domenica 21 giugno 2015

I BUONI CATTIVI


Qualcuno ricorda cosa dicevano i “buoni” quando si cominciò a parlare di ISIS? “Sono un pugno di fanatici” dicevano, “poche migliaia di militanti che non rappresentano l'Islam”. Qualche “buono”, non solo fra i grillini, invitava addirittura a “dialogare” con l'ISIS, a promuovere i suoi militanti dal ruolo di terroristi a quello di “interlocutori”.
Oggi le cose sembrano cambiate. Oggi molti fra i “buoni” affermano, rivolti con aria contrita ai loro critici: “i migranti fuggono da guerre e persecuzioni, moltissimi di loro fuggono dall'ISIS, come potete ignorarlo?”
Prima l'ISIS era un piccolo gruppo di fanatici, o il possibile interlocutore di un dialogo, ora rappresenta una delle cause scatenanti di un fenomeno “biblico ed epocale”. Alla faccia della coerenza!
Ammettiamo pure, anche se con tutta evidenza NON è vero, che la maggioranza, o anche solo una consistente minoranza, di “migranti” siano persone in fuga dall'ISIS, persone che è DOVEROSO accogliere. Anche ammesso questo, i “buoni” capaci di pensare (non sono troppi, lo so) un problemino dovrebbero porselo: che fine fanno GLI ALTRI, quelli che NON riescono a fuggire?

La “presidenta” della camera, signora Boldrini, afferma che la vera emergenza c'è laddove la guerra fa tantissime vittime, non qui da noi, ed invita l'Italia e l'Europa a “risolvere il problema”.
Tralasciamo ogni commento sul sottile razzismo implicito nella concezione di chi ritiene che tutti i problemi del mondo debbano essere risolti dall'occidente, come se i non occidentali fossero capaci solo di creare, non di risolvere problemi, e procediamo. Si deve risolvere il problema delle guerre che devastano l'Africa, in primo luogo il problema del fanatismo sanguinario dell'ISIS, affermano in tanti. Benissimo, ma, come risolvere un simile problema senza un INTERVENTO MILITARE? Intervenire militarmente non sarà una soluzione definitiva dei problemi ma è di certo il primo passo che rende possibile una soluzione. L'ISIS può essere fermato solo con le armi, tutto il resto sono solo chiacchiere inconcludenti.
E bloccare con le armi i tagliagole islamici dell'ISIS è l'unico modo per salvare GLI ALTRI, quelli che NON riescono a fuggire e di cui i “buoni” non si occupano minimamente.
Ma loro, gli angeli della bontà, sono contrari ad ogni ipotesi di intervento armato. “La guerra non risolve nulla” cinguettano, “la pace è sempre possibile” aggiungono con un angelico sorriso stampato sui loro volti non precisamente intelligenti. Quindi, da un lato vogliono le porte aperte ai “profughi” o presunti tali, dall'altro abbandonano i meno fortunati al loro destino. Ben vengano da noi i “migranti”. Accogliamoli, ospitiamoli, magari facciamoci su un bel po' di volgari soldini. Gli altri siano pure sgozzati, impalati, crocifissi, bruciati vivi dai militanti dell'ISIS. Noi non muoveremo un dito per salvarli. Siamo buoni, noi, vogliamo la pace e non la guerra, costruiamo ponti e non muri.
Nessuno è più ipocrita e cattivo dei “buoni” politicamente corretti.

giovedì 11 giugno 2015

BIBLICO, EPOCALE...





 © ANSA



E' l'argomento principe degli “intellettuali” politicamente corretti. “Ma come”, dicono quando sono messi alle strette, “davvero potete credere che un fenomeno epocale come le grandi migrazioni possa essere affrontato distruggendo i barconi? Siamo di fronte ad eventi biblici e voi chiedete più controllo alle frontiere? Non siete all'altezza dei problemi”.
Dicono questo con aria corrucciata e severa ed improvvisamente il loro avversario sembra diventare piccolo piccolo. Da una parte profondi intellettuali che pensano alla grande, dall'altra piccoli uomini preoccupati di inezie come l'occupazione, la sicurezza, la diffusione della criminalità. Confrontarsi con tali piccoli ometti terra terra appare quasi offensivo per le grandi aquile del pensiero astratto.
A dire il vero però anche queste aquile, non appena si debba passare dalle grandi proclamazioni alle proposte concrete, abbassano di molto l'altezza dei loro voli, diventano passerotti. In cosa si traducono i grandi pensieri sugli eventi “biblici” ed “epocali”? Trasformare una vecchia caserma in dormitorio, proporre ai cittadini italiani di “adottare un migrante”, smistare un po' di “migranti” nei paesi confinanti, dove tutti sembrano sordi alle esigenze che gli eventi “epocali“ pongono ai maestri del pensiero. Quando ci si deve misurare con la vile, prosaica realtà tutti volano basso, quale che sia la portata “biblica” dei problemi.

