giovedì 21 aprile 2016

NON VEDERE, NON SENTIRE, NON PARLARE





Ieri ho postato sul mio diario FB la notiziola di una signora musulmana che pretendeva che una parrucchiera chiudesse la bottega mentre le tagliava i capelli: non dovevano entrare uomini. Anche se ha suscitato molti commenti e discussioni questa notiziola è solo UNA DELLE TANTE.
Tempo fa in un ospedale del Piemonte due donne dividevano la stessa stanza, entrambe reduci da un intervento chirurgico. Una era di religione musulmana, l'altra no.
Il marito della non musulmana vorrebbe passare la notte al capezzale della moglie, bisognosa di assistenza. Quello della signora musulmana insorge: “nessun uomo può passare la notte nella stanza in cui riposa mia moglie!” strilla. Discussioni a non finire e alla fine il marito della signora non musulmana viene convinto ad andarsene. Aggiungo solo che, se fossi stato al suo posto avrebbero dovuto portarmi via a forza.
Parlo con un amico. Dirige una grossa fabbrica dalle parti di Lecco. Mi racconta che ha dovuto licenziare un dipendente di religione musulmana. Il motivo? Si rifiutava di prendere ordini da un superiore di sesso femminile. Non se se abbia fatto ricorso e sia stato “reintegrato”. E' possibile.
So di donne musulmane che rifiutano di essere visitate da medici di sesso maschile e viceversa di musulmani uomini che rifiutano la visita di medici di sesso femminile. Gli esempi potrebbero moltiplicarsi a dismisura.
Quando si parla dei rapporti con i “migranti” di fede musulmana, la gran maggioranza, si pensa subito a grandi eventi: il terrorismo, gli attentati, le molestie e gli stupri di Colonia. Ma sono fatterelli come questi, piccoli, relativi alla vita di tutti i giorni, ad evidenziare la radicale incompatibilità fra la nostra cultura e la loro.

Le nostre società sono ben lungi dall'essere perfette. Ma alcune cose da noi sono, per ora, punti fermi. Per noi maschi e femmine hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri, da noi non vige la segregazione sessuale, non ci sono negozi, o spiagge o piscine riservate alle donne ed altre agli uomini. Da noi sul lavoro le posizioni di responsabilità si occupano in base alle competenze e non al sesso; più di una volta nel corso della mia vita lavorativa mi sono rapportato a superiori di sesso femminile e la cosa non mi ha mai depresso. Da noi esistono le libertà personali, comprese quelle di parola, di culto e di satira. Molti immigrati non hanno nulla da ridire su simili cose. Nessuna ragazza cinese o rumena pretende che nessun uomo entri nella bottega di parrucchiera in cui lei si sta facendo tagliare i capelli. Con i musulmani le cose vanno diversamente. Possiamo cercare di NON vedere, NON sentire, NON parlare, possiamo sostituire alla realtà le storielle sui migranti “preziosa risorsa” o addirittura “dono”, le cose non cambiano di una virgola. Quella che si cerca di spacciare per “dialogo, confronto interculturale” è in realtà una profonda, radicale incompatibilità culturale.
Un violinista cinese che suona Mozart, uno studioso occidentale che legge Confucio o Lao Tze, un giovane italiano che pratica il karate, un giapponese che partecipa al campionato italiano di calcio, questo è confronto, scambio interculturale. Rifiutare il modo di vivere di una civiltà, cercare di imporre a chi ti ospita il tuo modo di vivere non è confronto, è prevaricazione.
Ed ancora, non si deve scambiare il confronto con la accettazione di tutto, solo perché fa parte di una cultura e di una storia diverse dalla nostra. La shoah è parte della nostra storia, ma non ce ne dobbiamo certo vantare. La lapidazione della adultere è interna ad una certa cultura, ed allora? E' forse un buon motivo per accettarla?
E' deprimente dover scrivere simili ovvietà. Ma è anche necessario, purtroppo. L'occidentale politicamente corretto ha ormai perso ogni contatto con la realtà, ed il buon senso.

