domenica 29 gennaio 2017

IL LUPO CATTIVO

Il lupo cattivo Donald Trump sta mettendo in atto quanto promesso in campagna elettorale e questo stupisce molto tanti politici abituati a dire una cosa e fare il suo opposto. Tutti oggi strillano contro la “xenofobia” del presidente USA. Molti musulmani marciano negli USA e fuori. I nostri TG danno ampio spazio alle loro democratiche proteste. Peccato non averli visti manifestare il 12 settembre 2001! Doppio peccato AVERLI visti manifestare in quella data, per festeggiare gli attentati.

Gli israeliani NON possono entrare nei seguenti stati:
Algeria, Arabia Saudita, Bangladesh, Brunei, Emirati Arabi Uniti, Gibuti, Iran, Kuwait, Libano, Libia, Malesia (salvo eccezioni), Pakistan, Siria, Somalia, Sudan, Yemen”.
Eppure non risulta che cittadini israeliani si divertano a sparare all'impazzata sulla folla, o che turisti provenienti da Israele si facciano esplodere qua e la per il mondo in pizzerie, treni o discoteche.
Non solo, questi stati NON riconoscono il diritto di Israele ad esistere, neppure gli fanno l'onore di chiamarlo col suo nome. Lo definiscono “entità sionista”. Ma gli ipocriti della UE non contrappongono in questo caso i loro “valori” (sic) alla “xenofobia”. Si danno invece dar fare per condannare Israele un giorno si e l'altro pure.

“No ai sospetti generalizzati” dice la signora Angela Merkel. I colpevoli di terrorismo vanno catturati uno ad uno, processati e , se i loro delitti vengono provati, adeguatamente puniti.
Sante parole! Però... vanno benissimo per il magistrato, non per il politico. Il magistrato deve colpire i singoli, non i gruppi. Ma la politica si interessa, deve interessasi, ai collettivi, non ai singoli. La politica deve rapportarsi a movimenti di massa, partiti, ideologie, religioni.
La domanda da farsi allora è: l'Islam è o non è intollerante? Rifiuta o non rifiuta la separazione fra sfera religiosa e sfera politica? Ammette o non ammette la parità di diritti e doveri fra i sessi? Ammette o non ammette il libero pensiero, la possibilità per un credente islamico di cambiare, se vuole, credo religioso? L'insieme delle idee, dei valori, delle credenze su cui l'Islam si basa favorisce o non favorisce il sorgere ed il diffondersi della pianta velenosa del fondamentalismo terrorista?
Basta porre la domanda per avere la risposta.
E allora, signori saputelli, la politica NON può rapportarsi al fondamentalismo terrorista facendo finta che si tratti di una serie di casi individuali. Ci vuole tanto a capirlo?

E i danni collaterali? Davvero si può pensare che le persone bloccate negli aeroporti siano tutte dei potenziali terroristi?
E' un problema serio, di certo molte di quelle persone sono molto lontane dal terrorismo, a tutti i livelli. Si devono cercare soluzioni per evitare che subiscano disagi ingiustificati ed ingiusti. Una revisione restrittiva dei criteri sui visti può forse essere meglio di una chiusura generalizzata degli ingressi. Però, è bene dirlo chiaro e tondo: qualsiasi politica intenda affrontare a livello collettivo (l'unico serio) il problema del fondamentalismo assassino crea, inevitabilmente, danni collaterali. Anche se non mi piacciono preferisco questi ad altri tipi di danno. Non mi va di vedere gente bloccata in aeroporto, ma mi va ancora meno vivere in città blindate, avere paura di salire su un metrò, dover fare code di un'ora per entrare nella basilica di San Pietro o in qualche altra Chiesa. Se fossi donna non mi andrebbe di non poter girare tranquillamente in certi quartieri o di non poter indossare una minigonna per timore di “incidenti”. Fra la gente che subisce disagi negli aeroporti e le ragazze molestate o stuprate a Colonia mi sento molto più vicino a queste ultime.
Tanti strillano: "ponti, non muri". Non è questa lascelta. Oggi dobbiamo scegliere DOVE avere i muri: se ai confini o dentro casa, davanti a stazioni, porti, aeroporti, chiese, piazze, centri commerciali. Punto.
 
