giovedì 21 marzo 2019

RAZZISMO MAGREBINO?

E' l'ultima scoperta dei “buoni”. Ci sono africani razzisti!
I magrebini in particolare sarebbero razzisti nei confronti degli africani neri, i sub sahariani soprattutto.
C'è solo da dire: meglio tardi che mai!
Il razzismo è un fenomeno assai diffuso e complesso, purtroppo. Non esiste solo il razzismo dei bianchi nei confronti dei neri.
Esiste un razzismo nero nei confronti dei bianchi, un razzismo di neri nei confronti di altri neri, molte forme di razzismo legate ad odi etnici e tribali. Nessuno è immune da questa brutta malattia, purtroppo.
Però... fino a poco tempo fa chi ricordava queste cose, assolutamente ovvie, era subito bollato di... razzismo! L'unico razzismo è quello dei bianchi nei confronti dei neri, altri razzismi non esistono! E chi dice il contrario è... razzista!
Oggi pare che le cose siano cambiate. Eleganti commentatori e commentatrici televisive ci comunicano che i magrebini sono terribilmente razzisti ed i libici lo sono in maniera particolare. Fino a ieri parlavano dei libici come di povere vittime dell'imperialismo occidentale. Oggi sembra che la Libia sia in mano al Ku Klus Klan e che in Libia sia in corso un autentico genocidio nei confronti degli africani sub sahariani. Un immenso intellettuale come Gad Lerner ha parlato addirittura di una Soah libica. Se lo dice lui...
Come mai una inversione di rotta tanto radicale? Beh... il motivo è fin tropo chiaro. I magrebini sono razzisti quindi... quindi dobbiamo accogliere in Italia tutti color che partono dalla Libia, minacciati dal razzismo magrebino!
Davvero fantastico! “Ragionando” (si fa per dire) in questo modo avremmo dovuto, e dovremmo, accogliere in Italia la popolazione nera degli Stati uniti, visto che in quel paese il razzismo è di certo esistito, e in una certa misura ancora esiste. E dovremmo accogliere chissà quante minoranze etniche e razziali che, in una forma o nell'altra sono minacciate dalle tante forme di razzismo presenti nel mondo. Svariate centinaia di milioni di persone avrebbero “diritto” di essere “accolte” in Italia... esaltante prospettiva!
Non solo. Il razzismo non è quasi mai unilaterale. Se esiste un razzismo dei magrebini nei confronti dei sub sahariani esiste molto probabilmente un razzismo di questi nei confronti di quelli. Quindi, “ragionando” (si fa sempre per dire) come certi super intellettuali dovremmo accogliere sia gli uni che gli altri, col risultato di trovarci qui da noi, in casa nostra, a fare i conti col razzismo inter africano! Fantasie? Non troppo. La massiccia immigrazione islamica in Europa ha prodotto, fra le altre cose, anche il trasferimento nel nostro continente dei conflitti inter islamici. Fantastico risulato della “accoglienza” senza limiti.

Polemiche a parte, il difetto sta nel manico. Non si può pretendere di risolvere i conflitti che agitano il mondo trasferendo intere popolazioni nel vecchio continente, tra l'altro già abbondantemente sovra popolato. Il razzismo africano va combattuto dagli africani. Se questo razzismo provoca crisi umanitarie la comunità internazionale deve semmai intervenire, anche militarmente, per porvi termine. Pensare di risolvere il problema trasferendo mezza Africa in Europa, o in Italia, è semplicemente folle. Non risolve il problema, semmai lo generalizza. Non elimina la malattia, la trasforma in pandemia. Rende ancora più affollata l'Europa e priva l'Africa di potenziali risorse; dà una speranza, del tutto illusoria, di miglioramento a chi è in grado di pagarsi il (carissimo) viaggio in gommone e lascia gli altri, quelli più disperatamente poveri, in situazioni terribili.