lunedì 18 aprile 2016

DIECI ANNI FA




Esattamente dieci anni fa, il 19 Aprile 2006, più o meno a quest'ora, ero immerso nel nulla, disteso sulla tavola operatoria dell'ospedale di Borgo Roma, a Verona. I chirurghi mi stavano rimuovendo un tumore dal pancreas. Si trattava, mi avevano spiegato, di un tumore a “lenta maturazione”. Inizialmente benigno diventa col passare del tempo maligno e, se lo diventa, uccide, senza scampo. Il mio, avrebbero poi appurato, era ancora nella fase “benigna”; non a caso ne sto parlando ora, dopo dieci anni.
Ricordo le paure che avevano preceduto l'intervento. Il giorno prima avevo parlato con l'anestesista.
“E' vero”, gli chiedo con la voce non troppo ferma, “che nelle anestesie usate le stesse sostanze che si usano per le esecuzioni capitali, negli stati Uniti?”
“Si”, mi risponde. “Cioè, nelle esecuzioni ne usano due, di sostanze, per l'anestesia solo una...”
“A, meno male” faccio con sollievo, “usate quella non letale...”
“No, no” ribatte, “quella che usiamo è letale”. Mi sorride, forse lo diverte il mio... diciamo così, "nervosismo”.
“Ah", gli rispondo sempre più preoccupato. "La usate in quantità non letale...”
“Per niente” mi fa “la quantità sarebbe letale...”
Non ho dubbi, Lo diverto. Mi sento Fantozzi, ma non posso fare a meno di chiedergli: “Ma... e allora?”
“Non si preoccupi” mi risponde, seriamente stavolta. “Sarà intubato, la teniamo in vita artificialmente, non si deve preoccupare”. Sorride, mi da una leggera, amichevole, pacca sulla spalla. Ci salutiamo. “E' tutto OK” mi dice.

“Non mi devo preoccupare” continuo a a ripetermi, però ci penso, la notte prima. No, non penso tanto alle esecuzioni capitali, alle sostanze che mi inietteranno. Mi fido dei medici, so che sono ottimi professionisti. Mi spaventa quel salto, quell'esperienza del nulla, o quel nulla di esperienza che mi attende.
E dieci anni fa, più o meno a quest'ora, ero nel nulla. Qualcosa di non esperibile, non pensabile, non esprimibile. E io c'ero dentro.
Quando emergo dal nulla sono in rianimazione, circondato dalla penombra. Sento dolore ovunque. Il corpo è pieno di tubi e tubicini. Sul viso la maschera ad ossigeno. Al braccio una macchina mi misura automaticamente la pressione. Guardo un grande orologio alla parete, segna le nove. Ero entrato in sala operatoria più o meno alle nove del mattino. “Mamma mia, quanto tempo è durata”, mi dico.
Ma sono contento di essere vivo, lo sono, anche se sento dolore ovunque.
Arriva un infermiere. “Sono le nove di sera”gli sussurro...
Mi sorride. “No, sono le nove di mattino”. Del mattino dopo. Quasi non ci credo.
Me lo hanno raccontato, dopo. L'operazione è durata oltre dieci ore, lunga, difficile. Poi, quando tutto sembrava finito, una emorragia interna. Mi riportano in sala. Lavorano con tutte le forze per salvarmi la vita. E ci riescono.
Poi le degenza, lunga, dolorosa. Insorgono complicazioni. Quando sembro migliorare ho un peggioramento improvviso. Mi riportano in terapia intensiva. Cominciano di nuovo a ficcarmi tubi e tubicini ovunque. Momenti concitati e stavolta sono cosciente, sono dentro l'essere, non immerso nel nulla. E la vedo, coscientemente, in faccia, la signora in nero. Magra, con un sorriso beffardo stampato sul viso cadaverico. Il suo alito è gelido. Mi vuole, le piaccio! Ma rifiuto le sue avance. Mi riportano nella mia saletta. La signora dovrà aspettare.

