sabato 17 maggio 2025

NUMERI

 

E’ uno degli argomenti “forti” dei propal: i numeri.“Sono morti meno di 2.000 israeliani e oltre 50.000 palestinesi e questo la dice lunga sulle ragioni e sui torti del conflitto”: questo più o meno il loro “argomento”.Si tratta con tutta evidenza di una siderale idiozia. Non solo prende per buone l le incontrollabili cifre fornite da Hamas ma instaura una ridicola equivalenza fra torti e ragioni di un conflitto da una parte e numero dei caduti dall’altra. Ragionando (si fa per dire) in questo modo la Germania nazista avrebbe avuto nella seconda guerra mondiale enormemente più ragioni della gran Bretagna, visto che ha avuto un numero di caduti quasi 30 volte superiore. Ma… lasciamo perdere, prendiamo per buono questo pseudo argomento, concentriamoci pure sui numeri.
Lo abbiamo visto tutti: in occasione della liberazione di alcuni ostaggi i “palestinesi” di Hamas hanno preteso la liberazione di oltre 100 terroristi palestinesi per ogni ostaggio liberato. In molti casi hanno preteso più di 100 palestinesi vivi per restituire agli israeliani il corpo senza vita di un ostaggio assassinato. Il rapporto è stato di uno a 100, forse di uno a 120 o 150.
Negli attacchi del 7 ottobre sono morti circa 1.300 israeliani, tutti civili, inermi, disarmati: giovani che ballavano, donne, bambini, vecchi.Ebbene, secondo il rapporto, stabilito da Hamas, in base al quale sono stati liberasti un certo numero di ostaggi questi 1.300 israeliani assassinati dovrebbero valere come minimo 130.000 palestinesi, probabilmente molti di più. In ogni caso, anche prendendo per buone le inattendibili cifre fornite da Hamas sui caduti palestinesi siamo ancora ben lontani da una cifra simile.
La mia è solo una provocazione ovviamente: nulla è tanto rivoltante quanto la macabra contabilità sui cadaveri che i propal fanno continuamente, ma è una provocazione che ne mette in risalto la cattiva fede, l'intollerabile disonestà intellettuale. Non fanno altro che confrontare il numero dei morti, ma diventano ciechi, sordi e muti di fronte allo spettacolo indegno di centinaia di terroristi liberati in cambio spesso di qualche corpo senza vita restituito a persone in lacrime.
Anche quelli sono numeri! O no?


Sopra ho parlato del numero dei caduti nella guerra di Gaza riferendomi al demenziale rapporto di uno a 100, addirittura uno a 150 richiesto da Hamas in occasione del rilascio di alcuni ostaggi (per inciso, prendere civili in ostaggio è ufficialmente un crimine di guerra).
Torno sull’argomento “numeri” affrontandolo da un altro punto di vista: quello del TEMPO. Il sette ottobre i tagliagole di Hamas hanno ucciso, in un SOLO giorno, circa 1300 civili israeliani. Hanno colpito questi civili deliberatamente, non si tratta delle vittime collaterali dei combattimenti, ma di persone inermi finite nel mirino dei criminali proprio perché inermi. Hamas non avverte i civili, non li invita ad abbandonare il luoghi dello scontro, val la pena di sottolinearlo.In ogni caso, in un SOLO giorno Hamas ha trucidato 1.300 israeliani, poi si è dovuta fermare, non perché sazia di sangue, semplicemente perché la IDF ha impedito ai suoi militanti di continuare la mattanza. Ora, 1.300 morti in un giorno vuol dire circa 40.000 in un mese, quasi 500.000 in un anno; certo, Hamas non ha raggiunto simili mostruose cifre, ma, val la pena di ripeterlo, non le ha raggiunte solo perché NON in grado di farlo, solo perché ha dovuto pensare a sfuggire agli attacchi delle IDF, senza potersi concentrare su vecchi, donne e bambini. Però… che succederebbe se Hamas vincesse? Se la “Palestina” fosse “libera dal fiume al mare” come strillano i propal? Cosa succederebbe se Israele cessasse di esistere e di fronte ai tagliagole di Hamas restassero solo inermi civili? Basta porsi una simile, elementare domandina per capire CHI ha davvero in mente un genocidio, chi dovrebbe essere oggi sotto accusa di fronte al mondo.
Ma tanti occidentali “buoni” sono ciechi, sordi e muti, in molti casi stupidi, quando c’è di mezzo Israele.