Un'ultima considerazione. Sono davvero sincere certe descrizioni della Libia? Davvero in Libia è in corso un “genocidio”?
Nel decadente occidente di oggi le parole stanno sempre più perdendo il loro significato. La parola “genocidio” è una delle più abusate. Qualsiasi atto di violenza viene ormai definito “genocidio”. Ma si tratta di volgari strumentalizzazioni propagandistiche. E' genocidio lo sterminio programmato di interi gruppi etnici o razziali (qualcuno aggiunge, sociali). I morti in un attentato, i caduti in battaglia, le vittime collaterali di un bombardamento non costituiscono un genocidio. Nessuno parla di genocidio riferendosi alle innumerevoli vittime del terrorismo islamico, e fa bene a non farlo.
La Libia non è certamente un paradiso. Non ho difficoltà alcuna a credere che in Libia accadano cose molto brutte. Personalmente non passerei mai una vacanza in Libia, né sarei felice se mio figlio ci andasse a lavorare, anche se profumatamente pagato. Ma parlare di “genocidio” in Libia è solo una vogare mistificazione messa in giro dai fanatici della accoglienza senza limiti.
La Libia ha un governo riconosciuto dalla comunità internazionale. Con questo governo ha stretto a suo tempo accordi proprio in tema di immigrazione il governo di centro sinistra. Nessuno, mi pare, ha chiesto che si intervenga in quel paese pr porre fine a quella che qualcuno definisce addirittura  una “nuova shoah”. Non credo che in Corea del Nord si stia, da nessun punto di vista, molto meglio che in Libia. Aspetto che la nave di qualche ONG si diriga verso il paese di Kim Jong Un...
Inoltre, dalla Libia non partono libici, partono persone che in Libia ci sono entrate di loro spontanea volontà. Qualcuno riesce ad immaginare ebrei che entrassero spontaneamente, sia pure a solo scopo di transito, nella Germania nazista? Qualcuno lottava per entrare, anche solo per transito, nella Russia di Stalin? O nella Cina di Mao? O nella Cambogia di Pol Pot? Era facile entrare in questi paesi? Non mi pare. Soprattutto, era facile uscirne? E' molto strano l'inferno libico. I magrebini sono razzisti, odiano i sub sahariani ma li lasciano entrare in Libia, e poi permettono loro di andarsene sui gommoni. Proprio come facevano le SS con gli ebrei, o i Vopos che sorvegliavano il muro di Berlino, e sparavano a vista su chiunque cercasse di superarlo!
Ha volte ho l'impressione che la faziosità offuschi il cervello di molta, troppa gente!

mercoledì 20 marzo 2019

CONTRO OGNI LEGGE




Tanto per chiarire, per punti.

1) Il filmato, di fonte assolutamente insospettabile, mostra che la “Mare Ionio” non ha affatto soccorso dei “naufraghi”. Il gommone non stava affatto affondando e il mare non era per nulla agitato.

2) La “mare Jonio” si trovava in acque territoriali libiche. Una motovedetta della guardia costiera libica era a sole 5 miglia dal gommone. Sarebbe arrivata in breve tempo e avrebbe potuto soccorrere i migranti.

3) La guardia costiera libica aveva intimato alla “mare Ionio” di non trasbordare i migranti. Il suo comandante ha sprezzantemente disubbidito all'ordine.

4) Dopo aver trasbordato i migranti il comandante della nave ONG ha stabilito che, a suo insindacabile giudizio, il porto sicuro più vicino era quello di Lampedusa e ha fatto rotta verso l'isola.

5) Una motovedetta della guardia di finanza italiana ha intimato DUE VOLTE alla “mare Ionio” di spegnere i motori e di non entrare in acque territoriali italiane. Il comandante ha sprezzantemente disubbidito all'ordine. Se io non mi fermassi ad un blocco stradale della polizia rischierei la pelle...

6) Il comandante della “mare Ionio” si è giustificato dicendo che se avesse obbedito all'ordine della guardia di finanza la sua nave rischiava il naufragio. Quindi, per lui, i finanzieri italiani sono dei criminali che coi loro ordini mettono a rischio decine di vite umane. E' lecito dubitarne?

