lunedì 26 ottobre 2015

DECALOGO DELLE IDIOZIE SULLA LEGITTIMA DIFESA

Ne ho lette a iosa di idiozie, in questi giorni, sul tema della legittima difesa. Vediamo di stenderne un piccolo elenco.

1) Volete che un privato cittadino si faccia giustizia da solo, che si sostituisca a giudice e giuria?
Chi si difende NON si fa giustizia da solo, non PUNISCE il criminale, cerca di IMPEDIRE che il criminale privi lui, od altri, della vita e dei beni.

2) Volete che tutti vadano in giro armati sino ai denti?
Il cittadino ha diritto a difendersi, quali che siano le leggi sulla vendita e la circolazione delle armi. Confondere il diritto alla legittima difesa con la regolamentazione della circolazione delle armi è come confondere il diritto di viaggiare con la regolamentazione delle concessioni dei passaporti.

3) Volete il far West?
Gli stessi che strillano contro il “far west” permettono l'ingresso illimitato e privo di regole di clandestini nel nostro paese, che sta trasformando aree sempre più vaste delle nostre città in un autentico far west.

4) Volete che un privato spari ad un bambino che è entrato nel giardino di casa sua per recuperare la palla?
Chi spara ad un bambino che è entrato nel giardino di casa sua per recuperare un pallone NON sta eccedendo nella legittima difesa, la sua NON può essere considerata legittima difesa.

5) Sono le forze di polizia che devono difendere i cittadini!
Verissimo, ma non sempre questo è possibile, purtroppo.

6) Il privato cittadino ha l'obbligo di delegare allo stato la sua difesa.
E' vero il contrario, è lo STATO ad avere l'obbligo di difendere il privato cittadino. Se un cittadino è OBBLIGATO a rischiare la vita per difendersi dovrebbe essere lo stato a trovarsi sul banco degli imputati.

7) Se non si pongono limiti severissimi al diritto di difendersi si rischiano incidenti, con la morte di innocenti.
Vietare, o limitare sino a renderla di fatto impossibile, la legittima difesa con l'argomento che difendersi potrebbe provocare incidenti è come chiudere sine die tutte le banche per evitare le rapine.

8) Qualcuno può commettere un delitto e farlo passare per legittima difesa.
Qualcuno può commettere un delitto e farlo passare per incidente stradale o suicidio. Vogliamo punire con l'ergastolo chi ha un incidente stradale o un aspirante suicida che sia stato salvato?

9) Una maggior tolleranza sulla legittima difesa favorisce il diffondersi di una mentalità da fuori legge.
In Italia solo un furto su cento viene punito. Di fatto il furto è diventato legale, QUESTO favorisce la mentalità da fuorilegge.

10) La vita umana è sacra, le cose che un rapinatore ti vorrebbe togliere no.
Anche la umana libertà è sacra, perché allora mettere in prigione un ladro che si impossessa delle altrui cose? E coma fa un cittadino a stabilire se un rapinatore sparerà o no? Se è o non è armato? Se è o non è in grado di ucciderlo a botte?

sabato 24 ottobre 2015

I CADUTI ISRAELIANI E QUELLI PALESTINESI





Chi ha più caduti ha ragione?

I nemici di Israele lo ripetono sempre, con instancabile monotonia. I morti palestinesi sono molto più numerosi di quelli israeliani. Ed esibiscono di continuo fior di statistiche per dimostrare la verità del loro asserto.
A dire il vero i numeri che esibiscono sono spesso molto discutibili. Prendono per buone cifre fornite dalla ANP o addirittura da Hammas, nei casi migliori da associazioni internazionali note per non avere nessuna simpatia per Israele. Non solo, nel macabro conteggio delle vittime si fa riferimento solo ai momenti culminanti delle varie crisi fra israeliani e palestinesi. Per settimane o mesi i palestinesi compiono innumerevoli attentati ai danni di civili israeliani. Alla fine Israele si stufa ed inizia con le rappresaglie. Si passa dalla fase degli attentati a quella dei combattimenti veri e propri. Gli amici dei palestinesi iniziano la loro macabra conta solo a partire da questo momento. Fra i caduti israeliani non compaiono gli accoltellati, le vittime dei cecchini, i ragazzi che stavano aspettando un bus e sono stati falciati da un'auto lanciata contro di loro a folle velocità. Per i nemici di Israele queste sono, a quanto pare, morti “occasionali”, non degne di figurare nel calcolo dei caduti.
Ma questi sono in fondo semplici dettagli. E' vero, i caduti palestinesi sono molto più numerosi di quelli israeliani. E allora?

Qualche cifra
Il bombardamento della cittadina inglese di Coventry è ricordato come un tragico episodio della seconda guerra mondiale. In quel bombardamento morirono 1936 civili britannici.
Il bombardamento di Dresda nel Gennaio del 1945 causò la morte di un numero di tedeschi compreso fra le trenta e le QUARANTAMILA unità. Il rapporto è di circa uno a venti. Sempre nel secondo conflitto mondiale la Gran Bretagna ebbe 365.000 caduti, la Germania 7.418.000. Gli Stati Uniti ebbero 413.000 morti, il Giappone 2.630.000. Se teniamo conto che un numero considerevole di americani sono caduti in Europa si può ipotizzare, con tutte le inesattezza del caso, che il rapporto fra i caduti americani e quelli nipponici vari da uno a quindici ad uno a venti.
Questi sono numeri molto parziali ovviamente. Il paese che ebbe più perdite nella seconda guerra mondiale fu l'URSS. Le autorità sovietiche falsarono a lungo i dati delle perdite subite dal loro paese, oggi si ritiene che queste siano comprese fra i 15 ed i 20, 23 per qualcuno, milioni di esseri umani.
Le cifre che mi sono permesso di fornire, e che possono non essere esatte, dimostrano solo una cosa: è assolutamente sbagliato assegnare i torti e le ragioni di una guerra in base al numero dei caduti. Il fatto che i bombardamenti sulla Germania siano stati enormemente più distruttivi che quelli sulla Gran Bretagna o che la Germania abbia avuto un numero di caduti assai più alto di quelli di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti messi insieme, non dimostra che nella guerra che ha opposto il nazismo tedesco alle democrazie occidentali fosse il primo ad avere ragione. Allo stesso modo il fatto che l'URSS abbia pagato il prezzo più alto per la sconfitta del nazismo non dimostra, come è stato invece sostenuto, che questo paese sia stato l'alfiere della libertà e della democrazia, dimostra semmai il contrario.

Il ragionamento di coloro che pretendono che chi subisce più perdite sia per questo dalla parte della ragione è completamente assurdo. Ogni stato impegnato in una guerra cerca di massimizzare le perdite del nemico e di minimizzare le proprie. Per vedere riconosciute le sue buone ragioni uno stato in guerra dovrebbe, secondo la logica malata di chi attribuisce ragioni e torti in base al numero dei caduti, fare esattamente il contrario: massimizzare le sue perdite e minimizzare quelle del nemico. Per farla breve, uno stato in guerra dovrebbe, al fine di veder riconosciute le sue buone ragioni, lavorare per la sconfitta propria e delle proprie buone ragioni. Un paradosso che dimostra tutta l'assurdità di certi discorsi che tuttavia si sentono fare di continuo, specie sui media.