martedì 22 aprile 2025

FRANCESCO

 

E’ giusto, doveroso il rispetto nei confronti di chi ha attraversato la soglia che separa tutti noi dall’insondabile mistero della morte. Gli strilli, le polemiche faziose, gli insulti, sempre criticabili, diventano in simili occasioni del tutto inaccettabili. Tutto questo però non implica che il discorso sulla vita di chi ci ha lasciati debba trasformarsi in una sorta di osanna apologetico in cui ogni considerazione critica viene bandita e la discussione pacata ma rigorosa viene sostituita dalla retorica ipocrita.
Lo dico col massimo rispetto ma anche con la massima chiarezza: la mia valutazione sull’apostolato di papa Francesco è e resta del tutto negativa.
Con lui è salita sul soglio di Pietro qualcosa di simile alla teologia della liberazione: un compromesso sincretistico fra cattolicesimo e marxismo che si traduce in una sorta di populismo pauperistico in cui la povertà diventa spesso, invece che un nemico da combattere, un valore da difendere, contrapposta al “consumismo compulsivo” e al “Dio denaro”.
In effetti, se si guarda con attenzione alla predicazione di papa Francesco una cosa salta all’occhio: la profonda antipatia di questo papa nei confronti della civiltà occidentale. Dalla guerra in Ucraina a quella in medio oriente le critiche di papa Francesco sono quasi sempre state rivolte, in maniera spesso assai aspra, contro l’occidente. La crisi in medio oriente in particolare ha spinto Francesco su posizioni che hanno fatto arretrare di decenni i rapporti fra cattolicesimo ed ebraismo. Da un lato il papa ha detto più volte di considerare il fondamentalismo islamico un fenomeno praticamente privo di radici sociali e culturali, una cosa che riguarda solo pochi fanatici, dall’altro ha strizzato l’occhio a chi accusa di “genocidio” uno stato che da quasi 80 anni lotta contro nemici spietati che hanno il solo scopo di cancellarlo dalla faccia della terra.
Tutta la visione socio economica di Francesco si riduce in fondo a quella che il grande filosofo conservatore Roger Scruton ha definito “la fallacia della somma zero”: esiste la miseria perché esiste la ricchezza, nel mondo ci sono i poveri perché ci sono i ricchi che si appropriano ingiustamente di gran parte delle risorse che madre natura ha messo a nostra disposizione. Una concezione elementare dei meccanismi e dei problemi economici, che lo stesso Marx avrebbe rigettato con sdegno. Madre natura ci regala poco o nulla, per trasformare in risorse e poi in ricchezza ciò che madre natura mette a nostra disposizione occorre il lavoro, lo studio, la ricerca, l’innovazione tecnologica. Storicamente il segreto della forza dell’occidente non risiede nella sua capacità di conquista e saccheggio: in questo altre civiltà sono state altrettanto o anche più forti: risiede nella rivoluzione scientifica e industriale, nell’autonomia della società civile, nella “scoperta” dei valori della libertà individuale e poi della democrazia. Tutto questo manca nella visione sociale ed economica di papa Francesco.
E questo tocca profondamente altre parti del suo pensiero: l’atteggiamento ad esempio dei confronti della, non si sa quanto reale e grave, crisi ambientale. Su questo problema Francesco non solo ha sposato le tesi dell’ecologismo più radicale e catastrofista, non solo ha accusato di tutto, more solito, l’occidente dimenticando che non sono certo i paesi occidentali a essere all’avanguardia nell’inquinamento del pianeta, ha avallato, e questa per un credente è forse la cosa più grave, la divinizzazione della natura, una sorta di neopaganesimo oggi di moda in occidente che contrasta radicalmente con la dottrina cristiana. Il cristianesimo, piaccia o non piaccia la cosa, è antropocentrico: il cristiano rispetta e ama la natura, ma la ama e rispetta perché frutto della creazione divina che ha nell’uomo il suo culmine. Per il cristianesimo, e per una parte importante del pensiero filosofico laico, l’uomo è un ente “insulare”, parte della natura ma non SOLO natura, quanto meno,  parte della natura con caratteristiche che segnano uno iato profndo nella natura stessa. Per larga parte del radicalismo pseudo ecologico oggi di moda l’uomo è, nella migliore delle ipotesi, solo una componete di qualche ecosistema, nella peggiore un fattore di squilibrio e crisi. Su questo le posizioni di Francesco sono sempre state quanto meno assai ambigue.
E ancora, assai poco condivisibili restano le posizioni del papa ora scomparso sulle migrazioni clandestine, o sul dialogo inter religioso; attenzione, NON sulle conseguenze sociali, economiche e politiche delle religioni, su questo il dialogo è del tutto accettabile, no, dialogo fra le religioni, come se si potesse discutere sui dogmi! Francesco è giunto al punto di affermare che tutte le religioni credono nello stesso Dio, divergendo solo sulle “vie” per raggiungerlo. Una concezione rispettabile per un non credente come me, ma che, oltre a non essere, ad oggi, non vera dovrebbe essere sostenuta da un deista, non dal vescovo di Roma.
Non è il caso di prolungarsi ulteriormente, non è questa di certo la sede per un discorso approfondito sul pensiero del papa scomparso, né io ho la forza di farlo. Di certo nel suo apostolato ci sono luci e ombre e nulla è tanto ipocrita quanto il plauso apologetico di questi giorni.