Poi, il miglioramento, lento però, molto lento. La vita di ospedale che scorre sempre uguale; ed il timore che mi incute il primario, il professor Pederzoli. Quando mi guarda ho sempre paura che ordini che mi venga inserito da qualche parte qualche tubicino supplementare, per togliermi tutte le schifezze che ho ancora dentro.
Sono magro come un chiodo: per tanti, tantissimi giorni non ho mangiato nè bevuto nulla, tenuto in vita dalle flebo. All'inizio i deprimenti, leggerissimi, brodini ospedalieri mi sembrano ottimi. Quando sono abbastanza migliorato mi prescrivono una dieta molto calorica: non solo brodini, ma bresaola, formaggi, passati di carne, frutta e verdure, cibi energetici, per recuperare qualcosa. E ci riesco, a recuperare. Dopo oltre un mese e mezzo di degenza posso lasciare l'ospedale. Debolissimo, sempre molto, molto magro, ma vivo.

La mia vita lentamente è tornata alla normalità. Ho ripreso a lavorare, a svolgere le attività di prima. Son tornato alle escursioni in montagna, alla pratica delle arti marziali, qualche anno dopo sono diventato istruttore di Krav maga. Di leggere non avevo mai smesso, la lettura mi ha dato forza, in quel periodo bruttissimo.
Ripenso con riconoscenza a tutta l'equipe dell'ospedale di Borgo Roma a Verona. Grandi professionisti, dal primario, professor Pederzoli, a tutto il personale medico ed infermieristico. Tutte e tutti cortesi, simpatici, molto professionali. Tutte e tutti capaci non solo di curare ma di sostenere chi soffre, ed è anche psicologicamente fragile.
Un pensiero particolare lo dedico al chirurgo che mi ha operato: l'allora dottor, oggi professor, ROBERTO SALVIA. Un medico di grande professionalità e profonda umanità.
Per fortuna, malgrado tutto, c'è ancora in Italia chi sa davvero svolgere alla grande il proprio lavoro. Consola la cosa, coi tempi che corrono.

domenica 17 aprile 2016

LA TRAGEDIA PIU' GRANDE





I brani che seguono, brevemente commentati, sono tratti dal libro: “Mao. La storia sconosciuta”, “Longanesi 2006, di Jung Chang e Jon Halliday. Jung Chang è autrice anche del bellissimo romanzo: “I cigni selvatici”.
Mao. La storia sconosciuta” è un libro estremamente rigoroso. Di ogni fatto, di ogni cifra si fornisce minuziosamente la fonte. Al termine del volume è possibile consultare circa 150 pagine di bibliografia delle fonti in lingua cinese ed altrettante di note. Nessun sensazionalismo insomma, nessuna cifra sparata a casaccio. Solo la nuda, cruda e crudelissima verità. Qualcosa non molto di moda, ai giorni nostri, in occidente.

“Nell'estate 1958, Mao concentrò di punto in bianco l'intera popolazione rurale in nuove unità allargate definite “comuni popnaolari”. L'obiettivo era di ridurre le persone a lavorare come schiavi in modo più efficiente. (…) La prima comune, Chayasha Sputnik, fu realizzata nello Hunan. Il suo atto costitutivo, redatto da Mao e da lui decantato come un gran tesoro imponeva il controllo della comune su tutti gli aspetti della vita dei suoi membri” (pag 511)
“Mao pensò addirittura di abolire i nomi delle persone e di sostituirli con i numeri”. (ibidem)
Avveniva lo stesso nei campi di lavoro e di sterminio di Stalin ed Hitler. Nel caso delle Cina però le “comuni” non erano ufficialmente luoghi di detenzione ma esperimenti di sano collettivismo socialista.
“I reclusi erano obbligati a mangiare in mensa. Non solo ai contadini fu proibito di consumare i pasti a casa propria ma i wok e le stoviglie che possedevano furono fatti a pezzi.” (ibidem)
Che bello! I pasti in comune, la fine dell'odioso atomismo borghese e piccolo borghese! All'epoca gli intellettualini del “Manifesto”, gli stessi che oggi danno a tutti lezioni di etica, andavano in brodo di giuggiole per questa meravigliosa innovazione. I cinesi un po' meno, infatti, prosegue la Chang:
“Il controllo sociale sul cibo conferì allo stato un'arma terrificante: negare i pasti divenne una forma comune di punizione “lieve” che i funzionari rurali esercitavano a piacimento." (ibidem)
“Uomini, donne bambini ed anziani vivevano come animali, stipati in ogni spazio disponibile, privati dell'intimità della vita familiare” (ibidem)
Una autentica meraviglia: era stata abolita l'odiosa famiglia borghese! Però, c'erano leggeri inconvenienti:
“aumentò notevolmente l'incidenza delle malattie” (ibidem)
Pazienza, tutto ha i suoi costi.