Qualcuno ricorda lo scrittore e poeta Salman Rushde? Era stato condannato a morte nel 1989 per il suo libro: “versetti satanici”. Da allora vive con la costante minaccia che un “nostro fratello” lo uccida. Si, perché una “fatwa” che condanni a morte un miscredente obbliga ciascun buon musulmano a metterla in atto, ovunque si trovi. Questo dovrebbe bastare a far capire che quanti parlano contro le “discriminazioni basate sulla fede” sono o sciocchi o in malafede. Rifiutano di prendere in considerazione le caratteristiche delle varie fedi. Non quelle teologiche, beninteso, quelle a contenuto socio politico.
Penso che perseguitati come Rushde vadano accolti, sempre. Donne che rischiano fustigazione e lapidazione o rifiutano il velo, più o meno integrale, liberi pensatori, gay che possono venire impiccati, anche musulmani che pretendono di interpretare e non di applicare alla lettera il Corano. Tutti costoro sono profughi VERI che devono essere accolti. Peccato che la grandissima maggioranza dei migranti a cui l'Europa (oggi solo l'Italia in verità) spalanca le porte non appartengano a queste categorie.
In effetti i contestati decreti di Trump fanno eccezioni precisamente per perseguitati di questo tipo. Ma i nostri media faziosi tacciono su questo, non a caso.

PS. Qualcuno dice: e l'Arabia saudita? Trump la ha risparmiata perché ha interessi in quel paese. L'Arabia saudita è alleato degli Usa. Un po' come l'Egitto può essere utile nella lotta al terrorismo, almeno, così si crede. La real politik deve tener conto di tanti fattori, anche se la cosa non ci piace ed è moralmente discutibile (molto discutibile). Quanto agli interessi di Trump... l'Arabia saudita ha sostenuto la candidatura della Clinton ed ha finanziato generosamente la fondazione Clinton. Così, solo per puntualizzare.

lunedì 23 gennaio 2017

ADOLF HITLER E DONALD TRUMP


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Accade regolarmente ormai. Ogni qual volta il popolo bue vota in maniera diversa da come vorrebbero certi pseudo intellettuali scatta il confronto con Adolf Hitler. “Anche Hitler vinse le elezioni” ripetono con fare corrucciato, poi, come folgorati da un improvviso liberalismo, aggiungono: “la maggioranza non ha sempre ragione, non può fare quello che vuole.”
Ma guarda un po', hanno improvvisamente letto De Tocqueville! La maggioranza non ha sempre ragione! E chi lo ha mai sostenuto? Nelle democrazie liberali si vota NON per stabilire chi abbia ragione, ma chi abbia diritto di governare, cosa del tutto diversa. E che la maggioranza non possa fare quello che vuole è talmente vero da essere del tutto ovvio. Né la maggioranza né la minoranza hanno sempre ragione o possono fare ciò che vogliono, per un liberale questo è l'A B C! Piuttosto, mi sembra un po' sospetto che certi personaggi scoprano che la maggioranza non può fare quello che vuole a proposito di... Donald Trump! Fidel Casto ha governato per mezzo secolo senza mai sottoporsi al vaglio di una consultazione elettorale. Quando l'età gli ha impedito di continuar a governare ha ceduto il potere al... fratello e pare che questo, anche lui avanti con gli anni, sia intenzionato a cederlo... al figlio. Tutto questo non ha indotto nessun intellettuale di “sinistra” ad affermare che la maggioranza non può fare ciò che vuole. Stranezze...

