter governare il paese, se si pensa seriamente una cosa simile, si imbocca una strada che porta, se coerentemente seguita, alla guerra civile.
Certo, non tutti sono coerenti nel seguire una simile strada. Ci sono i guerrieri della tastiera che si limitano ad insultare chi non la pensa come loro. Ci sono i teppisti dei centri sociali che vogliono impedire a questo o a quello di parlare, salvo poi strillare se qualcuno da loro un calcio nei denti. Ci sono gli adoratori della magistratura politicizzata che sperano di eliminare per via giudiziaria i nemici politici. Tutti questi atteggiamenti si collocano però in una logica di guerra civile. Il gioco democratico viene rifiutato e si cerca di distruggere il nemico usando mezzi che con la democrazia non hanno nulla a che vedere: dalle intimidazioni verbali a quelle fisiche, dall'uso insopportabilmente fazioso dei media all'invocazione di inchieste e processi.
Si tratta di una logica molto, molto pericolosa. Perché, se ci si colloca in un'ottica di guerra civile si sa da dove si comincia ma non dove si finisce. E chi teme di essere escluso dal gioco democratico può a sua volta mettersi fuori da tale gioco. Si comincia con gli insulti, si prosegue coi pugni, si può finire con le fucilate. Chi evoca la violenza può trovarsi immerso nella violenza, e subirla a sua volta. E se la subisce dopo averla evocata non ha molto diritto di strillare contro la “brutale repressione” cui è sottoposto.
Gli intellettuali da salotto, i guerrieri della tastiera, i teppistelli pronti a prendere a pugni nemici veri o presunti, ma a strillare alla “repressione” se qualcuno li prende a calci in culo farebbero bene a pensarci. Molto seriamente.
Il giorno dopo, o la sera stessa, arrivano gli immancabili “dibattiti” e se ne sentono di tutti i colori. Volano nuove accuse di “xenofobia islamofoba” rivolte agli elettori che si sono permessi di votare come a lorsignori non piace. Qualcuno strilla, i volti sono mesti.
E c'è sempre, ovviamente, il “moderato” che intende “approfondire” il discorso, “cercare di capire”. “Trump, la brexit, tutte cose oscene”, esordisce”, “ma dobbiamo capire le esigenze che stanno dietro a queste aberrazioni”. Insomma gli elettori sono dei perfetti imbecilli che votano contro le proprie “esigenze”. Quali esigenze? Quelle che spiega loro un compassato esperto appollaiato sulla poltrona di uno studio televisivo.
Poi, il gran finale. Arrivano gli analisti. Ci mostrano grafici, snocciolano cifre e comunicano trionfanti: “hanno votato Trump, o Brexit, o Le Pen, le persone anziane, per lo più maschi adulti, in maggioranza non laureati che vivono in piccoli centri”.
“La parte più arretrata del popolo?” chiede ansiosamente il conduttore. “Si” risponde l'analista, “la parte culturalmente più arretrata, retriva, con scarse prospettive”. Interviene l'ospite d'onore, un pensoso intellettuale, e assesta il colpo finale, da KO: “una simile fetta dell'elettorato non ha futuro” sentenzia. Tutti tirano un gran sospiro di sollievo. Se a votare brexit o Trump sono dei vecchietti, siamo a posto! Fra un po' moriranno e tutto si sistemerà.
Ma un tipo del pubblico, invitato a parlare in nome della democrazia televisiva, rovina un po' la festa. “chi vi assicura che i giovani di oggi domani non cambino idea?” chiede sommessamente. L'esperto sbuffa, il conduttore fa segno di no con la testa, l'analista gela il poveretto con un sorrisino insieme ironico e severo. Sigla finale. Applausi, ricchi premi e cottillon. Domani si ricomincia.
Per farla breve, il responso delle urne non viene accettato. Non viene accettato, attenzione, non perché si accusi qualcuno di brogli, si sospetti che il risultato elettorale sia stato manipolato. E neppure si accusa chi ha vinto le elezioni di voler ledere i diritti di chi le elezioni le ha perse. No, i vincitori non attentano ai diritti degli sconfitti, e i voti sono validi, tutti. Alcuni voti però sono infetti. Esprimono le idee, gli interessi, i valori, della parte malata del corpo elettorale. Dietro alla Brexit, o a Trump, o a Marine Le Pen, o a Salvini ci sono l'ignoranza, il razzismo, il sessismo, l'omofobia e queste cose non possono avere rappresentanza in una democrazia politicamente corretta. Il pensiero unico colloca nel campo dell'impresentabile ciò che contrasta coi suoi paradigmi e l'impresentabile non può avere rappresentanza. Per l'impresentabile non si può, non si deve votare. E se, per qualche strano motivo, l'impresentabile si afferma, si permette addirittura di vincere, il risultato non può essere accettato.