Linee d'azione
Sento già gli strilli di chi non è d'accordo. “Qui non si tratta di caduti fra i combattenti, si tratta della popolazione civile! A Gaza muoiono donne e bambini!”
Veramente anche le cifre relative alla seconda guerra mondiale che mi sono permesso di fornire comprendono i caduti civili e gli attentati dei terroristi di Hammas hanno mietuto molte vittime fra le donne ed i bambini israeliani, ma tralasciamo pure questi “dettagli”.
E' vero, uno stato democratico e liberale anche in guerra si comporta, deve comportarsi, in maniera diversa da una tirannide sanguinaria. Per schematizzare senza dilungarci troppo possiamo dire che uno stato democratico liberale in guerra deve:
1) Massimizzare le perdite fra i combattenti nemici.
2) Minimizzare le perdite dei propri combattenti.
3) Cercare di ridurre a ZERO le perdite fra la propria popolazione civile.
4) Trattare con umanità i prigionieri.
5) Cercare di non causare perdite fra la popolazione civile del paese nemico.
Francamente mi sembra che Israele cerchi di attenersi a queste linee d'azione. I suoi nemici invece, a cominciare dai terroristi di Hammas, si comportano nella maniera diametralmente opposta. Questi angioletti infatti:
1) Cercano di evitare gli scontri con i militari israeliani
2) Concentrano i loro attacchi sulla popolazione civile Israeliana, cercando di massimizzare il numero delle vittime.
3) Trattano in maniera brutale i prigionieri. Non li uccidono solo quando li ritengono utili per degli scambi.
4) Si curano poco per la vita dei loro combattenti.
5) Non cercano in alcun modo di minimizzare le proprie perdite civili.

Gli Israeliani avvisano la popolazione civile di Gaza prima di effettuare un raid, i terroristi di Hammas spesso impediscono ai civili avvistai di fuggire dalle proprie abitazioni. Le scuole israeliane sono munite di rifugi antimissile ed i loro studenti fanno spesso e volentieri prove di evacuazione. A Gaza Hammas piazza rampe missilistiche nelle vicinanze o sui tetti di scuole ed ospedali; le differenze mi sembrano evidenti. Di solito qualcuno obietta che le precauzioni di Israele miranti a limitare le perdite di civili fra i palestinesi sono ipocrite. Gaza è densamente popolata, si dice, quindi ogni attacco israeliano, quali che siano le precauzioni, è inevitabilmente destinato a causare vittime fra i civili. Insomma, gli israeliani non dovrebbero rispondere agli attacchi di Hammas. Logica veramente superba! Se venisse messa in atto qualsiasi stato potrebbe vincere qualsiasi guerra. Gli basterebbe far partire razzi e missili da qualche quartiere densamente popolato ed il gioco sarebbe fatto. Lui potrebbe colpire allegramente chi vuole e l'aggredito non dovrebbe rispondere, se lo facesse diventerebbe, ipso facto, “disumano”, “nazi fascista” e chi più ne ha più ne metta. I teorici della doppia morale mettono qui in mostra tutti i loro sofismi da quattro soldi. I palestinesi se ne possono fregare delle sofferenze della popolazione civile israeliana, gli israeliani invece dovrebbero pensare solo alle sofferenze della popolazione civile palestinese. Hammas può lanciare razzi a casaccio contro Israele, Israele non può rispondere con attacchi mirati contro le postazioni di Hammnas perché questi attacchi possono comunque causare morti fra i civili. Qualcuno ha solo diritti, qualcun altro solo doveri, e tutto questo in nome del “diritto”. Ci dovrebbe essere un limite alla faccia tosta!

Al di là della faccia tosta e di tutti i contorcimenti sofistici una cosa dovrebbe comunque essere chiara. Proprio l'argomento della elevata densità di popolazione a Gaza dimostra tutta la malafede di chi accusa gli israeliani di mirare al “massacro”, addirittura al “genocidio”, dei palestinesi.
Gaza è un territorio piuttosto piccolo e densamente popolato, gli israeliani dal canto loro sono in possesso di armi molto potenti e sofisticate. Se davvero mirassero al “massacro” i caduti palestinesi si conterebbero a decine, forse centinaia di migliaia. La popolazione di Gaza avrebbe quanto meno subito una drastica riduzione nel corso degli ultimi, tormentati anni. Invece questa popolazione non fa che aumentare. Gaza conta oggi circa 1.800.000 abitanti, ne contava 1.300.000 nel duemila. Davvero strano! Nell'ultima crisi di Gaza i morti palestinesi sono stati circa duemila in oltre un mese di combattimenti, meno di due terzi delle vittime provocate in pochi minuti dagli attacchi dell'undici settembre 2001. Parlare di “genocidio” mi sembra davvero il colmo!

Cultura della morte
L'Unione sovietica ebbe, lo si è visto, un numero di caduti spaventosamente alto nel secondo conflitto mondiale. Li ebbe solo per la ferocia degli invasori tedeschi e la durezza della guerra? No. I nazisti misero in atto in URSS una politica di sterminio, ma il numero mostruoso dei caduti sovietici è da addebitare anche al modo in cui Stalin condusse la guerra. Il dittatore sovietico non solo fece imperdonabili errori nella prima parte dello scontro, quando fino all'ultimo rifiutò di prendere atto che la Germania hitleriana si stava preparando ad attaccarlo, ma condusse in seguito la guerra nella più totale indifferenza per le sofferenze del proprio popolo. In questo il dittatore georgiano fu se possibile addirittura peggiore del suo nemico austro tedesco, anch'egli sordo alle sofferenze del sua gente. Le dittature totalitarie sono fatte così: si riempiono la bocca con la parola “popolo” ma mostrano una assoluta noncuranza per gli esseri umani in carne ed ossa che formano il “popolo”. Stalin ordinava offensive e difese ad oltranza senza mai curarsi dei loro mostruosi costi umani; alla fine del conflitto Hitler non si fece scrupolo di mandare a combattere vecchi e bambini al solo scopo di prolungare l'agonia del “reich millenario”. Il numero altissimo dei caduti sovietici e tedeschi si deve addebitare anche al cinismo dei dittatori che li guidavano.
Il fondamentalismo islamico non differisce in questo dalle grandi tirannidi totalitarie, anzi, nel caso del fondamentalismo le cose sono aggravate dal fanatismo religioso, autentica arma di distruzione di massa che spinge moltissimi giovani ad immolarsi per onorare la propria divinità ed ottenere le delizie del paradiso.

L'arma preferita dai terroristi fondamentalisti è l'attacco suicida, che da per scontata la morte dell'attentatore. Quando compiono un attentato i terroristi islamici pensano solo ad uccidere il maggior numero possibile di “infedeli”, senza badare ai costi che loro stessi devono pagare per queste uccisioni. Se nell'attentato vengono uccisi, oltre agli “infedeli” e all'attentatore, anche alcuni, o molti, “buoni fedeli” la cosa non li spaventa affatto: se erano “buoni fedeli” andranno in paradiso, e tanto basta.
L'islam fondamentalista è caratterizzato da una diffusa e pericolosissima cultura della morte. Non sono occidentali affetti da “islamofobia” a dire questo. Ce lo dicono loro, i fondamentalisti. “Noi cerchiamo il martirio” urlano questi signori, “voi amate la vita, noi la morte.” Attenzione, non dicono “noi non temiamo la morte”, il loro non è un coraggio che sconfina con la temerarietà. Dicono di amare la morte ed effettivamente la amano perché morire in nome Dio è qualcosa di bello e puro. Se per uccidere un solo israeliano devono morire tre, quattro o dieci palestinesi che muoiano pure, l'importante è che un ebreo infedele muoia, così ragionano i fondamentalisti. L'occidentale politicamente corretto non vuole credere a cose simili. Quando ascolta le farneticazione dei fanatici subito sussurra: “dicono queste cose perché sono tanto arrabbiati, poverini. Se avessero un buon lavoro, un reddito decente, se i palestinesi avessero un loro stato certe brutture sparirebbero”. E così la colpa ricade di nuovo, (se ne poteva dubitare?) sul cattivo occidente. L'occidentale politicamente corretto pensa che tutti condividano la sua scala di valori e quando sbatte la faccia sul fatto incontestabile che qualcuno questi valori non li condivide non esita ad attribuirglieli. “Tu dici di odiarci ma in realtà ci ami” mormora l'occidentale politicamente corretto al fondamentalista, un attimo prima che questi gli tagli la gola.