7) I membri della ONG continuano a parlare della guardia costiera libica come di “cosiddetta guardia costiera”. La Libia ha un governo riconosciuto dalla comunità internazionale. Il governo di centro sinistra fece a suo tempo accordi con questo governo in tema di immigrazione. La gran maggioranza dei migranti che partono dalla Libia NON sono libici. Sono ENTRATI di loro spontanea volontà in Libia. Non credo lo avrebbero fatto se davvero in quel paese fosse in corso un “genocidio”. La libia ha una GURDIA COSTIERA, non una “cosiddetta” guardia costiera.

8) Le cose sono molto chiare. Le ONG pretendono di fare quello che vogliono in barba ad ogni legge. Pretendono di essere LORO a decidere quali porti sono sicuri e quali no. Se ne fregano di guardie costiere e di guardia di finanza. Vediamo come agirà la magistratura italiana...

Per concludere una piccola nota di ottimismo. Un anno, un anno e mezzo fa la situazione era del tutto diversa. Le ONG facevano quello che volevano senza incontrare ostacolo alcuno, si parlava di “ius soli” ed ogni giorno sbarcavano a centinaia. Non è che ora le cose vadano molto bene. Di certo però vanno meglio.

martedì 12 marzo 2019

IL GOVERNO DEI SAPIENTI


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Ormai lo dicono in tanti: il principio maggioritario, base della democrazia, è “vecchio”, “superato”, va radicalmente rivisto. Il popolo è ignorante e non si possono affidare le sorti di un paese alle persone ignoranti. Devono governare i colti, le persone “sapienti”.
C'è una buona dose di arroganza ed insieme di ingenuità in simili posizioni. CHI è ignorante e CHI è “sapiente”? Un laureato è più colto di un semi analfabeta, ma è molto ignorante rispetto ad un nobel per la fisica. Il vecchio Socrate ammoniva: “siamo tutti ignoranti”, ma a sommi intellettuali come Carlo Calenda non interessa troppo, sembra, l'ignoranza socratica. E nessuno, pare, è sapiente in tutto. Un grande musicista può non sapere nulla di economia ed un fisico insigne può non conoscere la storia. E, quali fra i “sapienti” dovrebbero avere l'onore e l'onere di governarci? Come scegliere fra loro? Tramite libere elezioni? Siamo al punto di partenza. Organizzando “concorsi di sapienza”? E chi dovrebbe comporre l'infallibile giuria, chi la dovrebbe scegliere? Siamo di nuovo al punto di partenza.
In realtà chi teorizza il governo dei “sapienti” parte da un presupposto indimostrato ed indimostrabile: i sapienti siamo NOI. Noi siamo colti, raffinati, intelligenti. Gli altri no. Gli altri, “loro” sono stupidi, ignorati, mossi da passioni elementari. Noi decidiamo con la testa, loro con la pancia. Quindi noi e solo noi abbiamo diritto di governare. Peccato che tutti, ma proprio tutti, possano fare simili discorsi. I sapienti siamo NOI, strilla Tizio, leader del partito dei “sapienti”, NO, siamo NOI, replica Caio, leader del partito opposto. Come risolvere una simile contesa? In un solo modo: a suon di pugni prima, di sassate poi, infine di fucilate. Decide la violenza, in nome della sapienza e della intelligenza, delle scelte fatte non con la pancia ma con la testa.
Tra l'altro l'idea che i “sapienti” facciano sempre le scelte migliori è quanto meno discutibile. Un uomo di sconfinata cultura come Martin Heidegger aderì entusiasticamente, nel 1933, al partito nazionalsocialista, e fino al 1945 pagò con teutonica puntualità le quote. Un grande intellettuale come Giovanni Gentile fu ministro di Mussolini. Non parliamo poi degli intellettuali che osannarono l'URSS di Stalin o la Cina di Mao: Jean Paul Sartre, Pablo Picasso, George Bernard Shaw, i coniugi Webb, Bertolt Brecht, Gyory Lukacs... l'elenco è davvero troppo lungo. Molti di questi intellettuali fecero dei viaggi in URSS in piena epoca staliniana. Tutto era rigidamente programmato. Gli ospiti non potevano discostarsi di un centimetro dai percorsi stabiliti, incontravano solo persone sorridenti e felici che narravano loro che la Russia di Giuseppe Stalin era il paese del pane e delle rose, una sorta di paradiso in terra. Neppure una voce blandamente critica, neppure una! Qualsiasi manovale senza alcun titolo di studio si sarebbe insospettito, avrebbe detto: “qui c'è qualcosa che non va”... loro no. I grandi intellettuali, i sottilissimi filosofi bevevano come verità indiscutibili menzogne che non avrebbero convinto un bambino. C'è da fidarsi di simili “sapienti”? Non troppo, specie se governano senza che i tanto disprezzati “ignoranti” li possano controllare. Il miglior pregio della democrazia, ce lo ricorda Popper, consiste precisamente nel dare ai governati la possibilità di sbarazzarsi, senza far uso della violenza, di governanti che fanno danni eccessivi, malgrado tutta la loro sapienza.