Ma torniamo al confronto con Adolf Hitler.
Questo confronto si basa, oltre che su una assoluta disonestà intellettuale, su clamorose mistificazioni della storia.
Non è vero che Hitler abbia conquistato il potere per via puramente legale ed elettorale.
Nelle elezioni del novembre 1932 il partito nazional socialista prese il 33,1% dei voti, in quelle del marzo 1933, tenutesi in un clima di terrore, dopo il cancellierato ad Hitler e l'incendio del Reichstag, si fermò al 43,9% dei suffragi, ancora lontano dalla maggioranza assoluta.
I successi elettorali di Hitler furono inoltre favoriti dalle incredibili violenze che accompagnarono tutta la sua ascesa al potere. Il partito nazional socialista non era un normale partito politico, come non lo era del resto la KDP, il partito comunista tedesco. Era una formazione insieme politica e militare che aveva nelle violenze di piazza un suo fondamentale punto di forza. Il processo che portò Hitler al cancellierato fu qualcosa di molto simile ad una guerra civile. In questo processo gli scontri di piazza ebbero un peso quanto meno uguale a quello dei successi elettorali. Le elezioni furono un momento importante della ascesa di Hitler, ma costituisce un falso storico sostenere che Hitler giunse al potere solo grazie alle elezioni.
Appena ottenuto il cancellierato, nel gennaio 1933, Hitler divenne capo di un governo di coalizione. Collaboravano con la NSDAP, il partito nazional socialista, formazioni nazionaliste di destra. Eppure nel giugno del 1933 la NSDAP era l'unico partito legale della Germania. In meno di sei mesi Hitler aveva eliminato tutte le fondamentali libertà politiche, messo fuori legge i partiti anche solo potenzialmente rivali, distrutte le libertà civili. In seguito, nel giugno del 1934 con la “notte dei lunghi coltelli e la fucilazione di Rohm, avrebbe eliminato ogni opposizione interna al suo stesso partito.
Per riassumere. Hitler non conquistò mai la maggioranza assoluta dei suffragi, le violenze ebbero un ruolo fondamentale nella sua ascesa al cancellierato, dopo la conquista del cancellierato mise in atto, in tempi brevissimi, una politica di eliminazione brutale di ogni rivale politico, attuale o potenziale. Bastano queste brevissime considerazioni storiche per far capire quanto ogni paragone fra la vittoria di Hitler e quella di Trump sia priva di qualsiasi fondamento. Chi la fa è o ignorante o in malafede. Forse è entrambe le cose.

La Corea del Nord è, letteralmente, uno stato lager, una sorta di prigione da cui nulla filtra. Si può solo intuire che la popolazione soffre letteralmente la fame e che qualsiasi opposizione è stroncata con metodi disumani.
Nel mondo esistono paesi in cui i rivali politici vengono decapitai e/o crocifissi.
In molti paesi le donne vengono lapidate, frustate, vivono in una condizione di schiavitù domestica. I gay vengono impiccati, apostati e bestemmiatori ammazzati in diversi modi, tutti poco piacevoli.
I cristiani devono subire in vaste aree del globo persecuzioni degne del medio evo.
Per farla breve, se qualcuno vuole divertirsi a paragonare situazioni di oggi con la tirannide hitleriana ha solo l'imbarazzo della scelta.
Ma non si riferiscono a queste situazioni gli attuali angioletti del politicamente corretto. No, il loro obiettivo è il presidente degli stati uniti Donald Trump, “reo” di essere stato democraticamente eletto dal suo popolo, di avere vinto in maniera assolutamente regolare le elezioni.
Quando e se Trump metterà fuori legge il partito democratico, farà imprigionare i rivali politici, compresi i molti repubblicani che non lo amano, scioglierà il congresso, il paragone fra lui ed Adolf Hitler potrà avere un senso. Fino a quando queste cose non avverranno (ed ritengo che non avverranno mai) chi fa simili paragoni dimostra solo la propria ignoranza e la propria inguaribile faziosità.

sabato 21 gennaio 2017

AMERICA FIRST

Per capire il senso del famoso “America first” di Donald Trump dovremmo, penso, porci una semplicissima domanda.
Qualcuno pensa davvero che per lui la vita sua, di sua moglie, dei suoi figli, di tutti coloro che gli sono cari sia sullo stesso piano di quella di persone sconosciute, che vivono dall'altra parte del globo? Difficile sostenerlo.
Io non pretendo, so di non dover pretendere, diritti particolari, non ritengo che sia giusto dare a me particolari tutele a scapito di altri. So che in quanto essere umano sono ontologicamente sullo stesso piano di tutti gli altri esseri umani. Ma so anche che per me la vita mia, dei miei figli, di mia moglie, di tutti coloro che mi sono vicini ha un valore diverso, particolare, non è sullo stesso piano della vita degli altri. Nessuno di noi è mera generalità astratta, uomo generico. Ognuno di noi è se stesso nella sua unicità e nella sua particolarità. Ognuno di noi ha rapporti con una cerchia di persone che per lui non sono sullo stesso piano di altre. Una disgrazia che colpisse mio figlio avrebbe per me un valore del tutto diverso da analoga disgrazia che colpisse un giovane australiano. E come essere umano raziocinante sono prontissimo a riconoscere che per il genitore del giovane australiano la disgrazia che colpisse mio figlio avrebbe un valore del tutto diverso da quella che colpisse il suo.

