E’ uno dei concetti più diffusi nei tempi di crisi culturale che
stiamo attraversando, ma è anche uno dei più potenzialmente
pericolosi: mi riferisco al concetto di inclusività.
Dobbiamo
includere il diverso, accettarlo, dialogare con lui… praticamente
non passa giorno senza che qualcuno non ci ripeta cose simili,
soprattutto dagli schermi televisivi. Intesi in senso debole simili
discorsi sono del tutto accettabili. L’occidente, nella sua miglior
componente, è una civiltà essenzialmente inclusiva. Proprio perché
in occidente sono nati e si sono faticosamente affermati valori che
hanno portata universale l’occidente è inclusivo. Non si può
sostenere la pari dignità di ogni essere umano, indipendentemente da
sesso, razza, nazionalità, senza essere inclusivi. Un giapponese è
diverso da me, ma ha la mia stessa dignità di persona umana, quindi
io sono, devo essere disposto a confrontarmi con lui, a vedere quanto
di positivo esiste o può esistere nei suoi valori, nella sua civiltà
di appartenenza, sono, in questo senso, inclusivo nei suoi confronti.
Fin qui l’inclusività è non solo del tutto accettabile, ma
positiva.
Ma non è questo il concetto di inclusività che si
sta affermando in questo periodo in occidente.
Per essere
positiva la inclusività non può, non deve essere assoluta. Una
inclusività totale, illimitata, in una parola, assoluta è una
autentica contraddizione in termini. In nome della inclusività
dovrei accettare, includere appunto, anche chi rifiuta ogni forma di
inclusività. In nome di una illimitata apertura al diverso dovrei
accettare chi in quanto diverso mi odia ed odia ogni forma di
diversità. Vale per l’inclusività lo stesso limite che vale per
la tolleranza: si possono tollerare molte cose ma non l’intolleranza,
si può dialogare, ci si può confrontare con molti ma non con tutti,
di certo non si può dialogare con chi rifiuta ogni dialogo, non ci
si può confrontare con chi considera il confronto come una sorta di
offesa, o con chi considera “offensivo” il fatto stesso che
qualcuno chieda di confrontarsi.
Ed ancora, si può includere
qualcuno o qualcosa solo sulla base della affermazione forte della
propria identità. Io includo qualcosa perché sono IO, perché
partendo dalla affermazione di ciò che sono considero positivo
aprirmi a quel qualcosa. Sono amico di Tizio perché, partendo da
ciò che in positivo io sono, desidero includere Tizio fra i miei
amici, mentre non includo nella cerchia delle mie amicizie Caio. In
questo senso la inclusività è diversa dalla apertura al confronto.
Posso confrontarmi sia con Tizio che con Caio, ma alla fine includere
solo Tizio nella mia sfera privata. Identità, confronto, inclusività
sono concetti in qualche modo collegati, ma restano diversi. Partendo
dalla affermazione della propria identità si è disposti al
confronto e da questo nasce o può nascere l’inclusione; mai però
una inclusione totale, assoluta. A parte il fatto che una simile
inclusione è empiricamente impossibile: nessuno può immaginare che
la popolazione del mondo si concentri tutta o quasi in un solo paese
o continente, a parte questo, una simile illimitata inclusione si
scontra col dato originario della affermazione dell’identità di
chi include. Per essere positiva l’inclusività non può che essere
parziale, limitata, differenziata. Nel momento stesso in cui diventa
illimitata, o addirittura assoluta l’inclusività si trasforma in
distruzione di certe identità (quelle di chi accoglie per essere
chiari) e ciò costituisce la negazione radicale dello stesso
concetto di inclusione.
Il concetto oggi egemone in
occidente, quanto meno, in settori considerevoli della civiltà
occidentale è invece proprio quello di una inclusività assoluta,
illimitata, soprattutto di una inclusività separata da ogni forma di
affermazione della propria identità. Per essere inclusivi bisogna
dimenticarsi di se stessi, per potersi confrontare occorre
pregiudizialmente rifiutare i propri valori, rinunciare alla proprie
idee, demonizzare la propria storia e nel contempo accettare,
considerare pregiudizialmente positivi i valori, le idee, la storia
di chi è altro da noi. Non ci vuole molto per capire che in questo
modo è proprio il confronto a cessare di esistere. Confrontarsi
significa appunto esaminare idee e valori, diversi e valutare, sulla
base di comuni valori base, quanto meno il riconoscimento della pari
dignità di ogni essere umano, cosa esiste di positivo o negativo nei
valori e nelle idee che si confrontano, o, almeno cercare le vie che
permettano la pacifica coesistenza di idee e valori diversi. Un
confronto che parta dal rifiuto pregiudiziale della propri identità
non è confronto, è pura e semplice sottomissione, l’esatto
contrario del confronto.
E l’inclusività che nasce da questo
non confronto altro non è che rinuncia a se stessi, abbandono della
propria identità e trasformazione di una grande civiltà in una
sorta di scatola vuota, pura potenzialità ad aprirsi e ad accogliere
tutto e tutti.
E’ deprimente constatare quanto l’occidente
sia vicino a forme simili di cattiva inclusività. Idee, usi e
costumi che ogni occidentale è pronto a condannare senza appello se
si manifestano nella sua civiltà sono accettate, o quanto meno
criticate in maniera blanda, quasi impercettibile, se si manifestano,
e con ben altra diffusione, in civiltà diverse. Femministe che
tacciono di fronte a fustigazioni e lapidazioni delle adultere,
imposizione del velo, infibulazione, difensori dei diritti degli
omosessuali che nulla dicono di fronte al carcere o alla impiccagione
di omosessuali, sostenitori del laicismo e del libero pensiero che
non hanno nulla da obiettare alla pena di morte per apostati e
bestemmiatori… l’elenco sarebbe lungo. Ed ancora, la nostra
storia ridotta ad un accumulo di orrori, cui si contrappone una molto
presunta innocenza nella storia delle altre civiltà, l’universalità
di alcuni nostri valori negata, mentre è proprio tale universalità
a costituire lla solida base per una inclusività autentica.
Per
l’occidentale politicamente corretto includere significa né più
né meno ridursi a scatola vuota, merto contenitore di tutto ciò che
è altro. Nessuna civiltà però può ridirsi a scatola vuota, mera
potenzialità inclusiva, senza perire. L’abbandono da parte
dell’occidente politicamente corretto, dei propri valori base altro
non è che l’autodistruzione dell’occidente e con questa, la fine
di una positiva tendenza alla buona inclusione.
Siamo di fronte
ad un paradosso che se non fosse tragico sarebbe comico: una civiltà
che annovera fra i suoi valori base la tolleranza, l’apertura al
confronto e quindi alla inclusione rischia, in nome della
accettazione di una assoluta, cattiva inclusività di distruggere le
basi stesse di politiche di autentica inclusione. L’inclusivismo
politicamente corretto favorisce solo chi è intollerante, rifiuta
ogni dialogo, intende non confrontarsi ma dominare, non includere ma
assoggettare.
Un paradosso che è segno dei tempi di crisi che
stiamo attraversando...
Nessun commento:
Posta un commento