domenica 31 luglio 2016

ISLAM MODERATO?

Possono esistere, e di certo esistono, numerosi islamici moderati, ma non esiste un Islam moderato. La differenza non è di poco conto. Fra le caratteristiche generali di una religione, o di una dottrina politica, o di una ideologia ed i comportamenti concreti degli esseri umani non c'è mai una diretta, assoluta consequenzialità. Molti tedeschi che a suo tempo avevano in tasca la tessera del partito nazional socialista sarebbero inorriditi alla vista dei campi di sterminio; molti comunisti che a parole predicavano la guerra di classe erano in buoni rapporti col loro datore di lavoro, e non avrebbero mai fatto del male ad una mosca. Ciò non da a nessuno il diritto di parlare di un nazismo moderato o di un comunismo moderato. Oggi molti islamici cercano solo di vivere tranquillamente lontani da guerre, più o meno fratricide, lotte e polemiche. Sono brave persone, ma non bravi islamici, esattamente come non erano bravi nazisti i tedeschi che provavano compassione per gli ebrei perseguitati, e non erano bravi comunisti i militanti del PCI che da un lato amavano baffone Stalin e dall'altro andavano a messa la domenica e prendevano il caffè col loro datore di lavoro.
Una religione od una ideologia vanno giudicate per l'insieme delle dottrine che predicano, i valori che propugnano, le azioni politiche di leader e movimenti di massa ad esse collegate, non certo per i comportamenti dei singoli militanti. Che un musulmano si dica inorridito di fronte ad un crimine atroce come lo sgozzamento di un sacerdote cattolico ha scarsa rilevanza politica, come ha scarsa rilevanza la partecipazione di alcuni musulmani alle messe in memoria del sacerdote barbaramente assassinato. Ne avrebbero funzioni religiose in memoria del prete proclamate in tutte o quasi le moschee dei paesi islamici, o manifestazioni di massa in cui decine, centinaia d migliaia di musulmani condannassero, senza se e senza ma, questo ed altri simili delitti. Ma di cose simili non si vede traccia, purtroppo.
Non è un caso. Non lo è per il semplicissimo motivo che l'Islam moderato non esiste, se per Islam moderato si intende, come si deve intendere, un insieme organico di teorie, valori, comportamenti di massa, iniziative politiche.

L'inconsistenza del concetto stesso di “Islam moderato” appare con tutta evidenza se confrontiamo le sue caratteristiche con quelle del “socialismo moderato” o socialdemocrazia.
Come tutti sanno all'interno del movimento operaio sono da sempre convissute due anime. Da un lato una concezione fortemente velata di determinismo scientista, gradualista, disposta alla collaborazione col “nemico di classe”, interessata più alle riforme che al travolgimento radicale della società “borghese”. Dall'altro lato una concezione rivoluzionaria, volontarista, propugnata da leader convinti che l'azione determinata di una minoranza di rivoluzionari di professione potesse imporre alla società tutta, comprese le sue cassi “progressiste”, la palingenesi comunista.
Con lo scoppio del primo conflitto mondiale e poi con la rivoluzione di Ottobre la distanza fra queste due concezioni diventa sempre più ampia. La socialdemocrazia “ufficiale” prende le distanze dal colpo di mano dell'Ottobre russo e critica senza reticenze la politica dei bolscevichi: dal saccheggio delle campagne alla abolizione di tutte le libertà politiche e civili da questi messe in atto. I bolscevichi dal canto loro definiscono “traditori al soldo della borghesia” i socialdemocratici, abbandonano il nome stesso di “socialdemocratico” che un tempo caratterizzava il loro partito e mettono in atto a livello globale una politica di scissioni e di lotta a coltello contro la socialdemocrazia. Quella che inizialmente era solo una differenza tattica, o al più strategica, diventa una divergenza sui valori e sui principi. Lentamente, con difficoltà e contraddizioni, i socialdemocratici accettano la democrazia politica, il pluralismo politico e socio economico, la stessa economia di mercato, sia pure sottoposta a limiti e controlli rigorosi. I comunisti proseguono invece nella loro politica mirante ad imporre alla società tutta la loro ideologia. La “dittatura del proletariato” cessa di essere una breve fase transitoria per diventare un sistema opprimente destinato a durare a tempo indeterminato. Che mette in atto crimini che nulla hanno da invidiare a quelli nazisti.
Comunismo e socialdemocrazia sono quindi gli estremi di un contrasto reale, non fittizio, che ha diviso il movimento operaio. Ci si poteva schierare con l'uno o con l'altra, o con nessuno dei due, ma non si poteva, e non si può, negare, che si trattasse di una contrapposizione vera, profonda, qualcosa che riguardava la strategie e la tattica ma anche i valori ed i principi. Un liberale che nel 1920 avesse polemizzato con Kautskij avrebbe ben potuto criticare il suo ingenuo tentativo di “salvare” Marx dalle aberrazioni del comunismo di guerra, ma sarebbe stato intellettualmente disonesto se avesse imputato quelle aberrazioni alla socialdemocrazia kautskiana.