Se non esistesse questa fondamentale unicità e particolarità degli esseri umani lo stesso universalismo dei diritti sarebbe privo di senso. Se io mettessi tutti gli altri sul mio stesso piano, se per me la felicità loro e dei loro cari avesse lo stesso valore della mia e dei miei cari felicità, a cosa servirebbero gli uguali diritti? Perché dovrei essere tutelato dal furto se per me fosse indifferente che il denaro che ho guadagnato finisse sul mio o su un altrui conto? Se non faccio differenza alcuna fra me e Tizio, se la sua felicità vale per me quanto la mia sventura, perché dovrei essere difeso dalle sue prevaricazioni?
Tutti abbiamo, in quanto esseri umani, pari dignità, si sente ripetere, molto spesso a sproposito. E' vero, tutti abbiamo la stessa dignità di esseri umani, ma la abbiamo in quanto ognuno di noi è quel certo essere umano, quella persona diversa da tutte le altre, che da alla sua vita e a quella dei suoi cari un valore particolare, unico. I diritti universalmente riconosciuti tutelano ognuno di noi nella sua unicità e particolarità. Si eliminino queste e diventiamo tutti mera universalità astratta, pure unità interscambiabili cui non ha senso riconoscere dignità e diritti.

Le considerazioni fatte valgono, val la pena di sottolinearlo, per gli individui come per i gruppi che questi individui formano. Io do importanza più alla mia famiglia che a quella di Tizio. Mi sento più vicino a chi conosco, alle persone che vivono situazioni simili alle mie che non ad altre, che non vedrò mai nel corso di tutta la mia vita e che a volte condividono con me solo la comune appartenenza al genere umano. Nei confronti di queste ultime sono vincolato  dal dovere etico del rispetto; alle prime mi legano invece sentimenti di di vario tipo: dall'amore alla simpatia, dall'amicizia alla consapevolezza, più o meno vaga, di condividere con loro qualcosa di importante. Chiediamoci ora: fra questi gruppi a cui ci sentiamo più vicini che ad altri possono essere annoverati gli stati nazione? Certo, l'Italia non è in alcun modo paragonabile alla famiglia di ognuno di noi, ma è o non è vero che sentiamo nei confronti dei nostri connazionali un legame diverso da quello che sentiamo nei confronti di altri? Perché mai vicende come quella dei terremotati del centro Italia ci colpiscono più di altre, magari più gravi, che avvengono altrove nel mondo? Perché quando avvengono sventure in paesi lontani media si affrettano ad informarci sulla presenza o meno di italiani? Esiste o non esiste qualcosa, che ci fa considerare certe persone sconosciute, che però vivono in un paese chiamato “Italia”, diversamente da altre? Penso sia difficile negarlo, e questo senza cadere in alcuna forma di nazionalismo sciovinista e xenofobo.

Certo, il famoso “America first” può anche essere interpretato come una arrogante manifestazione di nazionalismo esclusivista, ma non credo si tratti di una interpretazione corretta. Dicendo “America first” Trump non si è rivolto agli italiani, ai francesi o ai tedeschi. Non ha detto loro: noi siamo più importanti di voi. Questa sarebbe stata, si, una intollerabile manifestazione di nazionalismo becero. Dicendo “America first” Trump si è rivolto, con tutta evidenza, agli americani. Ha detto che per gli americani l'America deve tornare ad essere al primo posto. Il che non implica che gli americani non possano o non debbano collaborare con gli altri, relazionarsi a loro, commerciare con loro, cercare con loro accordi politici ed economici. Ma devono farlo avendo a cuore, prima di tutto, il proprio interesse, esattamente come noi dobbiamo avere a cuore il nostro.
A saper ben vedere le cose non c'è stato nulla nel discorso di Trump che non sia perfettamente compatibile con la concezione liberale classica, nulla che contrasti con la filosofia politica di un Locke o con le concezioni economiche di un Adam Smith, il cui capolavoro non a caso si intitola "la ricchezza delle nazioni".
Certo, tutto è possibile. Uno slogan o un discorso non fanno una politica. Staremo a vedere come evolvono le cose, con calma, e senza isterismi.