mercoledì 16 aprile 2025

REALISMO

 

Oggi Giorgia Meloni incontra Donald Trump. Fare previsioni sull’esito dell’incontro è assolutamente impossibile, quindi non le tento neppure, mi limito a fare alcune considerazioni non sulla Meloni e Trump, ma su tutti quelli che diventano verdi solo a sentir nominare il presidente USA.
Per comodità di ragionamento do ragione a quanti Trump proprio lo detestano: “avete ragione”, dico loro, “Trump è brutto, sporco è cattivo, è il peggio del peggio, l’incarnazione del male… e allora?”
Trump può essere il diavolo in persona, ma chi lo detesta dovrebbe quanto meno tenere bene a mente alcune cosette che elenco brevemente.
1) Trump è il presidente della nazione militarmente ed economicamente più forte del mondo.
2) Oggi Trump è molto più forte di quanto non fosse nel corso del suo primo mandato. Allora aveva contro praticamente tutto l’establishment USA, era osteggiato addirittura da una parte consistente del suo stesso partito, oggi le cose sono completamente diverse.
3)) Chi spera che Trump venga fatto fuori per via giudiziaria, grazie a qualche impeachment è del tutto fuori strada; a meno di colpi di scena assolutamente imprevedibili (malattia o attentato) Trump governerà gli USA fino al gennaio del 2029. Fatevene una ragione.
4) Anche se Trump dovesse morire stanotte il vice che prenderebbe il suo posto è molto simile a lui, addirittura peggiore, per qualcuno. Non solo: fare previsioni è impossibile, ma ci sono quanto meno notevoli probabilità che a fine mandato sia sostituito da un altro della sua stessa pasta.
Da qualsiasi punto di vista ci si collochi una cosa è certa: il “trumpismo” non è un fenomeno passeggero, piaccia o non piaccia la cosa ci troviamo di fronte a un movimento che ha radici profonde nella società americana e non solo. E allora chiedo a quanti Trump lo detestano: come volete reagire a un fenomeno simile? Pensate davvero che ripetere fino alla noia che Trump è tanto brutto cambi di un millimetro le cose? Credete che i vostri strilli un po’ isterici modificheranno la situazione? Credete davvero che Italia ed Europa possano dichiarar guerra, anche solo commerciale, agli USA? Siete davvero convinti che la Cina di Xi Jinpoing sia un partner più affidabile dell’America di Trump? Infine, la domanda da un miliardo di dollari: davvero pensate che contrapporre agli USA di Trump una Europa “woke” sia una mossa giusta? Possibile che non capiate che Trump si è affermato in condizioni quasi proibitive per lui NON perché milioni di persone per bene siano diventate “fasciste” dall’oggi al domani ma perché nauseate dalle follie nichiliste del “woke”? In una certa misura Trump è figlio del “woke”, esprime il rifiuto sempre più diffuso del nichilismo politicamente corretto. Chi non capisce una cosa tabnto semplice è davvero MOLTO “diversamente intelligente”.
Un po' di sano realismo non guasterebbe, ma chiederlo a certi personaggi è davvero... irrealistico.
E tanto basta.

