Per
capire il senso del famoso “America first” di Donald Trump
dovremmo, penso, porci una semplicissima domanda.
Qualcuno pensa davvero che per lui la vita sua, di sua moglie, dei suoi figli, di tutti coloro che gli sono cari sia sullo stesso piano di quella di persone sconosciute, che vivono dall'altra parte del globo? Difficile sostenerlo.
Io non pretendo, so di non dover pretendere, diritti particolari, non ritengo che sia giusto dare a me particolari tutele a scapito di altri. So che in quanto essere umano sono ontologicamente sullo stesso piano di tutti gli altri esseri umani. Ma so anche che per me la vita mia, dei miei figli, di mia moglie, di tutti coloro che mi sono vicini ha un valore diverso, particolare, non è sullo stesso piano della vita degli altri. Nessuno di noi è mera generalità astratta, uomo generico. Ognuno di noi è se stesso nella sua unicità e nella sua particolarità. Ognuno di noi ha rapporti con una cerchia di persone che per lui non sono sullo stesso piano di altre. Una disgrazia che colpisse mio figlio avrebbe per me un valore del tutto diverso da analoga disgrazia che colpisse un giovane australiano. E come essere umano raziocinante sono prontissimo a riconoscere che per il genitore del giovane australiano la disgrazia che colpisse mio figlio avrebbe un valore del tutto diverso da quella che colpisse il suo.
Se non esistesse questa fondamentale unicità e particolarità degli esseri umani lo stesso universalismo dei diritti sarebbe privo di senso. Se io mettessi tutti gli altri sul mio stesso piano, se per me la felicità loro e dei loro cari avesse lo stesso valore della mia e dei miei cari felicità, a cosa servirebbero gli uguali diritti? Perché dovrei essere tutelato dal furto se per me fosse indifferente che il denaro che ho guadagnato finisse sul mio o su un altrui conto? Se non faccio differenza alcuna fra me e Tizio, se la sua felicità vale per me quanto la mia sventura, perché dovrei essere difeso dalle sue prevaricazioni?
Tutti abbiamo, in quanto esseri umani, pari dignità, si sente ripetere, molto spesso a sproposito. E' vero, tutti abbiamo la stessa dignità di esseri umani, ma la abbiamo in quanto ognuno di noi è quel certo essere umano, quella persona diversa da tutte le altre, che da alla sua vita e a quella dei suoi cari un valore particolare, unico. I diritti universalmente riconosciuti tutelano ognuno di noi nella sua unicità e particolarità. Si eliminino queste e diventiamo tutti mera universalità astratta, pure unità interscambiabili cui non ha senso riconoscere dignità e diritti.
Le considerazioni fatte valgono, val la pena di sottolinearlo, per gli individui come per i gruppi che questi individui formano. Io do importanza più alla mia famiglia che a quella di Tizio. Mi sento più vicino a chi conosco, alle persone che vivono situazioni simili alle mie che non ad altre, che non vedrò mai nel corso di tutta la mia vita e che a volte condividono con me solo la comune appartenenza al genere umano. Nei confronti di queste ultime sono vincolato dal dovere etico del rispetto; alle prime mi legano invece sentimenti di di vario tipo: dall'amore alla simpatia, dall'amicizia alla consapevolezza, più o meno vaga, di condividere con loro qualcosa di importante. Chiediamoci ora: fra questi gruppi a cui ci sentiamo più vicini che ad altri possono essere annoverati gli stati nazione? Certo, l'Italia non è in alcun modo paragonabile alla famiglia di ognuno di noi, ma è o non è vero che sentiamo nei confronti dei nostri connazionali un legame diverso da quello che sentiamo nei confronti di altri? Perché mai vicende come quella dei terremotati del centro Italia ci colpiscono più di altre, magari più gravi, che avvengono altrove nel mondo? Perché quando avvengono sventure in paesi lontani media si affrettano ad informarci sulla presenza o meno di italiani? Esiste o non esiste qualcosa, che ci fa considerare certe persone sconosciute, che però vivono in un paese chiamato “Italia”, diversamente da altre? Penso sia difficile negarlo, e questo senza cadere in alcuna forma di nazionalismo sciovinista e xenofobo.