Al di la delle precedenti considerazioni, frutto di semplice buon senso, c'è un errore di fondo in tutte le teorizzazioni di chi contrappone alla democrazia una qualche forma più o meno mascherata di “dittatura dei sapienti”.
Dietro a queste teorizzazioni sta una concezione “tecnica” della politica. Il compito fondamentale della politica sarebbe quello si scegliere le tecniche migliori per realizzare determinati fini o valori, della cui bontà non è lecito dubitare. Esisterebbe un “bene” oggettivamente valido per tutti ed il politico avrebbe il compito di governare la società in maniera tale da permetterle di raggiungere, o quanto meno di avvicinarsi a tale bene. Nulla di nuovo sotto il sole. Si tratta della concezione platonica della politica che non a caso sfocia nella richiesta che siano i filosofi, meglio, IL filosofo, a governare la città. Se davvero esiste un bene oggettivamente valido per tutti e se davvero il compito della politica consiste nel cercare le tecniche adatte a realizzarlo è chiaro che solo ad uomini superiori spetta il compito del governo. Solo loro possono sapere quale sia il vero bene e quali le tecniche per raggiungerlo. La “Repubblica” di Platone (non quella di Scalfari) rappresenta una eccelsa giustificazione teorica di questa concezione della politica. Non a caso un liberale come Popper la ha sottoposta ad una critica serrata, probabilmente sbagliata in alcune sue parti, qua e la ingiusta o esagerata nei toni, ma sostanzialmente condivisibile, a modesto parere di chi scrive.

