domenica 18 dicembre 2016

VICESINDACA

Tizia, una gentile signora, è “sindaca” di una città italiana. Caio, un barbuto omaccione, è il suo vice. Caio è vice sindaco o vice sindaca? Un bel problema.
Nel termine composto “vicesindaco, la parola “sindaco” posta subito dopo “vice”, si riferisce, appunto, al sindaco, a chi copre la carica di sindaco. Se il sindaco è una “sindaca”, il suo vice deve essere definito vice sindaca, anche se a coprire la carica di vice è un essere umano di sesso indubitabilmente maschile.
Declinare al femminile il termine “sindaco” rende immediatamente impossibile declinare al femminile il termine “vice sindaco”. Se il sindaco è di sesso maschile, il suo vice sarà vicesindaco anche se si tratta di una graziosa fanciulla, se invece il sindaco è di sesso femminile, una “sindaca”, il suo vice sarà “vicesindaca” anche se porta barba e baffi. Tutto questo ovviamente se la logica conserva un minimo di senso, cosa che non darei troppo per scontata.
Le vicende di “vicesindaco” dovrebbero dimostrare abbastanza chiaramente a chi ha conservato un minimo di capacità di raziocinio che la declinazione al femminile (o al maschile) di alcuni termini indicanti cariche o funzioni è priva di senso. Certo, probabilmente non è casuale che termini come “sindaco” abbiano una desinenza al maschile. Forse ha inciso nel formarsi di tale desinenza il fatto che per lungo tempo cariche come quella di sindaco erano riservate esclusivamente agli uomini. Ma lo sviluppo storico, lo stesso in cui si sono formate certe parole, ha modificato, ampliandolo, il modo in cui oggi queste vengono intese. Oggi tutti sanno che il termine “sindaco” indica una carica, non il sesso di chi la ricopre, e nessuno si stupisce se a coprire quella carica è un essere umano di sesso femminile. Le vestali del radicalismo femminista però non si accontentano. Il loro fine non è un linguaggio che serva a comunicare correttamente e, se possibile, in maniera esteticamente gradevole. No, il loro fine è la sessualizzazione del linguaggio. Piene di furore ideologico si riuniscono e modificano a tavolino la lingua parlata per adattarla alle loro fisime ideologiche. E così, dall'oggi al domani, sui giornali e sulle TV tutti parlano di “sindache” e ministre”, stuprando la lingua italiana.
Cosa ci aspetta nel prossimo futuro? La signora Boccassini diventerà una “magistrata”? Addirittura una “pubblica ministera”? E' possibile anche se su questo le vestali sembrano procedere coi piedi di piombo. Chissà, qualche magistrato, maschio o femmina che sia, potrebbe pensare che lo si sta prendendo in giro e spedire ai riformatori linguistici un avviso di garanzia. non si sa mai...

Un po' stupisce che tanta gente, anche lontana dal politicamente corretto si adegui alla barbarie linguistica imperante. Personaggi insospettabili parlano tranquillamente della “sindaca” di Roma, accettano come naturale la violenza al linguaggio che per altri aspetti rifiutano, ad esempio quando definiscono, giustamente, “clandestini i” presunti “profughi”. Come mai?
Molti probabilmente subiscono il ricatto psicologico che sta dietro all'uso di certe parole. Se non dici “sindaca” sei un nemico delle donne, un bieco, immondo, maschilista. Inoltre ritengono che si tratti, tutto sommato, di una questione secondaria. Usiamo pure la parola “sindaca”, che male c'è?
Si tratta di un errore gravissimo, a mio parere. Usare termini come “sindaca” o “ministra” è grave perché usandoli si avalla l'azione di tutti coloro che pensano che la lingua possa essere costruita a tavolino ed imposta d'imperio ai parlanti. Dietro a termini come “sindaca”, o “normodotato” o “afroamericano” non c'è nessuna evoluzione spontanea, molecolare, del linguaggio e neppure alcuna opera di abbellimento dello stesso messa in atto da scrittori e letterati, qualcosa di simile, per intenderci, a quanto fatto da un Dante e da un Manzoni. No, dietro a quei termini c'è solo la prepotenza burocratica di chi usa coscientemente la lingua a fini politico-ideologici. Perché la manipolazione del linguaggio in atto risponde a finalità ideologiche, questo va ribadito con la massima chiarezza. Si vuole costruire una neolingua totalmente funzionale alla ideologia politicamente corretta che sta uccidendo la nostra civiltà. I termini che in qualche modo contrastano con questa ideologia vanno espulsi dal linguaggio, chi li usa va prima emarginato, poi, possibilmente, punito. Chi non usa “sindaca” è un maschilista nemico delle donne, chi rifiuta “afroamericano” è razzista, chi parla di “terrorismo islamico” invece che di “terrorismo di matrice islamica” è islamofobo e così via.
Altro che questione secondaria! NON usare, fra le altre, una parola come “sindaca” vuol dire difendere la libertà di tutti. Degli uomini come delle donne.

2 commenti:

  1. Io gli andicappati continuo a chiamarli andicappati, i neri continuo a chiamarli neri. Tra l'altro il termine nero è usato dagli stessi neri (tranne la Kienge, ma lei è una boldriniana), perchè dovremmo avere problemi ad usarlo noi bianchi se i primi a non farsene un problema sono proprio i neri?

    I fascisti avevano fatto più o meno la stessa cosa. Però caduto il fascismo, sono cadute anche le loro novelle parole (tipo florare - flirtare)

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  2. Ho appena mandato una mail al mio anestesisto per informarlo sulle terapie applicate dal fisiatro; poi domani chiamo l'oculisto per chiedergli un appuntamento. Per il dentisto invece aspetto dopo le feste.

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