Certo, il famoso “America first” può anche essere interpretato come una arrogante manifestazione di nazionalismo esclusivista, ma non credo si tratti di una interpretazione corretta. Dicendo “America first” Trump non si è rivolto agli italiani, ai francesi o ai tedeschi. Non ha detto loro: noi siamo più importanti di voi. Questa sarebbe stata, si, una intollerabile manifestazione di nazionalismo becero. Dicendo “America first” Trump si è rivolto, con tutta evidenza, agli americani. Ha detto che per gli americani l'America deve tornare ad essere al primo posto. Il che non implica che gli americani non possano o non debbano collaborare con gli altri, relazionarsi a loro, commerciare con loro, cercare con loro accordi politici ed economici. Ma devono farlo avendo a cuore, prima di tutto, il proprio interesse, esattamente come noi dobbiamo avere a cuore il nostro.
A saper ben vedere le cose non c'è stato nulla nel discorso di Trump che non sia perfettamente compatibile con la concezione liberale classica, nulla che contrasti con la filosofia politica di un Locke o con le concezioni economiche di un Adam Smith, il cui capolavoro non a caso si intitola "la ricchezza delle nazioni".
Certo, tutto è possibile. Uno slogan o un discorso non fanno una politica. Staremo a vedere come evolvono le cose, con calma, e senza isterismi.
Qualcuno pensa davvero che per lui la vita sua, di sua moglie, dei suoi figli, di tutti coloro che gli sono cari sia sullo stesso piano di quella di persone sconosciute, che vivono dall'altra parte del globo? Difficile sostenerlo.
Io non pretendo, so di non dover pretendere, diritti particolari, non ritengo che sia giusto dare a me particolari tutele a scapito di altri. So che in quanto essere umano sono ontologicamente sullo stesso piano di tutti gli altri esseri umani. Ma so anche che per me la vita mia, dei miei figli, di mia moglie, di tutti coloro che mi sono vicini ha un valore diverso, particolare, non è sullo stesso piano della vita degli altri. Nessuno di noi è mera generalità astratta, uomo generico. Ognuno di noi è se stesso nella sua unicità e nella sua particolarità. Ognuno di noi ha rapporti con una cerchia di persone che per lui non sono sullo stesso piano di altre. Una disgrazia che colpisse mio figlio avrebbe per me un valore del tutto diverso da analoga disgrazia che colpisse un giovane australiano. E come essere umano raziocinante sono prontissimo a riconoscere che per il genitore del giovane australiano la disgrazia che colpisse mio figlio avrebbe un valore del tutto diverso da quella che colpisse il suo.
Se non esistesse questa fondamentale unicità e particolarità degli esseri umani lo stesso universalismo dei diritti sarebbe privo di senso. Se io mettessi tutti gli altri sul mio stesso piano, se per me la felicità loro e dei loro cari avesse lo stesso valore della mia e dei miei cari felicità, a cosa servirebbero gli uguali diritti? Perché dovrei essere tutelato dal furto se per me fosse indifferente che il denaro che ho guadagnato finisse sul mio o su un altrui conto? Se non faccio differenza alcuna fra me e Tizio, se la sua felicità vale per me quanto la mia sventura, perché dovrei essere difeso dalle sue prevaricazioni?
Tutti abbiamo, in quanto esseri umani, pari dignità, si sente ripetere, molto spesso a sproposito. E' vero, tutti abbiamo la stessa dignità di esseri umani, ma la abbiamo in quanto ognuno di noi è quel certo essere umano, quella persona diversa da tutte le altre, che da alla sua vita e a quella dei suoi cari un valore particolare, unico. I diritti universalmente riconosciuti tutelano ognuno di noi nella sua unicità e particolarità. Si eliminino queste e diventiamo tutti mera universalità astratta, pure unità interscambiabili cui non ha senso riconoscere dignità e diritti.