Il difetto, come suol dirsi, sta nel manico. La politica non consiste nella scelta delle tecniche migliori per realizzare un fine universalmente condiviso, ma nella scelta fra fini diversi e tutti egualmente legittimi. Le società contemporanee e, in una certa misura, gran parte delle società storiche, sono, o sono state, caratterizzate da una pluralità di forze sociali, politiche, culturali, quindi da una pluralità di idee, interessi, fini, valori. La democrazia è il sistema che permette la scelta pacifica fra questi diversi interessi, fini, valori. Non una scelta escludente, che premi determinati fini ed escluda gli altri dalla competizione politica. No, una scelta che privilegi, per un determinato periodo di tempo, certi interessi, fini e valori senza annichilire gli altri. L'essenza della democrazia, meglio, della democrazia liberale, consiste nel pluralismo, e in una società pluralista nessun interesse, fine o valore può essere eliminato a meno che i suoi fautori non scelgano la strada della violenza.
Se questa è, per usare una brutta parola, l'essenza della democrazia liberale, è abbastanza chiaro che le fondamentali scelte di valore che questa consente non richiedono una particolare cultura.
Dobbiamo privilegiare lo sviluppo economico anche a costo di una riduzione delle aree naturali incontaminate o bisogna privilegiare la difesa dell'ambiente anche a costo di un certo rallentamento dello sviluppo? Dobbiamo dare più importanza alla integrazione internazionale o alla autonomia nazionale? Dobbiamo privilegiare la libertà individuale o l'uguaglianza? La sicurezza o i diritti dei singoli? Simili scelte di valore sono relativamente semplici, non richiedono conoscenze particolari. Per difendere la sua concezione tecnica della politica Platone e i suoi mediocri, e spesso inconsapevoli, tardi epigoni, fanno spesso paragoni con l'arte medica. Nessuno si farebbe curare da un medico impreparato solo perché in tanti lo hanno votato. Verissimo, ma in politica non si decide sulle tecniche di cura, semmai si sceglie fra il valore della salute ed altri valori. Val la pena di rinunciare a certi cibi perché forse poco salubri oppure è meglio vivere un po' meno sani ma godersi i piaceri della buona tavola? Non occorre essere medici per compiere scelte simili.
Tutto questo riduce le democrazie liberali al nichilismo relativista? No, ovviamente. Perché la democrazia, per vivere, ha bisogno che alcuni valori base siano largamente, quasi universalmente, condivisi. Le persone sono titolari di diritti che nessuno può loro togliere, sui problemi controversi si decide a maggioranza, le maggioranze non possono opprimere le minoranze, Ogni essere umano ha, in quanto tale, una sua ineliminabile dignità. Su queste cose in una democrazia pluralista non si sceglie. Ma sul resto, su tutto il resto si.

Andando a votare il corpo elettorale non sceglie fra verità ed errore Non si stabilisce col voto se una teoria scientifica o una dottrina filosofica siano o meno vere, o logicamente coerenti. Col voto non si decide del valore artistico di un dipinto od una sinfonia. Neppure il torto o ragione sono in discussione col voto. Col voto si decide “solo” quale forza politica abbia il diritto di governare, per un certo periodo di tempo e rispettando i diritti delle minoranze e dei singoli. Chi vince alle elezioni ha diritto di privilegiare nella sua azione certi valori, idee, interessi fermo restando che le idee, i valori, gli interessi di chi è rimasto in minoranza continuano ad avere piena legittimità. Tutto qui. Per questo le lamentele di chi contrappone al popolo bue la sapienza dei dotti sono completamente fuori luogo. La democrazia liberale non assomiglia in niente alla tirannide della maggioranza. Chiunque vinca alle elezioni non ha il diritto di impedire ai sapienti di far valere, in tutte le opportune sedi, la loro sapienza. Ha solo il diritto di governare. Chi contrappone a questo la sua “superiore cultura” non fa altro che contrapporre ad una presunta tirannide della maggioranza una non meno pericolosa tirannide della minoranza.
Ma, si potrebbe obiettare, la cultura è comunque importante nella azione di governo. La politica democratica si concretizza nella scelta fra fini diversi, ma, quale che sia il fine che viene scelto, per metterlo in atto occorre una buona dose di conoscenze. E molto spesso le scelte non sono particolarmente nette. Si sceglie non tanto fra A e B ma fra certe diverse misture di A e B. Quale è la “mistura” giusta? Quale il giusto punto di equilibrio? Per stabilirlo occorre spesso avere un elevato grado di cultura. Tutto giusto, tutto ampiamente condivisibile. La politica è anche cultura, richiede sempre una certa dose di conoscenze, non è solo scelta dei fini ma anche, in una certa misura, messa in atto di tecniche adeguate a realizzarli. Perché una democrazia liberale funzioni bene occorre che la cultura sia abbastanza diffusa sia fra gli eletti che fra gli elettori. Questo però non giustifica in alcun modo la pretesa arrogante di sostituire alla sovranità (limitata ovviamente) del corpo elettorale la presunta superiorità dei “sapienti”. Non la giustifica non solo perché molto spesso i “sapienti” tali non sono, ma per un motivo molto più fondamentale. Chi possiede la cultura deve consigliare, mettere in guardia, ammonire, istruire nelle sedi adeguate chi di cultura ne possiede meno, ma non può scegliere al posto suo sulle questioni fondamentali della vita politica. Non può e non deve farlo perché la facoltà di scelta è essa stessa, in quanto tale un valore della massima importanza. La politica riguarda il bene di una certa collettività, così come le scelte individuali riguardano il bene dei singoli; nessuno può imporre un determinato bene a nessun altro, sia questo un soggetto individuale o sovra individuale. La pretesa di imporre agli altri quello che a qualcuno, naturalmente molto “sapiente”, appare come il suo “vero” bene è tipica dei tiranni totalitari. Gli Hitler e gli Stalin, i Mao ed i Pol Pot hanno sempre affermato di operare per il “vero bene” di qualcuno: la nazione tedesca, la classe operaia internazionale, i “popoli” del terzo mondo. Con i risultati che tutti conoscono.
Personalmente sono grato a chiunque mi voglia consigliare. Se decido di fare una escursione in montagna ed una guida mi ammonisce sulle difficoltà del percorso sono dispostissimo a riconoscere la sua maggiore competenza e a prendere in considerazione quanto mi dice. Ma la scelta alla fine resta mia. Sono io che, una volta debitamente informato sulle difficoltà che mi attendono, devo decidere se valga o meno, per me, la pena di affrontarle. Mi sentirei vittima di una intollerabile ingiustizia se qualcuno, per il “mio” bene, mi impedisse con la forza di partire. Per ciò che riguarda la mia vita preferisco, almeno nella stragrande maggioranza dei casi, sbagliare liberamente che essere obbligato a fare la cosa giusta. Vale per me come individuo, vale anche per i soggetti sovra individuali.
E tanto basta, direi.


