mercoledì 17 maggio 2023

SULL'ANTROPOCENTRISMO

 

Prima l’orsa, poi il papa che non benedice un cagnolino, ed in entrambi i casi scoppia in rete un dibattito surreale, caratterizzato spesso da livelli imbarazzanti di ignoranza ed irrazionalità. Infine arriva il dramma dell'Emilia allagata ed inizia una discussione infinita non su ciò che si può e si deve fare per tutelare il territorio ma sugli onnipresenti "mutamenti climatici" ormai diventati per qualcuno la causa di tutto e del contrario di tutto.
Non intendo ripetere cose che ho già detto molte, forse troppe, volte, preferisco concentrare l’attenzione su un concetto che è sottinteso in molte discussioni ma che raramente emerge in tutta la sua rilevanza. Si tratta del concetto di antropocentrismo.
Piaccia o non piaccia la cosa la religione cristiana è antropocentrica, anzi, sono antropocentriche tutte le religioni monoteiste. Non sono antropocentriche, o non lo sono chiaramente, in maniera esente da contraddizioni, un po’ tutte le concezioni filosofiche e religiose di tipo panteista.
Il panteismo però è in netto contrasto col monoteismo, in particolare con quello cristiano che, anche per questo, è radicalmente antropocentrico, su questo non sono leciti dubbi. Ma cosa è l’antropocentrismo?
In linea di massima possiamo definire antropocentrismo quella concezione, o insieme di concezioni secondo le quali l’uomo è al centro del creato, al centro, si badi bene, non in senso fisico: non esiste legame necessario fra antropocentrismo e geocentrismo, l’inequivocabile antropocentrismo di Aristotele, ad esempio, non deriva dalla sua concezione del cosmo e delle sfere celesti. L’uomo è al centro nel senso che occupa di una posizione particolare nel mondo: è inferiore a Dio, o agli Dei e, nella cristianità, alle nature angeliche, ma gode di una status ontologico ed etico diverso e superiore a quello delle altre creature. Non occorre essere credenti per condividere una simile concezione dell’uomo. Nell’universo aristotelico l’uomo gode di uno status superiore perché è l’unico animale razionale (e politico), l’unico che possiede tutte e tre le componenti dell’anima: quella vegetativa, quella sensitiva e, appunto, quella razionale. In Kant la superiorità dell’uomo è legata soprattutto al fatto che questi è l’unico ente capace di sentirsi obbligato dai comandi dell’imperativo categorico; anche un filosofo che può essere considerato vicino al panteismo come Hegel riconosce all’uomo un carattere unico nel mondo: è attraverso qualcosa di profondamente umano come la filosofia che l’assoluto giunge alla piena autocomprensione di se stesso. Mentre per i giusnaturalisti ed i padri del pensiero liberale l’uomo è l’unico essere dotato di diritti naturali per Marx è l’unico che costruisce, modificando coscientemente la natura, le proprie condizioni materiali di esistenza... si potrebbe continuare molto a lungo. Una cosa però è certa: si può essere o meno d’accordo con le numerosissime filosofie antropocentriche, se ne possono criticare, accettare o rifiutare le categorie portanti, ma non è possibile ignorarle. In ogni caso l’antropocentrismo non riguarda solo i credenti.