mercoledì 18 gennaio 2017

DONALD TRUMP E LA SPOCCHIA DI CERTI GIORNALISTI


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Dopodomani Trump, a meno di sorprese clamorose ed improbabili, si insedierà alla casa bianca. Posso capire che molti non lo amino e  non siano felici della sua vittoria. Non capisco invece chi fa recriminazioni e, come una bravissima giornalista con cui ho avuto l'onore di uno scambio di idee in rete, protesta contro la legge elettorale americana che avrebbe permesso l'obbrobrio della sua vittoria.
La legge elettorale americana è vecchissima. Le modalità di elezione del presidente sono fissate nell'articolo 2 della COSTITUZIONE degli Stati uniti d'America, modificate da tre emendamenti. Nessuno degli emendamenti cambia la sostanza del meccanismo elettorale fondato sul voto per stati e la attribuzione ad ogni stato di un certo numero di grandi elettori. In Italia si fa una legge elettorale ogni due anni, quindi a qualcuno può apparire strano che un paese dell'importanza degli Stati Uniti elegga il suo presidente in base a modalità previste in una costituzione compilata nel 1787. Beh... peggio per lui.

Detto questo mi permetto di fare alcune considerazioni, per punti.

1) Durante tutta la campagna elettorale americana i vari sondaggi hanno sempre dato la Clinton in vantaggio. Però, mentre in certi momenti i due candidati erano dati molto vicini nel voto popolare, la Clinton era data sempre in nettissimo vantaggio nel conteggio dei grandi elettori, quello che determina chi sarà il presidente. Ebbene, nessuno, ma proprio nessuno ha espresso in quei giorni alcuna rimostranza nei confronti del sistema elettorale americano. Nessuno ha protestato o cercato di contrapporre il voto popolare al voto per i grandi elettori. Le rimostranze sono iniziate DOPO la vittoria di Trump. Insomma, il sistema elettorale va benissimo se vinco io, è “contestabile" se vinci tu. Che ragionino in questo modo persone faziose e poco intelligenti puo' essere comprensibile, che lo facciano dei professionisti della informazione molto meno.

2) Contrapporre nelle elezioni americane il voto popolare a quello per grandi elettori è privo di senso. Lo è per il semplicissimo motivo che le elezioni presidenziali negli Stati Uniti sono finalizzate alla conquista dei grandi elettori e questo determina sia la campagna elettorale dei candidati che i livelli di partecipazione al voto.
I candidati concentrano la campagna sugli stati in bilico, trascurandone altri che ritengono sicuri o non conquistabili. Si comporterebbero, ovviamente, in maniera del tutto diversa se il presidente venisse eletto in base ai voti popolari complessivi. Lo stesso si può dire sui livelli di partecipazione al voto. Un repubblicano può scegliere di non votare in California, stato sicuro appannaggio dei democratici, mentre, sull'altro fronte, un democratico può comportarsi allo stesso modo in Texas. E' ovvio che se fosse il numero complessivo dei voti popolari ad eleggere il presidente il comportamento degli elettori sarebbe del tutto diverso. Chi semina dubbi sulla legittimità della vittoria di Trump con l'argomento del voto popolare è quindi o “diversamente intelligente” o in cattiva fede. Forse è entrambe le cose.