Le piazzate in America contro la vittoria di Trump, i tentativi di vanificare in Gran Bretagna l'esito della brexit, la stessa vicenda di Silvio Berlusconi, battuto in Italia non dai voti ma da venti anni di inchieste giudiziarie, sono lo specchio di una simile mentalità. Esiste una parte “sana” del paese, composta da gente aperta, colta, giovane, cosmopolita, solidale, ed una parte “malata”, un'orda di “poveretti”, così ebbe a definirli la Clinton, egoisti, ignoranti, xenofobi e razzisti. Un branco di bottegai provinciali ed evasori fiscali. La parte sana non può accettare che la parte malata freni il suo nobile slancio equo e solidale. Punto.
Non ho intenzione di riaprire qui il discorso sui limiti al potere della maggioranza e sulla democrazia liberale. Mi permetto di rimandare chi fosse interessato allo scritto: “La dittatura dei sapienti” presente sul mio “blog di Giovanni”. Mi interessa ora spendere due parole su un problemino non da poco, cui, se avessero un minimo di cervello, gli “intellettuali progressisti” dovrebbero riflettere. Cosa deve fare chi non accetta il responso delle urne?
Non si tratta di una domanda irrilevante. Ammettiamo pure, solo per comodità di ragionamento, che i “progressisti” abbiano ragione. Chi è fuori dai loro paradigmi è un provinciale ignorante, egoista, xenofobo e sessista. Le sue idee, i suoi interessi, i suoi valori non possono avere una adeguata rappresentanza istituzionale, meno che mai possono aspirare alla guida di un paese “avanzato”. Tutto OK, tutto giusto, facciamo finta che sia vero. Ma, cosa discende da una simile impostazione? Semplice, discende che la democrazia fondata sul suffragio universale deve essere abolita. In una democrazia fondata sul suffragio universale tutti possono votare e chi vince ha diritto a governare, per un certo periodo di tempo e rispettando i diritti dei perdenti. Chi non accetta queste regole potrà avere tutte le ragioni del mondo ma è fuori dal gioco democratico. Però, come può chi non accetta il gioco democratico togliere ad un sacco di gente il diritto di voto? Come abolire il suffragio universale e, di conseguenza, la democrazia? E' un bel problema.
Si può mettere ai voti la abolizione della democrazia? E' possibile sottoporre a referendum la eliminazione del suffragio universale? E' difficile che un simile gioco riesca. Ed anche se riuscisse, anche se la maggioranza votasse per l'abolizione del principio di maggioranza, questo si collocherebbe fuori dalla struttura istituzionale di tutti i paesi occidentali. E difficilmente gli sconfitti accetterebbero di vedersi privati dei diritti politici fondamentali. La violenza ha avuto sempre una parte fondamentale nella eliminazione della democrazia. Questa non è mai avvenuta in maniera soft, seguendo onestamente le regole democratiche. Qualcuno fa a volte l'esempio di Hitler e dei nazisti. Ma, i nazisti non hanno mai raggiunto la maggioranza assoluta dei suffragi in elezioni multipartitiche, ed è impossibile spiegare l'ascesa di Hitler prescindendo da Rohm e dalle camicie brune, da anni di continue violenze e scontri di piazza, dall'incendio del Reichstag e dalle sue conseguenze.
Siamo al punto fondamentale. I dissidi politici possono venire risolti col voto. Ci si confronta verbalmente, si mettono ai voti le varie proposte e le forze politiche che le sostengono. Chi vince ha il diritto di realizzare il suo programma, nel rispetto dei diritti della minoranza e della dignità di tutti i cittadini. Se non si accetta questo metodo non resta che una strada: i dissidi si risolvono sparandosi addosso a vicenda. Se si ritiene che una certa parte della popolazione sia “sporca, brutta e cattiva”, non meriti di avere rappresentanza e meno che mai di poter governare il paese, se si pensa seriamente una cosa simile, si imbocca una strada che porta, se coerentemente seguita, alla guerra civile.