Esiste tuttavia un modo di intendere l’antropocentrismo che, in mancanza di una sua chiara esplicitazione, rischia di indurre grossi equivoci in ogni discorso sull’argomento.
Si tratta di quella che potremmo definire una concezione armonica dell’antropocentrismo.
Secondo questa concezione l’uomo sarebbe al centro di una natura finalizzata al suo benessere ed alla realizzazione dei suoi valori. Non esisterebbe alcun contrasto fra uomo e natura non umana: tutto sarebbe retto da una dolce armonia che l’uomo dovrebbe, nel suo interesse, rispettare. Ci si adegui agli armoniosi equilibri di “madre natura” e si vivrà felici e contenti.
E’ come minimo molto dubbio che l’antropocentrismo cristiano sia di questo tipo. Una simile natura armoniosa può caratterizzare il paradiso terrestre, di certo non caratterizza il mondo in cui Dio ha condannato l’uomo a vivere dopo la caduta. In questo mondo l’uomo dovrà guadagnarsi il pane col sudore della propria fronte, potrà cercare di utilizzare a suoi fini ciò che la natura gli offre ma questo sarà per lui faticoso e pericoloso.
Se non caratterizza l’antropocentrismo cristiano questa concezione è invece caratteristica di molte ideologie radical ecologiche. La natura è “buona” e l’uomo deve adeguarsi ai suoi ritmi. Se non lo fa si trasforma in “cancro del pianeta”. Siamo di fronte ad una traiettoria tipica del radicalismo ecologico: si parte da un antropocentrismo mistico in cui non esiste contrasto alcuno fra uomo e natura, poi, visto che il contrasto esiste, lo si addebita all’uomo che nella sua folle “volontà di potenza” rompe gli armoniosi equilibri naturali. L’antropocentrismo mistico si trasforma in odio per l’uomo. La natura è armoniosa, è l’uomo a non esserlo, è lui che potrebbe “distruggere il pianeta”. Però… però anche l’uomo fa parte della natura: Come possa qualcosa di tanto “armonioso” produrre il suo distruttore è e resta un mistero.
Ma non finiscono qui le assurdità. La tesi misticheggiante secondo cui la natura sarebbe un tutto armonioso in grado di soddisfare esigenze e valori umani viene ampliata e trasformata nel mito di una natura finalizzata alla tutela di tutte le specie viventi. Inizialmente questa tesi riguarda solo le specie animali: madre natura assicura il benessere di uomini ed animali, poi viene estesa a tutti i viventi, infine a tutti gli enti, viventi o non viventi che siano. Siamo, appunto, in piena mitologia. Basta avere qualche scarsa nozione di storia naturale per sapere che innumerevoli specie animali e vegetali si sono estinte nel corso del tempo e non occorre essere scienziati per sapere che nell’universo ogni momento un numero enorme di stelle e pianeti viene assorbito da qualche buco nero, o che un bel giorno il sole collasserà e sparirà ogni traccia di vita sulla terra. Anche prescindendo da questo, la semplice osservazione ci dice che sulla terra la conservazione delle specie, quando e fino a che c’è, si perpetua tramite il sacrificio dei singoli e questo è, per definizione, molto poco “armonioso”.
Qualsiasi concezione dell’antropocentrismo basata su una presunta, dolce, armonia fra uomo e natura conduce inevitabilmente a forme irrazionali di mitologia se non ad un pericolosissimo odio dell’uomo nei confronti di se stesso. Ovviamente esiste, deve esistere, una certa armonia fra uomo e natura: se non esistesse la stessa vita dell’animale uomo sarebbe impossibile, ma si tratta di una armonia precaria, difficile da raggiungere e mantenere, meglio, si tratta di una armonia non automatica che non è detto garantisca la vita ed il benessere degli umani, e non solo. La natura permette ma non garantisce affatto la vita, meno che mai il benessere, dell’uomo e, a ben vedere le cose, di nessun essere vivente. Ogni specie vivente, uomo, animale o addirittura pianta che sia, deve lottare solo per poter sopravvivere. L’uomo deve lavorare duramente, modificare la natura circostante per migliorare la sua condizione, ma questa sua attività crea di continuo nuovi problemi, lo mette di fronte a nuovi pericoli. Questo è il robusto grumo di verità che sta dietro a tante teorie ambientaliste: siamo costretti a modificare la natura per vivere e svilupparci, ma queste modifiche nascondono insidie e pericoli. Peccato che molti ambientalisti, o pseudo tali, invece di approfondire questo aspetto importante delle loro dottrine, si lascino trascinare verso forme inaccettabili di irrazionalismo mistico.