Le considerazioni fatte valgono, val la pena di sottolinearlo, per gli individui come per i gruppi che questi individui formano. Io do importanza più alla mia famiglia che a quella di Tizio. Mi sento più vicino a chi conosco, alle persone che vivono situazioni simili alle mie che non ad altre, che non vedrò mai nel corso di tutta la mia vita e che a volte condividono con me solo la comune appartenenza al genere umano. Nei confronti di queste ultime sono vincolato dal dovere etico del rispetto; alle prime mi legano invece sentimenti di di vario tipo: dall'amore alla simpatia, dall'amicizia alla consapevolezza, più o meno vaga, di condividere con loro qualcosa di importante. Chiediamoci ora: fra questi gruppi a cui ci sentiamo più vicini che ad altri possono essere annoverati gli stati nazione? Certo, l'Italia non è in alcun modo paragonabile alla famiglia di ognuno di noi, ma è o non è vero che sentiamo nei confronti dei nostri connazionali un legame diverso da quello che sentiamo nei confronti di altri? Perché mai vicende come quella dei terremotati del centro Italia ci colpiscono più di altre, magari più gravi, che avvengono altrove nel mondo? Perché quando avvengono sventure in paesi lontani media si affrettano ad informarci sulla presenza o meno di italiani? Esiste o non esiste qualcosa, che ci fa considerare certe persone sconosciute, che però vivono in un paese chiamato “Italia”, diversamente da altre? Penso sia difficile negarlo, e questo senza cadere in alcuna forma di nazionalismo sciovinista e xenofobo.
Certo, il famoso “America first” può anche essere interpretato come una arrogante manifestazione di nazionalismo esclusivista, ma non credo si tratti di una interpretazione corretta. Dicendo “America first” Trump non si è rivolto agli italiani, ai francesi o ai tedeschi. Non ha detto loro: noi siamo più importanti di voi. Questa sarebbe stata, si, una intollerabile manifestazione di nazionalismo becero. Dicendo “America first” Trump si è rivolto, con tutta evidenza, agli americani. Ha detto che per gli americani l'America deve tornare ad essere al primo posto. Il che non implica che gli americani non possano o non debbano collaborare con gli altri, relazionarsi a loro, commerciare con loro, cercare con loro accordi politici ed economici. Ma devono farlo avendo a cuore, prima di tutto, il proprio interesse, esattamente come noi dobbiamo avere a cuore il nostro.
A saper ben vedere le cose non c'è stato nulla nel discorso di Trump che non sia perfettamente compatibile con la concezione liberale classica, nulla che contrasti con la filosofia politica di un Locke o con le concezioni economiche di un Adam Smith, il cui capolavoro non a caso si intitola "la ricchezza delle nazioni".
Certo, tutto è possibile. Uno slogan o un discorso non fanno una politica. Staremo a vedere come evolvono le cose, con calma, e senza isterismi.
Trovo normale amare la propria famiglia, interessarsi ad essa più di ogni altra famiglia.
RispondiEliminaQuesto non mi ha impedito di mettere a rischio la mia vita per salvare altre persone (e in più occasioni). L'amore per sé, per i propri, per il prossimo (che se è "prossimo" vuol dire che è vicino) non implica l'odio verso altri.
Il proprio sacrificio a beneficio di sconosciuti, senza chiedere nulla in cambio, NON è incompatibile con l'amore per la propria città, la propria squadra, la propria Nazione.
Semmai, credo, il disamore per se stessi, per la propria famiglia, per la propria città e nazione può (non necessariamente, dico solo "può") nascondere qualcosa di patologico, e manifestarsi nell'odio, e non credo che sia un caso che proprio da persone così, disadattate nei confronti dei propri valori, siano usciti i personaggi più crudeli ed omicidi che la storia ricordi.
Questo mio pensiero, capisco, può essere contestabile, ma non è contestabile che persone che amino la propria famiglia si rivelino spesso molto generose anche verso gli altri.
L'amore si nutre di amore.
Secondo me.
Sono le idee economiche di Trump ad essere incompatibili con la concezione economica di Adam Smith.
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