sabato 9 luglio 2016

LA CRISI DEL POLITICAMENTE CORRETTO

Integrazione vuol dire condivisione di valori comuni. Una società integrata non è una società in cui tutti si riconoscono negli stessi valori, hanno le stesse idee, difendono i medesimi interessi. Però è una società in cui tutte, o la stragrande maggioranza delle persone si riconoscono in alcuni valori base, validi al di là di legittimi e contrasti e differenze.
Se questo è vero, nulla è tanto lontano dalla integrazione quanto il politicamente corretto. Il politicamente corretto non mira alla integrazione, ma alla cristallizzazione delle differenze. Tutto viene accettato perché tutto è, in un modo o nell'altro, interno ad una certa cultura. Invece di dire al musulmano: “devi abbandonare l'ideologia della sottomissione della donna” il politicamente corretto gli dice: “la sottomissione della donna è parte della tua cultura, quindi la rispetto”, o, peggio ancora, cerca di fare apparire la condizione della donna musulmana non per quella che è: una miserevole semi schiavitù, ma per quella che non è e non può essere: una forma “alternativa” di libertà.
Per il politicamente corretto è fondamentale il valore delle culture, a condizione, ovviamente, che siano culture non occidentali. L'essere qualcosa una cultura da a questo qualcosa un valore intrinseco, indipendentemente dai suoi contenuti. Poligamia, lapidazioni, burka, tutto va accettato in nome del “rispetto della diversità” senza mai chiedersi se davvero ogni cosa sia degna di rispetto in quanto “diversa” da qualche altra. Anche la tratta degli schiavi e l'olocausto in fondo sono stati “diversi”. L'esaltazione della diversità si trasforma in questo modo in esaltazione della più totale uniformità, perché, in nome del rispetto della “diversità culturale” si accetta anche quanto distrugge le libertà individuali ed impone agli esseri umani le più vomitevoli forme di uniformità forzata.

E, sempre in nome di questo fasullo amore per “il diverso”, il politicamente corretto ha dato vita a tutta una serie di ridicoli, ma gravi, privilegi. Col sistema delle quote si è fatta passare l'idea che l'accesso a certe cariche non debba essere la conseguenza della professionalità, ma dell'appartenenza a questo o quel gruppo. Sei donna? Devi essere eletta parlamentare, se no si tratta di “discriminazione”. Sei nero e fai il regista? Devi vincere un Oscar, se no è “discriminazione”. L'essere davvero anti razzisti, o anti sessisti, consiste nel non vedere, in certi casi, il sesso o il colore della pelle. Puoi entrare in parlamento, indipendentemente dal fatto di essere maschio o femmina, bianco o nero, se elettrici ed elettori ti votano, vinci l'oscar se fai buoni film. Il sistema politicamente corretto delle “quote” ha stravolto queste verità elementari dando vita ad autentiche forme di razzismo o sessismo mascherati in cui a contare davvero sono il sesso, o il colore della pelle, o altre caratteristiche inessenziali degli esseri umani.

Ed ha trasformato la società in un aggregato di tribù, un insieme di gruppi non uniti da nulla e pronti, se capita, a farsi la guerra. Se ad essere davvero importante non è la condivisione di pochi ma essenziali valori ma l'appartenere a questo o quel gruppo la società si disgrega. E in una società disgregata quando sorgono conflitti non ci si può appellare a norme, valori, consuetudini condivise che permettano di risolverli. Li si può risolvere in un solo modo: sparandosi addosso.
Per molti neri americani se un poliziotto ammazza un giovane nero non val la pena di chiedersi se abbia avuto o meno le sue buone ragioni: ad essere assolutamente prioritario è il fatto che il membro di un altro gruppo ha fatto fuori un membro del mio gruppo. Probabilmente ci sono molti bianchi che cominciano, sul versante opposto, a pensarla nello stesso modo. Siamo lontani anni luce, come si vede, dal sogno di Martin Luter King di una America unita al di là delle differenze. Oggi sembrano esserci solo le differenze, senza unità alcuna.
Certo, alla base di quanto sta avvenendo in America ci sono molte cause, economiche e sociali soprattutto, ma sarebbe un errore gravissimo sottovalutare l'importanza della sottocultura politicamente corretta nei tragici episodi di cui siamo spettatori.
Il politicamente corretto parla di unificazione ed integrazione, ma non integra nessuno, non può, non vuole farlo; e divide, profondamente, tutti. Parla di diritti e distrugge il diritto, si, lo distrugge perché il diritto è per sua essenza universale mentre l'essenza del politicamente corretto è la particolarità, anche più meschina. Si dice anti razzista ma risponde a logiche sostanzialmente razziste. E fallisce, ogni giorno di più, sotto gli occhi di tutti. Lo si vede nella sua patria d'origine, gli USA, siamo destinati a vederlo anche in Europa, ed in Italia. Purtroppo.

1 commento:

  1. Il politicamente corretto è il modo prepotente e prevaricatore di zittire chi dice verità scomode

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