
Magdi Cristiano Allam sarà
“processato” dall'ordine dei giornalisti. Rischia il posto, non
molto per uno come lui che è stato condannato
a morte dai
nostri fratelli mussulmani e per le cose che da tempo scrive e per il
fatto di essersi convertito al cristianesimo, cosa che i nostri
fratelli considerano degna della pena capitale.
Secondo l'ordine Allam avrebbe scritto
articoli in cui “non compaiono valutazioni critiche per fatti di
cronaca circostanziati ma affermazioni di carattere generale sulla
religione islamica e coloro che la osservano, con una
generalizzazione che colpisce anche quanti, moderati, tra i circa due
milioni presenti in Italia, rispettano le leggi del Paese che li
ospita”.
L'”accusa” è degna del tribunale della santa
inquisizione o, a scelta, di qualche corte islamica. Allam ha fatto
“affermazioni di carattere generale sulla religione islamica”.
Ora, da quando in qua fare “affermazioni di carattere generale” è
un reato? “Il capitalismo procura miseria e guerre”. “Il
nazismo è una dottrina razzista”. “Il comunismo è incompatibile
con la democrazia liberale”. Tutte queste sono affermazioni di
carattere generale, ed altre,
moltissime altre, se ne potrebbero aggiungere, riguardanti
praticamente tutti i campi della vita, teorica e pratica, degli
esseri umani. Per gli inquisitori dell'ordine dei giornalisti Allam
si sarebbe dovuto limitare a commentare “fatti di cronaca
circostanziati”, senza fare affermazioni di carattere generale.
Insomma, se un islamista sgozza un giornalista questo dovrebbe
riguardare solo quel certo tagliagole e quel certo giornalista. Ogni
considerazione “generale” sulla cultura
di quel tagliagole, sulla società in cui vive ed in cui si è
formato, sul movimento politico a cui appartiene dovrebbe essere
bandita. Gli eventi politici e sociali dovrebbero essere trasformati
in fatti di cronaca nera,
meri avvenimenti,
privi di dimensione generale. Tizio ha sgozzato Caio, Sempronio si è
fatto esplodere in una pizzeria, nella piazza di un tal paese arabo
una donna è morta perché colpita da numerose pietre che Tizio, Caio
e Sempronio le hanno scagliato. Fatti, eventi rigorosamente
delimitati, isolati da ogni contesto economico, sociale, culturale,
questo, solo questo, dovrebbe contare per i saggi dell'ordine dei
giornalisti. Però, dietro a questa pretesa di estrema, asettica e
falsa oggettività
sta, di nuovo, una concezione ben precisa: quella secondo
cui la vita degli esseri umani si riduce ad una serie di eventi
scollegati fra loro, isolati da ogni contesto,
e questa è, di nuovo, una affermazione di carattere generale.
Gli inquisitori burocrati dell'ordine dei giornalisti sono troppo
poco intelligenti per rendersene conto, ma agli esseri umani è
impossibile fare
affermazioni di qualsiasi tipo prive di una dimensione “generale”.
Merita un commento particolare la affermazione
degli inquisitori dell'ordine secondo cui Alam nei suoi articoli
avrebbe fatto generalizzazioni che colpiscono “anche quanti,
moderati, tra i circa due milioni presenti in Italia, rispettano le
leggi del Paese che li ospita”.
Insomma, se io affermo che la
religione islamica è incompatibile con la democrazia liberale questo
colpirebbe indebitamente il signor Ali', mussulmano che vive a Milano
e che tutti conoscono come ottima persona. Con questo modo di
ragionare io non potrei affermare, ad esempio, che il comunismo è
una dottrina eversiva, perché, così facendo, colpirei il signor
Rossi, metalmeccanico di Busto Arsizio, iscritto al partito comunista
ma rigorosamente rispettoso di tutte leggi.