E' possibile fare un discorso simile oggi, riguardo al cosiddetto “Islam moderato”? In alte parole, esiste oggi un insieme organico di teorie, valori, comportamenti di massa che si possano definire “Islam moderato” e si contrappongano a tutti i livelli al fanatismo omicida di Isis, Al Qaeda, Boko Haram, Hammas, Hezbollah, fratelli musulmani, Al Nusria, martiri di Al Axa, Talebani ed altri innumerevoli gruppi fondamentalisti? Esiste nell'Islam una contrapposizione fra estremisti e moderati simile per radicalità a quella che ha diviso il movimento operaio fra comunisti e socialdemocratici? La risposta non può che essere un NO secco, inequivocabile.
L'Islam è attraversato da divisioni profondissime, addirittura da continue guerre civili, ma nessuna di queste divisioni può essere assimilata a scontro fra fanatici e moderati. Si tratta di autentiche guerre inter religiose in cui il fanatismo aleggia da entrambe le parti, qualcosa che rimanda alle guerre di religione che secoli fa hanno insanguinato l'Europa, non alla contrapposizione fra socialismo democratico e bolscevismo.
Ed ancora, ci sono paesi e governi islamici disposti a collaborare con l'occidente, e la loro collaborazione può anche essere bene accetta, se serve a battere, ad esempio, l'Isis o i Talebani, ma in nessun caso si tratta di paesi, stati o governi che si possano definire “moderati”. In certi casi si tratta invece di paesi, stati  e governi orribilmente oppressivi, autentiche teocrazie che poco hanno a da invidiare alla follia omicida del Califfato.
Le differenze fra l'Islam “moderato” e quello “estremista” sono, quando esistono, al massimo differenze di grado. Gli estremisti impongono alle donne il burka, i “moderati” si limitano a velarle. Gli estremisti lapidano le adultere, alcuni (ALCUNI) moderati si limitano a fustigarle o a sbatterle in prigione. Gli estremisti impiccano i gay, o li gettano giù falle torri, i “moderati” li incarcerano. Gli estremisti fucilano gli apostati ed i bestemmiatori, alcuni (ALCUNI) “moderati” li fanno marcire in galera per anni. Sia gli “estremisti” che i “moderati” rifiutano la laicità dello stato, la separazione fra sfera religiosa e sfera politica, entrambi non distinguono fra reato e peccato, entrambi detestano la libertà di pensiero. Non esiste alcuna differenza reale, di principio, di valore, fra estremisti e moderati. Entrambi si muovono nell'ambito delle stesse coordinate teoriche. E' possibile cercare di sfruttare le loro contraddizioni, ma sarebbe criminoso spacciare per esempi di “Islam moderato” regimi che a giusto titolo possono essere definiti immondi.
Sono proprio gli islamici del resto a negare il concetto stesso di “Islam moderato”. L'Islam è Islam, affermano, ed hanno ragione. Gli stessi islamici che condannano, con prudenza estrema, il terrorismo omicida, non presentano loro stessi come esponenti di un presunto “Islam moderato”. Si limitano, quando lo fanno, a sussurrare parole di riprovazione contro gli “assassini”, ma non dicono nulla, se non in casi assolutamente minoritari, sulle caratteristiche politiche, ideologiche, religiose, di questi assassini.
L'occidentale politicamente corretto, quando gli si chiede di fare esempi di Islam moderato si limita a dire che “non tutti i musulmani sono terroristi”. Che grande scoperta! Non tutti i musulmani sono terroristi esattamente come non tutti i nazisti conducevano gli ebrei ai forni, e non tutti i comunisti erano guardiani dei gulag!
Però, val la pena di ripeterlo, solo persone "diversamente intelligenti" possono derivare dal fatto che non tutti i nazisti uccidevano gli ebrei, e non tutti i comunisti facevano i guardiani dei gulag, l'esistenza di un nazismo o di un comunismo “moderati”. Sarebbe come dire che, visto che non tutti i mafiosi uccidono, esisterebbe una “mafia moderata”. Idiozie allo stato puro. A cui purtroppo i media cercano di abituarci. Tutti i giorni, di continuo, con goebbelsiana ripetitività.

