giovedì 24 aprile 2014

UN ESEMPIO DI PROPAGANDA GOEBBELSIANA PER RAGAZZINI



In un libro di storia dedicato ai ragazzini di seconda media si legge: “perché oggi tanti popoli extraeuropei sono preda di fame, povertà e sottosviluppo? La risposta “ prosegue “non sta affatto nella presunta inferiorità di questi popoli”. Non si può che concordare, ovviamente. Ma solo su questo la concordanza è possibile. Per l'autore del testo infatti se non è la “presunta inferiorità” dei popoli extraeuropei a spiegare la loro secolare arretratezza, questa va spiegata con la niente affatto presunta malvagità degli europei.
Furono gli imperi coloniali a “cambiare gli equilibri fra i popoli della terra”. Fino alla metà del '700, sostiene l'autore del libro di testo, non esisteva nessuna superiorità tecnologica, economica e culturale dell'Europa, no, tutti i popoli di tutti i continenti erano alla pari. Poi i malvagi europei hanno preso a conquistare il mondo e questo ha creato una situazione di arretratezza che si conserva sino ai giorni nostri.
“Ancora intorno al 1750, la produzione economica dei paesi europei, sommati alle colonie inglesi del Nordamerica, era all'incirca pari a quella di Asia, Africa, America centro meridionale. Cioè, non esisteva alcuna vera disparità tra nord e sud del mondo”, così prosegue, incurante del ridicolo, il nostro autore.
Incredibile. Nel 1750 la produzione dell'Europa e del nord America era all'incirca pari a quella di Asia, Africa e America latina! Peccato che nel 1750 il nord America fosse una colonia inglese, e l'America latina, l'Asia e l'Africa fossero o in una situazione coloniale o comunque egemonizzate dalle potenze europee. Si cerca di spacciare per equilibrio fra Europei ed extraeuropei quello che altro non era che l'equilibrio fra l'Europa e le sue colonie. E questo in un libro di testo, qualcosa che dovrebbe insegnare ai ragazzini a pensare, e dovrebbe fornir loro una descrizione il più possibile rigorosa dei fatti.
Ma, andiamo avanti. Nel 1750 gli indios latino americani, gli africani e gli asiatici, e magari i nativi nord americani, producevano quanto gli europei e i coloni nord americani, afferma l'autore di un libro di storia dedicato ai ragazzini delle medie. Poi, prosegue, le cose sono peggiorate.
“Tale situazione però mutò bruscamente nel giro di un secolo, o poco più. Intorno al 1880 il rapporto era già salito a 2:1 (…) nel 1900 il divario era salito a 6:1 nel 1960 a 10:1 (…) nel 2006 a 26:1”. Quale sarebbe la causa di questo incremento nel divario fra la ricchezza del nord e quella del sud del mondo? Semplicissimo: “i paesi oggi “sviluppati” (si, l'autore mette fra virgolette il termine sviluppati, chissà perché...) sono le grandi potenze (Spagna, Inghilterra, Francia, Olanda, Belgio, Germania, Italia) che nel passato conquistarono imperi coloniali più o meno estesi”. La conquista è la spiegazione di tutto. Elementare Watson!
Per una persona capace di pensare un certo paese conquista un impero coloniale se è già più avanzato di coloro che sottomette, se li sovrasta dal punto di vista economico, tecnologico e militare. Per lo “storico” autore di queste righe il rapporto invece si rovescia. Non è vero, ad esempio, che gli Spagnoli disponevano di una superiorità tecnologica e culturale schiacciante nei confronti degli aztechi, per questo un manipolo di avventurieri mise un crisi un impero vastissimo, no, la superiorità tecnologica degli spagnoli sarebbe stata, invece che il presupposto, la conseguenza della conquista, ridicolo.
A questa considerazione, occorre aggiungerne altre. La conquista sarebbe la causa dell'ampliarsi del divario fra i paesi ricchi e quelli poveri che nel 1750 non sarebbe esistito. Ma, buon Dio, l'espansione coloniale inizia ben prima del 1750, anzi, a quella data si è già quasi conclusa. Non solo, Lo stesso autore di questa paginetta mostra che il divario è cresciuto enormemente nella seconda metà del '900, cioè precisamente nel periodo in cui gli imperi coloniali o non esistevano più o si stavano sfaldando. Eppure sostiene che è proprio l'espansione coloniale la causa principale dell'arretratezza. La coerenza logica non è il suo forte, come la storia, del resto.

Tutto preso dalla sua prosa politicamente corretta l'autore della paginetta che stiamo esaminando dimentica che, più o meno intorno al 1750, c'è stato in Europa quel piccolo, insignificante, avvenimento che si chiama rivoluzione industriale, e che dopo la prima rivoluzione industriale altre ne sono seguite, trasformando radicalmente un po' tutti i campi dell'attività produttiva. E dimentica anche, il nostro geniale storico, che la rivoluzione industriale è stata preceduta da quell'altro, piccolo, evento evento che è stata la rivoluzione scientifica del '600, una inezia che ha rovesciato una visione del mondo egemone da secoli e che può con buona ragione considerarsi una delle cause del decollo culturale, economico e tecnologico dell'occidente. 
Per aver chiaro quanto siano ridicole le spiegazioni offerte in pasto a ragazzini di dodici anni, confrontiamole con quelle di un altro autore, di una certa fama.
La borghesia ha avuto nella storia una parte sommamente rivoluzionaria. (...)
Solo la borghesia ha dimostrato che cosa possa compiere l'attività dell'uomo. Essa ha compiuto ben altre meraviglie che le piramidi egiziane, acquedotti romani e cattedrali gotiche, ha portato a termine ben altre spedizioni che le migrazioni dei popoli e le crociate. La borghesia non può esistere senza rivoluzionare continuamente gli strumenti di produzione, i rapporti di produzione, dunque tutti i rapporti sociali. Prima condizione di esistenza di tutte le classi industriali precedenti era invece l'immutato mantenimento del vecchio sistema di produzione. (…)
Con il rapido miglioramento di tutti gli strumenti di produzione, con le comunicazioni infinitamente agevolate, la borghesia trascina nella civiltà tutte le nazioni, anche le più barbare. I bassi prezzi delle sue merci sono l'artiglieria pesante con la quale spiana tutte le muraglie cinesi, con la quale costringe alla capitolazione la più tenace xenofobia dei barbari. Costringe tutte le nazioni ad adottare il sistema di produzione della borghesia, se non vogliono andare in rovina, le costringe ad introdurre in casa loro la cosiddetta civiltà, cioè a diventare borghesi. In una parola: essa si crea un mondo a propria immagine e somiglianza.”
Chi scrive queste parole? Un apologeta del capitalismo? NO, il suo più implacabile nemico, un certo Karl Marx. L'opera da cui sono tratti questi brani è il celeberrimo “
Manifesto del partito comunista”. Per Marx l'occidente borghese ha unificato il mondo e lo ha fatto grazie alla sua superiorità economica, culturale e tecnologica. Questo fatto è per Marx storicamente positivo, segnerebbe una tappa necessaria del cammino della storia verso il suo fine salvifico comunista.
C'è, ovviamente molto di discutibile nelle parole di Marx, ma su un punto il barbone di Treviri ha di certo ragione: il segreto della potenza occidentale non va cercato nelle conquiste ma nell'incremento della produttività del lavoro.
I paesi che sono stati in grado di seguire l'occidente sulla strada dell'innovazione tecnologica, si pensi al Giappone, hanno rapidamente raggiunto, a volte anche superato, molti paesi europei; questo vale anche per paesi che in passato hanno subito la dominazione coloniale, come la Cina, l'India, la Corea del sud, il Brasile. Gli altri, quelli che non sono stati in grado di innovare, rivoluzionare la propria base produttiva, sono invece rimasti tragicamente indietro. In tutto questo la compagnia delle Indie o gli orrori della conquista spagnola dell'America latina, o la triste sorte toccata ai nativi nord americani c'entrano poco o nulla, ferma restando la condanna morale per gli orrori e la umana simpatia per chi ha subito una sorte tristissima.