L’antropocentrismo autentico ha poco o nulla a che vedere con la mistica di una natura finalizzata alla preservazione di tutte le forme di vita, meno che mai alla realizzazione di valori umani. Il vero antropocentrismo si limita ad assegnare all’uomo un valore diverso e superiore rispetto a tutte le altre specie viventi, più in generale alla natura non umana. Fra uomo e natura non umana esiste di certo molta continuità, ma esiste anche una frattura, una discontinuità radicale sia etica che ontologica. L’uomo non è un animale un po’ più intelligente degli altri, è un essere capace di progettare la propria vita e di operare in conseguenza. Cosciente ed autocosciente impara dai propri errori e per questo accresce di continuo il suo patrimonio intellettuale, si rapporta non solo al reale ma anche al possibile, può addirittura pensare l’impossibile. Soprattutto l’uomo capisce la differenza fra il bene ed il male, è l’unico animale di cui si può dire che sia buono o cattivo, colpevole o innocente di qualcosa, l’unico che possa essere punito, o premiato, per le proprie azioni. Anche gli animali vengono spesso “premiati” per i loro comportamenti, ma questo fa parte delle tecniche di addestramento, non si tratta di un vero premio, della ricompensa per aver agito bene. Allo stesso modo nessun animale può ragionevolmente essere “punito” per ciò che fa, l’eventuale abbattimento della famosa orsa che ha fatto scorrere autentici fiumi d’inchiostro, non è una “punizione” per un “omicidio”, semplicemente una misura, giusta o sbagliata, a tutela della pubblica sicurezza. E’ deprimente dover constatare che tanti, a cominciare dal sempre più incredibile Vittorio Feltri, non riescano a capirlo.
Radicale discontinuità fra uomo e natura non umana: questo il succo del vero antropocentrismo che, val la pena di ripeterlo, non è monopolio dei credenti. Discontinuità che non implica affatto, dovrebbe essere scontato, alcun atteggiamento sprezzante dell’uomo nei confronti della natura non umana. L’uomo non si limita ad usare a suoi fini ciò che la natura gli offre, è anche l’unico essere capace di ammirarne la bellezza, può interrogarsi sul posto che egli occupa nell’universo ed esitare ad accettare o rifiutare modifiche troppo radicali dell’ambiente, non solo per le loro conseguenze estetiche negative. L’uomo può ammirare gli animali e provare per alcuni di loro sentimenti di affetto, forse addirittura di amore. Siamo capaci di metterci nei panni degli altri e possiamo compatire le sofferenze anche di creature non umane e cercare per quanto possibile di alleviarle. Tutto questo però non nega la radicale discontinuità fra uomo e natura non umana: essere antropocentrici non vuol dire disprezzare tutto ciò che non è umano, vuol dire capire che anche i sentimenti positivi che proviamo nei confronti della natura non umana sono qualcosa di profondamente umano, non ci mettono sullo stesso piano dei monti e dei mari, degli abeti, dei grilli, delle pantere e nemmeno dei nostri amati cagnolini.