Gli errori pacchiani di Stalin e la sua indifferenza per le sofferenze del popolo sovietico contribuirono ad aumentare il numero dei caduti sovietici nel corso della seconda guerra mondiale. Eppure proprio il numero  delle perdite sovietiche, sia pure "abbellito" dalla censura, fu usato dalla propaganda comunista per indicare nell'URSS il paese guida della coalizione antifascista, il faro a cui tutti i sinceri democratici avrebbero dovuto guardare. I palestinesi nemici di Israele fanno qualcosa di simile. La cultura della morte che ne ispira le azioni provoca loro un numero molto alto di vittime, e proprio queste servono alla propaganda anti israeliana.
I fondamentalisti sono fanatici ma non stupidi. Con una abilità che deve essere loro riconosciuta riescono ad utilizzare sia i caduti israeliani che quelli palestinesi. Presentano orgogliosi i morti israeliani a larghe fasce della pubblica opinione medio orientale: “vedete?” dicono, “trattiamo gli ebrei infedeli come meritano”. Nel contempo sbattono in faccia agli occidentali “buoni” i morti palestinesi; riempiono la rete di immagini, spesso false, di bambini uccisi o di filmati, di solito taroccati, in cui si mostrano al mondo le “brutalità” delle forze di sicurezza israeliane. Quando fanno questa propaganda i palestinesi abbandonano il linguaggio truculento del fondamentalismo per far proprio quello rassicurante del teorico dello stato di diritto. “Gli israeliani violano le leggi internazionali”, strillano, “contravvengono a questa e a quella normativa, non rispettano l'habeas corpus”. La guerra santa è sostituita dal “trattato sulla tolleranza” di John Locke. Musica per le orecchie dell'occidentale politicamente corretto, desideroso di ascoltare solo ciò che rassicura il suo animo buono.

Concludendo
E' avvenuto più di una volta che gli israeliani abbiano liberato centinaia di terroristi in cambio della liberazione di un loro soldato, uno solo. A volte sono stati liberati numerosi terroristi per avere in cambio il corpo senza vita di un soldato israeliano.
In Israele, come un po' ovunque in occidente, un funerale è prima di tutto un momento di dolore. A Gaza i funerali sono momenti di rabbia. Un cadavere è per gli israeliani prima di tutto ciò che resta di una persona da piangere, per i fondamentalisti palestinesi una bandiera da sventolare, un martire per il quale chiedere vendetta. O uno strumento di propaganda ad uso e consumo degli occidentali politicamente corretti.
Gli israeliani cercano con ogni mezzo di limitare le proprie perdite, specie di civili. I terroristi di Hammas indicono di continuo “
giornate della rabbia” che ricordano gli orwelliani “cinque minuti dell'odio” e che si concludono quasi sempre con scontri violentissimi con gli israeliani.
Nel corso dei 67 anni della sua storia in Israele, uno stato da sempre in guerra per la propria sopravvivenza, è stata eseguita
una sola sentenza capitale: quella del criminale nazista Adolf Heichmann. A Gaza sono quasi normali i linciaggi, o le fucilazioni pubbliche al termine di processi farsa, di presunte “spie” israeliane.
Qualsiasi considerazione sul numero delle vittime israeliane e palestinesi non può fare astrazione da fatti di questo genere. Tutti mostrano con palmare evidenza posizioni diametralmente opposte sul valore della vita umana. Chi se ne dimentica è destinato a diventare vittima della propaganda fondamentalista e della cultura della morte che la ispira. Favorisce questa cultura, non la pace e la vita.

mercoledì 21 ottobre 2015

IN DIFESA DELLA LEGITTIMA DIFESA

Un pensionato spara ad un ladro penetrato in compagnia di due complici in casa sua, in piena notte. E' accusato di OMICIDIO VOLONTARIO. Siamo alla follia, ma si tratta di una follia ben radicata in idee, concezioni del mondo, valori, diciamo pure, in una filosofia che per anni si è diffusa come un cancro nel nostro paese, fino a trasformarlo in una gabbia di matti. Val la pena di sottoporre ad un rapido esame le idee chiave di questa filosofia malata.

Farsi giustizia da se.
"Non ci si deve fare giustizia da soli", si sente ripetere molto spesso di fronte a casi come quello del pensionato. Si tratta però di un enunciato del tutto fuori luogo, un po' come se per commentare un caso di legittima difesa io dicessi: “c'è un bel sole stamattina”.
Tizio ruba la mia auto, invece di denunciare il furto alla polizia io compro una rivoltella, vado in casa di Tizio e lo uccido. Questo è farsi giustizia da soli. Ma se io vedo Tizio intento a rubarmi l'auto e con la forza gli impedisco di farlo non mi sto facendo giustizia da solo, sto solo difendendo ciò che è mio. Il “farsi giustizia” riguarda la sanzione del crimine, la sua punizione, la legittima difesa mira ad impedire che il crimine venga effettuato. Solo persone in malafede o stupide possono confondere i due casi.

Autodifesa e pena.
Un gruppo di teppisti mi aggredisce. Mi difendo e ne uccido uno. “In Italia non esiste la pena di morte!” esclamano indignati i “buoni” un tanto al chilo. “Difendendoti tu ti sei sostituito allo stato, sei andato oltre alle sue leggi”, proseguono rossi in volto.
Si tratta di una variante del “non farsi giustizia da se”, ed è altrettanto fuori luogo. Difendendomi io non mi sostituisco a giudici e giuria, non commino alcuna “pena” ai delinquenti, prova ne sia che, una volta assicurati alla giustizia, questi saranno (si spera) comunque processati e puniti. Difendendomi io mi limito a tutelare la mia incolumità. In Italia non esiste nessuna pena consistente nel prendere a pugni il criminale, però se un teppista mi aggredisce io posso difendermi coi pugni. Il mio pugno è un ostacolo al crimine, non una punizione per lo stesso. Elementare Watson.