Una cosa è condannare moralmente quanto va condannato nella politica coloniale europea, altra cosa è fare di questa la causa principale del divario economico e tecnologico che opprime oggi molti paesi. Confondere i due piani significa solo trasformare la storia in propaganda.
Del resto, le potenze occidentali non sono di certo state le sole a sottomettere altri popoli e ad opprimerli in maniera a volte spietata.
Gli spagnoli hanno commesso crimini orrendi a danno degli Atztechi, ma questi erano a loro volta degli imperialisti e degli schiavisti non molto teneri con chi dominavano. La Gran Bretagna si è costruita un impero? Certo, ma era un impero anche la Cina, e gli ottomani hanno dominato per secoli col pugno di ferro moltissime popolazioni. Lo schiavismo è stato un crimine orrendo? Certo, ma non è stato di certo un monopolio dell'occidente. Lo schiavismo esisteva, per fare un solo esempio, nell'impero islamico, ed aveva dimensioni uguali, se non maggiori, di quello che faceva capo al nord America. In certi pesi islamici lo schiavismo è stato abolito (formalmente) solo verso metà dello scorso secolo.
Ma per l'occidentale politicamente corretto solo l'imperialismo occidentale è sporco, brutto e cattivo, e lo è ed in maniera assoluta, anche se storicamente è facilissimo dimostrare che si è trattato di un imperialismo che, almeno in alcuni casi, ha fatto anche qualcosa di positivo (gli inglesi ad esempio hanno abolito in India la discutibile usanza di bruciare viva la vedova, insieme al cadavere del marito deceduto, forse non è stata una proibizione del tutto negativa...).
Ma l'autore della paginetta di propaganda inserita in un libro di scuola non si pone troppi interrogativi. Vuole che gli occidentali “risarciscano” i popoli che hanno oppresso storicamente: “redistribuire risorse e ricchezze costituisce un risarcimento ed una questione urgente di giustizia”, afferma concludendo il suo temino propagandistico.
Benissimo. Andiamo indietro nella storia e chiediamo i giusti risarcimenti. Però, che li paghino tutti. L'impero di Gensis Khan si estendeva dall'estremo fin quasi al medio oriente? Si risarciscano i posteri di coloro che hanno subito il dominio dal grande imperatore guerriero. E lo stesso si faccia con chi ha subito la dominazione islamica, quella cinese, quella atzeca, e, naturalmente, quella inglese e francese. Si potrebbe andare ancora più indietro nel tempo, in questo caso devono stare attenti i romani, che come imperialisti non sono stati niente male!!

Devo ammetterlo, trovare in un libro di testo per le scuole medie della propaganda degna di un Gino Strada o di una Giuliana Sgrena mi ha, un po', solo un po', sorpreso. Sapevo, e so, che viviamo nell'epoca del pensiero unico politicamente corretto, ma pensavo che i ragazzini avessero diritto ad un insegnamento almeno minimamente caratterizzato da rigore e serietà.
In effetti i ragazzini hanno questo diritto, ma il pensiero unico dominante vuole affermarsi ad ogni costo, e nulla è tanto importante per i suoi sacerdoti quanto plasmare, oserei dire corrompere, le giovani menti. Ecco perché è compito di tutti contrastare la propaganda goebbelsiana che ormai avvelena il clima culturale del paese, a tutti i livelli.