Solo persone
“diversamente intelligenti” possono ragionare in questo modo. In
realtà dal fatto che il comunismo sia una dottrina eversiva non
deriva che tutti i comunisti si comportino da eversori, né
dal fatto che l'Islam non rispetti i diritti delle donne deriva che
tutti i mussulmani trattino in maniera violente le donne con
cui vivono. Fra il generale ed il particolare sta tutta una serie,
spesso assai tortuosa, di mediazioni che impediscono che dal primo
segua meccanicamente il secondo. Il signor Rossi è comunista però
ritiene (sbagliando, ma questo ha poca importanza) che il comunismo
sia compatibile con la democrazia, teorizza la lotta di classe, però
è amico del suo datore di lavoro, pensa che prima o poi scoppierà
una rivoluzione violenta, ma è una persona di indole pacifica e mai
farebbe del male ad un essere umano. Il mondo è pieno, addirittura
traboccante, di felici incoerenze, per fortuna. E queste incoerenze
felici sono parte essenziale delle nostre vite, del modo in cui ci
rapportiamo gli uni agli altri. In occidente sono state pienamente
accolte nel sistema giuridico, il loro riconoscimento è parte
fondamentale dei codici civili e penali. Qui da noi, in occidente,
si giudicano i fatti e non le idee, i comportamenti
e non le filosofie politiche, le azioni e non le
teorizzazioni. Ma tutto questo non conta per i nuovi
Torquemada. Per loro chi critica l'Islam vorrebbe, o dovrebbe volere,
la morte di tutti i mussulmani ed andrebbe trattato come un
assassino. Con un salto che ci riporta al medio evo gli inquisitori
dell'ordine dei giornalisti dimenticano principi banali, elementari
che costituiscono il fondamento stesso della nostra
civile
convivenza.
Per i Torquemada dell'ordine dei
giornalisti Magdi Cristiano Allam sarebbe affetto da “islamofobia”.
Ne sarebbero prova i suoi articoli in cui denuncia le innumerevoli
aggressioni del fondamentalismo islamista all'occidente. Per l'ordine
dei giornalisti non esiste alcun collegamento fra l'attentato alle
torri gemelle ed una religione che predica la Jihad. Il fatto che i
militanti di Hammas affermino che “una terra che è stata
islamica deve tornare ad esserlo, fino al giorno del giudizio”
è per loro un mero caso, privo di retroterra culturale. Chi nega un
simile modo di vedere le cose è un “islamofobo”, quindi
poco meno che criminale.
La cosa “divertente”, si fa per
dire, è che gli stessi che parlano ad ogni piè sospinto di
“islamofobia” neppure sospettano che ci possa essere, e
sia diffusissima, una “americofobia” o una “israelofobia”.
Eppure in certi giornali, o in certi programmi televisivi, gli Stati
uniti ed Israele vengono presentati come la causa di tutti, o quasi,
i mali del mondo. Israele, unico stato democratico del medio oriente,
viene descritto come “stato apartheid”, razzista, violento;
quanto agli Usa, beh, da quando sono nati sono i responsabili di
tutti gli eventi tragici della storia, compresi gli attentati
dell'undici settembre. Dietro a questo modo di “ragionare”, si fa
sempre per dire, non c'è ovviamente fobia alcuna, per i Torquemada
dell'ordine dei giornalisti.
Ma, ammettiamolo pure. Magdi
cristiano Allam è affetto da islamofobia.
E allora? Islamofobia significa, letteralmente, paura, avversione nei
confronti dell'islam. Qualcuno aggiunge che si tratta di paura ed
avversione dettate da preconcetti, pregiudizi. Ammettiamo anche
questo. E allora? Non c'è proprio nulla da temere, non c'è niente
da “avversare” in una religione i cui fedeli si fanno esplodere
pur di massacrare degli “infedeli”? Non è lecito avere qualche
“preconcetto” nei confronti di una fede che prevede la
lapidazione delle adultere, la poligamia, l'infibulazione, la pensa
di morte per apostati e bestemmiatori? Persone che accettano la
laicità dello stato non hanno il diritto di avere dei “pregiudizi”
nei confronti di una religione che la nega con la massima violenza?