lunedì 11 marzo 2019

OVVIETA' SULLA LEGITTIMA DIFESA

1) La legittima difesa non è “farsi giustizia da se”. Tizio mi tira un diretto destro, io schivo e rientro con un gancio sinistro, questa è difesa (legittima direi).
Tizio mi tira un diretto destro, mi centra e mi mette KO. Invece di denunciarlo vado sotto casa sua armato di pistola e appena lo vedo uscire gli sparo. Questo è “farsi giustizia da se”. La differenza la  capisce un bambino.

2) Non si possono escludere le indagini quando c'è di mezzo un morto od un ferito. Certo, ed infatti nessuna indagine viene esclusa dalla nuova legge. Se in casa mia c'è un morto la polizia e la magistratura devono indagare, è ovvio. Ma indagare per appurare cosa? Se chi si è introdotto in casa mia in piena notte era armato o meno? E, nel caso fosse armato, aveva un pugnale o una pistola? E, nel caso avesse una pistola, la voleva o meno usare? Oppure si deve indagare per stabilire se davvero qualcuno si è introdotto con la violenza in casa mia? Siamo di fronte ad un caso di legittima difesa o si tratta di una simulazione? (c'è un bell'episodio in cui il mitico tenente Colombo indaga appunto sul tentativo di camuffare da legittima difesa un omicidio).

3) Non è vero che la nuova legge mi consente di sparare al famoso, super ipotetico, bambino che entra nel giardino di casa mia per recuperare la palla (o rubare una mela). La legge parla di legittima difesa in relazione alla ”intrusione con violenza, minaccia di uso di armi e di altri mezzi di coazione fisica, da parte di una o più persone”. La legge parla inoltre di “grave turbamento” indotto nel soggetto che si difende. E' fin troppo chiaro che il caso del bambino che recupera la palla, o ruba una mela, non rientra in simili fattispecie. In casi di questo tipo non c'è “eccesso” di legittima difesa, semplicemente non c'è legittima difesa. Evidentemente occorrerà, caso per caso, indagare per appurare, se una certa azione si a o non sia di legittima difesa. Il che di nuovo dimostra che la legge non esclude le indagini.
Aggiungo: ogni volta che si parla di legittima difesa c'è qualcuno che tira fuori il caso, super ipotetico, del bambino ucciso mentre va a recuperare una palla. Qualcuno mi sa dire quante volte si è verificato un caso simile?