Persone e cose. UNO.
Se sparo ad un ladro entrato in casa mia colpisco una persona, il ladro invece intendeva sottrarmi delle cose. Le cose non si possono mettere sullo stesso piano delle persone, quindi se spari ad un ladro o ad un teppista che entra in piena notte in casa tua sei uno spregevole omicida. Così argomentano (si fa per dire) i "buoni".
Sto dormendo tranquillo. Un rumore mi sveglia, vedo un ragazzo grande e grosso nella mia stanza da letto. Non posso sparargli, non sia mai! Devo prima indagare, capire se vuole uccidermi o “solo” derubarmi, sono tenuto a chiedergli cortesemente, senza insultarlo, l'insulto è una offesa alla persona e forse lui vuole “solo” le mie cose”, dicevo, devo chiedergli cortesemente che intenzioni ha, poi vedere in quale modo posso reagire. Tutto è bello, dolce, non violento, per il ladro, per il teppista, non per le loro vittime!
Però, se le cose stessero davvero così allora un poliziotto non dovrebbe intervenire armi alla mano per sventare una rapina: la rapina mira alle cose ed i rapinatori sono persone. Guai a sparargli, guai anche a colpirli con un pugno. Il pugno offende la persona, una docile, innocente persona che voleva solo impadronirsi di “cose” non sue! Che criminale il poliziotto che cerca di impedirglielo!
E, se le cose stessero davvero così, non si potrebbe neppure condannare al carcere un ladro, o un rapinatore, o uno scippatore. Mettere un uomo in cella colpisce la persona mentre ladro, rapinatore e scippatore colpiscono solo le cose! Li si lasci tranquilli, liberi di sottrarre le cose agli onesti cittadini!

Persone e cose. DUE.
Le cose non sono affatto contrapposte alle persone, non appartengono a due mondi diversi. Le cose servono alle persone, sono legate alla loro vita. Sottrarre ad una persona le sue cose significa colpirla in quanto persona. Uno scippo che sottragga ad una vecchietta la pensione può precipitare la povera signora in un autentico dramma. E non solo di questo si tratta. Molto spesso le cose non solo servono alle persone ma sono connesse alla parte più intima, personale della loro vita.
Casa mia è piana di cose che per me hanno un valore particolare, ben diverso dal loro prezzo di mercato. Un ladro che entra in casa mia e la mette tutta a soqquadro non mi priva solo di certi beni materiali, mi insulta, mi offende come persona, devasta la mia intimità, mette i piedi nella mia vita.
Difendere le proprie cose è parte del difendere la propria persona, punto e basta. Nei In paesi più evoluti del nostro questo è considerato ovvio, auto evidente. Il disprezzo con cui molti in Italia guardano ai beni materiali, la spocchiosa superiorità con cui questi vengono considerati come pure “cose” prive di valore autentico, oggetti che non è lecito difendere, è una conseguenza della insopportabile mentalità cattocomunista diffusa nel nostro paese.

Far West
“Cosa succederebbe se ognuno si difendesse da se? La società si trasformerebbe in una giungla, in un nuovo far west in cui conta solo la legge del più forte. La difesa dei cittadini è compito non dei privati ma delle forze dell'ordine” affermano con aria saputella i “buoni”.
Ci sarebbe da dire: bella scoperta! Dire che la difesa dei cittadini è compito delle forze dell'ordine significa solo ribadire una banale ovvietà. Però, cosa ho il dovere, il DOVERE prima del DIRITTO, di fare se vedo un bruto che sta violentando una bambina? Telefono alla polizia? E se non ho con me un cellulare? E se la polizia non arriva in tempo? O devo tirare dritto dicendo: “non siamo nel far west, non è mio compito difendere la bambina”? In un caso simile è mio DOVERE intervenire, anche con la forza, anche usando un'arma, se questa è in mio possesso. Fermare il bruto, anche a costo di ucciderlo, questo devo fare, tutti possono capirlo.
Certo, è bene che sia la polizia a difendere i cittadini. L'autodifesa del resto non è cosa facile, non tutti siamo giovani e forti, ed ogni cittadino ha il diritto di non essere un rambo, o un campione di arti marziali o un tiratore scelto. Ma non ci vuole molto per capire che non sempre la polizia è in grado di intervenire rapidamente; molto spesso il cittadino è solo di fronte a chi lo aggredisce o a chi intende privarlo dei suoi beni. Teorizzare che in casi simili l'aggredito non possa difendersi è falsa bontà, non è neppure una posizione equidistante fra aggressore ed aggredito, equivale a schierarsi dalla parte dell'aggressore contro l'aggredito.
Del resto, cosa propongono nel concreto coloro che contrappongono alla legittima difesa l'ovvietà che è compito della polizia difendere i cittadini? Vogliono che nelle nostre strade ci sia un poliziotto armato sino ai denti ogni dieci metri? O che una telecamera sorvegli le mosse di tutti anche dentro le proprie abitazioni? Sognano delle città completamente militarizzate? Non sembra una gran bella prospettiva. O forse questi finti buoni se ne fregano, semplicemente, della sicurezza dei cittadini. Considerano puro egoismo difendere i propri averi, magari la propria stessa vita. Sotto sotto amano ladri, rapinatori e scippatori perché li considerano “vittime di una cattiva società”, o “giovani in preda a problemi psicologici”, come se la difficoltà a trovare un lavoro o una infanzia difficile potessero giustificare tutto.
Hanno abolito il peccato e lo hanno sostituito con la malattia mentale, afferma Fedor Dostoewsij ne “l'Idiota”. Perfetta diagnosi.

Eccesso di legittima difesa? 
“Ma che fare allora?” si chiede il “buono” con aria sgomenta. “Vogliamo permettere ad un uomo di  sparare ad un bambino che è entrato nel giardino di casa sua? Come si può negare che la legittima difesa possa essere eccessiva?”
Se un bambino entra nel giardino di casa mia per recuperare una palla io non gli sparo, non lo prendo a calci e pugni e neppure lo rimprovero. Mi limito a dirgli: “la prossima volta suona ed il pallone te lo rendo io”.
Se un passante mi urta inavvertitamente per strada io non reagisco colpendolo con un pugno, e neppure insultandolo.
Se discuto animatamente con una persona e questa mi dice: “non dica sciocchezze” io non reagisco tirandogli un calcio nei genitali, mi limito a ribattere: “le sciocchezze le sta dicendo lei”.
Penso che la stragrande maggioranza delle persone normali agisca in maniera simile alla mia.
In caso contrario non ci troviamo di fronte ad un “eccesso” di legittima difesa, semplicemente,
NON esiste legittima difesa. Se qualcuno massacra di botte un bambino che è entrato nel giardino di casa sua per recuperare un pallone non “eccede” nel difendersi, semplicemente non si sta difendendo, sta aggredendo il bambino. Se reagisco a chi mi ha invitato a non dire sciocchezze tirandogli un calcio nei genitali sono io l'aggressore, lo stesso può dirsi se tiro un pugno a chi mi ha urtato inavvertitamente per strada. Il concetto stesso di “eccesso” di legittima difesa è contraddittorio: la difesa c'è o non c'è. Se c'è è assurdo definirla eccessiva per il semplicissimo motivo che non appena diventa “eccessiva” la difesa cessa di essere tale. Un tale mi aggredisce, io mi difendo e lo stendo con gancio destro. Il mio aggressore è a terra, privo di sensi. Io però continuo a colpirlo con pugni e calci. Se agisco in questo modo io non “eccedo” nella difesa, mi trasformo a mia volta in aggressore, smetto di essere vittima e divento carnefice.
“E i casi dubbi?” si potrebbe chiedere. Sui casi dubbi deciderà il giudice, esaminando con attenzione ed imparzialità i fatti. Di nuovo, elementare Watson.