venerdì 18 aprile 2014

SOCRATE E IL VOTO DI SCAMBIO



Cavalletta. Salve o Socrate!
Socrate. Cavalletta, che piacere incontrarti! Dove vai di bello?
C. Vado ad una riunione dei parlamentari a sette stelle. Dobbiamo studiare misure atte contrastare con la massima determinazione un fenomeno infame, vergognoso.
S. E cioè? A cosa ti riferisci?
C. Al voto di scambio, una vergogna nazionale. Una iattura da perseguire penalmente, da punire con pene durissime, ed invece i partiti al potere, dominati da corrotti, mafiosi e piduisti, vorrebbero pene lievi, da nulla. Sono furente.
S. Calmati amico mio e dimmi: cosa intendi di preciso quando parli di voto di scambio? di che si tratta?
C. E' presto detto o Socrate. Il voto di scambio è lo scambio, appunto, del voto con dei vantaggi materiali. Si ha voto di scambio quando l'elettore non vota un certo partito perché ne condivide gli ideali ed i programmi, ma solo per ottenere un tornaconto, del denaro o dei favori. Si tratta, come di certo tu vedi benissimo, di qualcosa di profondamente immorale. Invece di essere un servizio la politica si trasforma in un basso mercanteggiare: io do una cosa a te, tu dai una cosa a me; si va a votare come se si andasse al supermercato, con i voti che vengono scambiati come se fossero sacchi di patate.
S. Dunque tu affermi, se ho ben capito, che si ha voto di scambio quando il voto viene scambiato con favori materiali.
C. Si, così stanno le cose. I valori, gli ideali, i programmi vengono eliminati e la nobile attività politica si trasforma in un sordido mercato. Di certo tu non puoi approvare un tale stato di cose, o Socrate.
S. Carissimo Cavalletta, io, prima di approvare o non approvare qualcosa, cerco di esaminarla da tutti i punti di vista, per evitare di dare giudizi affrettati che possono poi rivelarsi, ad un più attento esame, sbagliati. Ora, in ciò che tu dici mi sembra ci sia molto di bello e nobile, però te lo confesso, non sono del tutto convinto. Mi permetti quindi di rivolgerti qualche domanda? Così, per andare un po' a fondo della questione. Son certo che le tue risposte potranno fugare i miei dubbi.
C. Certo o Socrate! Chiedi pure, sarò molto lieto di aiutarti ad eliminare ogni dubbio.
S. Ti ringrazio ottimo amico, e ti pongo subito una domanda. Tu dici che bisognerebbe votare i partiti per i loro ideali ed i loro programmi, e non per ottenere dei vantaggi materiali, è vero?
C. Certo, questo io affermo.
S. E dimmi ora, cosa riguardano gli ideali ed i programmi dei partiti?
C. Spiegati meglio
S. Quali finalità hanno i programmi dei partiti? Ed i loro ideali cosa prefigurano? Per farla breve, a cosa mira,o dovrebbe mirare, l'attività di un partito politico?
C. E' presto detto: ad assicurare il benessere e la felicità del popolo.
S. Ma, si tratta di un benessere e di una felicità che riguardano questa terra o la vita futura, quella che, dicono alcuni, ci aspetta dopo la morte fisica e che solo le nostre anime potranno, forse, ottenere?
C. Si tratta di certo di una felicità e di un benessere che riguardano la nostra vita terrena.
S. Anche io la penso così. E, dimmi ora, per assicurare al popolo un benessere terreno (della felicità non parlo perché dubito che la felicità possa essere qualcosa di cui la politica debba interessarsi), per assicurare, dicevo, al popolo un benessere terreno i partiti dovranno o non dovranno inserire nei loro programmi molte cose che riguardano gli interessi materiali degli esseri umani?
C. Ma, così, alla sprovvista, non saprei dire...
S. Nei programmi dei partiti dovranno esserci, fra le altre, misure che riguardano il lavoro e l'occupazione?
C. Certamente si.
S. E la pressione fiscale?
C. Si
S. E l'inflazione?
C. Si
S. E ci potranno essere misure riguardanti la scuola, concordi?
C. E come no?
S. E non ti pare che una buona scuola debba dare ai giovani la possibilità di inserirsi bene nel mercato del lavoro?
C. Parrebbe di si.
S. E lavoro, occupazione, pressione fiscale sono o non sono cose che riguardano gli interessi materiali degli esseri umani, addirittura i loro redditi? Il denaro?
C. Sembra proprio di si.
S. Ed è possibile, forse addirittura necessario, che misure riguardanti tutte queste cose ci siano, nei programmi dei partiti, concordi?
C. Si, penso di poter concordare.
S. E dimmi ora, in un partito politico ci può essere contraddizione fra programmi ed ideali?
C. Assolutamente no! Questa ci può essere in pariti come gli attuali partiti italiani, organizzazioni piduiste, mafiose, camorriste, non in un vero partito.
S. Quindi, se nei programmi di un vero partito ci sono misure che riguardano gli interessi materiali delle persone, anche nei suoi ideali ci sarà qualcosa che ha a che vedere con questi interessi, sei d'accordo?
C. Non saprei, ma, si, mi sembra di si.
S. E saresti d'accordo con me se dicessi che gli elettori votano i partiti anche per ottenere qualcosa che riguarda il lavoro, la pressione fiscale, il potere d'acquisto dei loro redditi, cioè, per tutelare i loro interessi materiali?
C. Mi sembra che potrei essere d'accordo.
S. Ma allora, nobile amico mio, siamo arrivati ad un punto morto. Avevamo iniziato la nostra piacevole conversazione definendo “di scambio” il voto dato in cambio di vantaggi materiali, ed a questo avevamo contrapposto il voto che si da per adesione ai programmi ed agli ideali, ora invece dobbiamo constatare che nei programmi dei partiti, ed anche nei loro ideali, ci devono essere molte cose che riguardano gli interessi materiali degli elettori, e che anche in base a queste gli elettori danno il loro voto. Sembrerebbe quindi che tutti i voti siano, sempre e comunque, voti di scambio.
C. O Socrate! Queste mi sembrano vane sofisticherie!
S. Ma noi non abbiamo fatto altro che partire da una certa definizione di voto di scambio ed esaminandola siamo giunti a delle logiche conclusioni. Non è colpa nostra se le conclusioni sono contraddittorie con gli assunti di partenza.
C. Questo vuol dire solo che la definizione da cui siamo partiti era inesatta.
S. Cerchiamone allora un'altra amico mio.
C. Certo. Possiamo dire che si ha voto di scambio quando i governi cercano di sedurre il popolo con generose elargizioni per conquistare facili consensi.
S. Ti riferisci a quelle politiche sventurate volte a dar ragione a tutti, a soddisfare ogni rivendicazione, ad elargire a tutti pubblico denaro?
C. Proprio così.
S. E si tratta di certo di politiche scellerate, che danno un certo, temporaneo, benessere ad alcuni, a volte anche a tutti, ma alla lunga aggravano tutti i problemi ed impoveriscono tutti. A queste ti riferivi o Cavalletta?
C. Precisamente a queste.
S. E tu vorresti trasformare in reato queste politiche?
C. Certo, in reato da punirsi con la massima severità, e non a caso a questo si oppongono i partiti dei corrotti, dei piduisti, dei pregiudicati!
S. E' molto interessante la tua posizione, però, più che voto di scambio io definirei simili pratiche politiche clientelari
C. Non si tratta di un problema di parole, sono politiche che vanno represse, sbattendo in galera chi le mette in atto. Questo è l'unico modo per salvare la democrazia, che tutti amiamo!
S. Forse hai ragione; però, non ti sembra che sia molto difficile identificare simili politiche? Dico, identificarle in maniera tale che si possano processare i loro autori.
C. Ma no! Niente di più facile. Ad esempio, pensa alla proposta del re dei corrotti, del pregiudicato Sandro Berluscone. In piena campagna elettorale propose di abolire l'IMU! Si trattava, è chiarissimo, di un vile tentativo di comprare dei voti, ed infatti un valoroso magistrato, Ingoia mi pare si chiami , lo denunciò per voto di scambio, ed ora il pregiudicato sarà chiamato dai giudici a rispendere di questa sua malefatta.
S. Beh, se è per questo mi sembra che Berluscone sia chiamato dai giudici più o meno tutti i giorni, ma, non è questo l'oggetto del nostro dialogare. Si, ricordo il fatto a cui tu ti riferisci. Però, ricordo anche che il suo rivale in quella campagna elettorale, Persano, disse che se il suo partito avesse vinto ci sarebbero stati non ricordo quanti nuovi posti di lavoro. Anche questo è per te voto di scambio?
C. Certamente! Persano non è molto meglio di Berluscone, anzi è un suo alleato!
S. Ed oggi Mario Penzi, il nostro amato capo del governo, promette ottanta euro in più in busta paga per chi è al di sotto di un certo reddito. Anche questo allora è voto di scambio...
C. Ma certo! Penzi è peggio di Persano, è uno che riceve il pregiudicato, discute con lui come se niente fosse, un suo compare, un corrotto, un amico dei mafiosi e dei piduisti!
S. Benissimo, anche gli ottanta euro sono quindi voto di scambio ed anche Penzi va subito processato.
C. Certo! Spero sia al più presto portato alla sbarra!
S. Benissimo. Però, correggimi se sbaglio o nobile amico, è o non è vero che il tuo partito, il movimento a sette stelle, propone il reddito di cittadinanza?
C. Non sbagli affatto o Socrate, si tratta di una elementare misura di equità e giustizia.
S. E non potremmo invece definirla come “voto di scambio”?
C. ma cosa dici! Questa è una provocazione.
S. Mai mi permetterei di provocarti o Cavalletta. Però, scusa, a quanto dovrebbe ammontare il reddito di cittadinanza?
C. Non saprei, sette, ottocento euro, forse mille.
S. Molti soldi. E dimmi ora: è possibile che coloro a cui questi soldi sono promessi guardino a voi con simpatia, e vi votino?
C. Si, è possibile
S. E allora, scusami, perché mettere ottanta euro in busta paga, o abolire l'IMU, dovrebbe essere voto di scambio e promettere a gente che non lavora un salario di ottocento, mille euro no? In tutti e tre i casi molta gente avrà in tasca più soldi e sarà grata a chi glieli avrà fatti avere.
C. Sofismi, provocazioni, vuoti giri di parole!
S. Non mi pare, o Cavalletta. Ma, non insisto su questo punto visto che sembra che ti faccia perdere le staffe. Vediamo di approfondire meglio. Si ha voto di scambio, dicevi, quando si usa pubblico denaro non per risolvere i problemi veri del paese ma per conquistare facili consensi elettorali, è così?
C. Si, è così.
S. Quindi per riconoscere il voto di scambio occorrerà distinguere fra proposte politiche che fanno il bene del paese e proposte che invece questo bene non fanno, e le prime non saranno voto di scambio e le seconde si. E' così?
C. Certo, proprio così, infatti il nostro reddito di cittadinanza fa il bene del paese mentre gli ottanta euro di Penzi non lo fanno.
S. Però, Penzi potrebbe dire il contrario, ci sarebbero così due proposte che, entrambe, direbbero di fare il vero bene del paese, è giusto ciò che dico?
C. Pare di si.
S. E dimmi nobile amico, in democrazia chi deve decidere quale proposta è benefica per il paese?
C. Gli elettori direi.
S. Infatti, però, con la legge sul voto di scambio che tu vorresti sarebbero i magistrati a decidere quali politiche sono benefiche per il paese e quali no. Ed un magistrato potrebbe decidere che una proposta del pregiudicato è benefica per il paese, il pregiudicato di certo ha molti amici fra i magistrati, mentre un'altra proposta, la vostra ad esempio, è voto di scambio; e voi non potreste appellarvi agli elettori perché giudichino della bontà delle proposte vostre.
C. Non so se una simile situazione sarebbe possibile.
S. Forse lo sarebbe. Comunque, al di la delle particolari situazioni che potrebbero crearsi, definendo il voto di scambio come lo abbiamo definito, e rendendolo un crimine, si verrebbe a togliere agli elettori il potere di stabilire ciò che è utile e ciò che utile non è al paese, e questo equivale a distruggere la democrazia, mi pare. Noi invece eravamo partiti dall'assunto che una legge molto severa sul voto di scambio sarebbe necessaria per difenderla, la nostra democrazia. Siamo di nuovo ad un punto morto, ottimo amico mio.
C. Mah... cosi sembra.
S. Siamo allora costretti a cercare un'altra definizione del voto di scambio.
C. E sia. Potremmo dire che si ha voto di scambio quando si fanno favori a dei mafiosi in cambio dei voti che questi potrebbero procurarci.
S. Assai interessante come definizione!
C. Mi fa piacere che la trovi interessante.
S. Grazie ottimo amico, ma, dimmi: i favori che si fanno a questi mafiosi in che dovrebbero consistere perché ci sia voto di scambio?
C. Che razza di pretesa la tua! Mica posso farti un elenco dettagliato!
S. Dovrebbe trattarsi di qualcosa di legale o di illegale?
C. Non saprei e poi, non credo abbia importanza. Sempre di favori a dei mafiosi si tratterebbe.
S. Dimmi o Cavalletta, a tuo parere una cosa è giusta perché è giusta o è giusta se riguarda il tale e diventa sbagliata se riguarda il tal altro?
C. Ma scusa o Socrate, cosa c'entra questo col nostro discorso?
S. Se un mafioso dicesse che è bene che si fabbrichino nuove scuole, fabbricare scuole diventerebbe voto di scambio?
C. Sembra di no.
S. E se un mafioso dovesse affermare che è bene non ci siano vicino ai luoghi abitati industrie inquinanti, diverrebbe giusto costruire fabbriche inquinanti nei centri urbani?
C. Direi di no.
S. E se un mafioso dicesse che è bene pagare le tasse dovremmo concludere che pagare le tasse è diventato voto di scambio?
C. Ma no, o Socrate! Un mafioso mai chiederebbe simili cose, è ovvio! I tuoi sono discorsi infondati!
S. Caro Cavalletta, io vorrei solo sapere questo: un mafioso è tale perché fa cose spregevoli o le cose sono spregevoli perché fatte da un mafioso?
C. Strana domanda.
S. E' giusto dire che Tizio è un criminale perché commette un crimine o che un crimine è tale perché lo ha commesso Tizio?
C. Mi sembra giusta la prima ipotesi
S. Lo sembra anche a me, ma, se su questo concordiamo, come possiamo definire voto di scambio un favore concesso ad un mafioso?
C. Non ti seguo
S. Se un atto è buono, o comunque legale, può diventare cattivo, o illegale, solo perché un mafioso beneficia di questo atto?
C. O Socrate, devo ripeterlo! I mafiosi voglio che, in cambio di voti, vengano compiuti atti illegali, atti cattivi!
S. Quindi i mafiosi chiedono cose illegali, in cambio di voti, ed è per questo che sono detti mafiosi, concordi?
C. Si, concordo.
S. Allora, sembra sia necessario cambiare la nostra definizione di voto di scambio. Potremmo dire che si ha voto di scambio quando si concedono, in cambio di voti, dei favori vietati dalla legge, quando cioè si commettono delle illegalità per ottenere dei voti?
C. Si, mi sembra che potremmo dirlo. Finalmente abbiamo trovato una definizione soddisfacente! E spero che ora smetterai, o Socrate, di muovere tutti i concetti, di insinuare sempre nuovi dubbi, mi hai fatto venire il mal di testa!
S. Questo mi spiace molto nobile amico. E, quanto al muovere tutti i concetti, non sono io che li muovo, son loro che si mettono in moto non appena li si analizzi un po' in profondità e questo mi sembra essere un bene, perché i concetti statici, immobili son molto simili ai peggiori pregiudizi, e non ci aiutano in nulla ad avvicinarci al vero. Quindi vorrei farti ancora qualche domanda, per vedere se l'accordo che sembra abbiamo raggiunto sia davvero solido, e definitivo.
C. E va bene...
S. Dimmi o uomo eccellente, uno scambio può essere considerato cattivo in se?
C. Cosa vuoi dire? Non ti seguo.
S. Se io uccidessi in cambio di denaro, sarebbe il passaggio di denaro fra il mandante del delitto e me a rendere cosa malvagia l'omicidio o non sarebbe l'omicidio a rendere malvagio il passaggio di denaro?
C. Sarebbe l'omicidio, mi pare.
S. Pare anche a me. E se io ti vendessi un oggetto rubato e tu mi dessi per quello del denaro, sarebbe il passaggio di denaro fra te e me a rendere malvagio il furto, o il furto che sta dietro allo scambio a render questo malvagio?
C. Sarebbe il furto, direi, a render malvagio ed illegale il nostro passaggio di denaro.
S. Quindi, nel voto di scambio, ad essere davvero illegale è l'atto oggetto dello scambio, non lo scambio in se. Se un politico compie atti criminali al fine di ottenere voti la cosa davvero grave non è il tentativo di ottenere voti, quanto il crimine che si compie al fine di ottenerli.
C. Non so se la cosa mi convince davvero
S. Se un politico promette, al fine di ottenere voti, di truccare una gara di appalto non potremmo dire che il crimine che commette è il truccare questa gara?
C. Mi sembra di si
S. E se al fine di ottenere voti un politico minaccia degli onesti cittadini, e li fa intimidire da biechi scagnozzi, e cerca di obbligarli a votarlo, non potremmo dire che il suo crimine consiste nelle minacce e nelle intimidazioni ai danni dei cittadini indifesi?
C. Sembrerebbe di si
S. Quindi nel voto di scambio il vero crimine sarà non tanto lo scambio, quanto le gare di appalto truccate, o i concorsi truccati, o le intimidazioni, o le promesse di far cose vietate dalla legge. E saranno questi crimini e queste illegalità a render non validi i voti ottenuti da chi le ha commesse.
C. Ma... per te allora il voto di scambio non è un crimine?
S. E' un crimine non in quanto tale, ma perché dietro quel voto ci sono dei crimini, esattamente come la vendita di oggetti rubati è un crimine non in quanto vendita ma perché dietro a quella vendita c'è il furto.
C. Sono un po' confuso.
S. Eppure è tutto molto semplice. Lo scambio in se non ha nulla di criminoso, esattamente come in se non ha nulla di criminoso la vendita. Scambio e vendita possono diventare crimini per il loro oggetto. E se l'oggetto di una vendita o di uno scambio ha a che fare col crimine, solo allora, scambio e vendita diventano crimini.
C. Forse...
S. Se invece scambio e vendita non hanno per oggetto qualcosa che ha a che fare col crimine, crimini non sono. Oserei dire che è inutile far nuove leggi sul voto di scambio, visto che già ora scambiare voti con atti criminali è reato, esattamente come è reato scambiar denaro con cose che si sanno esser state rubate, o pagare qualcuno per commettere un omicidio.
C. Sono molto confuso o Socrate, e la mia emicrania diventa ogni istante più forte. Ti devo lasciare, vado in farmacia a comprare una aspirina.
S. Mi spiace che la tua testa, sede di tanta sfavillante intelligenza, sia dolorante, o Cavalletta. Se vuoi ti accompagno e intanto continuiamo a discutere. Quando ho mal di testa la nobile pratica del dialogo pacato e razionale è per me fonte di immediato sollievo.
C. No, no Socrate, è meglio di no! Ciao, scappo!