mercoledì 9 aprile 2025

DAZI

 

Qualche modestissima considerazione a ruota libera, senza nessuna pretesa "scientifica", sui dazi.
1) Fa davvero ridere vedere come persone fino a un minuto fa nemiche giurate della globalizzazione, del liberismo, super critiche del mercato siano diventate dall’oggi al domani paladine del libero scambio.
Allo stesso modo è divertente osservare in che modo persone che fino a un minuto fa tuonavano contro il “nazionalismo”, detestavano il concetto stesso di patria, non volevano neppur sentir parlare di identità siano diventate in un attimo strenue paladine dell’economia nazionale, del “patriottismo” italiano e (udite udite) europeo.
2) I dazi non li ha inventati Trump, sono sempre esistiti. Protezionismo e libero scambio sono due poli della politica economica che i vari stati da sempre adottano variandoli al variare delle situazioni. Praticamente tutte le economie del continente europeo sono cresciute potendo contare su preziosi dazi protettivi. Il libero scambio puro non è mai esistito, si tratta di una astrazione economica, utile nel campo analitico ma mai empiricamente adottata. Un paese che ha una bilancia commerciale in disavanzo cronico è tentato di ricorrere a dazi, specie se i concorrenti hanno economie che puntano tantissimo sull’export a danno del mercato interno.
3) La UE e l’Italia in particolare hanno speso e spendono una valanga di soldi per aver spalancato le porte alla immigrazione clandestina di massa. Buttano miliardi e miliardi in politiche pseudo ecologiche. L’imposizione dell’auto elettrica sta letteralmente distruggendo l’industria automobilistica europea, la scelta delle energie “pulite e rinnovabili” (che tali NON sono) costringe le imprese europee e italiane in particolare a pagare molto più cara una energia di cattiva qualità. L’Italia in particolare è soffocata da un sistema fiscale demenziale e da demenziali regole burocratiche. Tutte queste follie deprimono l’economia ben più dei dazi di Trump. Eppure chi strilla contro questi è strenuo sostenitore di quelle...
4) A parte tutto quanto già scritto, cosa voglio di preciso quelli che accusano di “inerzia” il governo Meloni e strillano come se i dazi li avesse messi lei? Cosa propongono di preciso?
Vogliono che la Meloni organizzi una manifestazione contro i dazi, con striscioni e palloncini colorati? Sarebbe una ottima iniziativa perbacco!
Voglio che la UE, Italia in testa, dichiari guerra agli USA? Non credo visto che sono anche contro il riarmo, e poi, ce li vedete i lagunari che sbarcano a New York?
Vogliono una guerra commerciale USA - UE? Non li sfiora il dubbio che ne usciremmo, NOI ben più degli USA, con le ossa rotte?
Vogliono che ci cerchiamo nuovi partner commerciali? La Cina ad esempio? Davvero pensano che con il buon Xi jnping le cose andrebbero meglio?
In realtà non vogliono nulla di preciso, solo fare della propaganda da quattro soldi. L’unica politica sensata in questo momento è proprio quella che faticosamente la Meloni cerca di portare avanti: tentare di ricucire la frattura fra le due sponde dell’oceano. Strada difficile ma non impossibile, comunque l’unica percorribile.
Il resto sono solo chiacchiere.

giovedì 20 marzo 2025

VENTOTENE

 