giovedì 14 luglio 2016

DI NUOVO



Una nuova strage, l'ennesima. La cosa più insopportabile di tutte è forse la sensazione di deja vu che si prova in momenti come questi.
Le immagini di terrore, gli uomini delle forze speciali, le città fantasma. Ormai ci stiamo abituando. Personalmente però non riesco ad abituarmi alle fiaccolate, ai minuti di silenzio, ai lumini accesi, ai fiori sulle strade. Non riesco ad abituarmi agli appelli alla calma, alle dichiarazioni di ferma volontà di battere il terrorismo “islamista” (perché “islamista”? Non sarebbe ora di definirlo islamico?).
Non riesco ad ascoltare senza un profondo senso di irritazione le parole di chi ci invita a “non avere paura” perché altrimenti faremmo “il gioco dei terroristi”. O di chi invita a “non generalizzare” o ricorda che “la religione con la violenza non c'entra”.
Perché, scusate, non dovremmo avere paura? Perché dovremmo continuare a vivere come se nulla fosse? Ormai entrare in un treno o in un metrò, andare allo stadio, guardare dei fuochi d'artificio sono diventati comportamenti a rischio e noi “non dovremmo avere paura”? La persona che siede in treno accanto a me, a mia moglie, ai miei figli, al mio nipotino potrebbe farsi esplodere da un momento all'altro ed io dovrei non pensarci? NO, è umano, è giusto avere paura! Dobbiamo avere paura! Il guaio è che non ne abbiamo abbastanza! Solo se avremo paura capiremo fino in fondo la tragica anormalità della situazione in cui ci troviamo e potremo fare qualcosa, qualcosa di serio, per superarla.
Chi si rende conto che la vita non è più quella di prima non fa il “gioco dei terroristi”, è semplicemente una persona capace di vedere la verità che sta sotto al suo naso. A fare il “gioco dei terroristi” sono coloro che minimizzano il problema, parlano di “folli atti criminali”, tentano di far credere che un fenomeno come il fondamentalismo islamico possa essere battuto unicamente o quasi a suon di avvisi di garanzia.
A fare il gioco dei terroristi sono coloro che affermano che “la religione non c'entra con la violenza”. E chi lo ha detto, scusate? Storicamente quasi tutte le religioni hanno avuto a che fare con la violenza, solo delle capre che non conoscono la storia, o si divertono ad interpretarla a loro uso e consumo, possono negarlo. Oggi purtroppo esiste una religione che ha moltissimo a che fare con la violenza. Non lo dico io, lo dicono loro, gli esponenti, i sacerdoti di quella religione. E non si limitano a dirlo! Passano all'azione, ammazzano “infedeli” ed anche “fedeli” che hanno la sola colpa di appartenere ad una setta diversa dalla loro.
A fare il gioco dei terroristi sono coloro che spalancano le porte di casa nostra ad una massa immane di persone la cui cultura, i cui valori, il cui modo di pensare ed intendere le vita è spesso molto vicino a quello di chi ammazza in nome di Allah.
E perché, scusate, non dovremmo generalizzare? Dobbiamo generalizzare! Non nel senso di considerare chiunque venga dal medio oriente un terrorista, ma nel senso di capire che abbiamo a che fare non con un certo numero di squilibrati ma con una religione politica, una ideologia, una cultura. Non ci troviamo di fronte ad una serie tragica di atti criminali ma ad una guerra. Una guerra diversa dalle altre, di nuovo tipo ma ad una guerra. Che, come tutte le guerre, si combatte a diversi livelli. A livello di intelligence, certo, ma soprattutto a livello militare (militare, non giudiziario), politico, diplomatico, economico, propagandistico, culturale.
L'occidente fa di tutto per non prendere atto di questa triste realtà. Balbetta, chiude gli occhi. I suoi leader non vogliono vedere ciò che è visibile a tutti, cercano di non capire ciò che un bambino è in grado di capire benissimo. Così fanno discorsi retorici, partecipano a marce, depongono fiori, accendono lumini, fanno minuti di silenzio. Dopo ogni strage, fino alla strage successiva.