Il celeste presidente mise in atto una sana politica mirante ad estirpare il perverso individualismo che, è noto, conduce alla rovina gli esseri umani e li rende schiavi del “Dio denaro”. Sotto Mao questo non avveniva. La quasi totalità del raccolto veniva infatti sottratta ai contadini per alimentare il “balzo in vanti” della Cina comunista. Questo purtroppo ebbe alcuni sgraditi effetti collaterali. Scoppiò una leggerissima carestia.
“La carestia a livello nazionale iniziò nel 1958 e terminò nel 1961, raggiungendo l'apice nel 1960, anno in cui le stesse statistiche di regime registrarono un calo nell'apporto medio di calorie quotidiane a 1534,8. Secondo il famoso sostenitore del regime, Hamg Suyin, nel 1960 le casalinghe delle città assumevano un massimo di 1200 calorie al giorno. Ad Auschwitz, gli addetti ai lavori forzati ne assumevano una quantità quotidiana variabile fra le 1300 e le 1700. (…) Durante la carestia alcuni furono costretti al cannibalismo. Uno studio condotto dopo la morte di Mao (e subito soppresso) sulla contea di Fengyan, nella provincia di Ahnui, registrò sessantatré casi di cannibalismo soltanto nella primavera del 1960” (pag. 515)
I comunisti non mangiano i bambini, ma nella società perfetta da loro creata il cannibalismo è spesso risorto. Quanto descrive la Chang è avvenuto anche in Cambogia ed in Ucraina.
La carestia colpì soprattutto le campagne, ma ebbe conseguenze devastanti anche nelle città:
“La razione di carne nelle città diminuì dai 5,1 chilogrammi l'anno del 1957 ad appena 1,5 nel 1960” (pag. 514)
Niente carne! Che meraviglia! I vegani esultano! Mao era amico degli animali? Non proprio, nelle campagne bovini e suini non se la passavano, neppure loro, troppo bene.

Ricapitoliamo:
“Nei quattro anni del gran balzo in avanti e della carestia morirono di fame e di lavoro circa 38 milioni di persone” (pag 515)
La Chang basa questa cifra su uno studio molto accurato delle statistiche demografiche ufficiali. Confronta la percentuale delle morti negli anni della carestia con quelle immediatamente precedenti e successive. Il numero dei morti in eccesso nei quattro anni presi in considerazione ammonta a 37,67 milioni. Mica male!
Come fecero fronte alla carestia il governo cinese ed il celeste presidente Mao Tze Tung?
“La carestia cinese fu la peggiore non solo del XX secolo ma di tutte quelle registrate nella storia dell'umanità. Mao scientemente affamò e fece lavorare fino alla morte decine di milioni di persone. Durante i due anni critici, il 1958 ed il 1959, le sole esportazioni di cereali, che ammontarono quasi certamente a sette milioni di tonnellate, avrebbero potuti fornire l'equivalente di oltre 840 calorie al giorno per 38 milioni di persone: la differenza fra la vita e la morte” (pag. 516).
I cereali che potevano salvare milioni di cinesi venivano esportati, a maggior gloria della Cina comunista, faro, punto di riferimento di tanti intellettuali occidentali nauseati dal consumismo della loro decadente società. E così, mentre nei salotti buoni delle grandi città occidentali si discettava di “alienazione” nella Cina comunista gli uomini morivano come le mosche.
Il gran balzo in avanti e la conseguente carestia è stata di certo la più grande catastrofe che ha colpito il genere umano dal termine della seconda guerra mondiale. Milioni di persone uccise per fame e sfinimenti in seguito a deliberate scelte politiche! Altro che “tragedia dei migranti”! Altro che “mercato delle armi”! Altro che “soggezione al Dio denaro”!
Ma il sommo pontefice è convinto che quella dei migranti sia la tragedia più grande di tutte. E pensa, forse, che trasferire la popolazione dell'Africa in Europa sia un ottimo modo per farla cessare. Il collasso della nostra civiltà sarebbe la tragedia somma, ma a questa nessuno pensa, esattamente come pochi hanno pensato al dramma immane del gran balzo in avanti.
Ci attendono tempi molto, molto difficili