In realtà poche cose sono tanto chiare alla gente comune quanto quelle relative alla legittima difesa. Non occorre aver studiato Kant e Locke per capire quando ci si trova di fronte ad un caso di difesa legittima e quando no, quando è giustificata e quando no la reazione violenta di un cittadino di fronte ad azioni violente dei suoi simili.
Chiedere l'incriminazione per omicidio volontario di un pensionato sessantacinquenne che ha ucciso un ladro di venticinque anni penetrato nottetempo, con complici, in casa sua; giustificare questa richiesta argomentando che il ladro era disarmato, come se un uomo svegliato nel cuore della notte possa ben valutare se chi ha di fronte è o meno armato, o come se tre robusti giovanotti non siano in grado di uccidere a botte una persona anziana, fare cose simili vuol dire sfidare il comune buon senso, il normale sentimento di giustizia della gente.
Sembra proprio che certi magistrati, e certi politici, e certi falsi intellettuali vogliano proprio questo: sfidare il buon senso, i normali sentimenti, il comune sentire della stragrande maggioranza delle persone per bene. Si divertono, questi figuri, a contrapporre al buon senso vani sofismi spacciandoli per pensieri profondissimi. Ma non si tratta, nel loro caso, di vera profondità di pensiero. Solo di sciocchezze mascherate da un mare di chiacchiere fumose ed inconcludenti.

lunedì 19 ottobre 2015

AVVISO

Dedico molti scritti sul mio blog alla difesa dello stato di Israele. Non si tratta di una scelta casuale. Difendere Israele vuol dire, oggi, difendere l'occidente dall'attacco del fondamentalismo islamico, e tanto basta, o dovrebbe bastare.
Ultimamente sono apparsi su questo blog commenti ispirati ad un profondo odio verso lo stato ebraico, nei cui confronti vengono avanzate le accuse di sempre: “stato apartheid”, “colonialismo”, “razzismo” e chi più ne ha più ne metta. Lo dico chiaramente: NON mi interessa dialogare con le persone che usano simili "argomenti" (si fa per dire). Non ho nulla da dire a chi considera “armi giocattolo” i razzi di Hammas o “resistenti” i terroristi; loro, ovviamente, non hanno nulla da dire a me.
Le persone che mi importunano con i loro pseudo argomenti hanno tra l'altro il pessimo difetto di essere molto fastidiose. Non si limitano ad intervenire una o due volte. Vogliono assolutamente avere l'ultima parola, replicano, ripetono all'infinito i loro slogan spacciandoli per argomentazioni. In questo modo mi mettono di fronte ad una spiacevole alternativa. O sprecare tempo ed energie per rispondere a chi non merita nessuna risposta, o lasciare, appunto, senza risposta i loro slogan trasformando così il mio blog in un veicolo di becera propaganda anti israeliana, meglio, anti ebraica.
NON accetto una simile alternativa, quindi mi riservo di CANCELLARE dal mio blog quegli interventi che riterrò non meritevoli di risposta. Gli amici di Hammas sono pregati di non importunarmi con le loro sciocchezze. Io mi guardo bene dal leggere e, meno che mai, dal commentare quanto scrivono. Siano gentili e ricambino il favore. Lo ripeto: NON ABBIAMO NULLA DA DIRCI.

sabato 17 ottobre 2015

CARTESIO E I GIORNALISTI POLITICAMENTE CORRETTI




I palestinesi hanno distrutto la tomba di Giuseppe a Nablus, luogo santo per gli ebrei. I media si sono affrettati a sottolineare che quel luogo è santo anche per i musulmani. Chissà se sono stati proprio i palestinesi a darlo alle fiamme...
Certi giornalisti occidentali ricordano a volte il Cartesio delle “meditazioni metafisiche”, meglio, lo ricorderebbero se non fosse per l'abisso che separa un grandissimo pensatore da insignificanti mezze cartucce.
Cartesio nelle “meditazioni” dubitava di tutto. Esiste il mondo esterno? Ci sono davvero corpi materiali? Ho un corpo? Si chiedeva, ed arrivava infine ad una fondamentale, indubitabile certezza: per quanti dubbi io possa avere, per dubitare devo pensare. Io penso, e se penso esisto. Cogito, ergo sum.
L'occidentale politicamente corretto, specie se giornalista, ha lui pure grandi dubbi. Davvero Al Qaeda ha fatto crollare le torri gemelle? L'Isis è davvero una organizzazione islamica? La tomba di Giuseppe sarà stata davvero bruciata dai palestinesi?
A differenza di quelli cartesiani i dubbi dell'occidentale politicamente corretto non sono affatto metafisici, sono squallidamente materiali, politici. A differenza di Cartesio la mezza cartuccia del giornalismo di regime non dubita di tutto. Dubita delle responsabilità palestinesi ma non delle “brutalità” israeliane, dubita della pericolosità del terrorismo fondamentalista, ma non della onnipotenza di CIA e Mossad. Il suo è un dubbio a mezzo servizio, utilitaristico, buono per la propaganda da quattro soldi.

Nella edizione on line del “Corriere” si può leggere: “Se l’incendio è stato intenzionale, è comunque un’offesa alle tre fedi, chiunque l’abbia provocato. Se è stato un palestinese, vuol dire che non ha letto il Corano.
Davvero magnifico! Tutti hanno visto non un palestinese ma numerosi giovanotti palestinesi lanciare bottiglie molotov sulla tomba e scontrarsi con militari israeliani, ma la cosa non basta a dissipare i dubbi! Forse i giovanotti erano agenti del Mossad travestiti, e comunque, di certo non avevano letto il Corano, quindi non erano buoni musulmani; un po' come dire che forse i brigatisti rossi non avevano letto il Capitale, quindi non erano buoni comunisti.
La tomba di Giuseppe è sacra anche all'Islam per il semplice motivo che l'Islam ha la pessima abitudine di far propri santi, profeti e, a volte, luoghi di culto di altre religioni. Per l'Islam Gesù è stato un profeta che ha anticipato, in maniera parziale ed imperfetta, Maometto, quindi anche Gesù era “islamico”. Aspetto di sentire qualche imbecille teorizzare che San Pietro è sacra agli islamici.
In una risposta all'indecente articolo un lettore della edizione on line del corriere ricorda che “non tutti i Musulmani credono che il culto dei santi sia sancito dal Corano, i fondamentalisti Sunniti ritengono sia una forma di idolatria e vogliono che le tombe siano distrutte”. Fa piacere constatare che c'è ancora chi ragiona, qui da noi. A parte le dispute teologiche comunque, è risaputo che i musulmani si massacrano spesso fra loro e non esitano, per massacrarsi, a far saltare moschee e propri luoghi di culto. In ogni caso dovrebbe essere chiaro a chiunque non abbia perso ogni capacità di pensare che, nella situazione di Israele e della “Palestina”, l'attentato alla tomba di Giuseppe è rivolto contro gli ebrei e solo loro.