3) E' davvero così cattivo il sistema elettorale americano? Non credo. Gli USA sono una repubblica  FEDERALE. Per certi aspetti il Texas o la California hanno nei confronti del governo centrale americano una autonomia maggiore di quanta non ne abbiano Italia o Grecia nei confronti della commissione europea. Basti pensare che in certi stati americani vige la pena di morte ed in altri no, mentre nella UE la “commissione” pretende di legiferare anche sul diametro delle pizze. Il presidente deve quindi rappresentare sia il popolo degli Stati Uniti che i singoli stati in cui quel grande paese si articola. Se la legge elettorale si basasse sui voti popolari potrebbe essere eletto presidente un candidato che ha conquistato moltissimi voti in pochi stati popolosi e quasi nessuno in tutti gli altri. Questo sarebbe in clamorosa contraddizione col carattere federale della repubblica nord americana. Le modalità di elezione del presidente cercano di conciliare le due diverse esigenze della rappresentanza popolare e della rappresentanza dei vari stati. Il meccanismo può essere bisognoso di riforme e modifiche, saranno gli americani a deciderlo, ma nella sua sostanza è estremamente ingegnoso ed equilibrato. Non a caso regge da circa 230 anni, mentre qui in Italia litighiamo su “porcellum”, “italicum”, “mattarellum” e chi più ne ha più ne metta.

4) Donald Trump è il nuovo presidente degli Stati Uniti d'America. E' lecito non amarlo e criticarne le scelte politiche, ma è segno di stupidità assumere nei suoi confronti atteggiamenti di spocchiosa superiorità. Per molto tempo la quasi totalità dei giornalisti ha presentato Trump come un personaggio folcloristico, un cafone ignorante che sarebbe stato spazzato via dalla raffinata Clinton. Piaccia o non piaccia oggi quel personaggio folcloristico è presidente della più formidabile potenza economica e militare di sempre. Continuare a rapportarsi a lui con sorrisini di superiorità dimostra non solo la spocchia intellettuale e la scarsa intelligenza di certi personaggi, ma anche e soprattutto la loro rabbiosa impotenza. Si rassegnino i "progressisti" di mezzo mondo e provino a contrastare Trump sul piano dei programmi e delle scelte politiche. Con argomenti e non con battutine spocchiose. Se ne sono capaci.

mercoledì 11 gennaio 2017

IL "COME" ED IL "SE"

Avevano cominciato in Gran Bretagna. Dopo la clamorosa vittoria della brexit abbiamo assistito a proteste, manifestazioni di piazza, minacce di secessione, richieste di invalidazione del referendum, per finire con la scandalosa sentenza dell'alta corte che ha rimandato tutto al parlamento. Insomma, prima si da la parola agli elettori, poi, visto che questa paola non è quella che si sarebbe voluta sentire si intima: “contrordine compagni! Il risultato referendario non conta una mazza, è il parlamento che deve decidere”. Per fortuna la Gran Bretagna è una democrazia liberale troppo vecchia e gloriosa perché i simili squallidi tentativi abbiano successo. Pare (PARE) che dalla brexit non so torni indietro.
Negli Stati Uniti è successo anche di peggio. Prima manifestazioni di piazza, a volte violente, contro l'esito del voto. Poi tentativi, miseramente falliti, di invalidare la vittoria di Trump con il riconteggio dei voti (dove c'è stata ha visto la netta riconferma del vincitore). Poi le pressioni fortissime per indurre i grandi elettori repubblicani a non confermare il presidente eletto. Poi la storia degli Hacker russi. Stamattina i giornalai dei vari TG annunciavano, col fiato rotto dall'emozione, “nuove gravissime indiscrezioni” sul prossimo neo presidente. Il gioco ormai è chiaro. Non mirano (probabilmente) tanto ad invalidare l'elezione di Trump, sarebbe troppo difficile da ottenere ed avrebbe comunque conseguenze devastanti per gli USA, quanto a fare del nuovo inquilino della casa bianca un presidente dimezzato, sottoposto a ricatti e pressioni mediatiche fortissime, in rotta con una parte del suo stesso partito. Insomma, la classica politica dei “pozzi avvelenati”: visto che Trump ha avuto l'ardire di vincere, cerchiamo di impedirgli di governare. Le stesse, ultime, mosse di Obama sono andate nella stessa direzione. Creazione artificiosa di un clima di guerra fredda con la Russia, peggioramento drammatico delle relazioni con Israele: tutti ostacoli, e che ostacoli, sulla strada del nuovo presidente.