Francamente non mi sembra che, coi problemi che abbiamo, sia troppo serio accendere polemiche sul manifesto di Ventotene, vale anche la pena di ricordare che a riesumare questo vecchio documento non è stata Giorgia Meloni ma gli organizzatori della manifestazione “per l’Europa”. Per quanto ovvio vale anche la pena di aggiungere che persone come Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, confinati, appunto, a Ventotene durante il fascismo sono degne del massimo rispetto, questo però, è altrettanto ovvio, non significa condividere quanto da loro scritto.
Quindi, cosa mai è scritto in questo famoso “manifesto “ da alcuni promosso a carta fondatrice dell’Europa, fondamento della democrazia, una sorta di emendamento alla costituzione repubblicana? Personalmente mi limito ad esaminare alcuni brani contenuti nel capito lo terzo: “i compiti del dopo guerra la riforma della società”. Diamo quindi la parola al “manifesto”.

“La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze dovrà essere socialista” afferma il manifesto, “cioè dovrà proporsi l'emancipazione delle classi lavoratrici e la creazione per esse di condizioni più umane di vita”.
Quindi rivoluzione socialista europea. Siamo però ancora nel generico, visto che ormai il termine “socialista” può significare un sacco di cose diversissime fra loro. Quali dovrebbero essere le caratteristiche del socialismo di Spinelli e Rossi? La risposta degli autori del manifesto è abbastanza chiara: il loro socialismo europeo dovrebbe essere radicalmente diverso dal comunismo sovietico staliniano.
“La bussola di orientamento per i provvedimenti da prendere in tale direzione, non può essere però il principio puramente dottrinario secondo il quale la proprietà privata dei mezzi materialidi produzione deve essere in linea di principio abolita, e tollerata solo in linea provvisoria” una simile impostazione porta infatti, prosegue il manifesto, “alla costituzione di un regime in cui tutta la popolazione è asservita alla ristretta classe dei burocrati gestori dell'economia, come è avvenuto in Russia”. Niente collettivismo di stampo staliniano quindi. Viene da dire: meno male!
La genericità però sembra ancora non superata, vediamo di approfondire il discorso.
Il manifesto parte da una considerazione generale, possiama definirla filosofica, da cui discende, in maniera più o meno coerente, tutto il resto:
“l principio veramente fondamentale del socialismo (…) è quello secondo il quale le forze economiche non debbono dominare gli uomini, ma - come avviene per forze naturali - essere da loro sottomesse, guidate, controllate nel modo più razionale, affinché le grandi masse non ne siano vittime”.
Si comincia a far chiarezza: nell’economia di mercato astratte leggi economiche dominano gli esseri umani, occorre invece sottomettere quelle a questi. Sembra di leggere le ben più profonde pagine di Marx dedicate al “feticismo della merce”: da un lato astratte forze impersonali dall’altro la volontà e la ragione degli esseri umani. Che le astratte leggi del mercato siano il risultato dell’interagire di esseri umani liberi, dei loro interessi, esigenze, valori è allegramente dimenticato. La società aperta in cui è fondamentale la libertà dei singoli è rappresentata come il regno della alienazione che occorre sottoporre ad un controllo “razionale”. Grazie a questo controllo, proseguono gli estensori del manifesto “possono trovare la loro liberazione tanto i lavoratori dei paesi capitalistici oppressi dal dominio dei ceti padronali, quanto i lavoratori dei paesi comunisti oppressi dalla tirannide burocratica”.
 

L’anarchia della società borghese in cui dominano impersonali leggi economiche va sostituita da un controllo razionale esercitato in forme democratiche dal basso. Come una società in cui convivono interessi, idee, valori profondamente diversi possa controllare unitariamente “dal basso” l’economia nel suo complesso resta un mistero. Gli estensori del manifesto neppure si chiedono come mai tutti i tentativi di direzione centralizzata dell’economia si siano risolti nella instaurazione di forme mostruose di totalitarismo burocratico. Se vista in quest’ottica è molto indicativa l’equiparazione che Spinelli e Rossi fanno fra le condizioni dei lavoratori dei paesi occidentali e quella dei lavoratori sovietici. Il manifesto è stato scritto nel 1941. A quel tempo milioni di esseri umani languivano nei gulag staliniani; ridotti al rango di schiavi lavoravano in condizioni mostruose e morivano a centinaia di migliaia. In Ucraina la folle politica agraria di Stalin aveva provocato la morte per fame di come minimo 5, alcuni dicono 10, MILIONI di esseri umani. I lavoratori nord americani godevano invece di un reddito fra i più elevati del mondo. Eppure per Spinelli e Rossi si trattava di liberare “ENTRAMBI”, senza distinzione alcuna, dall’oppressione. Molto, molto indicativo.

