So che molti non saranno d'accordo con me, ma voglio dire chiaramente quello che penso. Non condivido lo sdegno degli amici ebrei per l'iniziativa de “Il giornale” di pubblicare ed allegare in omaggio il “Mein Kampf “ di Hitler.
Innanzitutto una precisazione. Il “giornale” NON distribuisce gratuitamente ai suoi lettori il libro di Hitler, lo allega in omaggio al libro: “Storia del terzo Reich” di William Shirer che è posto in vendita insieme al quotidiano. Ho letto anni fa la “storia del terzo Reich”; è un'ottima, anche se ormai datata, ricostruzione storica del nazismo, caratterizzata da una condanna assoluta, totale nei confronti di questa ideologia mostruosa. Da questo punto di vista quindi non sono possibili equivoci. Giusta o sbagliata che sia la pubblicazione del “Mein kampf” non si inquadra in alcun tentativo di riabilitare il nazismo, ci mancherebbe altro!
Ma non solo di questo si tratta. Bisogna avere il coraggio di dirlo, una volta per tutte. Il nazismo non è stato un fungo velenoso nato non si sa bene perché in un certo momento storico. Chi pensa che proibire la lettura del "Mein kampf" equivalga ad eliminare dalla cultura europea le suggestioni filo naziste è completamente fuori strada.
L'ideologia criminale di Hitler ha profonde radici non solo nella storia e nella società tedesche ma nella cultura tedesca e, più in generale, occidentale. Lo ha messo bene in evidenza un grande storico delle idee come George Mosse ne “le origini culturali del terzo reich” e “La cultura dell'Europa occidentale”. L'ideologia del nazionalsocialismo affonda le sue radici nella violenta reazione antiilluministica ed antirazionalista che ha caratterizzato in parte il diciannovesimo e i primi decenni del ventesimo secolo. La pretesa di sostituire l'intuizione, se non addirittura l'istinto, alla ragione quale strumento di conoscenza, la divinizzazione del “wolck”, l'esaltazione razziale del sangue e della terra, l'antiindustrialismo, il richiamo romantico alla primordiale natura “incontaminata”, la critica del parlamentarismo e della democrazia “dominata dal denaro”, la contrapposizione fra Kultur e zivilisation. Queste solo alcune delle idee, e delle mitologie, largamente diffuse nella cultura europea del diciannovesimo e della prima parte del ventesimo secolo che sfoceranno, in forma estremizzata e paranoica, oltre che culturalmente risibile, nella ideologia malata del “Mein kampf”. Tracce, e in certi casi non solo tracce, della paranoia hitleriana le possiamo rinvenire in pensatori del calibro di Hegel e Fichte, Nietzche ed Heiddeger, Spengler e Schmmit.
E ben anteriore ad Hitler è l'antisemitismo che il dittatore nazista trasformerà in uno dei più grandi, forse nel più grande, crimine della storia. Si tratta, purtroppo, di qualcosa di assai diffuso nella storia del pensiero occidentale, sia conservatore che rivoluzionario. E' presente anche in Karl Marx, che pure era, come si sa, ebreo. Ecco come l'inventore del “socialismo scientifico” parla dell'ebraismo in “la questione ebraica”, sua opera giovanile il cui stesso titolo è piuttosto significativo.
“Quale è il fondamento mondano del giudaismo? Il bisogno pratico, l'egoismo.
Quale è il culto mondano dell'ebreo? Il traffico. Quale è il suo Dio mondano? Il denaro. Ebbene, l'emancipazione dal traffico e dal denaro, dunque dal giudaismo pratico reale sarebbe l'autoemancipazione del nostro tempo. (…) L'emancipazione degli ebrei nel suo significato ultimo è la emancipazione della umanità dal giudaismo” (1)
Per emanciparsi gli ebrei devono rinunciare alla loro essenza giudaica che per Marx si identifica con gli aborriti denaro e traffici. Il senso di simili posizioni è chiarissimo: l'ebreo come prototipo della alienazione capitalistica forma, ultima e perfezionata, per Marx, della alienazione umana. Non siamo al “Mein kampf”, certo, ma è difficile non intravederne i bagliori sinistri.
Qualcuno può dire che una cosa sono elevate teorizzazioni filosofiche, cosa ben diversa la volgarità di un libello indecente. C'è del vero in una simile considerazione, ma, ha o non ha senso vedere dove possono sfociare, a volte, certe elevate speculazioni? Ha poco senso paragonare la nietzschiana “volontà di potenza” ai deliri del “Mein kampf”, come non è molto sensato paragonare il “Il Capitale” di Marx alle formulette da breviario del “libretto rosso” di Mao. Però, val la pena di leggerle, quelle formulette da breviario, se non altro per porsi la domanda di come sia stato possibile che dalle fitte pagine del primo si sia passati alle sciocchezze del secondo. Piaccia o non piaccia la cosa, il nazismo è parte della nostra storia, anche di quella culturale. Bisogna farci i conti. Impedire la pubblicazione, quindi lettura, del principale testo “teorico” del nazionalsocialismo aveva un senso negli anni successivi al secondo conflitto mondiale, quando, nel generale sfacelo, il pericolo della resurrezione di una ideologia criminale era reale. Oggi, ad oltre 70 anni dalla morte di Hitler una simile censura è davvero fuori luogo.