Soprattutto, è lecito trasformare questa paura e questa avversione,
questi preconcetti e questi pregiudizi in un reato? Siamo
tutti obbligati ad amare l'Islam? Deve essere
interdetto parlare di quanto esiste di inaccettabile in questa
religione? Chi sarà sfiorato dal dubbio che forse l'Islam non è,
come ripetono in maniera martellante i media tutti i giorni, una
“religione di pace” rischierà di perdere il posto da lavoro,
magari di finire in galera? In occidente non esiste, per ora, la
Sharia, ma i Torquemada dell'ordine dei giornalisti stanno preparando
un suo sostituto “morbido”. I nemici, veri o presunti, dell'Islam
non saranno decapitati ma perderanno il posto di lavoro, forse
finiranno in galera per un po' di tempo, di certo diventeranno dei
paria sociali. Esaltante prospettiva.
Basta guardarsi un po'
attorno per constatare che la “islamofobia” di Allam, vera o
presunta che sia, si basa su fatti incontestabili. Sono invece le
tesi di chi teorizza l'islam “moderato” ad avere pochi riscontri
nella realtà. Terrorismo, attentati suicidi, si dice, sono
deviazioni, distorsioni dell'autentico messaggio coranico. Benissimo,
può darsi che questo sia vero, personalmente ne sarei felice, penso
lo sarebbe anche Magdi Cristiano Allam. Però, a chi spetta
l'onere della prova? La
risposta è ovvia, direi: se io sostengo X,
ed X è contraddetto tutti i giorni dalla comune esperienza umana,
sono io a dover
dimostrare che X esiste. L'onere della prova è sempre a
carico di chi difende tesi che l'esperienza sembra contraddire o
quanto meno non confermare e purtroppo la tesi dell'esistenza di un
Islam moderato e politicamente rilevante
non sembra trovare molte conferme empiriche.
Per affrontare il
problema in maniera non mistificante, bisogna inoltre porsi una
ulteriore domanda: chi possiamo
definire “moderato”? Non si tratta di un quesito di poco conto.
Cosa avremmo detto noi nel 'cinquecento ad un inquisitore che
avesse affermato che i roghi dei liberi pensatori sono una
distorsione del messaggio cristiano? Più o meno gli avremmo detto,
penso, questo: “benissimo, siamo disposti a crederti, però, tu
intento smettila di mandare al rogo presunte streghe e liberi
pensatori”. E cosa avremmo dovuto pensare se questo inquisitore,
subito dopo aver definito i roghi una “distorsione del
cristianesimo”, avesse continuato a far ardere vivi filosofi
scomodi e presunte streghe? O se avesse detto che i roghi sono da
condannare in Italia ma non in Spagna, o che i roghi vanno si,
aboliti, ma solo per essere sostituiti dalle decapitazioni o dal
carcere a vita? Fermo restando che il carcere a vita è meglio del
rogo, avremmo potuto definire “moderato” un simile inquisitore?
Non avremmo avuto buone ragioni per provare, anche nei suoi
confronti, una certa ostilità, per nutrire comunque, anche verso di
lui, preconcetti e pregiudizi?
Nei confronti dell'Islam siamo
oggi in una situazione simile. Alcuni stati islamici collaborano
nella lotta al terrorismo, ed è giusto concludere con questi accordi
diplomatici, magari anche militari; però la condizione della donna
in questi stati resta inaccettabile, e le libertà civili, per uomini
e donne, del tutto assenti. E' lecito avere una politica pragmatica
nei confronti di questi stati, ma lo è anche dimenticare gli
obbrobri che comunque li caratterizzano? E' lecito, in nome dei
necessari accordi diplomatici ed economici, far finta di non vedere
le adultere frustate o lapidate, o gli apostati condannati a morte, o
i matrimoni combinati fra uomini sessantenni e bambine tredicenni? La
capacità di far distinzioni deve tradursi nella rinuncia alla lotta
ideale e politica, alle pressioni economiche nei confronti di quelle
parti dell'Islam con cui non sarebbe realistica la scelta dello
scontro armato?