Certo, non tutti sono coerenti nel seguire una simile strada. Ci sono i guerrieri della tastiera che si limitano ad insultare chi non la pensa come loro. Ci sono i teppisti dei centri sociali che vogliono impedire a questo o a quello di parlare, salvo poi strillare se qualcuno da loro un calcio nei denti. Ci sono gli adoratori della magistratura politicizzata che sperano di eliminare per via giudiziaria i nemici politici. Tutti questi atteggiamenti si collocano però in una logica di guerra civile. Il gioco democratico viene rifiutato e si cerca di distruggere il nemico usando mezzi che con la democrazia non hanno nulla a che vedere: dalle intimidazioni verbali a quelle fisiche, dall'uso insopportabilmente fazioso dei media all'invocazione di inchieste e processi.
Si tratta di una logica molto, molto pericolosa. Perché, se ci si colloca in un'ottica di guerra civile si sa da dove si comincia ma non dove si finisce. E chi teme di essere escluso dal gioco democratico può a sua volta mettersi fuori da tale gioco. Si comincia con gli insulti, si prosegue coi pugni, si può finire con le fucilate. Chi evoca la violenza può trovarsi immerso nella violenza, e subirla a sua volta. E se la subisce dopo averla evocata non ha molto diritto di strillare contro la “brutale repressione” cui è sottoposto.
Gli intellettuali da salotto, i guerrieri della tastiera, i teppistelli pronti a prendere a pugni nemici veri o presunti, ma a strillare alla “repressione” se qualcuno li prende a calci in culo farebbero bene a pensarci. Molto seriamente.
OKissimo!!!!!!!!
RispondiEliminaUn unico appunto, caro Giovanni. Per i miei gusti sei troppo moderato.
RispondiElimina"...si può finire con le fucilate". Secondo me il tempo delle fucilate è già arrivato. O almeno loro già sparano, noi rispondiamo a parole.
Arriverà anche il turno della le Pen, di Wilders, della Petry e prima o poi toccherà anche all'Italia. (Si speri NON con Grillo però)
RispondiEliminaPer Bretix, vi è stata l'intervista ad un immigrato (legale, naturalmente) che ha votato in favore del Brexit spiegando le sue ragioni, e dichiarandosi offeso perchè la stampa gli ha dato del razzista e dell'ignorante, cose che sostiene di non essere.
Comunque non capisco. Se i voti delle destre non sono validi, strano che non gli è ancora venuto in mente di creare una dittatura tout court come quella del moccioso coreano, o dell' 'amico' califfo.
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaIo ho anche sentito commenti del tipo che,il voto popolare è andato alla clinton che anche se di poco ha avuto più voti di trump... il problema è il sistema elettorale (guarda caso) i collegi elettorali e i grandi elettori in 3 stati hanno favorito trump cambiando il voto popolare. Al contrario di quanto si pensi il voto americano non è diretto, ma indiretto, gli americani votano i grandi elettori che a loro volta votano il presidente... in sostanza il presidente è eletto da 538 persone scelte da ogni partito durante la campagna elettorale... solo in alcuni stati c'è una legge che impedisce loro d non rispettare il voto demografico... questa è la 5 volta che il presidente eletto non è quello scelto da popolo.
RispondiEliminaCerto, negli USA non contano i voti popolari ma i voti per stati. Visto che si tratta di uno uno stato federale VERO occorre che tutti gli stati contribuiscano alla elezione del presidente. Un singolo stato o pochi stati non possono determinare, solo perché più popolosi, il presidente di una federazione di stati ognuno dei quali, non dimentichamolo, è più grande dell'Italia.
RispondiEliminaComunque, se fossero i voti popolari ad eleggere il presidente si avrebbe una ben diversa affluenza alle urne. Un democratico in Texas oggi è poco incentivato a votare, perchè sa bene che quello stato va di certo ai repubblicani, idem, ma di segno opposto, il discorso per un repubblicano in California. Se il presidente fosse eletto dal voto popolare complessivo TUTTO SAREBBE DIVERSO. Per questo non ha senso conteggiare i voti popolari nelle elezioni americane. Del resto, NESSUNO negli stati uniti ha MAI contestato il sistema di voto. Nei sondaggi questo era considerato favorevole alla Clinto, oggi vien fuori che avrebbe favorito Trump. I soliti sofismi degli italici "progressisti" che NON accettano il responso delle urne.
Impeccabile come sempre
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