mercoledì 13 luglio 2016

VOCABOLARIO POLITICAMENTE CORRETTO: AFROAMERICANO

Un tempo si diceva “negro” ed il termine stava ad indicare un essere umano dalla pelle nera. Dal punto di vista semantico il termine era del tutto appropriato. “Negro” deriva dal latino “niger” che significa, appunto, nero. Ora, se un uomo ha la pelle nera lo si definisce “nero” o “negro”, esattamente come un uomo dalla pelle bianca è definito “bianco”.
Certo, per molto, troppo, tempo il termine “negro” è stato usato in senso spregiativo. “Negro” voleva dire per molti naturalmente schiavo, subumano, semi animale ed altre simili piacevolezze. Però anche il termine “ebreo” è stato spesso usato, e lo è ancora, in senso violentemente spregiativo. “Ebreo” era l'assassino di Dio, lo spregevole usuraio, la sanguisuga che vive sfruttando il prossimo e tante altre cose ancora, tutte poco piacevoli. Eppure nessun ebreo si offende se lo si chiama “ebreo”. E' deplorevole l'uso spregiativo di un termine, non il termine stesso.
Del resto anche “negro” è stato spesso usato in senso non spregiativo. Ci sono fior di film, romanzi, canzoni in cui si parla di “negri” in termini chiaramente anti razzisti. Sono forse razzisti film come “Orfeo negro” o “Il buio oltre la siepe”? Direi davvero di no.
Però i politicamente corretti hanno stabilito che “negro” è un termine insultante e razzista. Quindi il termine “negro” è stato cancellato dal vocabolario. Ora se lo usi sei un razzista che insulta gli uomini e le donne “di colore”.
Al suo posto hanno messo altri termini, o circonlocuzioni. “Nero”, che poi è l'equivalente di “negro”, è appena tollerato, molto meglio non usarlo. Si può dire: ”di colore”, ma è leggermente ridicolo perché tutto può essere chi ha la pelle nera tranne che “di colore”. Il nero infatti è la negazione dei colori. Oppure si dice “afroamericano”. E' questo il termine maggiormente usato. E' autorizzato, chi lo usa non è razzista e non insulta nessuno. Insomma è un termine col bollino blu, col marchio di antirazzismo a denominazione di origine controllata.

Il termine afroamericano è quindi bello e corretto politicamente, ma presenta qualche difficoltà. In primo luogo, “afroamericano” significa americano di origine africana, un po' come italoamericano significa americano di origine italiana. Però, un americano di origine africana non necessariamente ha la pelle nera. Un sudafricano bianco che emigra negli USA e acquisisce nazionalità statunitense diventa forse un “afroamericano”? Sembrerebbe di no, visto che col termine “afroamericano” ci si riferisce agli americani dalla pelle nera.
Inoltre, che dire di un cittadino italiano dalla pelle nera? E come chiameremo un congolese o un senegalese dalla nerissima carnagione? Anche loro saranno “afroamericani”? Difficile sostenerlo.
Ma i politicamente corretti non si scoraggiano. Un cittadino italiano con la pelle nera, un nigeriano ed un congolese neri saranno semplicemente persone italiane, nigeriane o congolesi. Chiaro no? Si, chiarissimo. Solo che definire solo “congolese” un cittadino del Congo ed “italiano” chi ha la cittadinanza italiana non dice nulla sul colore della loro pelle. Se parlo del colore della pelle io definisco “bianco” uno svedese o un francese, non mi limito a dire che si tratta di uno svedese o di un francese. Devo invece definire solo “italiani” o “sudanesi” dei cittadini sudanesi o italiani dalla pelle nera. Insomma, se una persona ha la pelle nera non si deve fare allusione alcuna al colore della sua pelle. Potrò alludere alle sue origini, o alla sua patria di adozione o definirlo solo facendo ricorso alla sua nazionalità, ma mai dovrò fare la minima allusione al colore della sua pelle. Si può dire di un bianco che è un bianco, ma non si può, non si deve dire di un nero (o di un negro) che è, appunto, nero o negro.
Avere la pelle nera è qualcosa di spregevole, qualcosa che va nascosto, di cui neppure si può parlare. Se tizio è nero bisogna fingere di non accorgersene, sarebbe “offensivo” far accenno al colore della sua pelle. Così ragionano i politicamente corretti.
Io non considero spregevole alcun colore della pelle, per questo ritengo di non offendere nessuno se ne parlo. I teorici del politicamente corretto la pensano diversamente.
Chi fra noi è il vero “razzista”?