4) Ci deve essere “proporzione” fra offesa e difesa. Se con questo si vuol dire che non posso sparare ad una persona solo perché mi dice “scemo”, o mi da uno spintone, non si può che concordare. Ma se si intende dire che se Tizio, dopo essersi introdotto con la violenza in casa mia, mi aggredisce coi pugni devo comunque rispondere solo coi pugni, oppure se ha un coltello non posso rispondere con un'arma da fuoco eccetera, si può solo dire: scemenze! Forse che un ultrasettantenne di sessanta chili e di salute cagionevole si può mettere a fare a pugni con un trentenne di oltre cento chili, tutto muscoli e campione di boxe? Lo sanno tanti chiacchieroni che un pugno ben dato può uccidere?

5) Deve essere la polizia a difenderci! Verissimo, ma la polizia non può essere sempre ovunque. O qualcuno ha in mente città in cui ci sia un agente armato all'ingresso di ogni casa?

6) non puoi sparare a chi ti sta saccheggiando la casa. Lui colpisce le cose, tu una persona. Fantastico! Se Tizio mi sta svuotando la casa non posso neppure dargli un calcio nel sedere! Il calcio colpisce la persona, lui invece si limita a togliermi delle cose. Ma sono “cose” frutto del mio lavoro, che costituiscono non solo la mia ricchezza, ma il mio ambiente, fanno parte della mia vita...
Inoltre, se davvero non si può reagire a chi ci porta via “cose” colpendo le persone, come mai la polizia interviene, e a volte spara, in caso di rapina? Perché mai i ladri finiscono in prigione? In fondo i ladri si appropriano di cose mentre il carcere colpisce le persone in ciò che hanno di più importante: la libertà.

Non dico altro. Si tratta di cose talmente ovvie che è imbarazzante ripeterle.

domenica 3 marzo 2019

L'ULTIMA CARNEVALATA





I numeri

E' da ieri sera che tutti i TG ci parlano di duecentomila manifestanti contro il “razzismo” a Milano.
Ho una certa esperienza personale in questo campo, ricordo di tempi tanto lontani...
Quando gli organizzatori di una manifestazione (quale che sia il loro colore politico) sparano una cifra sui partecipanti bisogna, quanto meno, dividerla per due; spesso la divisione per due non basta: è più realistico dividere per tre o per quattro. Se gli organizzatori parlano di duecentomila manifestanti questi erano non più di centomila, nella migliore delle ipotesi. E' più probabile che non fossero più di settanta, ottantamila.
Sempre troppi si può ribattere. Perfettamente d'accordo. Personalmente penso che ad una simile manifestazione sarebbero troppe anche 100 persone, però... però bisogna essere realistici. Una manifestazione nazionale, organizzata da sindacato, tutti i partiti di sinistra, ACLI, ARCI, ANPI, varie associazioni cattoliche, con la partecipazione di chissà quanti migranti (tutti regolari?) e di vari centri sociali un po' di gente la mette assieme. Negli anni settanta dello scorso secolo la sinistra extraparlamentare unita era quasi sempre in grado di radunare qualche decina di migliaia di persone, ma il suo peso politico ed elettorale reale restava assai basso. Chi parla oggi della manifestazione di ieri come di un “grande momento di svolta” è illuso, o stupido, o in cattiva fede; forse è tutte e tre le cose insieme.

Persone
Prima le persone”. Questo lo slogan dei manifestanti “antirazzisti” di ieri. Qualcuno mi può spiegare cosa significa?
La persona è un ente autocosciente, razionale e morale. E' persona chi, almeno potenzialmente, è in grado di agire razionalmente, comprende i concetti di bene e di male e può, di conseguenza, rapportarsi ai suoi simili seguendo principi etici; può esigere rispetto per se e sentirsi obbligato a rispettare gli altri. Sono persone i singoli esseri umani in quanto tali, indipendentemente da sesso, razza, nazionalità, cultura, credo religioso, classe sociale, appartenenza politica.
Se questa ultra telegrafica definizione è, grosso modo, corretta, che senso ha lo slogan “prima le persone”? A rigor di logica nessuno.