Le cause di un possibile sbandamento di parti importanti della pubblica opinione verso posizioni estremistiche di destra non vanno cercate, oggi, nel diffondersi della mitologia nazista “classica”, ma nella profondità della crisi economica, culturale, morale in cui si dibatte l'occidente e nella viltà dei suoi governanti. Il prostrarsi di tanti uomini politici europei di fronte all'arroganza del fondamentalismo islamico può agevolare l'estremismo della destra estrema mille volte più che la pubblicazione del “Mein kampf”.
La pubblicazione del libraccio di Hitler può favorire lo studio del fenomeno nazista, agevolarne la comprensione, permetterci di capirne le cause, e con queste gli errori e le viltà che ne hanno facilitato la vittoria. Ben lungi dal favorire il cieco estremismo di una destra violenta, la riflessione sul nazismo, condotta senza censure che hanno il solo risultato di trasformare i persecutori in vittime, serve a contrastarlo.
E serve anche a confutare tante idiozie e menzogne oggi di gran moda. Si provi a trovare nel “Mein kampf” qualcosa che avalli il presunto “filosionismo” di Hitler di cui parlano oggi tanti sedicenti “antisionisti non antisemiti”. Oppure si leggano i deliri antisemiti del “Mein kampf”, e li si paragoni con quanto dicono oggi in tanti sullo stato di Israele! Ci si troverà di fronte a straordinarie somiglianze. “Gli ebrei causano le guerre”, diceva Hitler, “Israele è causa di guerre” ripetono oggi gli “antisionisti”, a volte ebrei come Moni Ovadia. “Gli ebrei rubano il pane alla povera gente”, dicevano i nazisti, “gli ebrei rubano la terra ai palestinesi” strillano in coro gli “antisionisti” di oggi. Sono in tanti oggi a parlare dei “nazisti israeliani”. Forse leggendo la bibbia del nazismo si potrebbero trovare utili indicazioni su chi siano, oggi, i nazisti autentici.
Bisogna dire la verità, ogni tanto. Oggi gli antisemiti non sono da ricercarsi fra i possibili lettori del “Mein kampf”. Probabilmente nella loro stragrande maggioranza questi sono persone desiderose di approfondire la conoscenza storica del fenomeno nazista. I veri, pericolosi, antisemiti sono oggi coloro che inneggiano al boicottaggio dei prodotti Israeliani, quelli che definiscono “armi giocattolo” i missili di Hammas, o che paragonano il muro edificato dagli israeliani per difendersi dal terrorismo ai reticolati dei campi di sterminio. Gli antisemiti di oggi sono coloro, a volte iscritti al PD, che organizzano le proiezioni del filmetto “Israele il cancro” della signora Samantha Comizzoli (a proposito, cosa ne pensa Matteo Renzi?) o coloro che sono pronti a discutere amichevolmente con gli ebrei, a patto che questi si dichiarino preventivamente nemici di Israele ed amici di chi nega il suo diritto ad esistere. Questi lividi antisemiti sono fra coloro che oggi fanno un gran chiasso sulla iniziativa de “Il giornale”. E non a caso. E' facile per loro mascherare il proprio antisemitismo con qualche parola di condanna per la pubblicazione del libraccio di Hitler. L'odio per gli ebrei di oggi può benissimo essere celato da non sincere parole di solidarietà nei confronti di quelli di ieri. Una vecchia tattica.
Da vecchio liberale sono contrario alla censura. Ritengo che questa sia ammissibile solo in situazioni assolutamente eccezionali. Le persone libere si difendono con le armi quando sono aggredite da gente armata, ma usano le parole per difendersi dalle parole, anche da quelle indecenti.
Proibire la pubblicazione di certi libri non giova alla causa della libertà, contribuisce a diffondere l'idea sbagliata che si ricorra alla censura perché non si hanno argomenti da opporre alle farneticazioni. Questo vale per tutto e per tutti, anche per il peggiore dei libri.
1) Karl Marx: La questione ebraica. Editori Riuiti 1974 pag. 81 82. Sottolineature di Marx.
Per quel che può valere, apprezzo Giovanni per le sue lucide parole che condivido in pieno. Lo apprezzo soprattutto per la sua opposizione netta e chiara contro la marea montante del paraculismo sinistrorso, marea che ormai ci sommerge fino alla nausea e contro cui è un imperativo morale combattere, anche se la battaglia è quasi disperata nei tempi calamitosi che stiamo vivendo.
RispondiEliminaDiciamo che siamo fort Alamo... :-)
RispondiEliminaHo scritto un commento che non compare: mi sa che deve essere finito in spam.
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