Ma simili, miserabili, eventi empirici non dissipano i dubbi dei giornalisti occidentali politicamente corretti. Loro sono “cartesiani” (a metà, ovviamente). Loro dubitano, si pongono domande, approfondiscono. Tutto mi induce a pensare che io abbia un corpo, si diceva Cartesio, ma, posso esserne sicuro? Forse un genietto maligno mi inganna costantemente e mi induce a pensare il falso. Tutto fa pensare che i palestinesi di Hammas siano dei terroristi, dice il giornalista politicamente corretto, ma, posso esserne sicuro? Forse è tutto un inganno del Mossad. Tutto sembra chiaro. I musulmani sono pronti ad offendesi per una vignetta su Maometto, ma bruciano chiese e sinagoghe, profanano tombe, a volte fanno saltare in aria anche moschee della setta a loro avversa. Ma... posso essere certo di tutto questo? Non so, dubito. E, come Cartesio, superato il dubbio, arrivava ad una indubitabile certezza: penso, dunque esisto, anche il giornalista politicamente corretto arriva, dopo atroci dubbi, ad una unica, splendente, indubitabile certezza: “L'ISLAM E' UNA RELIGIONE DI PACE
Amen.

martedì 13 ottobre 2015

UNA RISPOSTA AD UN PAIO SCIOCCHI ANGIOLETTI DEL POLITICAMENTE CORRETTO

L'occidentale politicamente corretto è spesso ultra legalitario. Non quando partecipa a cortei e manifestazioni, no, in quei casi è spesso e volentieri leggermente violento. E' ultra legalitario quando c'è di mezzo il diritto internazionale e, guarda caso, lo stato di Israele.
Ho postato giorni fa su questo blog un breve scritto sul problema dei cosiddetti “coloni” israeliani. Sono intervenute un paio di persone ed entrambe mi hanno citato convenzioni varie in cui si condannano acquisizioni territoriali da parte di uno stato ai danni di un altro, o si raccomanda ai vari stati di non mettere in atto trasferimenti forzati di popolazioni.
Un tale mi ha ricordato l'articolo 11 della convenzione di Montevideo: “Gli Stati contraenti stabiliscono definitivamente come regola di condotta l’obbligo preciso di non riconoscere acquisizioni territoriali o vantaggi particolari ottenuti con la forza...”. Non contento mi ha citato anche la convenzione di Ginevra in cui si dice che: “I trasferimenti forzati, in massa o individuali, come pure le deportazioni di persone protette, fuori del territorio occupato e a destinazione del territorio della Potenza occupante o di quello di qualsiasi altro Stato, occupato o no, sono vietati, qualunque ne sia il motivo. La Potenza occupante potrà tuttavia procedere allo sgombero completo o parziale di una determinata regione occupata, qualora la sicurezza della popolazione o impellenti ragioni militari lo esigano...” eccetera eccetera. Per le persone che li hanno citati questi articoli costituiscono una implicita condanna di Israele che, al termine delle guerre del 1948 e del 1967 si è ingrandito territorialmente e che impedisce ai “profughi palestinesi” il ritorno alle loro terre. Ho già risposto per le rime a simili “argomenti” (sic), ma credo valga la pena di approfondirli un po', non tanto per la loro (inesistente) forza teoretica, ma in quanto indici di una mentalità che se non contrastata può uccidere l'occidente.

Dovrebbe essere chiaro a chiunque abbia una normale capacità di pensare che quando si afferma che gli stati non devono usare la forza per acquisizioni territoriali si intende che nessuno stato può cercare di conquistarne in tutto o in parte un altro. Invece gli angioletti politicamente corretti hanno in mente una cosa diversa: se uno stato ne aggredisce un altro, questo ha si, forse, il diritto di difendersi, ma non quello di strappare, se vincitore, neppure un metro di terra all'aggressore, non ha un simile diritto neppure per rendere più difendibili i propri confini. Per capirci, gli angioletti pensano, o dovrebbero pensare, se fossero dotati di pensiero logicamente coerente, che gli alleati, dopo aver liberato la Francia si sarebbero dovuti fermare sulla riva del Reno, NON invadere la Germania e ripristinare nel 1945 la stessa situazione in essere nel 1939. Magari non avrebbero dovuto neppure pretendere la cacciata di Hitler: sarebbe stata una “illecita intromissione” negli affari interni di un altro stato. Bello no?
Allo stesso modo Israele, che da 67 anni vive costantemente sotto attacco da parte di chi lo vuole distruggere può, forse, respingere gli attacchi ma non impossessarsi neppure di un metro di territorio altrui, neppure per rendere più difendibili le proprie città e per garantire la sicurezza dei suoi cittadini, neppure se si impegna a rendere i territori conquistati se riconosciuto e lasciato in pace, davvero in pace. Gli arabi hanno il diritto di cercare con tutti i mezzi di cancellare Israele dal mondo, ma questo non ha il diritto di togliere a chi lo vuole distruggere neppure una zolla di terra. Questo si che è “diritto internazionale”!
La idiozia di simili posizioni emerge chiarissima se al posto degli stati consideriamo i singoli esseri umani. Le varie dichiarazioni dei diritti dell'uomo affermano che deve essere riconosciuta e garantita a tutti la vita, la libertà, la dignità. Questo, per le persone normali, vuol dire che nessun essere umano può attentare alla vita, alla dignità ed alla libertà di nessun altro. Gli angioletti del politicamente corretto invece dovrebbero interpretare tale norma nel senso che chi aggredisce un altro essere umano, e magari lo uccide, non può subire punizione alcuna. Mettere in galera un omicida vuol dire restringere la sua libertà e questo non si può fare, perché la tal dichiarazione di diritti stabilisce l'inviolabilità della persona. Interessante vero? Gli scemini del politicamente corretto dimenticano che, proprio perché esistono e sono tutelati i diritti dell'uomo, chi li viola vede automaticamente ridursi, per lui, simili diritti. E' giusto che vengano limitati e compressi i diritti di un criminale, lo è perché lui per primo non ha rispettato la libertà, la dignità e le vita di persone umane. Elementare Watson!

Considerazioni simili possono farsi sui profughi. Prescindiamo pure dal fatto che Israele non ha messo in atto trasferimenti forzati di popolazioni e che se, molti palestinesi hanno abbandonato, spinti dalla guerra, le loro case, altrettanto hanno fatto molti ebrei che nel 1948 e nel 1967 vivevano in paesi arabi. Anche prescindendo da simili, decisive, considerazioni, resta il fatto che la convenzione già citata si riferisce a situazioni completamente diverse da quella attuale in “Palestina”. Bisogna evitare i trasferimenti forzati di popolazioni, se questi sono necessari bisogna appena sia possibile cercare di farle rientrare nelle loro terre, dice la convenzione. Ma nel caso di Israele la situazione è leggermente diversa. Qui le persone da far rientrare non sono profughi fuggiti tre o sei mesi fa, ma i figli, i nipoti ed i pronipoti di persone che hanno abbandonato le loro terre cinquanta o sessanta o più anni fa. I profughi originari erano cinquecentomila, i loro discendenti oltre cinque milioni. Pretendere il loro “ritorno” equivale a pretendere di far rientrare in Croazia o in Serbia i figli, i nipoti ed i pronipoti dei profughi giuliani, o in Polonia, Romania, Bulgaria gli innumerevoli profughi del secondo conflitto mondiale. Una autentica FOLLIA che nessuna convenzione internazionale prevede o autorizza. Va aggiunto che, nel caso di Israele, NON si tratterebbe di normali profughi, si tratterebbe di persone che non sognano altro che la distruzione dello stato in cui pretendono di “rientrare”, un po' come se tutti gli italiani emigrati decenni fa in Argentina pretendessero di rientrare in Italia teorizzando nel contempo la distruzione dello stato italiano.