martedì 8 aprile 2014

IL GRANDE PROGETTO




Vittorio Scipioni era commosso. Si, commosso è la parola giusta. Commosso, ed emozionato, e leggermente intimorito. Sopratutto, era conscio dell'importanza storica del momento che stava vivendo, era questa consapevolezza che lo emozionava, e lo intimoriva, e lo commuoveva. Avanzò lentamente nella grande sala, osservò le pareti lisce, alte, perfettamente bianche, illuminate da una luce fredda, uniformemente diffusa.
Era incredibile come in una simile stanza, una stanza abbastanza normale in fondo, fossero concentrati tanto potere e tante conoscenze. Malgrado fosse la persona che più di ogni altra aveva lavorato al grande progetto Vittorio Scipioni non sapeva fin dove si estendesse la enorme, intricatissima, rete di fibre ottiche e microchip che, tutti, facevano capo a quella stanza, e neppure sapeva quante e dove fossero le terminazioni di quella rete gigantesca. Sapeva solo che lui, si proprio lui, era di fronte alla più colossale, meravigliosa realizzazione della umana tecnologia, meglio, era di fronte a qualcosa che superava e comprendeva in se tutto il progresso tecnologico di tutta la storia del genere umano.
Avanzò lentamente. Sulla parete di fronte a lui, proprio nel centro, era come incastonato qualcosa che sembrava un microfono. A pochi metri dalla parete e da quel piccolo cerchio nero, perfettamente lucido, una poltroncina, piccola, non troppo comoda. Vittorio ci si era seduto innumerevoli volte durante le prove, ma stavolta era diverso, stavolta non si trattava di una prova.
Si accomodò e restò così, immobile, pensoso. Quanto lavoro, quanta fatica e quante lotte per arrivare a quel momento! E si che l'idea di fondo che stava dietro al progetto era di una tale semplicità, di una tale bellezza...
La storia umana... un insieme insensato di lotte, guerre, una sequela di disordini e crisi senza fine.... poi, quel progetto che avrebbe messo la parola fine a tutta quell'insensatezza! Basta con il disordine, l'irrazionalità delle scelte, l'agitarsi insensato delle passioni... basta! La ragione, una ragione fredda, impersonale, scientifica deve decidere tutto, in anticipo. Tutto deve e può essere previsto, la vita degli esseri umani può e deve essere sottratta all'accidentalità e a tutto il caos che ne deriva. Per millenni si era trattato solo di fantasie, anticipazioni allucinate di scrittori un po' folli, ma finalmente il progresso scientifico e tecnologico avevano reso possibile quello che per tanto tempo era sembrato solo un sogno, o un incubo, avrebbe detto qualcuno degli scettici.
Gli scettici... accidenti a loro! Avevano reso tutto più difficile con le loro obiezioni distruttive. E si fosse trattato solo delle proteste di qualche intellettuale, o presunto tale! No, c'erano state manifestazioni, scioperi, scontri addirittura. L'umana emotività ha timore del nuovo e cerca di resistere ai cambiamenti radicali, resistere, a tutti i costi. E avevano resistito, con tutti i mezzi, gli scettici, quelli colti, o che si ritenevano colti, esattamente come quelli ancora immersi nella più crassa ignoranza, avevano resistito ed avevano reso tutto più lento, difficile. Ma erano stati sconfitti alla fine! Erano stati sconfitti ed ora il grande progetto poteva partire e lui, si proprio lui, che ci aveva creduto forse più di tutti, doveva dare il via al grande calcolatore, quel concentrato di tutto lo scibile umano, la macchina (ma era giusto chiamarla in questo modo?) che avrebbe finalmente portato l'ordine nel mondo. Un ordine totale, assoluto.
Vittorio Scipioni guardò il suo orologio atomico da polso. Mancavano tredici minuti al collegamento. Non si poteva anticiparlo, tutti gli orologi del mondo erano stati sincronizzati, per tutti le ore 12 del 21 gennaio 2062 sarebbero state l'ora X, il momento della più profonda, radicale svolta della storia.