sabato 9 luglio 2016

LA CRISI DEL POLITICAMENTE CORRETTO

Integrazione vuol dire condivisione di valori comuni. Una società integrata non è una società in cui tutti si riconoscono negli stessi valori, hanno le stesse idee, difendono i medesimi interessi. Però è una società in cui tutte, o la stragrande maggioranza delle persone si riconoscono in alcuni valori base, validi al di là di legittimi e contrasti e differenze.
Se questo è vero, nulla è tanto lontano dalla integrazione quanto il politicamente corretto. Il politicamente corretto non mira alla integrazione, ma alla cristallizzazione delle differenze. Tutto viene accettato perché tutto è, in un modo o nell'altro, interno ad una certa cultura. Invece di dire al musulmano: “devi abbandonare l'ideologia della sottomissione della donna” il politicamente corretto gli dice: “la sottomissione della donna è parte della tua cultura, quindi la rispetto”, o, peggio ancora, cerca di fare apparire la condizione della donna musulmana non per quella che è: una miserevole semi schiavitù, ma per quella che non è e non può essere: una forma “alternativa” di libertà.
Per il politicamente corretto è fondamentale il valore delle culture, a condizione, ovviamente, che siano culture non occidentali. L'essere qualcosa una cultura da a questo qualcosa un valore intrinseco, indipendentemente dai suoi contenuti. Poligamia, lapidazioni, burka, tutto va accettato in nome del “rispetto della diversità” senza mai chiedersi se davvero ogni cosa sia degna di rispetto in quanto “diversa” da qualche altra. Anche la tratta degli schiavi e l'olocausto in fondo sono stati “diversi”. L'esaltazione della diversità si trasforma in questo modo in esaltazione della più totale uniformità, perché, in nome del rispetto della “diversità culturale” si accetta anche quanto distrugge le libertà individuali ed impone agli esseri umani le più vomitevoli forme di uniformità forzata.

E, sempre in nome di questo fasullo amore per “il diverso”, il politicamente corretto ha dato vita a tutta una serie di ridicoli, ma gravi, privilegi. Col sistema delle quote si è fatta passare l'idea che l'accesso a certe cariche non debba essere la conseguenza della professionalità, ma dell'appartenenza a questo o quel gruppo. Sei donna? Devi essere eletta parlamentare, se no si tratta di “discriminazione”. Sei nero e fai il regista? Devi vincere un Oscar, se no è “discriminazione”. L'essere davvero anti razzisti, o anti sessisti, consiste nel non vedere, in certi casi, il sesso o il colore della pelle. Puoi entrare in parlamento, indipendentemente dal fatto di essere maschio o femmina, bianco o nero, se elettrici ed elettori ti votano, vinci l'oscar se fai buoni film. Il sistema politicamente corretto delle “quote” ha stravolto queste verità elementari dando vita ad autentiche forme di razzismo o sessismo mascherati in cui a contare davvero sono il sesso, o il colore della pelle, o altre caratteristiche inessenziali degli esseri umani.

Ed ha trasformato la società in un aggregato di tribù, un insieme di gruppi non uniti da nulla e pronti, se capita, a farsi la guerra. Se ad essere davvero importante non è la condivisione di pochi ma essenziali valori ma l'appartenere a questo o quel gruppo la società si disgrega. E in una società disgregata quando sorgono conflitti non ci si può appellare a norme, valori, consuetudini condivise che permettano di risolverli. Li si può risolvere in un solo modo: sparandosi addosso.
Per molti neri americani se un poliziotto ammazza un giovane nero non val la pena di chiedersi se abbia avuto o meno le sue buone ragioni: ad essere assolutamente prioritario è il fatto che il membro di un altro gruppo ha fatto fuori un membro del mio gruppo. Probabilmente ci sono molti bianchi che cominciano, sul versante opposto, a pensarla nello stesso modo. Siamo lontani anni luce, come si vede, dal sogno di Martin Luter King di una America unita al di là delle differenze. Oggi sembrano esserci solo le differenze, senza unità alcuna.
Certo, alla base di quanto sta avvenendo in America ci sono molte cause, economiche e sociali soprattutto, ma sarebbe un errore gravissimo sottovalutare l'importanza della sottocultura politicamente corretta nei tragici episodi di cui siamo spettatori.
Il politicamente corretto parla di unificazione ed integrazione, ma non integra nessuno, non può, non vuole farlo; e divide, profondamente, tutti. Parla di diritti e distrugge il diritto, si, lo distrugge perché il diritto è per sua essenza universale mentre l'essenza del politicamente corretto è la particolarità, anche più meschina. Si dice anti razzista ma risponde a logiche sostanzialmente razziste. E fallisce, ogni giorno di più, sotto gli occhi di tutti. Lo si vede nella sua patria d'origine, gli USA, siamo destinati a vederlo anche in Europa, ed in Italia. Purtroppo.