Naturalmente i pennivendoli italici si sono spellati le mani applaudendo. Nuove rivelazioni su Trump! Una pacchia!!! Pare che il neo presidente si sia accompagnato a Mosca, nel 2013, con una prostituta. Mamma mia! Orrore! Come può l'America essere governata da uno che è andato con una "escort"? E' troppo ricattabile!!!!
Su altre cosette i  pennivendoli restano invece assai freddi. Pare, lo sottolineo, PARE, che fra i debitori morosi del monte Paschi ci sia anche la Fondazione Clinton. Si tratta, lo sanno tutti, di una benefica istituzione che tanto ha fatto e fa in difesa dei poveri e degli oppressi di tutto il mondo. Però ha ricevuto , PARE, una barca di soldi non solo dal Monte dei Paschi di Siena, ma anche da un paese come l'Arabia Saudita. Democratico paese, dove le donne vengono lapidate o frustate se adultere, agli apostati si taglia la testa e gli oppositori politici vengono crocifissi. Ma che bello!!!
Queste inezie però non emozionano più di tanto, val la pena di ripeterlo, i pennivendoli di regime. Figuriamoci, sono molto più importanti le “clamorose indiscrezioni” su Trump.

Ormai è chiaro. La democrazia che ancora sopravvive in occidente, ed in particolare in Italia, è una democrazia del COME, assai diversa dalla democrazia del SE.
Mi spiego. Finché si discute di come fare certe cose esiste ancora un livello di libertà accettabile e gli stessi media forniscono ancora al popolo bue una informazione decente. Le cose però cambiano radicalmente quando qualcuno si permette di chiedersi se sia giusto farle, quelle certe cose.
Si può discutere liberamente, ed avere una informazione decente, su come stare in Europa e nella moneta unica, ma guai si qualcuno chiede se valga davvero la pena di restare nell'una e nell'altra. Si può discutere su come organizzare l'accoglienza dei “migranti”, non se sia accettabile o giusto  riempire il nostro paese di clandestini. Non appena su certi temi sensibili qualcuno osa passare dal come al se, scatta la canea. I pennivendoli abbandonano l'aria di apparente imparzialità e si scatenano. I media bombardano il popolo bue di servizi grondanti faziosità, qualcuno comincia a teorizzare che la democrazia non è poi tanto importante e che su tante cose è meglio, molto meglio, non votare. Molti hanno ormai sostituito la parola democrazia con la parola: “populismo
Nel 1906 la prima Duma, concessa dallo zar Nicola dopo i moti del 1905, chiese rispettosamente al sovrano di avere autentici poteri legislativi su materie importanti. Il governo, responsabile di fronte allo Zar e non alla Duma, rispose proponendo al parlamento di discutere sulla costruzione di nuovi giardini e di una pubblica lavanderia. Ecco, non dico che siamo a questo punto, ma... ci stiamo avvicinando.
Non a caso sono sempre più frequenti le richieste di controllare la rete, formidabile ostacolo alla involuzione autoritaria in atto.
Ci attendono tempi molto, molto difficili.

venerdì 6 gennaio 2017

L'EQUAZIONE

I “buoni” lo ripetono in continuazione: è falsa l'equazione che vorrebbe equiparare, o comunque collegare, i terroristi ai migranti. Terrorismo e migrazioni sono due fenomeni che è bene mantenere rigorosamente distinti. Si può lottare contro il terrorismo e nel contempo continuare a fare entrare, tutti i giorni, migliaia di clandestini a casa nostra. Lo assicurano il presidente del consiglio ed i ministri degli interni e degli esteri. E se qualcuno non è convinto subito viene definito come merita: xenofobo, islamofobo e, soprattutto, RAZZISTA.
Ma stanno davvero così le cose? Davvero la famosa “equazione” che riguarda terrorismo e migrazioni è tanto sbagliata come dicono? Vediamo un po'.

