E'
morto Dario Fo. E' stato un grande attore, meglio, un grande,
grandissimo giullare, un uomo capace di “tenere” da solo il
palcoscenico per ore. Questa però è la sola cosa buona che si può
ricordare di lui.
NON è stato un grande letterato, malgrado il nobel tutto politico che gli è stato concesso. Le sue opere teatrali sono prive di autonomo valore letterario, pura propaganda. Solo la sua incredibile abilità istrionesca conferiva a questa spazzatura una effimera grandezza. Chi avesse dei dubbi può chiedersi: si rappresentano forse, oggi, interpretate da altri, opere come “Morte accidentale di un anarchico defenestrato” o “Non si paga, non si paga”? Direi di no. Passato il momento politico queste opere sono cadute in un meritatissimo oblio. Del resto, se si pensa che scrittori come Musil, o, per scendere alquanto di livello restando però sempre alti, Kundera, non hanno mai preso il nobel, assegnato invece a Dario Fo, si capiscono molte cose sullo stato odierno di certi riconoscimenti, specie in discipline non scientifiche.
Ma Dario Fo è stato soprattutto un uomo impegnato in politica, ed è su questo impegno che si possono dire su di lui le cose meno belle.
Fascista da giovanissimo si è convertito poi al comunismo. Ed ha utilizzato tutta la sua abilità di giullare per celebrare due fra i massimi tiranni criminali espressi da questa ideologia totalitaria: Giuseppe Stalin e Mao Tze Tung.
E' stato un mao stalinista coerente e fazioso. Il suo modello era la “grande rivoluzione culturale proletaria”, si , proprio quella, con i professori universitari mandati ai lavori forzati in campagna o messi, letteralmente, alla gogna nelle strade e nelle piazze di Pechino.
Secoli fa, da giovanotto, ho assistito a molte sue rappresentazioni. In una gli ho sentito dire, più o meno, che “dopo la rivoluzione i primi che bisognerà fucilare saranno gli intellettuali”, nulla di nuovo sotto il sole. Un'altra, si trattava, se ricordo bene, di “Fedayn”, una bieca esaltazione del terrorismo palestinese, è stata seguita dall'immancabile dibattito. Pochi giorni prima era stato assassinato il commissario Calabresi. Il giudizio su quella “uccisione” (nessuno nell'estrema sinistra definì mai “omicidio” la morte di Calabresi) era, ovviamente, il tema del dibattito. La platea si divise fra chi rivendicava il valore politico della “uccisione” di Calabresi e chi invece sottolineava i pericoli che da questa potevano sorgere per “lo sviluppo delle lotte”. Dario Fo sosteneva questa seconda tesi. La morte di Calabresi poteva essere usata dai “nemici del proletariato”, ucciderlo era stata una cosa poco opportuna.
Ecco, era questo il Dario Fo politico, quello che ha concluso i suoi giorni, non casualmente, come guru del movimento di Grillo.
Sinceramente, non lo rimpiango. Riposi comunque in pace.
NON è stato un grande letterato, malgrado il nobel tutto politico che gli è stato concesso. Le sue opere teatrali sono prive di autonomo valore letterario, pura propaganda. Solo la sua incredibile abilità istrionesca conferiva a questa spazzatura una effimera grandezza. Chi avesse dei dubbi può chiedersi: si rappresentano forse, oggi, interpretate da altri, opere come “Morte accidentale di un anarchico defenestrato” o “Non si paga, non si paga”? Direi di no. Passato il momento politico queste opere sono cadute in un meritatissimo oblio. Del resto, se si pensa che scrittori come Musil, o, per scendere alquanto di livello restando però sempre alti, Kundera, non hanno mai preso il nobel, assegnato invece a Dario Fo, si capiscono molte cose sullo stato odierno di certi riconoscimenti, specie in discipline non scientifiche.
Ma Dario Fo è stato soprattutto un uomo impegnato in politica, ed è su questo impegno che si possono dire su di lui le cose meno belle.
Fascista da giovanissimo si è convertito poi al comunismo. Ed ha utilizzato tutta la sua abilità di giullare per celebrare due fra i massimi tiranni criminali espressi da questa ideologia totalitaria: Giuseppe Stalin e Mao Tze Tung.
E' stato un mao stalinista coerente e fazioso. Il suo modello era la “grande rivoluzione culturale proletaria”, si , proprio quella, con i professori universitari mandati ai lavori forzati in campagna o messi, letteralmente, alla gogna nelle strade e nelle piazze di Pechino.
Secoli fa, da giovanotto, ho assistito a molte sue rappresentazioni. In una gli ho sentito dire, più o meno, che “dopo la rivoluzione i primi che bisognerà fucilare saranno gli intellettuali”, nulla di nuovo sotto il sole. Un'altra, si trattava, se ricordo bene, di “Fedayn”, una bieca esaltazione del terrorismo palestinese, è stata seguita dall'immancabile dibattito. Pochi giorni prima era stato assassinato il commissario Calabresi. Il giudizio su quella “uccisione” (nessuno nell'estrema sinistra definì mai “omicidio” la morte di Calabresi) era, ovviamente, il tema del dibattito. La platea si divise fra chi rivendicava il valore politico della “uccisione” di Calabresi e chi invece sottolineava i pericoli che da questa potevano sorgere per “lo sviluppo delle lotte”. Dario Fo sosteneva questa seconda tesi. La morte di Calabresi poteva essere usata dai “nemici del proletariato”, ucciderlo era stata una cosa poco opportuna.
Ecco, era questo il Dario Fo politico, quello che ha concluso i suoi giorni, non casualmente, come guru del movimento di Grillo.
Sinceramente, non lo rimpiango. Riposi comunque in pace.
Grillo e i nazisti di Casa Pound: a riprova del fatto che il serpente può fare quante mute si vuole, ma sempre serpente rimane.
RispondiEliminaFasciocomunista. Ecco perchè ero confusa.
RispondiEliminaSarà stato il solito vigliaccone che va dove sventola la bandiera. Se arrivavano i muslims sarebbe diventato uno dei più agguerriti musulmani.
“dopo la rivoluzione i primi che bisognerà fucilare saranno gli intellettuali”
Allora anche lui. Perchè quelli come Dario Fo facevano parte proprio della sfera degli intellettuali. Atteggiamento da 'kapò' tipico dei voltagabbana.