giovedì 7 luglio 2016

I "BUONI" E IL MONDO REALE

Proviamo a fare un esperimento mentale. In tutto il mondo branchi di fanatici ammazzano gente a casaccio urlando: “Cristo è grande”. Non si tratta di episodi isolati, i fanatici sono decine di migliaia ed hanno un vastissimo seguito popolare. I cattolici di mezzo mondo non solo non li condannano, ma spesso e volentieri applaudono alle loro gesta. Potremmo dire che tutto questo non c'entra nulla con la religione cattolica? E' piuttosto dubbio, direi.
Qualcuno può seriamente sostenere che i roghi di streghe ed eretici, il tribunale della Santa inquisizione o le guerre di religione con la fede cattolica non c'entrassero affatto? O che il gulag non abbia nulla a che vedere col comunismo? Se le cose stessero così qualcuno potrebbe dire, non a torto, che l'olocausto non c'entra nulla col nazismo.
Non si può separare una religione, o una ideologia politica, dalla sua storia, dalla concretezza delle sue manifestazioni empiriche. Se lo si fa si rende del tutto astratta questa religione o questa fede politica. Il comunismo “vero” non ha nulla in comune coi gulag, borbottano gli ultimi difensori del comunismo, e non si rendono conto di trasformare in questo modo il comunismo nella più astratta ed evanescente delle idee, né si chiedono come mai questa idea evanescente si sia sempre trasformata, nella sua pratica applicazione, in quella cosa concretissima che sono stati i gulag.
Ogni religione, ogni fede politica hanno a che vedere con la loro storia, non possono sbarazzarsene con una alzata di spalle. I roghi e le guerre di religione c'entrano, e moltissimo, con la fede cattolica. Anche ammettendo che si sia trattato di distorsioni dovremmo comunque chiederci perché mai quelle distorsioni siano state possibili. Se qualcuno “distorce” una fede o una ideologia questo non è mai da addebitarsi solo al “distorsore”. Come mai certe ideologie si prestano tanto ad essere “distorte” ed altre no? Varrebbe la pena di pensarci un po'.
Il discorso vale, ovviamente, e moltiplicato per mille, nel caso dell'Islam. Si, moltiplicato per mille, perché l'Islam, a differenza del cattolicesimo, non ha saputo emendarsi dai suoi errori storici, ripete oggi, con tragica coerenza, le stesse brutalità di ieri.
Gli occidentali “buoni” contrappongono l'Islam ideale a quello concreto, empirico. Da una parte gli attentati, gli sgozzamenti, le lapidazioni, le fustigazioni, la pena di morte per apostati e bestemmiatori. Dall'altra il nulla. Una idea che non ha nessun contenuto, un astrazione vuota cui è impossibile dare qualsiasi concretezza. Perché dare concretezza ad un'idea obbliga a confrontarla, questa idea, col vile mondo reale. E questo subito si premura di smentire i fantasiosi difensori della purezza ideale.
Quando i “buoni” dell'occidente in crisi cominceranno a tener conto del mondo vero sarà sempre troppo tardi.

mercoledì 6 luglio 2016

PACE IN EUROPA?