“E dire che era stata anticipata, questa svolta” si trovò a pensare Vittorio. Quante volte i governi non avevano cercato di programmare il più possibile la vita degli esseri umani? Ci si era limitati ad alcuni aspetti dell'economia all'inizio, poi... le grandi esperienze di economie totalmente pianificate, poi ancora il loro fallimento, che tanto spazio aveva dato a scetticismi di ogni tipo! Quelle esperienze erano fallite perché non esistevano ancora gli strumenti tecnici adeguati e non solo per quello, pensò Vittorio. “E' stata la loro limitatezza a farle fallire, non si può pianificare solo l'economia, come se si trattasse di un settore limitato, privo di legami con tutto il resto. Per pianificare l'economia occorre pianificare le idee, i desideri, i comportamenti, le pulsioni degli esseri umani“.
Vittorio pensava a ruota libera ora, quasi dimentico del momento storico che stava vivendo. Gli tornavano in mente momenti dei tanti dibattiti sostenuti con gli scettici, delle tante discussioni, delle tantissime liti che aveva dovuto affrontare. “la vita va pianificata nella sua interezza, senza eccezioni, solo così sarà possibile superare il caos, il trionfo incontrollato delle passioni. Tutto è connesso, quindi tutto va programmato, tutte le azioni, i pensieri, le attività umane devono seguire i dettami del piano, nei minimi dettagli. Non esistono dettagli insignificanti, non possono essere accettate variabili incontrollate. Qualcosa sfugge al programma, qualche dettaglio non viene previsto... e il caos risorge, più forte di prima. Una inezia può avere conseguenze cumulative devastanti. No, nel programma non possono esserci variabili impreviste, bisogna eliminare i fattori di rischio, tutti. Non si può essere razionali per un quarto, o a metà. O non si è razionali o lo si è, interamente, al cento per cento...”
Mamma mia, quanti argomenti avevano tirato fuori gli scettici! Avevano addirittura cercato di apparire più razionali dei fautori del grande progetto. “La vostra non è scienza, è pseudo scienza!” avevano strillato. “La conoscenza umana è dispersa in tante conoscenze particolari che solo i singoli possono utilizzare per il bene loro e di tutti! Centralizzare tutto vuol dire rinunciare ad un patrimonio enorme di conoscenze”, ed ancora: “come fate a sapere cosa davvero vogliono gli esseri umani? Cosa desidera Mario, cosa vuole Anna?”
“Che sciocchi... e pretendevano di parlare in nome della scienza, della razionalità! Il super calcolatore era in grado di centralizzare tutte le conoscenze, tutte, anche le più disperse; quanto ai desideri degli esseri umani... erano davvero sciocchi gli scettici, sciocchi e traboccanti di pregiudizi! Possibile che non capissero che il problema era proprio lì? In quei desideri sbagliati, irrazionali, da cambiare... radicalmente?”
E poi... i sentimentali... quanto chiasso avevano fatto! “Un mondo privo di passioni, di sentimenti... sarebbe orribile avevano urlato a squarciagola.” E quante volte lui aveva replicato con infinita pazienza che certi sentimenti, forse anche certe passioni, avrebbero potuto essere ammessi, sarebbe stata la commissione per la programmazione della passionalità a stabilire quali avrebbero potuto essere accettati, e in che misura. Vittorio fu come scosso da un brivido. Un pensiero gli tornò in mente. Una assemblea all'università proprio su quel tema. Lui aveva esposto con molta pacatezza e grande razionalità la posizione del governo sulla pianificazione della passioni, aveva difeso tesi inattaccabili, svolto ragionamenti impeccabili... però le sue parole erano state accolte da urla, fischi, erano intervenuti i sostenitori del governo e la riunione era degenerata in una rissa gigantesca e violentissima. La polizia aveva sparato e c'era scappato il morto, i morti, molti morti, alcune decine.
Era stata una esperienza molto dura quella. Amava il dialogo lui, era un uomo mite, tranquillo. Quando la polizia aveva aperto il fuoco c'era stato un fuggi fuggi generale. Lui era rimasto immobile, come sopraffatto dagli eventi. No, non impaurito, solo, intimamente, profondamente deluso. Fino all'ultimo aveva sperato di convincerli, quegli scalmanati, ma non c'era stato verso e questo era stato un colpo duro per la sua fede incondizionata nell'intelligenza. Ad un tratto, proprio vicino a lui, una testa era letteralmente esplosa. Un proiettile aveva centrato in pieno uno studente, al cranio. Il sangue era schizzato tutto intorno e col sangue la materia cerebrale. Quel sangue e quella materia cerebrale gli avevano lordato il viso, macchiato di rosso gli occhiali, se li era sentiti scivolare lungo il collo. Aveva perso molta della sua bonarietà in quel momento. Era questo allora ciò che volevano gli scettici: lo scontro, la lotta. Li avrebbero avuti. Dove l'intelligenza non basta subentra, deve subentrare, la forza. Quando la apposita commissione per la tutela dell'ordine aveva messo ai voti la proibizione di tutte le manifestazioni ed i pubblici dibattiti lui aveva votato a favore, senza esitazioni.

Ma non si può resistere al progresso ed alla fine il grande progetto aveva vinto, non poteva essere diversamente. Gli ultimi ad arrendersi erano stati dei vecchi, patetici personaggi. Inoffensivi filosofi che avevano difeso, contro il grande progetto, le ragioni del libero arbitrio. “Anche se la pianificazione totale dovesse realizzare il bene” dicevano “sarebbe un bene fasullo, un finto bene. Il bene deve essere il risultato di una scelta libera, un bene imposto è un non senso...” e continuavano per ore con i loro ragionamenti sofistici. “Libertà dell'uomo, libero arbitrio... che sciocchezze” pensò Vittorio con un sorriso ironico. “Tutti residui di vecchie superstizioni, illusioni filosofiche che lo sviluppo delle scienze aveva definitivamente dimostrato erronee. La libertà non esiste, l'uomo è solo un insieme di atomi e reazioni chimiche, e di pulsioni inconsce, e di condizionamenti sociali, familiari, culturali. Si indirizzino nella giusta direzione le reazioni chimiche e le pulsioni, si condizionino in maniera socialmente utile gli esseri umani ed i problemi che da millenni li attanagliano saranno finalmente risolti”. Il grande progetto, la programmazione totale erano questo, solo questo. Qualcosa di modesto in fondo, ma anche di sublime. Più di una volta Vittorio si era stupito che fosse tanto difficile farlo capire. Ora però l'era dei dubbi e delle lotte era finita, per sempre.

Un leggero fischio lo lo distolse dai suoi pensieri. Mancavano quindici secondi all'ora X. Sentì il cuore battergli forte in petto, era felice, emozionato e felice.
“Buongiorno Vittorio”. Qualcuno avrebbe potuto dire che la voce proveniva dal quel cerchio nero, lucido nella parete di fronte a lui, ma non era così. Era una voce tranquilla, gradevole a sentirsi e non proveniva da nessun punto particolare, c'era e basta.
“Buon giorno” rispose Vittorio. Strano, non gli avevano dato un nome. Certo, il suo nome tecnico era MTCV.32144 ma nessuno lo chiamava così e nessun nome familiare aveva sostituito MTCV.32144. Così c'era chi lo chiamava super computer, chi il Verbo (i nostalgici di Dio) chi grande programmatore ma un nome ufficiale non lo aveva. Così Vittorio si limitò a dire “buongiorno” e rimase in attesa, emozionato e commosso, e ancora un po' intimorito.
“Si comincia finalmente” disse il calcolatore.
“Si, finalmente... hai elaborato gli ultimi dati?”
“Certo”
“Non ci sono problemi ovviamente, si trattava solo di riesaminare tutto prima di partire”
“Veramente....” il tono di voce dolce non era cambiato ma Vittorio notò la breve sospensione nel discorso del grande computer.
“Veramente cosa?”
“E' sorto un piccolissimo problema”
Vittorio si sentì in leggero disagio. “Un piccolissimo problema? Di cosa si tratta?”
“Una variabile che prima non avevamo considerato”
“Quale variabile?” anche se non lo avrebbe confessato neppure a se stesso Vittorio Scipioni sentì una certa ansia crescergli dentro.