Il legalitarismo peloso degli angioletti del politicamente corretto non ha nulla a che vedere con la mentalità di chi vorrebbe porre al centro di tutto il diritto e le regole di una universale giustizia. E' solo un insieme di squallidi cavilli con cui si cercano di ribaltare le più elementari regole del buon senso e della civiltà. Non a caso chi cita di continuo leggi e convenzioni scende spesso e volentieri in piazza accanto a giovanotti travestiti da bombe umane. Si sa, farsi esplodere in ristoranti e pizzerie è il più fondamentale dei diritti umani.

lunedì 12 ottobre 2015

LA REALTA' E LA PROPAGANDA





Alcune sere fa ho avuto modi di ascoltare per qualche minuto il verbo dell'impagabile Angelino Alfano, parlava dei “migranti”. “Il pubblico ha una percezione errata del fenomeno migratorio”, ha affermato il nostro amato ministro dell'interno. “Tutti sparano cifre spropositate, ma in realtà si tratta solo di qualche decina di migliaia di persone”.
Non è il caso di addentrasi in troppe polemiche sui numeri, basta sottolineare che l'impareggiabile Angelino non solo scorda che le “poche decine di migliaia” di oggi si sommano alle centinaia di migliaia di ieri, ma cerca di misurare con cifre ufficiali un fenomeno quasi esclusivamente clandestino, un po' come se qualcuno volesse misurare il triste fenomeno della violenza domestica sulle donne col numero delle denunce presentate dalle vittime. E non vale neppure la pena di insistere troppo sulla contraddizione in cui cadono coloro che da un lato parlano delle “migrazioni” come di un fenomeno “biblico, epocale”, salvo poi minimizzare il tutto, ridurlo ad una temporanea e limitata “emergenza”.
La domanda che il signor ministro dell'interno dovrebbe porsi, se non fosse “diversamente intelligente”, è la seguente: come mai il pubblico ha una percezione distorta della realtà? Sono i media che inculcano nel cervello e nel cuore della gente questa “percezione distorta”? Difficile sostenerlo. I media, o la loro stragrande maggioranza, conducono da tempo una autentica campagna di sostegno ai “migranti”, basta guardare un telegiornale o acquistare un quotidiano per rendersene conto. O è a rete ad inculcare idee errate nella testa della gente? Ma, a parte il fatto che la rete pullula di link a favore della illimitata accoglienza, la rete esprime i sentimenti ed i modi di vedere di una parte non secondaria delle pubblica opinione. Dire che la rete indirizza la pubblica opinione è un po' come dire che la stessa pubblica opinione è indirizzata dalle chiacchiere al bar, insomma, che la pubblica opinione indirizza se stessa. Il problema resta: come mai la pubblica opinione, malgrado la soffocante propaganda dei media, indirizza se stessa in un senso e non nell'altro? Per quanto strizzi il suo potente cervello il prode Angelino non riesce a rispondere a questa domandina.

Il signor Angelino Alfano dimentica una cosa che i veri maestri della propaganda conoscevano invece benissimo: per essere convincente la menzogna deve contenere un grammo almeno di verità.
Tutti sanno (tranne, forse, il signor ministro dell'interno) che una delle armi propagandistiche più forti che Hitler usò nella sua ascesa al potere fu il mito della pugnalata alle spalle. La Germania aveva perso la guerra non perché battuta sul campo dagli alleati, ma perché tradita da un pugno di spregevoli individui, ebrei ovviamente: questo era il nucleo di tale mito. Si trattava di un mito fondato su una palla colossale, ma conteneva un grammo di verità: quando si arrese nel novembre del 1918 la Germania non aveva ancora subito l'onta di vedere un solo soldato nemico calpestare il suo territorio. Era esausta, le sue ultime grandi offensive erano fallite, avrebbe perso la guerra, ma non era ancora tecnicamente sconfitta. Questo grammo di verità rese il mito della “pugnalata alle spalle” particolarmente efficace e contribuì non poco alla affermazione di Hitler e del nazismo.
Si possono fare considerazioni simili sulla URSS di Stalin. Come si sa Stalin massacrò, oltre a numerosi milioni di contadini e comuni cittadini sovietici, decine di migliaia di oppositori politici, veri o presunti, reali o potenziali, compresi i suoi stessi alleati nelle lotte che avevano scosso il partito bolscevico negli anni 20. I più famosi dei suoi oppositori subirono dei processi farsa in cui si autoaccusarono dei crimini più nefandi e chiesero ai loro “giudici” di venire condannati senza pietà (le loro richieste furono accolte...). Si trattò di una autentica sagra della menzogna, ma anche in quella era presente un grumo di verità. E la verità consisteva nel fatto che la collettivizzazione dell'agricoltura e la industrializzazione a ritmi folli imposte da Stalin al suo paese erano caratterizzate, oltre che da immani lutti e sofferenze, da sprechi, inefficienze, fallimenti. Stalin cercava di nascondere le sofferenze ed i lutti ed ammetteva alcuni fallimenti, solo, li imputava ai “traditori”. I fallimenti della sua politica diventavano nelle mani di Stalin un'arma per far fuori gli oppositori. Il dittatore georgiano cercava di, ed in parte riusciva ad, apparire esente da colpe perché la colpa di tutto ciò che non andava era dei “nemici del popolo”. Di nuovo, la sapiente mistura di un grammo di verità in tonnellate di menzogna riusciva a rendere in qualche modo verosimili le menzogne.

Non voglio fare paragoni che sarebbero assurdi, ma ciò che sfugge a tanti aspiranti Goebbels dei nostri giorni è proprio questo: per poter apparire credibili le palle mediatiche non devono contraddire in tutto la realtà. Se la contraddizione fra realtà e propaganda è assoluta la propaganda diventa controproducente; se il signor ministro dell'interno conoscesse questa verità elementare peserebbe di più le sue parole.
Quando i “buoni” parlano in termini melensi delle “migrazioni”, quando ripetono fino alla noia che non ci sono pericoli di terrorismo, meno che mai ce ne sono per la sicurezza dei cittadini, o che i “migranti” non sono un problema ma una “risorsa”, o quando cercano di sminuire la portata quantitativa del fenomeno migratorio, dicono cose talmente lontane dal vero che non occorrono troppi discorsi per smentirle. Basta, a smentirle, la normale esperienza di ognuno di noi. Basta fare un giretto in certe zone delle nostre città, o prendere un treno, un bus o il metrò dopo una certa ora per rendersi conto che le parole rassicuranti del signor Alfano sono “diversamente vere”.
Ecco perché la “percezione“ del fenomeno migrazione è tanto diversa da quella che i media ci propinano tutti i giorni. E non basteranno tutte le parole melense e tutte le palle del mondo per cambiarla.

sabato 10 ottobre 2015

"COLONI"

Se una giovane coppia di sposi israeliani che vivono in Cisgiordania viene assassinata i media italici parlano subito dell'uccisione di due coloni israeliani. E se un bambino israeliano viene ucciso si tratta del figlio di “coloni” se per caso i suoi genitori vivono in o nei pressi della Cisgiordania. Molti israeliani sono “coloni” prima che esseri umani. Per gli occidentali “buoni” questo non giustifica il loro omicidio, ma, insomma...
I cosiddetti “coloni” altro non sono che normalissimi cittadini ebrei che vivono nei territori contesi, i territori cioè che Israele conquistò nelle guerre che dovette sostenere per difendere la sua esistenza e che potrebbero diventare i territori di uno stato palestinese, se questo accettasse di riconoscere senza se e senza ma lo stato ebraico.