Ma c’è un punto che mette bene in chiaro tutta la debolezza teorica e le contraddizioni di questo manifeto considerato da alcuni la “summa” del pensiero democratico e libertario, riguarda il diritto di proprietà, vediamolo:
“La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa, caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio.”
In tutte le democrazie occidentali quello alla proprietà è uno dei diritti fondamentali. Certo, si tratta di un diritto che, come tutti, va esercitato nell’ambito delle leggi che lo regolano, ma sempre di diritto fondamentale si tratta. Gli ordinamenti giuridici delle democrazie occidentali prima fissano un diritto, lo definiscono, poi chiariscono come lo si debba esercitare e, se necessario, elencano con la massima precisione i casi in cui tale diritto può venire temporaneamente limitato. La legge ad esempio, prima stabilisce il diritto alla inviolabilità del domicilio (un caso particolare, a veder bene le cose, del diritto di proprietà) poi enumera i casi in cui questo diritto può essere temporaneamente limitato: ad esempio, se nella indagine relativa ad un crimine emergono gravi indizi a carico del proprietario di un immobile, questo può venir perquisito, dietro autorizzazione, ovviamente, della autorità giudiziaria. Niente di tutto questo nel famoso manifesto di Ventotene. In questo la proprietà privata può essere oggi abolita, domani estesa, dopo domani limitata drasticamente, così, a seconda dei casi o magari al variare delle maggioranze parlamentari. Qualcuno potrebbe seriamente cercare di acquisire delle proprietà in una simile situazione? Chi comprerebbe una casa sapendo che fra un paio d’anni questa potrebbe essergli espropriata se “la situazione” cambia?
Ma a cosa va a parare , in concreto, questo guazzabuglio? Gli autori su questo sono decisamente chiari:
“non si possono più lasciare ai privati le imprese che, svolgendo un'attivitànecessariamente monopolistica, sono in condizioni di sfruttare la massa dei consumatori (ad esempio le industrie elettriche); le imprese che si vogliono mantenere in vita per ragioni di interesse collettivo, ma che per reggersi hanno bisogno di dazi protettivi, sussidi, ordinazioni di favore, (...) e le imprese che per la grandezza dei capitali investiti e il numero degli operai occupati, o per l'importanza del settore che dominano, possono ricattare gli organi dello stato imponendo la politica per loro più vantaggiosa (es. industrie minerarie, grandi istituti bancari,industrie degli armamenti). E' questo il campo in cui si dovrà procedere senz'altro a nazionalizzazioni su scala vastissima, senza alcun riguardo per i diritti acquisiti”
Dietro le roboanti dichiarazioni contro i monopoli o i “ricatti ai governi”, come se questi non potessero reagire agli stessi, Spinelli e Rossi propongono nientemeno che la nazionalizzazione, senza indennizzo, par di capire, di tutte le aziende di grandi dimensioni. Una situazione caratterizzata da un centralismo ancora più estremo di quello instaurato in Unione sovietica al tempo della NEP e per certi aspetti simile a quello della Germania nazista. Di nuovo, molto interessante.