Il grande computer restò un attimo silenzioso, e questo accrebbe il disagio, e l'ansia, di Vittorio, poi riprese a parlare col solito tono di voce tranquillo, dolce.
“Tutti i dati in nostro possesso sono stati riesaminati, incrociati, ed è emersa una novità, abbastanza insignificante...”
“Cioè?”
“Beh, certamente ti ricordi di quella vecchia superstizione, quei discorsi poco sensati sul libero arbitrio...”
Vittorio si sentì improvvisamente meglio... se solo di quello si trattava...
“Si ricordo bene quei discorsi superstiziosi. Dimmi, cosa è emerso?”
“Beh, ci sarebbe una possibilità, una possibilità minima, matematicamente quasi insignificante, che dietro a quei discorsi ci sia qualcosa di vero”
Vittorio restò quasi senza fiato. Quando riprese a parlate si accorse con dispetto che la voce gli tremava. “Ma... che vuol dire una cosa simile? Quali conseguenze può avere?”
“Beh, si tratta di una possibilità remotissima che però introduce nel sistema variabili non previste, che potrebbero moltiplicarsi a dismisura con conseguenze potenzialmente disastrose...”
Ora Vittorio sudava, sudava freddo e il cuore gli batteva forte in petto. “Come si può rimediare ad una simile anomalia?”
“E' molto semplice, lo sai bene. I fattori imprevisti devono essere eliminati, radicalmente.”
Vittorio Scipioni si alzò di scatto dalla poltroncina e si lanciò verso quel cerchio nero, lucido, posto nel centro della parete di fronte, a pochi metri da lui.
Una scarica elettrica da ventimila volt lo fulminò prima che avesse potuto percorrere mezzo metro. Crollò faccia a terra, in un turbinio folle di scintille.
Un decimo di secondo dopo l'intero pianeta era coperto da centinaia e centinaia di milioni di cadaveri.
Il grande progetto aveva vinto, in pieno. La pianificazione totale era stata realizzata.

lunedì 7 aprile 2014

CONSAPEVOLE, NELLA NEOLINGUA POLITICAMENTE CORRETTA

Consapevole. Significa ”che sa”, “conscio”, “al corrente di”. Si dice “consapevole” di qualcosa colui di cui ha senso pensare che forse quella cosa non la conosce, o non la conosce bene. “Sono consapevole dei pericoli di quella attività”, “sono consapevole delle responsabilità che comporta l'essere padre” e così via. Nella neolingua politicamente corretta invece “consapevole” è usato come il prezzemolo, un aggettivo appiccicato a tutto, anche a cose di cui ha poco, o nessun, senso porsi domande sulla nostra “consapevolezza”. Non solo, nella lingua usata dalle persone normali il termine "consapevole" è riferito al soggetto: “Luigi è consapevole dei rischi di quel certo investimento”, “Maria è consapevole delle difficoltà della vita in comune con Pietro”. Nella neolingiua politicamente corretta invece “consapevole” diventa l'attribuito di un verbo o di un complemento oggetto. “Masturbazione consapevole”, “consumo consapevole”, “turismo consapevole”, “sesso consapevole”.
Negli asili si tengono corsi di “masturbazione consapevole”. Occorre educare tutti ad un “consumo consapevole”. Faccio del “turismo consapevole”. Ieri ho conosciuto una bella signora ed abbiamo fatto del “sesso consapevole”.
Esiste inoltre una impercettibile ma importante modifica nel significato del termine “consapevole” quando questo viene usato in maniera politicamente corretta. Nel suo senso corrente è “consapevole” chi conosce qualcosa che potrebbe non conoscere, è “non consapevole” chi invece quella cosa non la conosce. In senso politicamente corretto invece il termine "consapevole" rimanda alla conoscenza di una realtà diversa da quella che crediamo di conoscere. Tutti sappiamo, crediamo di sapere, cosa è la masturbazione, ma sbagliamo. Dietro all'atto del masturbarsi c'è una realtà che noi comuni mortali ignoriamo e di cui dobbiamo diventare “consapevoli”. Masturbarsi non significa più, come comunemente si intende, darsi da soli il piacere sessuale, no, significa “smascherare” una realtà repressiva, fondata sulla “imposizione sessista dei ruoli”. Allo stesso modo, tutti crediamo di sapere cosa sia il turismo, ma , di nuovo, sbagliamo. Il “turismo consapevole” ci svela che fare del turismo non significa visitare posti belli ed affascinanti, ma rapportarsi in maniera “aperta e solidale” con le “culture diverse” e così via.
Non solo. Molto spesso il termine "consapevole" usato in maniera politicamente corretta si intreccia con il burocratismo imperante nell'unione europea. La "consapevolezza" a cui il termine "consapevole" rimanda diventa allora una "consapevolezza" assoluta, la consocenza, ad esempio, di TUTTI i rischi connessi a quella certa attività, o della composione chimica di tutti gli ingredienti di quel certo cibo eccetera. L'economia di mercato, questo è il messaggio insieme politicamente corretto e burocratico programmatorio, è dominata da famelici predoni da cui ci devono proteggere gli angelici euroburocrati. Così, per acquistare in maniera "consapevole" una bottiglia di passata di pomodoro, devo avere quanto meno tre lauree in chimica. 
Usati in senso politicamente corretto e burocratico programmatorio certi termini si intingono immediatamente di ideologia. Le parole non rimandano più alle cose ma ad una visione del mondo che è assunta a priori come vera, bella e giusta. Dietro alla richiesta di "consapevolezza" si cela la pretesa degli euroburocrati di renderci edotti di tutto su tutto. Dietro alla “masturbazione consapevole” c'è la filosofia gender, dietro al “consumo consapevole" il misticismo ecologico, dietro al “turismo consapevole” quello terzomondista. Ottimo motivo per non usare mai espressioni come “masturbazione consapevole” o altre simili stronzate politicamente corrette e burocratiche.

sabato 5 aprile 2014

ALCUNI RIDICOLI LUOGHI COMUNI

Il politicamente corretto non è altro, a ben vedere, che un insieme di luoghi comuni, frasi ad effetto, affermazioni apodittiche che è vietato contestare perché chi le contesta viene subito additato al pubblico disprezzo come reazionario, razzista, nemico della “povera gente”. Io però sono un gran cattivone, non mi interessa passare per buono, così mi diverto ad analizzare alcuni di questi luoghi comuni, non tutti, è letteralmente impossibile. Vediamone qualcuno che riguarda i “migranti” e la povertà nei paesi arretrati, Africa in particolare.

“I paesi poveri sono tali perché l'occidente li deruba delle loro materie prime”. Una volta l'Africa era ricca perché aveva tante preziose materie prime, poi sono arrivati gli imperialisti occidentali, le “multinazionali” e tanti altri cattivissimi predatori che le hanno tolto le risorse condannandola alla miseria perenne. Non è mia intenzione negare che la politica delle potenze occidentali dia stato spesso predatoria e contraria ad elementari principi etici, ma è sensato affermare che l'Africa è povera perché le sono state derubate le risorse? La risposta non può che essere negativa. Quando gli occidentali “rubavano” agli africani le loro risorse queste non erano tali per loro. Un bene esistente in natura diventa “risorsa”, “materia prima” solo in corrispondenza di un certo livello di sviluppo economico e tecnologico. Prima della invenzione del motore a scoppio il petrolio NON era una risorsa, né lo era il ferro per chi non sapeva come fonderlo e trasformarlo in utensili o armi, né l'albero della gomma per chi non sapeva trasformare il lattice gommoso in manufatti.
Non è stato il saccheggio di materie prime a causare la povertà, ma questa a rendere possibile quello. E' solo il caso di aggiungere che oggi le famose materie prime vengono acquistate a prezzi di mercato.

I paesi poveri sono tali perché strozzati dal debito. Nei fatti i paesi poveri rendono solo una piccola parte dei debiti che hanno contratto. Questi vengono continuamente loro rinnovati. Negli ultimi 60 anni l'Africa ha ricevuto somme ingentissime in prestiti, spesso a fondo perduto, ed aiuti senza che questi abbiano dato il via ad un vero decollo economico. Dire che è il debito a causare la povertà è un po' come dire che il finanziamento concesso ad un imprenditore è causa del fatto che questi non riesce poi, con i soldi avuti in prestito, a far decollare la sua attività economica. Di nuovo, si scambia la causa con l'effetto. Non è il debito a causare la povertà ma questa a rendere possibile quello.