Val la pena di notare alcune cose.
1) Nessun stato ha mai restituito territori conquistati in guerra, specie se la guerra è stata provocata da una aggressione nei suoi confronti L'Italia ha perso l'Istria al termine del secondo conflitto mondiale, nessuno gliela ha mai restituita e nessuno pensa di chiederla.
2)Israele ha restituito il Sinai all'Egitto, che lo aveva perso nella guerra dei sei giorni. Lo ha fatto in cambio del solo riconoscimento diplomatico. Si tratta di un fatto unico nella storia. Qualcuno riesce ad immaginare l'URSS che restituisce alla Germania territori che questa ha perso nel secondo conflitto mondiale, in cambio del semplice riconoscimento diplomatico?
3) Israele ha ceduto Gaza ai palestinesi. Invece di pensare a costruirci le condizioni minime per una vita decente questi la hanno trasformata in una base missilistica.
4) I palestinesi amministrano gran parte della Cisgiordania.

Ma, tralasciamo pure questi "dettagli". Esistono, è vero, in Cisgiordania, degli insediamenti israeliani. I filo palestinesi li presentano come il risultato di una selvaggia “colonizzazione” che ha strappato ai palestinesi le loro case e le loro terre. In realtà, i famosi “coloni” altro non sono che dei civili ebrei che vivono accanto a dei civili palestinesi, senza aver loro strappato assolutamente nulla.
Personalmente sono contrario alla politica delle porte aperte ad una immigrazione senza limiti né controlli, ma mi guardo bene dal definire “colono” l'idraulico rumeno che effettua la manutenzione dell'impianto di riscaldamento di casa mia. Si può essere o meno d'accordo con la politica israeliana degli insediamenti, ma questo non autorizza nessuno a considerare “coloni” dei normalissimi cittadini ebrei, meno che mai autorizza il minimo atto di violenza nei loro confronti.
Definire “coloni” gli ebrei che vivono in Cisgiordania risulta particolarmente insopportabile se si pensa che il capo della autorità nazionale palestinese le poche volte in cui accenna, bontà sua, al riconoscimento di Israele si affretta ad aggiungere che lo stato ebraico dovrebbe accogliere svariati milioni di palestinesi, discendenti dei cinque, seicentomila che emigrarono dopo le guerre del 1948 e del 1967. Per essere “riconosciuto” Israele dovrebbe accettare una massa di immigrati pari quasi alla sua popolazione, in pratica dovrebbe trasformarsi in una sorta di repubblica islamica! una follia, questa si di tipo coloniale! Del resto, in Israele vivono già circa un milione di arabi, godono dei fondamentali diritti civili e politici, hanno loro luoghi di culto ed una loro rappresentanza parlamentare. Nessuno li definisce “coloni”, si chiede loro soltanto di non solidarizzare col terrorismo.

Il punto davvero fondamentale è che per gran parte dei musulmani è intollerabile che un “infedele” viva accanto a loro e goda dei loro stessi diritti, meno che mai una cosa simile è tollerabile se l'”infedele” è ebreo. Nei paesi musulmani i non musulmani sono dhimmi: persone cui è concesso di praticare la loro fede in cambio della accettazione di uno stato di inferiorità e discriminazione sociale. In una repubblica islamica un ebreo, un cristiano ed un musulmano non possono convivere pacificamente godendo tutti degli stessi diritti ed essendo vincolati tutti agli stesso doveri, il succo della questione è tutto qui. Ecco perché quando Israele ha consegnato Gaza ai palestinesi gli ebrei hanno dovuto abbandonare quella terra, le loro case sono state abbattute, le sinagoghe smantellate. Per questo i civili israeliani che vivono in Cisgiordania vengono bollati come “coloni”, per questo l'uccisione di un civile palestinese da parte di un israeliano è condannata senza riserve dal governo e da gran parte della popolazione israeliana mentre l'uccisione di civili israeliani da parte di palestinesi è accolta con gioia nei territori e nella striscia di Gaza.
Per questo il conflitto israelo palestinese continua a restare tragicamente aperto.

martedì 6 ottobre 2015

MONSIGNOR CHARAMSA

 © ANSA


Un sacerdote cattolico gay che convive col suo compagno è un po' come un comunista che specula in borsa. Esistono di certo molti comunisti esperti in speculazioni borsistiche, come di certo esistono molti sacerdoti che fanno sesso, omo o eterosessuale, ma questi comportamenti contrastano radicalmente con le loro dottrine.
Da sempre la chiesa guarda con sospetto a tutto ciò che è materia, corporeità. Certo, esistono a questo proposito differenze anche profonde fra i vari pensatori cattolici. L'avversione che Agostino nutre per tutto ciò che è corpo, sensibilità è inferiore a quella di Tommaso che, da buon aristotelico, rivaluta la materia e la componente sensibile dell'uomo. Al di là di ogni differenza tuttavia il corpo è guardato dalla Chiesa e dai suoi pensatori quanto meno con sospetto. La materia, e con questa il corpo, è qualcosa di oscuro, tendenzialmente peccaminoso. Il culmine della scala dell'essere è rappresentato dallo spirito, e più lo spirito si libera dalle tentazioni della materia più si avvicina alla perfezione. La stessa dottrina della resurrezione della carne non contrasta con questo atteggiamento: la carne risorta, libera dalle allettanti lusinghe della sensibilità, sarà qualcosa di radicalmente diverso dalla carne come comunemente la intendiamo.
E, naturalmente, il sospetto con cui la Chiesa guarda alla corporeità investe in maniera particolare il sesso. La Chiesa non condanna il sesso, l'istinto sessuale ha un ruolo preciso nel disegno divino: spinge l'uomo a riprodursi ed assicura in questo modo la sopravvivenza della specie. Ma, in quanto tale, il sesso è una potente tentazione che può portare al peccato. Non a caso la Madre di Dio è vergine, concepita “senza peccato”.
Bastano queste telegrafiche note per capire come la Chiesa non possa accettare la omosessualità. Per la Chieda la omosessualità separa nella maniera più netta sesso e riproduzione, sconvolgendo in questo modo il disegno divino. La Chiesa potrà essere “amorevole”, “tollerante”, “comprensiva” fin che si vuole con gli omosessuali ma non potrà mai accettare la omosessualità, a meno di non rinnegare una tradizione ed una elaborazione teologica e filosofica bimillenarie. Meno che mai la Chiesa potrà accettare la omosessualità al proprio interno. La Chiesa bandisce per i suoi ministri il sesso in generale: chi dedica a Dio la propria vita si pone su un piano ontologicamente superiore di chi resta invece legato alle cose del mondo, per questo motivo sceglie, deve scegliere, la castità ed il celibato. Pretendere poi che la Chiesa possa accettare che i propri ministri, oltre a praticare il sesso, pratichino la omosessualità è semplicemente ridicolo. Per la Chiesa la omosessualità stravolge il disegno divino, aggira l'astuzia della natura, e del suo creatore, volta a garantire la perpetuazione della specie. Se la Chiesa accettasse, oltre alle nozze gay per i laici, le convivenze gay per i suoi ministri cesserebbe di essere tale, non sarebbe più CHIESA.
Monsignor Charamsa queste cose di certo le sa benissimo. Le sue proteste contro le censure di cui è stato fatto oggetto sono perciò del tutto prive di fondamento. Si possono benissimo non condividere le posizioni della Chiesa sul sesso, l'omosessualità e tante altre cose. Ma pretendere di stravolgerle restando all'interno della istituzione Chiesa è semplicemente ridicolo. Affermare che la Chiesa è “omofoba” è privo di senso. La Chiesa è Chiesa, punto e basta. Non è obbligatorio essere suo ministro.