Il manifesto di Ventotene è vecchio di oltre 80 anni, teoricamente non vale nulla e non ha oggi alcun valore pratico. Perché allora polemizzare sullo stesso? Semplice, perché l’italica sinistra ha alcune reliquie sacre e, incapace di dire cose convincenti sui problemi veri del paese, ogni tanto le tira fuori dal sacrario e le presenta a tanti militanti pieni di dubbi, un po' come l’ampolla del sangue di San Gennaro. Non sappiamo che dire o diciamo autentiche oscenità sui flussi migratori incontrollati, il riarmo, la pressione fiscale e allora… oplà, ecco a voi il manifesto di Ventotene!
Giochetti da fiera paesana, che servono solo a far calare ulteriormente il livello del dibattito politico nel paese, già decisamente basso.







sabato 15 marzo 2025

ARMI

 


Sinceramente trovo insopportabile un certo pacifismo ideologico che sta riemergendo trasversalmente. Slogans come “burro non cannoni, pace non guerra, scuole e ospedali, non bombe” ricordano la peggior demagogia pseudo pacifista che ha accompagnato autentiche catastrofi. Nessuna persona normale auspica la guerra, ovviamente, visto però che c’è chi pensa di risolvere i problemi facendo a botte, meglio esser preparati. E’ la deterrenza che garantisce la pace, gli slogan di chi vuol mettere fiori nei cannoni incoraggiano i prepotenti, e tanto basta.
L’Europa e l’Italia in particolare spendono poco per la difesa, occorre che le spese militari aumentino, punto. Che poi gli armamenti servano per costruire un esercito europeo, per rafforzare gli eserciti nazionali o per contribuire maggiormente alle spese NATO è un altro discorso. Di certo l’Italia è l’Europa devono smetterla di pensare che la potenza bellica statunitense possa coprirle all’infinito, anche perché, piaccia o non piaccia la cosa, la nuova amministrazione americana non ha intenzione di continuare con il vecchio andazzo.
Parlare, come fa la Schlein, di “difesa europea” e opporsi a nuove spese in armamenti è una assurdità, un po’ come dire: circolo quadrato.
Teorizzare una Europa divisa o addirittura contrapposta agli USA, una sorta di terza potenza fra USA e Cina, magari più vicina alla Cina che agli USA, è una idiozia siderale. Trump può non piacere, ma pensare che il rapporto con la potenza guida dell’occidente possa cambiare ogni volta che sale alla casa bianca un presidente che qualcuno trova antipatico è una scemenza di dimensioni cosmiche. Tra l’altro l’Europa NON ha né avrà per tutto il futuro prevedibile la forza per giocare un ruolo simile. Solo personaggi come Macron e, assai più in piccolo, Calenda possono non capire che la presunta “terzietà” dell’Europa la porterebbe a essere il tipico vaso di coccio fra vasi di ferro. Il rapporto fra USA ed Europa va ricucito ad ogni costo, è una strada obbligata. Bene fa la Meloni a operare in tal senso.
E tanto basta, in questo sabato piovoso.

venerdì 7 marzo 2025

OTTO MARZO

 

Otto marzo, festa della donna, prepariamoci alla vuota esibizione di oceani di vana retorica.
Si parlerà tanto, giustamente, di diritti delle donne e questa NON sarà vana retorica, ma, possiamo scommetterlo, ci saranno tante dimenticanze oggi, otto marzo.
Non si parlerà oggi di Nasrin Sotoudeh, avvocatessa iraniana condannata a 33 anni di carcere e 148 frustate per aver difeso i diritti umani e in primo luogo i diritti delle donne iraniane, non se ne parlerà oggi come ieri non si è parlato di Asia Bibni, donna pakistana condannata all’impiccagione perché “bestemmiatrice”, in realtà perché cristiana. Non si parlerà delle ragazze iraniane stuprate e uccise dalla polizia morale perché “ree” di non indossare correttamente il velo islamico, non si parlerà delle donne israeliane violentate, sgozzate, sventrate dai tagliagole di Hamas il 7 ottobre, non si parlerà delle donne costrette a vivere in quei sacchi che sono i burka, di quelle che non possono viaggiare da sole, o che devono recarsi al mare vestite di tutto punto per non”provocare” i loro uomini. Di queste donne, di queste centinaia di milioni di donne non si parlerà oggi, possiamo esserne certi.
In compenso si spenderanno fiumi di retorica per condannare un “patriarcato” che in occidente per fortuna o non esiste o è in assoluto declino.
Detto questo, e valeva la pena di dirlo, BUON OTTO MARZO a tutte le amiche.