martedì 12 aprile 2016

TRIVELLE E REFERENDUM





Non si può votare su tutto
, questo è uno dei principi cardine delle democrazie liberali, anche se molti, troppi, tendono a dimenticarlo.
Non si può votare sulle questioni inerenti il privato di ognuno di noi. Nessuna assemblea democraticamente eletta può decidere se io mi devo o non mi devo sposare, e con chi, o se devo o non devo avere figli. E non si può votare sulle teorie scientifiche, o sulle dottrine filosofiche, o sul valore estetico delle creazioni artistiche Qualcuno riesce ad immaginare una votazione sulla teoria della relatività di Einstein? O sul criticismo di Kant? O sul valore della “nona” di Beethoven?
Su tutto questo esiste, spero, un consenso abbastanza diffuso. Questo però viene a mancare quando si passa alle questioni tecniche. Non ha senso votare sulle questioni scientifiche, ma per molti ne avrebbe farlo su questioni tecniche. Una votazione sulla relatività generale o sulla fisica dei quanti sarebbe insensata, ma sarebbe invece sensatissimo votare sul nucleare o sulle trivelle.
Una teoria scientifica, si dice, non ha ricadute sulla vita della gente mentre ne ha, ed importanti, la costruzione di una centrale nucleare. In effetti una differenza esiste, ma è davvero tanto fondamentale? In fondo sono state la fisica dei quanti e la relatività di Einstein a permettere la costruzione non solo delle centrali nucleari, ma, prima di loro, della bomba atomica. Se ad Einstein non fosse venuto in mente che l'energia è uguale alla massa moltiplicata per il quadrato della velocità della luce la bomba atomica non sarebbe mai stata costruita! Quindi, vietiamo la teoria della relatività, magari sottoponiamo a referendum anche la teoria della gravitazione di Newton e torniamo alla fisica aristotelica! Meglio ancora, sottoponiamo a referendum abrogativo scienza e filosofia così non verranno in mente a quel cattivo animale che è l'uomo idee troppo strambe. Torniamo alla vita animale “innocente” e vivremo felici e contenti, SE saremo in grado di sopravvivere.

Come si sa in Italia una legge può essere sottoposta a referendum abrogativo se si raccolgono 500.000 firme che lo richiedono. Ora, penso sia abbastanza evidente che cinquecentomila firme si possono raccogliere su tutto o quasi. Se a qualche buontempone venisse in mente di proporre un referendum per l'abrogazione della chemioterapia, o dei vaccini, con estrema probabilità riuscirebbe a raccogliere le firme necessarie, e visto come vanno le cose, è per lo meno possibile che la Consulta darebbe il via libera alla consultazione.
E così la vita di moltissimi esseri umani sarebbe legata all'esito di una consultazione condotta a suon di strilli e di slogan, in una parola, di becera propaganda politica. Poniamo che ad un paio di settimane dal voto si diffondesse la notizia che un paziente sottoposto a chemioterapia è morto in seguito ad un banale errore di somministrazione, o che si sospetta un giro di tangenti intorno alle vaccinazioni. Il gioco sarebbe fatto. No alle cure che uccidono! Fermiamo chi fa soldi sulla salute delle persone! Strillerebbero i demagoghi e non è improbabile che riuscirebbero in questo modo ad averla vinta.
Ed i malati di tumore che si vedrebbero privati di una terapia certamente dolorosa ed invasiva ma efficace? Ed i bambini che sarebbero sottoposti ad elevatissimi rischi di infezione? Cavoli loro! Del resto, la malattia esiste in natura, vero? E' molto “naturale” quindi, perché fuggirla? Verissimo, però in natura esiste, oltre ad una diffusissima stupidità, anche l'intelligenza, la voglia di conoscere, di porsi domande e cercare di dare risposte.