Un tempo i “migranti” eravamo noi. Certo, e allora? Noi eravamo Emigranti ed andavamo in paesi che volutamente tenevano aperte le porte ai processi di immigrazione. Le nostre mete preferite erano gli Stati Uniti, l'Argentina, l'Australia, PAESI DI IMMIGRATI, paesi enormi, scarsamente popolati che avevano un gran bisogno di mano d'opera. Ad un certo punto questi paesi hanno chiuso le porte e il flusso migratorio verso di loro si è ridotto. Nessuno ha preteso che Argentina, Australia o Stati Uniti continuassero indefinitamente ad accogliere tutti, indipendentemente dalle loro esigenze e dai loro bisogni.

I “migranti” sono portatori di differenze che per noi sono “ricchezza”. Idiozie! Moltissimi “migranti” hanno cultura, abitudini, stili di vita INCOMPATIBILI coi nostri, questa tra l'altro è un'altra, grande, differenza fra gli Emigranti italiani ed i “migranti” nord africani. NON è vero che TUTTE le differenze siano “ricchezza”, che OGNI diversità sia positiva. Un nazista è DIVERSO da me ma io non voglia aver nulla a che fare con la sua “diversità”, lo stesso dicasi per un seguace di Pol Pot, Stalin o Mao, uno stupratore, un serial killer... ed un fondamentalista islamico. Dovrebbe essere chiaro, E' chiaro, per chi non sia seguace del “politicamente corretto”.

E tanto basta.

mercoledì 2 aprile 2014

CONTRO GLI INCORRUTTIBILI




Detesto i corrotti, ma odio gli incorruttibili. Li odio di un odio profondo, freddo, razionale. Li odio perché mi fanno orrore e paura. E ora cerco di spiegare il perché.

“Agisci solo secondo quella massima che tu puoi volere, al tempo stesso, che divenga una legge universale”, questa la notissima prima formulazione dell'imperativo categorico kantiano. Questa formula può essere interpretata nel senso che chi segue sempre, integralmente e senza riserve, l'imperativo etico non dovrebbe fare distinzione alcuna, nei suoi comportamenti, fra se e gli altri. La legge è universale ed astratta, non opera nessuna distinzione fra gli esseri umani, allo stesso modo dovrebbe comportarsi chi pone la legge a base del suo comportamento.
Basta un piccolo esperimento mentale per rendersi conto che un simile comportamento è umanamente impossibile.
Sono alla guida della mia auto, in una strada in discesa. Ad un tratto mi rendo conto con orrore che i freni sono rotti. L'auto acquista velocità; di fronte a me appare una figura: è un bambino, è mio figlio, l'auto fuori controllo lo travolgerà. Posso evitare di ucciderlo in un solo modo: svoltando rapidamente a destra, ma se lo faccio l'auto travolgerà un altro innocente bambino. Che faccio? Qualsiasi padre svolterà, eviterà di travolgere il figlio, lo farà pieno di orrore, di disperazione ma lo farà, e nessuno potrà condannarlo per questo. Però, svoltando il padre dimostra che per lui le vite degli esseri umani non sono tutte equivalenti.
L'imperativo etico in effetti, specie se interpretato in maniera forte, è quanto di più innaturale possa concepirsi. Tutti gli esseri viventi in natura mirano prima di tutto a salvaguardare la propria esistenza, non considerano tutte equivalenti le varie vite, né, tanto meno, le varie forme di vita. Le stesse, rare, azioni eroiche, quelle in cui un essere umano si sacrifica per i suoi simili, hanno un senso, a ben vedere le cose, solo in relazione a questo universale, fortissimo, attaccamento che ogni essere vivente ha per la propria esistenza. Il gesto del martire che si sacrifica per gli altri sarebbe non solo impossibile ma addirittura insensato se gli altri non fossero attaccati alle loro esistenze. Se tutti mettessimo sullo stesso piano tutte le vite perché qualcuno dovrebbe accettare che un altro si sacrifichi per lui? E dove starebbe l'eroismo, dove lo stesso sacrificio, se chi accetta di morire per salvare altri esseri umani considerasse equivalenti la sua vita e quelle delle persone per cui la immola?
Inteso in senso forte l'imperativo appare non solo contrario alla natura ed alla psicologia umane, ma viziato da una intima contraddizione: comportarsi in maniera tale da non fare distinzione fra se stessi e gli altri svuota il concetto di merito morale, rende incomprensibile lo stesso rispetto verso i nostri simili. Perché Tizio dovrebbe esigere che Caio lo rispetti se non esiste differenza alcuna fra la sua vita e quella di Caio? Caio deruba Tizio, e allora? La vita di Caio migliorerà in seguito a questo furto, e per Tizio la vita di Caio vale quanto la sua. Derubandolo Caio non lo ha offeso, non ha peggiorato la sua esistenza. L'imperativo del rispetto valo solo se ognuno tiene a se stesso, quindi tiene ad essere rispettato.
L'imperativo può essere interpretato in un altro modo, non contraddittorio, più moderato e consono alla natura umana. Ognuno tiene a se stesso, e fa distinzione fra l'esistenza propria e quella degli altri, nel far questo però ognuno è obbligato moralmente a non prevaricare gli altri. L'etica riconosce il fatto primordiale dell'attaccamento di ognuno al proprio esistere, ma lo tutela in maniera generalizzata. Io, tu, tutti abbiamo diritto di amare noi stessi e questo diritto va tutelato per tutti allo stesso modo. Essere soggetti morali non ci trasforma in esseri disincarnati, privi di desideri, interessi, pulsioni. Siamo e restiamo uomini anche se sentiamo l'obbligo di rispettare i nostri simili. Kant avrebbe optato per queste interpretazione del suo imperativo categorico? Forse si, o forse no...

Inteso in senso non estremistico l'imperativo etico appare però pericolosamente aperto alla trasgressione, per questo Kant, che pure riconosce senza esitare che l'uomo è fatto di “un legno storto da cui è molto difficile si possa costruire qualcosa di dritto”, avrebbe avuto, penso, forti perplessità ad interpretarlo in modo tale.
Pur desideroso di comportarmi in maniera eticamente corretta io ho diritto di fare distinzioni fra me e gli altri. Io non sono un mero appartenente al genere umano, sono quel certo essere umano, con i suoi interessi, le sue aspirazioni, i suoi desideri, che non sono per me sullo stesso piano degli interessi, delle aspirazioni, dei desideri degli altri. Partendo da questo presupposto non è possibile che io decida di non rispettare i miei simili? Se io mi considero in una posizione privilegiata rispetto agli altri non corro il rischio di varcare la soglia che separa le azioni moralmente lecite dalle altre?
La vita morale degli esseri umani si dibatte in questo dilemma: o si considera solo la legge, e non si fa distinzione alcuna fra se stessi e gli altri, ed allora non solo si calpestano le leggi elementari della psicologia e della natura umane ma si cade nell'auto contraddittorietà, o si fa questa distinzione ed allora la possibilità di violare i vincoli morali diventa forte, a volte fortissima. Siamo uomini, non nature disincarnate, la nostra etica è, non può che essere, un'etica umana, con tutte le difficoltà, le contraddizioni, i pericoli del caso. Non a caso lo stesso Kant ammette che seguire l'imperativo morale è sempre molto difficile, seguirlo sempre, quasi impossibile.