Qualcuno che accetta una concezione simile a quella che ho cercato di esplicitare ne trae però a volte conseguenze assolutamente inaccettabili che val la pena di esaminare con un minimo di attenzione.
Proprio perché siamo umani, questo il succo del loro discorso, abbiamo il dovere di rispettare la natura non umana, animali in testa.
Inteso in senso debole questo discorso è del tutto condivisibile, si risolve in considerazioni simili a quelle fatte sopra su un rapporto equilibrato e rispettoso fra uomo e natura, purtroppo però molti non si limitano a questo, il succo del loro discorso è radicalmente diverso. Proprio perché umani, ecco il succo, dobbiamo riconoscere dignità etica alla natura non umana. Gli animali si umanizzano, diventano persone morali cui dobbiamo lo stesso rispetto dovuto a uomini, donne e bambini. Questo è alla base delle tanto declamate teorie “antispeciste”: tutti gli esseri viventi hanno pari dignità etica, non esistono discontinuità morali nella natura: una orata ed un uomo, il cucciolo di cinghiale ed un neonato sono sullo stesso piano. L’orso vale quanto se non più dell’uomo. La cosa ridicola e logicamente contraddittoria è che si arriva a simili conclusioni partendo dalla affermazione della superiorità etica dell’uomo. Siamo superiori, “quindi”, in nome della nostra superiorità, dobbiamo parificarci agli altri esseri viventi. Siamo capaci di comprendere l’importanza dell’imperativo etico “quindi” dobbiamo moralizzare tutto. In nome della morale si pretende di moralizzare ciò che si colloca fuori dalla morale.
Discorsi come quello che stiamo esaminando non sono solo autocontraddittori, rivelano una superficialità di pensiero semplicemente desolante. Chi li fa dimostra di avere una concezione poco seria dell’etica e di non saper vedere neppure le conseguenze più immediate, macroscopiche, di certe affermazioni.
Se riconosco ad X la dignità di persona morale sono moralmente obbligato a rispettare moralmente X, a rispettarlo sempre ed in maniera generalizzata, sono obbligato a rispettare tutte le X esattamente come rispetto tutti gli esseri umani. Molti invece affermano che si deve rispettare X salvo poi motivare un simile rispetto con considerazioni che con la morale hanno poco a che vedere. Ad esempio i fanatici del veganismo giustificano spesso e volentieri le diete vegane con l’argomento che queste sarebbero “salubri”. E no, cari signori! Anche ammesso, e non concesso, che le diete vegane siano salubri non può essere questo il motivo che vi spinge a seguirle, se davvero intendete riconoscere agli animali la dignità di persone morali! Cosa direbbe ognuno di noi ad un tale che affermasse che lui non mangia i bambini perché farlo gli farebbe aumentare troppo l’indice glicemico? Non giudicheremmo criminale un simile individuo?
Ma lasciamo perdere… quello che stupisce in tanti, e tanto diffusi, discorsi è la totale incapacità di andare un centimetro oltre l’apparenza immediata. Si parla degli animali come di persone morali e si pensa che tutto si riduca all’abbandono delle diete carnivore. Queste dovrebbero esser vietate all’unico animale in grado di comprendere (solo raramente di seguire) l’imperativo morale e concesse a tutti gli altri, pure promossi al rango di persone morali, con conseguenze a dir poco assurde. Prendo un pollo, lo faccio a metà, mangio io la prima metà e do’ l’altra in pasto al mio cane. Se fossere vere certe teorie commetterei un crimine per il mezzo pollo che mangio io, non ne commetterei invece nessuno per la metà che dò al mio amico a 4 zampe… ridicolo.
Di nuovo, lasciamo perdere… la cosa davvero importante non è questa, in fondo. Ciò che davvero stupisce è l’incapacità di capire che la rinuncia alle diete carnivore, o anche a cibi come latte, formaggi e uova non farebbe fare un passo avanti verso la soluzione del problema. Se gli animali non umani sono soggetti morali la loro dignità etica viene offesa non solo se li si uccide per mangiarli. Coltivare grano, abbattere alberi, costruire case, fabbriche, strade, ponti, scuole ed ospedali, sperimentare farmaci sono tutte attività che ledono i “diritti” ed uccidono moltissimi animali non umani. L’agricoltura uccide molti più animali che non la tanto detestata caccia, il bisonte americano è stato messo a rischio estinzione non dalla caccia dei cosiddetti “nativi americani” ma dall’estensione degli insediamenti umani e delle coltivazioni, dalla costruzione delle grandi linee ferroviarie. Gli stessi sentimenti di affetto che proviamo nei confronti di certi animali ne uccidono moltissimi altri; chi ha dubbi in proposito visiti uno dei tanti negozi in cui si vendono prodotti per animali e mi sappia dire. In breve, si prenda minimamente sul serio la pretesa di conferire dignità etica agli animali non umani e l’intero processo di civilizzazione, compresa in questo la coscienza ambientalista, va a farsi benedire. Le cose, ovviamente, diventano ancora più complicate, il groviglio di contraddizioni ancora più insolubile, se il riconoscimento della personalità etica viene esteso, oltre che agli animali, a tutta la natura non umana, cosa che fanno con lucida ma folle coerenza i mistici dell’ecologia più radicali. In effetti, se un topo vale quanto un uomo perché mai un abete non dovrebbe valere quanto un topo? E perché mai la stupenda vetta ghiacciata del bianco dovrebbe valere meno di un abete?

“Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente quanto più spesso e più a lungo le riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale dentro di me” scrive Kant al termine della “critica della ragion pratica” e prosegue: “il primo spettacolo di una quantità innumerevole di mondi annulla affatto la mia importanza di creatura animale che deve restituire nuovamente al pianeta (un semplice punto nell’universo) la materia dalla quale si formò dopo esser stata provvista per breve tempo (e non si sa come) della forza vitale. Il secondo invece eleva infinitamente il mio valore…” (1)
L’uomo è piccola, piccolissima cosa nel cosmo, non può non ammirare, colmo di stupore, la bellezza e la potenza della natura, non può non provare un sentimento di rispetto nei confronti dell’infinità che lo sovrasta: il kantiano cielo stellato sopra di me. Ma l’uomo sente, sente, non sa, che forse non è solo natura, che qualcosa dentro di lui lo rende diverso da tutto ciò che non è umano: la legge morale, e non estende al cielo stellato, alla natura, quel “qualcosa” che è dentro di lui.
L’antropocentrismo in fondo è solo questo: rifiuto di estendere al cielo stellato che ci circonda ed è infinitamente più grande, forte e potente di noi ciò che è dentro di noi e conferisce alle piccole, deboli, limitate creature che siamo una dignità particolare, forse unica. Siamo solo una debole canna, diceva Pascal, ma una canna che pensa e questo fa di noi qualcosa di molto, molto importante. Estendere al cielo stellato, alla natura, la legge morale non rende morale la natura, non la trasforma in debole canna pensante, distrugge invece ciò che è essenziale alla canna, la degrada e la uccide. Natura e morale non possono essere confuse, farlo degrada entrambe. Essere morali vuol dire cercare di instaurare rapporti etici con altri esseri morali e rispettare, senza moralizzare, ciò che morale non è. Tutto il resto è solo balbettio irrazionale e non morale.

PS

In breve appendice, due parole sul recente rifiuto del papa di benedire il cagnolino di una signora.
A parte il fatto che è abbastanza inaccettabile, e colma di pauperismo deteriore, la tesi secondo cui, visto che tanti esseri umani nel mondo soffrono la fame, non si può amare il proprio cane, a parte questo, dal punto di vista teologico il rifiuto papale è giustificato, ma probabilmente lo sarebbe stato anche il consenso a benedire. In fondo si benedicono auto, case, strade ed anche animali. E’ vero, si potrebbe obbiettare, ma si tratta di benedire oggetti ed anche animali in vista della loro utilità per l’uomo, non in se stessi. Però anche il cagnolino poteva essere benedetto per gli stessi motivi: l’amicizia con un cane può migliorare la vita di un essere umano, questo è innegabile. Ho letto che la signora avrebbe detto al papa che il cagnolino sarebbe “suo figlio”. Questo è inaccettabile, non solo per un papa, ma… sinceramente non credo che la signora intendesse davvero che il cane fosse suo figlio.
“Esco col bambino”. Mi capita spesso di dire questo a mia moglie quando porto il nostro cagnolino a spasso. Ovviamente sappiamo benissimo che il nostro simpatico Bolt non è un bambino… a volte bisognerebbe evitare di prendere le parole troppo alla lettera.
In definitiva, il papa poteva benissimo esaudire il desiderio della signora, anche se val la pena di aggiungere che se lo avesse fatto i fanatici dell’animalismo avrebbero presentato il suo gesto come una sorta di alto riconoscimento della parità etica fra animali ed esseri umani. A ben vedere le cose questo papa ha già fatto numerosissime concessioni al panteismo, se in passato le avesse limitate avrebbe potuto benedire il cagnolino senza esporsi al rischio di interpretazioni distorte del suo gesto.
E tanto basta, direi.

Note
1) Immanuel Kant: Critica della ragion pratica. Laterza 1983 pag. 197.