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lunedì 29 aprile 2024

INCLUSIVITA'

 

E’ uno dei concetti più diffusi nei tempi di crisi culturale che stiamo attraversando, ma è anche uno dei più potenzialmente pericolosi: mi riferisco al concetto di inclusività.
Dobbiamo includere il diverso, accettarlo, dialogare con lui… praticamente non passa giorno senza che qualcuno non ci ripeta cose simili, soprattutto dagli schermi televisivi. Intesi in senso debole simili discorsi sono del tutto accettabili. L’occidente, nella sua miglior componente, è una civiltà essenzialmente inclusiva. Proprio perché in occidente sono nati e si sono faticosamente affermati valori che hanno portata universale l’occidente è inclusivo. Non si può sostenere la pari dignità di ogni essere umano, indipendentemente da sesso, razza, nazionalità, senza essere inclusivi. Un giapponese è diverso da me, ma ha la mia stessa dignità di persona umana, quindi io sono, devo essere disposto a confrontarmi con lui, a vedere quanto di positivo esiste o può esistere nei suoi valori, nella sua civiltà di appartenenza, sono, in questo senso, inclusivo nei suoi confronti. Fin qui l’inclusività è non solo del tutto accettabile, ma positiva.
Ma non è questo il concetto di inclusività che si sta affermando in questo periodo in occidente.
Per essere positiva la inclusività non può, non deve essere assoluta. Una inclusività totale, illimitata, in una parola, assoluta è una autentica contraddizione in termini. In nome della inclusività dovrei accettare, includere appunto, anche chi rifiuta ogni forma di inclusività. In nome di una illimitata apertura al diverso dovrei accettare chi in quanto diverso mi odia ed odia ogni forma di diversità. Vale per l’inclusività lo stesso limite che vale per la tolleranza: si possono tollerare molte cose ma non l’intolleranza, si può dialogare, ci si può confrontare con molti ma non con tutti, di certo non si può dialogare con chi rifiuta ogni dialogo, non ci si può confrontare con chi considera il confronto come una sorta di offesa, o con chi considera “offensivo” il fatto stesso che qualcuno chieda di confrontarsi.
Ed ancora, si può includere qualcuno o qualcosa solo sulla base della affermazione forte della propria identità. Io includo qualcosa perché sono IO, perché partendo dalla affermazione di ciò che sono considero positivo aprirmi a quel qualcosa. Sono amico di Tizio perché, partendo da ciò che in positivo io sono, desidero includere Tizio fra i miei amici, mentre non includo nella cerchia delle mie amicizie Caio. In questo senso la inclusività è diversa dalla apertura al confronto. Posso confrontarmi sia con Tizio che con Caio, ma alla fine includere solo Tizio nella mia sfera privata. Identità, confronto, inclusività sono concetti in qualche modo collegati, ma restano diversi. Partendo dalla affermazione della propria identità si è disposti al confronto e da questo nasce o può nascere l’inclusione; mai però una inclusione totale, assoluta. A parte il fatto che una simile inclusione è empiricamente impossibile: nessuno può immaginare che la popolazione del mondo si concentri tutta o quasi in un solo paese o continente, a parte questo, una simile illimitata inclusione si scontra col dato originario della affermazione dell’identità di chi include. Per essere positiva l’inclusività non può che essere parziale, limitata, differenziata. Nel momento stesso in cui diventa illimitata, o addirittura assoluta l’inclusività si trasforma in distruzione di certe identità (quelle di chi accoglie per essere chiari) e ciò costituisce la negazione radicale dello stesso concetto di inclusione.

Il concetto oggi egemone in occidente, quanto meno, in settori considerevoli della civiltà occidentale è invece proprio quello di una inclusività assoluta, illimitata, soprattutto di una inclusività separata da ogni forma di affermazione della propria identità. Per essere inclusivi bisogna dimenticarsi di se stessi, per potersi confrontare occorre pregiudizialmente rifiutare i propri valori, rinunciare alla proprie idee, demonizzare la propria storia e nel contempo accettare, considerare pregiudizialmente positivi i valori, le idee, la storia di chi è altro da noi. Non ci vuole molto per capire che in questo modo è proprio il confronto a cessare di esistere. Confrontarsi significa appunto esaminare idee e valori, diversi e valutare, sulla base di comuni valori base, quanto meno il riconoscimento della pari dignità di ogni essere umano, cosa esiste di positivo o negativo nei valori e nelle idee che si confrontano, o, almeno cercare le vie che permettano la pacifica coesistenza di idee e valori diversi. Un confronto che parta dal rifiuto pregiudiziale della propri identità non è confronto, è pura e semplice sottomissione, l’esatto contrario del confronto.
E l’inclusività che nasce da questo non confronto altro non è che rinuncia a se stessi, abbandono della propria identità e trasformazione di una grande civiltà in una sorta di scatola vuota, pura potenzialità ad aprirsi e ad accogliere tutto e tutti.
E’ deprimente constatare quanto l’occidente sia vicino a forme simili di cattiva inclusività. Idee, usi e costumi che ogni occidentale è pronto a condannare senza appello se si manifestano nella sua civiltà sono accettate, o quanto meno criticate in maniera blanda, quasi impercettibile, se si manifestano, e con ben altra diffusione, in civiltà diverse. Femministe che tacciono di fronte a fustigazioni e lapidazioni delle adultere, imposizione del velo, infibulazione, difensori dei diritti degli omosessuali che nulla dicono di fronte al carcere o alla impiccagione di omosessuali, sostenitori del laicismo e del libero pensiero che non hanno nulla da obiettare alla pena di morte per apostati e bestemmiatori… l’elenco sarebbe lungo. Ed ancora, la nostra storia ridotta ad un accumulo di orrori, cui si contrappone una molto presunta innocenza nella storia delle altre civiltà, l’universalità di alcuni nostri valori negata, mentre è proprio tale universalità a costituire lla solida base per una inclusività autentica.
Per l’occidentale politicamente corretto includere significa né più né meno ridursi a scatola vuota, merto contenitore di tutto ciò che è altro. Nessuna civiltà però può ridirsi a scatola vuota, mera potenzialità inclusiva, senza perire. L’abbandono da parte dell’occidente politicamente corretto, dei propri valori base altro non è che l’autodistruzione dell’occidente e con questa, la fine di una positiva tendenza alla buona inclusione.
Siamo di fronte ad un paradosso che se non fosse tragico sarebbe comico: una civiltà che annovera fra i suoi valori base la tolleranza, l’apertura al confronto e quindi alla inclusione rischia, in nome della accettazione di una assoluta, cattiva inclusività di distruggere le basi stesse di politiche di autentica inclusione. L’inclusivismo politicamente corretto favorisce solo chi è intollerante, rifiuta ogni dialogo, intende non confrontarsi ma dominare, non includere ma assoggettare.
Un paradosso che è segno dei tempi di crisi che stiamo attraversando...

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