Lo slogan “prima le persone” si contrappone esplicitamente al “prima gli Italiani” di Salvini o ad “America first” di Trump. Ha un minimo di senso questa contrapposizione? NO.
Ognuno di noi è tenuto, in quanto persona, a rispettare le altre persone, ma questo implica forse che è tenuto a mantenerle? O ad ospitarle in casa sua vita natural durante? Gli esseri umani del mondo intero sono persone, questo vuol dire che il mondo intero può stabilirsi in Italia? Rispettare tutti equivale ad essere amico di tutti, convivere con tutti, formare una sola famiglia o una sola comunità che comprenda tutti perché tutti sono persone? NO, assolutamente NO! La comune appartenenza al genere umano non implica che ognuno di noi non faccia differenza fra gli altri, che tutti siamo per tutti sullo stesso piano. Io non metto mio figlio sullo stesso piano di un ragazzo cinese che non ho mai conosciuto e non conoscerò mai, ed un padre cinese si comporta allo stesso modo nei miei confronti. L'universalità della persona non abolisce la particolarità delle famiglie, delle nazioni, delle culture. L'umanità non abolisce né assorbe in se i popoli. La generalità non elimina le individualità e le particolarità, le relaziona. E' una cosa completamente diversa.
Fra i diritti della persona c'è proprio quello di creare comunità particolari. In quanto persona ho diritto a crearmi una mia famiglia, ad avere una mia ristretta cerchia di amici, a sentirmi ed essere parte di un popolo, una comunità. Kant parlava addirittura del diritto alla solitudine, a mettere una certa distanza fra se e gli altri. Prezioso, preziosissimo diritto!
Non per persone come i manifestanti di Milano! Per loro il diritto fondamentale sarebbe quello di entrare in casa d'altri; non entrarci dopo aver chiesto, ed ottenuto, il permesso di entrare, entrarci e basta. E chiedere che gli altri, i padroni di casa, adeguino la loro vita alle tue esigenze. Tutto questo non ha nulla a che vedere coi diritti delle persone, ne costituisce anzi la negazione radicale.

PD 
Il PD era in piazza ieri a Milano. C'erano Martina, Richetti e Zingaretti a fare passerella in attesa del voto delle primarie. Loro diritto, esserci, ovviamente, nessuno lo contesta.
Però, da un lato il PD è sempre presente a manifestazioni in cui moltissima gente strilla: “accoglienza per tutti”, “no ai confini”, “l'Italia è di chi ne calpesta il suolo”, “non esistono irregolari”, “siamo tutti regolari” e piacevolezze di questo genere. Tutti slogan che sostengono una ed una sola cosa: l'Italia è zona franca, porto di mare, area aperta in cui tutti possono stabilirsi, a piacer loro. Insomma...
l'Italia non esiste, non esiste quanto meno come realtà autonoma, con la sua identità, la sua cultura, la sua storia.
Da una parte quindi il PD va a braccetto con chi sostiene simili tesi, dall'altra... dall'altra quando qualche suo rappresentante si presenta a qualche dibattito televisivo la musica cambia. Allora gli esponenti del PD mettono il vestitino buono e cominciano a rassicurare gli italiani. “Il PD non è per la accoglienza senza limiti, vuole regolare, controllare gli arrivi”. “E' stato Minniti a far calare gli sbarchi” cinguettano con sorrisino felice stampato in viso, dimenticando che Minniti ha contrastato gli sbarchi solo negli ultimi mesi della scorsa legislatura e che per questo gran parte del suo stesso partito gli si è rivoltata contro. Arrivano addirittura ad accusare Salvini di non rimpatriare abbastanza irregolari! Prima strillano: “porti aperti”, poi condannano chi non rispedisce subito a casa loro chi dei porti aperti ha usufruito!
Semplicemente INDECENTE!