Lo dico chiaramente. Penso sia leggermente folle affidare scelte che coinvolgono direttamente la vita di ognuno di noi al voto di persone che non sono assolutamente in grado di valutare i problemi tecnici e le conseguenze delle scelte che stanno per compiere. Non ha senso che su problemi come quello del nucleare e delle trivelle il voto di un nobel per la fisica o di un geologo di fama mondiale valgano quanto quello di un demagogo semi analfabeta.
Una cosa è votare per programmi generali, per prospettive politiche d'insieme: è meglio privilegiare l'ambiente o l'occupazione? Si possono o non si possono accogliere tutti in casa nostra? Cosa del tutto diversa decidere su cose per le quali è richiesta una elevata competenza specifica.
Per questo ritengo sia bene che il referendum sulle trivelle fallisca. Si tratta non solo di un referendum anti scientifico, demagogico, inutile, proclamato su un falso problema. Si tratta del tipico esempio di un referendum che NON si dovrebbe fare. Sottoporre a referendum le trivelle è come sottoporre a referendum il motore della auto o degli aerei. Semmai si potrebbe votare su un altro quesito, questo si politico e non tecnico: Vogliamo o non vogliamo continuare a disporre di energia abbondante e a costi contenuti? Questa sarebbe la domanda politica che dovrebbe essere posta agli elettori, non quella relativa alle trivelle. Parlare di trivelle senza porsi il problema di quanta energia vogliamo è solo un imbroglio. Vuol far credere alla gente che possiamo rinunciare a gas e carbone, nucleare e petrolio continuando però a disporre dell'energia necessaria al mantenimento degli attuali livelli di benessere.
Una simile domanda però, chiara, onesta, seria, i demagoghi non la faranno mai al popolo bue.

venerdì 8 aprile 2016

L'UOMO CATTIVO E LA TERRA MALATA








C'è tutta l'ideologia del misticismo ecologico nel disegno sopra riportato, e nei suoi ingenui fumetti. La terra viene trasformata in essere umano che può essere “sano” o “malato”, “soffrire” o “sentirsi in gran forma”. E' malata la terra, gravemente, e si lamenta, chiede aiuto, accusa.
Contrapposto alla “buona” e “dolente” terra c'è il cattivone: l'uomo. Questi cessa di essere il prodotto di una selezione naturale durata milioni di anni per trasformarsi in una sorta di emissario del demonio: un criminale che si diverte a tormentare la buona signora terra.
Il filmato ristabilisce la verità, mostra le cose come stanno. La terra non è una buona signora ammalata, non è neppure la “dimora” che Dio ci ha assegnato raccomandandoci di “trattarla bene”.
La terra è un pianeta con la sua storia. Ha subito enormi e radicali trasformazioni, altre ne subirà in futuro. Dove oggi ci sono montagne ieri c'erano mari. Dove oggi c'è gran caldo ieri c'erano distese ghiacciate, dove c'è oggi vita ieri c'era solo morte, e viceversa. Nessuna di queste trasformazioni è stata, PER LA TERRA, una “catastrofe”, meno ancora una “malattia”. Per la terra è indifferente che ci sia caldo o freddo, che esistano foreste o deserti, che sia o non sia presente la vita. Per noi è “catastrofico” che un continente sia sommerso dalle acque o che un terremoto di enorme potenza distrugga ogni forma di vita. Per la terra queste sono solo naturali, normalissime trasformazioni.
E' oggi assai diffusa la convinzione che l'attuale stato del pianeta sia insieme ottimale (ottimale per chi?) e definitivo. Si tratta di una idiozia, diffusa senza sosta dai media e fatta propria dal misticismo ecologico, di cui il disegno sopra postato è una delle tante manifestazioni.
L'attuale stato del mondo non è né definitivo né ottimale. La terra continuerà a subire radicali trasformazioni e queste non saranno affatto indolori, per chi sulla terra ci vivrà fra qualche milioncino di anni. E' vero, la cosa non riguarda noi, ma si tratta di un caso.