I Torquemada dell'ordine dei giornalisti fanno
proprio questo, in fondo: propongono che non si parli più del
fondamentalismo assassino, nei cui confronti l'unica scelta
possibile è quella militare, e che meno ancora si parli di tutto
ciò che nell'Islam ripugna la nostra coscienza democratica. Al posto
del rapporto, articolato quanto si vuole ma chiaro sui principi, nei
confronti dell'Islam propongono una politica mielosa, cieca,
assurdamente buonista. Propongono in parole povere che noi si
rinunci ai nostri valori, o che per lo meno che questi valori
si annacquino di molto, proprio mentre molti di loro ci
sparano, e gli altri, quelli che non ci sparano, non
rinunciano comunque a nulla di ciò che li caratterizza e che
è per noi assolutamente inaccettabile.
Da tempo il
“politicamente corretto” sta erodendo in occidente la libertà di
pensiero. I teorici del politicamente corretto stanno trasformando in
insulto ogni tesi che contrasti i loro paradigmi. Un cattolico
che definisca “peccato” l'omosessualità, o un medico che la
consideri una “malattia”, o un antropologo che consideri una
certa cultura inferiore ad un'altra, sono considerati non persone che
esprimono discutibili opinioni ma qualcosa di simile a criminali a
cui si deve tappare la bocca. Se tu affermi X io considero X un
“insulto” e mi sento “offeso”. Quindi, poiché tu non hai il
diritto di offendermi, io chiedo che ti sia tolta la possibilità di
dire X. Questo è, in breve, il modo politicamente corretto di
affrontare qualsiasi discussione. Certo, non è lecito offendere
nessuno, ma nessuno ha il diritto di dichiararsi “offeso” ogni
volta che qualcuno afferma cose che non condivide e di chiedere di
conseguenza che al suo interlocutore venga impedito di parlare. La
libertà di pensiero, e di espressione del proprio pensiero, è per
noi assolutamente fondamentale e questa libertà poggia, fra
le altre cose, proprio sulla capacità di distinguere la libera
espressione del pensiero dall'insulto, e sul rifiuto di ridurre la
prima al secondo.
La distinzione fra insulto ed argomentazione può
a volte essere difficile. In tutto tracciare dei confini netti
è sempre problematico. Quando un bambino cessa di essere tale e
diventa ragazzo, e quando il ragazzo uomo? Impossibile stabilirlo
con scientifica precisione, però ognuno sa distinguere un bambino di
quattro anni da un uomo di quaranta. Allo stesso modo, anche un
bambino coglie benissimo la differenza fra il dire:”tu sei un
imbecille” ed il dire: “le cose che hai detto sono sbagliate per
i seguenti motivi...”. La difficoltà nel tracciare confini precisi
fra argomento ed insulto non rende impossibile, e neppure troppo
difficile, coglierne le differenze, al contrario. Se tutti non
facessimo altro che “offenderci” per ciò che gli altri dicono
non solo ogni dialogo ma ogni forma di civile convivenza fra gli
esseri umani diventerebbero impossibili. Gli unici rapporti fra gli
uomini sarebbe la guerra di tutti contro tutti o una universale,
fredda estraneità.
All'interno del “politicamente
corretto” si è sempre più consolidata una tendenza che potremmo
definire l'islamicamente corretto. L'islamicamente corretto
prescrive i canoni che siamo obbligati a seguire se non vogliamo che
le nostre affermazioni siano considerate “insulti” dai nostri
fratelli mussulmani. Gli atti di terrorismo non riguardano l'Islam ma
singoli individui che, casualmente, sono di fede mussulmana. Il
giudizio politico su un movimento religioso e socio
politico deve essere sostituito da considerazioni di carattere
giuridico riguardanti i singoli. Chi è l'individuo che
si è fatto esplodere? Chi ha sgozzato il tale? Ci si deve fermare
qui, senza fare “osservazioni di carattere generale”. Peccato che
a volte i nostri fratelli si sentano “offesi” anche da
considerazioni strettamente giuridiche, inerenti i singoli. Sono loro
a fare quelle generalizzazioni che noi ci rifiutiamo di fare. La
prossima tappa dell'islamicamente corretto potrebbe essere la
rinuncia a cercare i colpevoli di singoli atti terroristici...