La UE ha evitato le guerre. I media lo ripetono continuamente, con monotona, goebbelsiana insistenza.
“Guardate alla storia” dicono dai teleschermi schiere di “esperti”. “In passato guerre continue fra i vari paesi europei: Francia contro Germania, Italia contro Austria. Ora che c'è la UE trionfa ovunque la pace!”
Si, molto bello, ma si tratta di una PALLA.
Nel 1945, alla fine del secondo conflitto mondiale, il mondo si è diviso in due grandi blocchi, quello comunista, egemonizzato dall'URSS e quello occidentale, a guida americana. I contrasti e le tensioni fra i vari paesi europei sono passati in secondo piano di fronte a questa divisione. Lo scontro vero era fra USA e URSS e di fronte a questo eventuali divergenze fra Gran Bretagna e Francia perdevano peso ed importanza.
Ma non è vero che in Europa ha regnato la pace. Fino al 1989 l'Europa è stata a rischio guerra, probabilmente solo il deterrente atomico ha impedito che la possibilità di un conflitto devastante si trasformasse in realtà. Certo, non c'era più il pericolo di una guerra fra Gran Bretagna e Germania, esisteva però quello di uno scontro fra RDT e repubblica federale tedesca, fra Italia e Polonia, Gran Bretagna e Romania. E, su tutto, esisteva, concretissimo, il pericolo di uno scontro devastante fra USA e URSS.
Il pericolo di guerra è stato scongiurato nel 1989, col crollo del comunismo. Scongiurato non definitivamente però, perché nuovi pericoli si addensano sulle nostre teste, primo fra tutti quello della guerra che ci è stata dichiarata dal fondamentalismo islamico e che i leader della UE cercano di ignorare.
La UE non ha garantito ieri nessuna pace all'Europa e non tutela oggi il nostro continente dalla aggressione selvaggia della barbarie fondamentalista.
Tutto il resto sono PALLE.


domenica 3 luglio 2016

ARISTOTELE E I "BUONI"





Come si sa per Aristotele si definisce un ente individuandone il genere prossimo e la differenza specifica. “L'uomo è un animale razionale”. In questa definizione il termine “animale” indica il genere prossimo, quello “razionale” la differenza specifica. Se ci limitassimo a dire che “l'uomo è un animale” avremmo una definizione inadeguata, non in grado di farci individuare correttamente l'ente “uomo”. In effetti l'uomo è anche animale, ma se ci limitiamo a definirlo tale non siamo in grado di distinguere un uomo da uno squalo bianco o da un toporagno. Si elimini la differenza specifica e si perde la possibilità di capire cosa sia un certo ente, e di distinguerlo da altri. Il mondo diventa come la notte in cui tutte le vacche sono nere.

Gli occidentali dolci, pieni di evangelica bontà fanno proprio questo quando, dopo ogni strage, quindi più o meno un paio di volte alla settimana, cercano di giustificare l'Islam che loro amano tanto: eliminano la differenza specifica.
“Cosa c'entra con l'Islam la aristotelica differenza specifica?” potrebbe chiedermi infastidito uno di loro, se, cosa assai dubbia, conoscesse Aristotele. E' presto detto.
C'è chi, riferendosi ad islamiche piacevolezze come la lapidazione e la fustigazione delle adultere o le impiccagioni dei gay afferma più o meno: “questo è maschilismo ed omofobia, non islamismo”. La lapidazione delle adultere non avrebbe nulla a che vedere con l'Islam, sarebbe semplicemente una manifestazione di “maschilismo” come ce ne sono tantissime nel mondo, considerazioni analoghe valgono per i gay gettati giù dalle torri. Si tratta di “omofobia” e l'omofobia è tanto diffusa... Il discorso ovviamente si può allargare. I nostri fratelli sgozzano chi non ricorda i versetti del Corano? Si tratta di “fanatismo religioso” ed il fanatismo, si sa, riguarda, o ha riguardato, più o meno tutte le religioni.

Chi “ragiona” (si fa per dire) in questo modo elimina, appunto, la differenza specifica. Cancella ciò che è caratteristico di una certa religione, o ideologia, o civiltà per diluirlo nel gran calderone delle somiglianze generiche; la notte, appunto, in cui tutte le vacche sono nere.
E' vero che dietro alla lapidazione delle adultere sta anche il maschilismo, ma se ci si riferisce solo a questo non si capisce perché mai una adultera americana può divorziare e risposarsi mentre una iraniana viene uccisa a colpi di pietra. Il maschilismo dell'Islam ha sue particolarità che lo rendono unico, non assimilabile ad altre forme di maschilismo diffuse nel pianeta. E' estremistico, capillarmente diffuso nella società, onnicomprensivo, violento e, soprattutto, legalmente riconosciuto e tutelato. Questa è la differenza specifica che impedisce di definire semplicemente “maschilista" un islamico che assiste compiaciuto alla lapidazione di una sventurata. Considerazioni analoghe possono essere fatte per l'omofobia o il fanatismo religioso.
Anche in occidente c'è chi detesta gli omosessuali, ma in occidente un gay che subisce una aggressione può accusare il suo assalitore, nei paesi islamici sono questi a poter accusare di omosessualità la loro vittima. Ed è questa, non loro, a rischiare la pena di morte.
Ed è vero che un certo fanatismo può riguardare tutte le religioni, ma il fanatismo cattolico è tutto sommato un fenomeno residuale, quello islamico è socialmente diffuso, violentemente aggressivo, incoraggiato dalle autorità e da un testo sacro che nessuno può permettersi di "interpretare".