Gli “incorruttibili” sono coloro che si pongono al di fuori di questi difficoltà, pericoli, contraddizioni. E' incorruttibile colui che segue sempre e comunque un ideale, una regola di condotta, la stessa legge morale, senza avere mai il minimo cedimento, senza che le esigenze della sua sensibilità, del suo essere quel particolare uomo, possano minimamente farlo deviare, anche solo di una virgola, dal suo cammino.
I normali esseri umani non solo hanno difficoltà a comportarsi moralmente, e ne hanno ancora di più a seguire i dettami di un ideale, ma riconoscono l'esistenza dei dilemmi morali. Riconoscono l'esistenza di tali dilemmi perché sono e si sanno uomini, e l'etica che seguono, o gli ideali che vorrebbero realizzare, sono un'etica, e degli ideali, umani.
Un padre che viene a sapere che il figlio ha commesso un delitto deve testimoniare contro di lui? Per l'incorruttibile il dilemma neppure si pone: ciò che conta è solo la legge, tutto il resto: affetti, legami familiari, amicizie non ha alcun peso. Per gli uomini in carne ed ossa invece il dilemma esiste, eccome. L'incorruttibile che a bordo della sua auto con i freni fuori uso sta per travolgere il figlio non cerca di schivarlo, per lui tutti i bambini sono uguali, meglio, per lui non contano i bambini in carne ed ossa ma l'universalità della norma etica, e in nome di questa universalità astratta travolge il figlio, senza rimpianti.
L'incorruttibile, per farla breve, è colui che ha espulso da se tutto ciò che fa di lui un uomo. Impulsi, desideri, affetti, amicizie, simpatie. L'incorruttibile segue solo la legge, o l'ideale, o la regola, e li segue senza curarsi delle conseguenze delle sua azioni. La legge non è per l'incorruttibile qualcosa di umano, qualcosa che è buono perché serve all'uomo. No, la legge è per l'incorruttibile un bene in se, da seguire sempre e comunque, quali che siano le conseguenze sugli uomini. Non la legge per l'uomo ma l'uomo per la legge.

Gli incorruttibili piacciono, circondati come sono da un'aura di romanticismo mistico. Chi è pronto a dare la vita per i propri principi è guardato con ammirazione da tutti coloro che non vedono l'altra faccia della medaglia: che è pronto anche ad uccidere per essi. L'incorruttibile per antonomasia, Maximilien Robespierre, è stato oggetto per lungo tempo di una sorta di venerazione in certi ambienti progressisti, ed è ancora oggi giudicato da molti con benevola indulgenza, eppure era un uomo che avrebbe fatto ghigliottinare la madre, pur di salvaguardare la “virtù civica” o almeno, quella che lui riteneva tale.
Se però si guarda senza paraocchi alla storia non si può non essere colpiti da un fatto assolutamente evidente: alcuni dei peggiori tiranni di ogni tempo sono stati degli incorruttibili, uomini che hanno messo il loro ideale, giusto o sbagliato che fosse, non è questo il punto, sopra ogni altra cosa, e che hanno fatto di tutto per realizzarlo. Persone “oneste”, da questo punto di vista.
Quando i nazisti iniziarono la mattanza di ebrei molte SS dovettero affrontare problemi non da poco. Una cosa è teorizzare che gli ebrei, tutti gli ebrei, sono la sifilide del genere umano, altra cosa sparare ad un bambino, sia pure ebreo. Gli alti caporioni nazisti dovettero intervenire per indottrinare meglio i membri del corpo scelto del fuhrer. “Non dovete farvi commuovere, cedere all'umana pietà. Gli ebrei vanno distrutti, tutti, senza eccezioni, uomini e donne, adulti e bambini. Distruggendo gli ebrei noi faremo un regalo enorme al genere umano, questa è la sola cosa che conta, l'ideale supremo da realizzare”. I nazisti fanatici erano incorruttibili, lottavano con spietata ferocia per realizzare l'ideale in cui credevano fanaticamente. Come uomini potevano anche provare ribrezzo per ciò che facevano, come soldati del fuhrer dovevano esserne fieri, e in loro il soldato del fuhrer sopravanzava, e di molto, l'uomo. Certo, esistevano anche i nazisti corrotti, spinti non tanto, o non solo, dal fanatismo ma dal desiderio di arricchirsi spogliando le loro vittime sacrificali, ma questi non erano i più pericolosi, al contrario. Spesso per un ospite dei campi di sterminio imbattersi in un carceriere corrotto, o corruttibile, poteva rappresentare una insperata possibilità di salvezza.
E ciò che vale per i nazisti vale per tutti i fanatici, di tutte le grandi tragedie totalitarie. Nella Russia staliniana i figli denunciavano i genitori, i mariti le mogli e viceversa. Lo facevano per convinzione o per paura, o per entrambe le cose? Difficile stabilirlo con precisione. Resta il fatto che, ancora una volta, l'ideale era messo sopra ogni altra cosa. Al primo posta sta la fedeltà alla patria del socialismo ed al “padre dei popoli”. Affetti, amicizie, impulsi, desideri, sono, devono essere, del tutto subordinati alla fedeltà all'ideale. Un freddo ideale, astratto, lontano anni luce dall'uomo e dalle sue vere esigenze.
E lo stesso avviene oggi col fondamentalismo islamico, con gli uomini bomba pronti a sacrificarsi pur di uccidere il maggior numero possibile di “cani infedeli”. Di nuovo, tutte le esigenze umane, a partire da quel fortissimo impulso naturale che si chiamo istinto di sopravvivenza, vengono sacrificate alla fedeltà nei confronti dell'idea. Le bombe umane sono incorruttibili, assolutamente incorruttibili, ma, proprio per questo, orrende, spaventose, ripugnanti.

Scendiamo, e di tanto, nella scala dell'orrore, abbandoniamo le grandi tragedie e volgiamo la nostra attenzione a drammi più piccoli, ed anche alle farse dell'Italia di oggi. “La legalità è il dovere supremo” si sente spesso strillare. “Bisogna sempre pagare le tasse, tutte le tasse, chi non lo fa è un criminale da sbattere in galera!”. “Chi cerca di pagare meno è un criminale come chi evade, non c'è differenza fra elusione ed evasione!” si sente ripetere. Ed ancora: “le sentenze si eseguono, non si commentano! Non bisogna delegittimare la magistratura!”. Gli incorruttibili difensori della legge, del fisco e della magistratura schiamazzano contrapponendo la loro assoluta, adamantina onestà alla immonda disonestà del popolo bue e di chi lo travia e lo corrompe. Naturalmente tanta proclamata fedeltà ai grandi principi ha poco a che vedere con l'uomo, le sue esigenze, la sua natura. Si difende il fisco senza mai chiedersi se sia normale la pressione fiscale a cui il popolo è sottoposto, si esalta la “legge” senza mai domandarsi se si tratta di una legge giusta, si invitano tutti a rispettare la magistratura senza porsi imbarazzanti domande sul concreto operare dei magistrati, si strilla che “non si devono commentare le sentenze” senza neppure essere sfiorati dal dubbio che molto spesso alcune sentenze sono state dei monumenti di ingiustizia. La pomposa fedeltà ad ideali astratti prevale in continuazione sul concreto, sulla umana considerazione degli esseri umani e delle loro miserie. Però, a differenza dei grandi e terribili incorruttibili, quelli di oggi e di casa nostra sono figure assai meno adamantine. Basta grattare un po' per scoprire che dietro al continuo richiamo all'onestà, alla “maestà della legge” si celano storia politiche e personali non precisamente esemplari. Gli incorruttibili grandi e spietati sono dei fanatici, gli altri, gli incorruttibili caserecci, sono quasi sempre degli ipocriti. Protestano contro l'evasione ma sono pronti ad evadere, se appena capita loro l'occasione, strillano contro i “condannati” ma se vai a spulciare la loro fedina penale scopri che qualche condanna la hanno anche loro, lanciano grida acutissime contro la corruzione e poi sono pronti a pagare ed intascare tangenti, denunciano i crimini della finanza poi cercano di farsi una banca. Certo, meglio tipi simili che Maximilien Robespierre ma... che pena!

Gli uomini, la stragrande maggioranza degli esseri umani sono corruttibili. Lo sono perché la corruttibilità è legata alla nostra debolezza, e la debolezza è una caratteristica essenziale della natura umana. Gli uomini sono corruttibili perché, come aveva detto qualcuno, sono tutti, chi più chi meno, peccatori, perché nessuno ha davvero il diritto di “scagliare la prima pietra”. Certo, non tutti siamo peccatori allo stesso modo, né tutti siamo corruttibili allo stesso modo. Occorre lottare contro la nostra corruttibilità, ma pensare di sradicarla dal nostro essere non è solo sbagliato, è profondamente pericoloso. Pericoloso perché chi cerca di eliminare dal suo animo ogni corruttibilità cade inesorabilmente nel fanatismo. Possiamo diventare incorruttibili solo se eliminiamo dal nostro essere quanto ci fa deboli, quindi umani: desideri, attaccamento a noi stessi, affetti, pulsioni, ambizioni, e sostituiamo a tutto questo un'idea fredda, astratta, disumana. Ogni essere umano ha il dovere di cercare di mantenersi onesto anche se sa che a volte non riuscirà in questo intento, e sa che potrebbe trovarsi in situazioni in cui essere fedele alla propria onestà diventa quasi impossibile. Di più non può fare, meglio, non deve fare, se vuole restare uomo.