A prima vista i politicamente corretti sembrano avere qualche buona ragione dalla loro parte. I cattivi ripetono spesso, con cattiveria ovviamente, che “non tutti i musulmani sono terroristi, ma tutti, o quasi, i terroristi sono musulmani”. La verità di questo enunciato è difficilmente contestabile. Si tratta sicuramente di un caso, visto che l'Islam è una religione di pace, ma che tutti o quasi i terroristi siano musulmani è una verità che è possibile verificare facilmente. Basta saper fare due più due.
Le cose però sembrano stare diversamente nel caso dei migranti. Per loro infatti non solo è vero che “non tutti i migranti sono terroristi”, ma è anche vero che “non tutti i terroristi sono migranti”. Esistono quindi moltissimi migranti non terroristi e moltissimi terroristi non migranti. Cosa si vuole di più per respingere la sciagurata “equazione” di chi vorrebbe eguagliare, o almeno connettere, le migrazioni col terrorismo? Gentiloni, Minniti ed Alfano hanno ragione ed i cattivi torto, torto marcio. Come volevasi dimostrare.
Dietro a questo giro di valzer dialettico si cela però un trucco. E' vero che non tutti i migranti sono terroristi, e che non tutti i terroristi sono migranti, ma a quali migranti si fa riferimento in questo secondo enunciato? Se ci si riferisce ai migranti di ultima generazione, a quelli che sono arrivati in Europa nel corso dell'ultimo anno, o che si trovano ancora in qualche centro di accoglienza, o che aspettano ancora di sapere se hanno o non hanno diritto allo status di “profugo”, l'enunciato è vero. Ma se il discorso si allarga la verità dell'enunciato subito vacilla. Non tutti e neppure la maggioranza dei terroristi sono migranti di ultima generazione, ma almeno la maggioranza dei terroristi sono comunque migranti. Non sono migranti di oggi o di un mese fa, hanno raggiunto l'Europa uno, o due, o dieci anni fa e non si sono mai integrati. Malgrado gli tutti sforzi delle anime belle questi signori hanno per anni continuato a considerare corrotta e corruttrice la nostra civiltà; ottima finché si tratta di chiedere accoglienza e sussidi, ma infetta quanto a idee, valori, stili di vita dominanti.
Quasi tutti gli immigrati di fede islamica hanno mantenuto intatto, qui da noi, il loro stile di vita. Non c'è nulla di male in questo, potrebbe replicare un “buono” politicamente corretto. E no, c'è molto di male perché quello stile di vita è in larga misura incompatibile coi valori su cui si basa, qui da noi, la civile convivenza. Alcuni immigrati hanno conservato i loro valori senza per questo diventare terroristi, altri hanno portato alle estreme conseguenze l'ostilità che provano nei confronti della civiltà occidentale. Il resto è cronaca.

Del resto, i terroristi che non sono migranti, né di prima né di seconda o terza generazione, da dove vengono? La risposta è facilissima: vengono dagli stessi paesi da cui arrivano i “migranti”. Non sono “migranti” ma sono tutti comunque islamici. Arrivano in auto o aereo, non sui barconi, ma la sostanza non cambia. Condividono coi “migranti” idee, interessi, valori. Hanno una visione del mondo che è spesso molto simile alla loro.
La gran maggioranza dei migranti sono islamici e la quasi totalità dei terroristi sono islamici. Questo enunciato è o non è VERO? E' o non è vero che una percentuale altissima di “migranti” è costituita da islamici? Ed è o non è vero che la totalità o quasi di chi sparge il terrore ovunque nel mondo aderisce alla fede islamica? Se rispondiamo SI a queste due domande allora la famosa equazione fra migrazioni e terrorismo non si rivela affatto fallace. Le migrazioni sono collegate al terrorismo non perché tutti, o anche solo la maggioranza, di coloro che arrivano sui barconi siano terroristi, ma perché grazie alle migrazioni si crea qui da noi la base sociale in cui i fanatici del terrore possono facilmente pescare nuovi adepti. Se alcuni milioni di esseri umani sono convinti che i valori dell'occidente sono focolai di corruzione morale si può star sicuri che fra loro potranno formarsi alcune migliaia di terroristi. E tanto basta per renderci impossibile la vita.
In fondo anche coloro che sostengono la fallacia della famosa equazione non ne sono davvero convinti. I “migranti” non c'entrano nulla col terrorismo, strillano vari ministri, però raccomandano di “controllare” chi arriva sui barconi. E, stranamente, dopo ogni massacro dove va ad indagare la polizia? Fra i “migranti”, ma guarda caso! Forse l'equazione è sbagliata, ma chi lo afferma si comporta come se fosse giusta. Un caso, un puro caso.
Se ci fosse in giro un po' meno di ipocrisia ed un po' più di onestà intellettuale forse le cose andrebbero un po' meglio.