Tutto questo vuol dire che possiamo allegramente inquinare fregandocene dell'ambiente? NO, ovviamente. Vuol dire chela tutela dell'ambiente è interesse e valore nostro, non della terra. E come tutti i nostri interessi e valori va armonizzato con altri valori ed interessi, pure nostri.
Abbiamo bisogno di un ambiente sano ma anche di un decente livello di benessere, di una economia in crescita, di occupazione, di energia.
Abbiamo bisogno della natura, perché siamo parte della natura. Ma non possiamo rinunciare alla civiltà, perché costruire civiltà fa parte della nostra natura.
E' difficile armonizzare queste esigenze? Forse. Ma non farlo significa cadere nel nichilismo. Un assoluto, mostruoso nichilismo.





mercoledì 6 aprile 2016

LA VERA FONTE RINNOVABILE




L'uomo ha utilizzato per millenni le energie rinnovabili. Sole e vento sono formidabili fonti di energia. Nessuna luce artificiale può competere, neppure in minima parte, con la luce naturale fornita dal sole. E la potenza del vento è nota a tutti. Però, questo è il punto, l'energia che sole e vento forniscono può essere tradotta solo in minima parte in lavoro utile. E' difficilissimo conservarla, concentrarla, poterla usare ai propri fini ed anche quando questo è possibile lo si può fare solo a costi elevatissimi, con scarsi risultati. Soprattutto, lo si può fare solo con un grande, enorme dispendio di energia lavorativa umana.
E così la principale fonte rinnovabile di energia che abbiamo utilizzato per millenni è stata la forza muscolare, animale e, soprattutto, umana. L'uomo è la fonte di energia rinnovabile per eccellenza, ma visto che l'uomo non gradisce troppo dover compiere lavori faticosissimi e pericolosi per 12 o più ore al giorno, è stata inventata la schiavitù.
Gli schiavi sono stati la grande fonte di energia rinnovabile per millenni. Loro hanno costruito piramidi, strade ed acquedotti, loro fatto muovere le navi, coltivato i campi.
Poi il lavoro schiavo è stato sostituito da forme larvate di schiavitù, come la servitù della gleba, ma la vera svolta nello sviluppo del genere umano la si è avuta, piaccia o non piaccia la cosa, prima con la rivoluzione scientifica del 600, poi, soprattutto, con la rivoluzione industriale. A partire da quel momento in occidente schiavitù e servitù della gleba si contraggono fino a sparire. Iniziano ad affermarsi i valori democratici, le masse vengono introdotte per la prima volta nel ciclo del consumo; il tanto detestato consumismo nasce allora. E da allora la speranza di vita si alza radicalmente ed altrettanto radicalmente si contraggono mortalità infantile, malattie infettive, morti per parto. Cresce la scolarizzazione, cala fino a dimensioni residuali l'analfabetismo, si riduuce l'inquinamento. Si, si riduce l'inquinamento perché, grazie alla costruzione di efficienti sistemi fognari le città smettono di essere cloache a cielo aperto.
Oggi c'è chi presenta tutto ciò che è avvenuto a partire dalla rivoluzione industriale come una sorta di catastrofe. Consiglio a questi sapientoni di leggersi, ad esempio, “Arcipelago gulag”. Scopriranno che l'industrializzazione sovietica è stata realizzata grazie all'utilizzo su vasta scala di un nuovo tipo di schiavi: gli ospiti dei campi di lavoro o i contadini rinchiusi a forza nei kolcos. E potranno constatare quanti sono stati i morti ammazzati e le sofferenze che un simile “modello di sviluppo” ha regalato al genere umano
Uno dei sintomi più gravi della epidemia di imbecillità che affligge l'occidente post moderno è la diffusa abitudine di non vedere gli orrori veri e di scambiare per “orrori” quelli che sono problemi anche gravi ma risolvibili.
C'è davvero di che essere pessimisti.