Se si elimina la differenza specifica non si distingue più un uomo da uno squalo bianco. Gli occidentali “dialoganti” eliminano la differenza specifica e non distinguono più un ragazzotto che dice “rotto in culo” ad un compagno di scuola, rischiando in questo modo pesanti sanzioni, ed un militante dell'ISIS che getta un presunto omosessuale giù da una torre. Tutto è uguale, tutto è assimilato a generiche caratteristiche dell'animale uomo. Tutti siamo colpevoli, quindi nessuno è colpevole, quindi tutti possiamo dialogare, costruire ponti, volerci tanto bene.
E loro possono continuare sgozzare esseri umani.

venerdì 1 luglio 2016

POSSONO VINCERE, STANNO GIA' VINCENDO




Ormai non passa una settimana senza che qualcuno non venga ammazzato al grido di "Allahu akbar", da qualche parte, nel mondo.
E' guerra. Una guerra che loro combattono come sanno fare, e come ritengono più vantaggioso fare. Vogliono seminare il terrore, fiaccare la resistenza, togliere a tutti la forza di reagire. Vogliono che la gente sia disposta ad accettare tutto pur che il terrore cessi.
 

Puntano sulla viltà e la stupidità degli occidentali politicamente corretti, sul loro terrore di essere considerati “razzisti” o “xenofobi”.
Puntano su coloro che si sono inventati il reato di “islamofobia” e che dopo ogni massacro accendono qualche lumino, piagnucolano e borbottano: “l'Islam è una religione di pace”.
Puntano su chi ha spalancato le porte d'Europa ai “migranti”, anche se probabilmente la maggioranza di questi non solo non condanna, ma guarda con simpatia ai fondamentalisti.
Puntano su chi boicotta Israele, su miserabili come il leader laburista Colbyn che paragona Israele al califfato islamico e su istituzioni come il parlamento europeo, che ha tributato una autentica ovazione al leader della autorità nazionale palestinese.
Puntano su quelli che scambiano la lotta al terrore con una serie di inchieste giudiziarie.
Puntano su quelli che censurano le statue, eliminano le celebrazioni del Natale nelle scuole, tolgono salumi e carne di maiale dai menù delle mense per non urtare la suscettibilità dei nostri “fratelli”.
Puntano su coloro che dicono: “ma, volete far la guerra a due miliardi di islamici?” e non vedono la guerra che i fondamentalisti islamici hanno dichiarato ai QUATTRO MILIARDI di non islamici che vivono sul pianeta terra.
Puntano su imbecilli come quelli che hanno deciso di non fornire all'Egitto, uno dei pochi paesi islamici davvero impegnato nella guerra all'Isis, i pezzi di ricambio degli F16. Sono gli stessi imbecilli che ragliano sulla necessità di collaborare coi paesi arabi nella lotta al terrore.
Puntano sui paranoici del complotto, convinti che schiere di agenti della Cia e del Mossad organizzino in tutto il mondo massacri da attribuire all'Islam.
Puntano su chi bela: “ponti non muri”, o: “la pace è sempre possibile” proprio mentre i criminali ammazzano.
Puntano sulla sterminata marea di coloro che dopo ogni strage tirano fuori il "colonialismo", le "crociate", i “ghetti”, il “Dio denaro”, il “petrolio”, i “mercanti di morte”. E che fanno eruditissime dissertazioni storiche, socio economiche, geo politiche per spiegare le stragi. E non vedono la verità, grande, enorme, che sta li, sotto i loro occhi e che un bambino è perfettamente in grado di riconoscere, un po' come il bambino della celebre favola che si accorge subito che "IL RE E' NUDO"

Insomma, puntano sulle paure, le paranoie, le viltà, i sensi di colpa dell'occidente in crisi.
Per questo possono vincere, stanno già vincendo.