E
le altre caratteristiche dell'Islam? Come la mettiamo con quelle?
Molto semplice: si tratta “deviazioni” che non possono in alcun
modo spingerci ad affrettate condanne. Il vero islam è una religione
di pace e di tolleranza, è laico, compatibile con la democrazia,
l'emancipazione femminile, la libertà di pensiero e via dicendo.
Tutto il resto è “distorsione”, “deviazione” che offre una
immagine falsa dell'Islam. Quindi, per evitare che questa immagine si
diffonda, è bene parlare poco di lapidazioni, infibulazioni e
sgozzamenti vari, meglio ancora, non parlarne affatto. E chi ne parla
è un “islamofobo” che è bene ridurre al silenzio. Prima si
sostituisce un islam virtuale a quello reale, poi si tappa la bocca a
chi continua a parlare del reale ignorando il virtuale. Anche questa
però è una tattica destinata a fallire. Perché moltissimi
estremisti islamici si sentono “offesi” dalla sostituzione di un
Islam posticcio all'Islam reale. Non vogliono un Islam laico, viglio
l'Islam teocratico, reclamano il califfato. E si offendono con le
anime belle dell'occidente che confondono il califfato con lo stato
laico. E così la prossima tappa dell'islamicamente corretto potrebbe
essere la accettazione di una qualche forma di califfato, in onore
del “dialogo multiculturale”, ovviamente.
Magdi Cristiano
Allam è stato condannato a morte dal fondamentalismo
islamico, lo si è già detto. Condannato a morte per le idee
che esprime e per la sua conversione al cristianesimo. Già quella
fu, a suo tempo, guardata con malcelato fastidio da molti occidentali
politicamente corretti. Va bene convertirsi, ma farsi battezzare dal
Papa... che esagerazione. I nostri fratelli mussulmani considerano la
apostasia un reato degno della morte... non diciamo che Magdi Allam
non doveva convertirsi, ma, poteva farlo senza tanta pubblicità, con
discrezione, di nascosto... Così ragionano i “buoni” di casa
nostra. I mussulmani possono ostentare la propria fede, gli altri
devono nasconderla. Fra un po' raccomanderanno a tutti di festeggiare
il Natale rigorosamente in privato, magari si dovrà andare a
lavorare il giorno di Natale, se no qualcuno potrebbe “offendersi”.
Il processo cui i Torquemada dell'ordine dei giornalisti
intendono sottoporre Allam è tristemente emblematico. Un
intellettuale condannato a morte dal fondamentalismo islamico
processato per islamofobia! L'aggredito diventa aggressore, la
vittima dell'odio viene presentata come un fomentatore di odio. Ma si
tratta solo della punta dell'iceberg. Dietro a questo processo
assurdo c'è una serie infinita di cedimenti, viltà, autocensure che
giorno dopo giorno stanno distruggendo i valori su cui si fonda la
nostra civiltà. Senza una scossa, uno scatto d'orgoglio,
l'occidente, specie nella sua culla, l'Europa, è morto. Ecco
perché difendere Magdi Cristiano Allam dall'attacco vergognoso di
cui è vittima è un dovere morale per tutti coloro che
amano la libertà. Lo ripeto, per tutti, indipendentemente dal
fatto che si condividano o meno le idee del giornalista di origine
egiziana. Perché, come ebbe a dire un certo Voltaire, se un uomo è
perseguitato per le sue idee, non occorre condividere le sue idee per
difenderlo dai suoi persecutori.