venerdì 1 aprile 2016

LA FOLLIA DELLA NATURA UMANIZZATA





E' assai indicativa la foto di qui sopra. Gli animali paragonati agli ebrei massacrati ad Auschwitz. Esagerazioni? No, la logica conseguenza di una filosofia folle.
Non esiste alcuna differenza fra le varie specie viventi, nessun animale può sfruttarne altri a propri fini. Mangiare una bistecca alla fiorentina è come gustare un bambino al forno. Farsi un paio di uova al tegamino equivale a far abortire una donna per mangiarne il feto. Montare un cavallo è come ridurre in schiavitù un essere umano e fargli fare il portantino. Tutti abbiamo gli stessi diritti e gli stessi doveri, dall'uomo al lombrico. Perché non sono inclusi nella lista anche gli abeti e le sequoie? Forse perché non provano dolore? Ma, chi ha stabilito che il provare dolore sia più importante del vivere? Se un topo ha diritto a non provar dolore (ma, lo si può uccidere senza farlo soffrire?) perché una quercia secolare non avrebbe il diritto di vivere? Lasciamo perdere.

Nel filmato invece si vede la natura come E', non come i mistici credono sia.
Un branco di leoni circonda un bufalo nero, riesce a sospingerlo a terra e lo divora VIVO.
I leoni non rispettano il “diritto” del bufalo, non si sentono vincolati da alcun “dovere” nei suoi confronti. Sono forse dei “criminali” che meritano di essere processati? O sono “costretti” ad agire in questo modo? Vorrebbero fare diversamente ma non possono perché “devono pur mangiare”?
NO. I leoni non sono “cattivi”, sono LEONI. Hanno fame e mangiano, punto e basta. Non si pongono il problema se sia giusto o meno farlo, non si chiedono se esistano o non esistano alternative, non cercano di abbreviare l'agonia del bufalo uccidendolo prima di mangiarlo. Lo mangiano, VIVO.
Il bufalo dal canto suo, difendendosi dai leoni e facendone a pezzi qualcuno a suon di cornate, ci sono filmati che mostrano cose simili, mette forse in atto una “legittima difesa”? E mentre i leoni lo sbranano si sente forse vittima di una grave “ingiustizia”? O forse giustifica i leoni che “devono pur mangiare”?
NO. Il bufalo non è “buono”, non ha “ragione”. Si difende e basta. Neppure concepisce che i leoni possano essere “giustificati” perché “hanno fame”. Soffre ma non si sente vittima di “ingiustizia” alcuna. Può provare dolore o rabbia, non “indignazione”.

La natura è fatta così. E' il regno dell'essere, non del dover essere. E' retta da leggi che col bene e col male, i diritti ed i doveri, la morale NON hanno nulla a che vedere, e gli animali si adeguano a queste leggi in maniera immediata, irriflessa.
I rapporti fra animale ed uomo possono essere caratterizzati da tante cose: violenza, ricerca dell'utile, paura, indifferenza, simpatia, ammirazione, affetto, inimicizia, amicizia, ma NON possono, MAI, basarsi sull'etica, per il semplicissimo motivo che non ci si può rapportare eticamente con chi è, e non può non essere, fuori, non sopra o sotto, fuori, dalla sfera etica.
Per questo è STUPIDO umanizzare la natura, ed è OSCENO paragonare ai maiali gli ebrei condotti al macello. Per questo, parlando di cose assai meno tragiche, è intollerabilmente intollerante (il giro di parole è voluto) considerare “assassino” chi, come il sottoscritto, gusta a volte una bella bistecca, o, assai più spesso, una orata alla griglia.
Nulla è tanto ridicolo quanto umanizzare la natura e gli animali. E nulla quanto questa assurda umanizzazione ci impedisce di ammirare gli animali e la natura.