Ma, tralasciamo le facili polemiche. Dietro a tante parolone sugli eventi biblici ed epocali si cela una concezione che raramente viene esplicitata, e non a caso. Secondo questa concezione se un evento è “epocale” o “biblico” non ci si può opporre ad esso, bisogna accettarlo. Le “migrazioni sono un evento “biblico” quindi vanno accettate; cercare di porre limiti e regole sarebbe “inadeguato” alla ampiezza del fenomeno, un goffo tentativo di opporsi all'inevitabile. Partiti da nobili considerazioni sull'etica ed il “dovere della accoglienza” i “grandi intellettuali” non fanno altro che riproporre il vecchio determinismo metafisico. Non si tratta di una novità "epocale", a pensarci bene.
Però, se davvero è scritto nel libro del destino che migrazioni di portata “biblica” portino milioni, o decine, o centinaia di milioni, di “migranti” sulle nostre coste, allora nello stesso libro sono scritte anche le conseguenze di un simile fenomeno. E si, perché i processi di immigrazione incontrollata provocano reazioni, bibliche quanto i fenomeni contro cui sorgono. Se è inevitabile essere sommersi da una marea di “migranti” sono inevitabili anche i fenomeni di rigetto, i rigurgiti razzisti, gli scontri etnici e religiosi. Nell'ottica del determinismo polemizzare contro chi si oppone alle “migrazioni” è altrettanto inutile che il polemizzare contro chi le migrazioni le favorisce. Tutto è scritto, quindi tutto resta come prima.

Ma, svolazzi metafisici a parte, è proprio vero che un grande fenomeno, un fenomeno, usiamo pure la parola, epocale è qualcosa che si può solo accettare, che non può essere contrastato? La risposta è NO!
Il nazismo è stato un fenomeno epocale ed ha causato sofferenze bibliche a centinaia di milioni di esseri umani, ma non è vero che la affermazione di Hitler fosse inevitabile, né è vero che il secondo conflitto mondiale dovesse necessariamente scoppiare. Se le potenze occidentali si fossero opposte risolutamente ad Hitler quando questi era militarmente ancora debole la seconda guerra mondiale si sarebbe potuta evitare, e con questa i circa 50 milioni (cifra, questa si, biblica) di morti che ha causato. Considerazioni analoghe possono farsi sull'esperienza storica del comunismo, altro evento epocale che ha riguardato (ed in parte ancora riguarda) masse sterminate di esseri umani, ed ha imposto a questi carestie, migrazioni forzate, repressioni di portata biblica, ma la cui affermazione non era affatto scritta nel libro del destino. Chiunque conosca anche per sommi capi la storia della rivoluzione russa sa che senza il ritorno di Lenin in patria nell'aprile del 1917 il colpo di mano dell'ottobre non ci sarebbe stato, e tanto basta a tacitare tutti i teorici della presunta “inevitabilità” dei grandi eventi “epocali”.
Tutti coloro che nascono prima o poi muoiono, questo è un fatto inevitabile. Però, una volta stabilito che una persona prima o poi morirà non si è ancora detto nulla di rilevante sulla sua vita. Si può fare una analoga considerazione sugli eventi storici e sociali. Esiste qualcosa, o molto, di inevitabile nella vita e nella storia delle società, ma questo non riesce a darci conto delle loro caratteristiche concrete.
Nel clima avvelenato che gravava sull'Europa nel periodo fra le due guerre era in una certa misura inevitabile il sorgere ed il diffondersi di ideologie totalitarie, non era però inevitabile che i loro esponenti prendessero il potere in paesi chiave del continente e precipitassero il mondo nella guerra più distruttiva di tutti i tempi.
Allo stesso modo, che nel mondo ci siano flussi migratori è un fatto inevitabile, come lo è che questi assumano carattere più massiccio in un mondo globalizzato. Questo però non ci dice ancora nulla o quasi sulle caratteristiche di questi processi, sulla loro ampiezza, le loro conseguenze politiche, economico sociali, culturali. Una cosa è accogliere 10.000 emigranti, altra cosa 100.000 clandestini, altra cosa ancora 1.000.000 di “migranti”. Ed ancora: una cosa è accogliere persone che condividono i valori fondanti della nostra cultura, cosa del tutto diversa accoglierne altre che questi valori detestano. Una cosa sono flussi migratori controllati, sottoposti a filtri e limiti, altra cosa un esodo incontrollato, con i paesi obiettivo dei flussi ridotti al ruolo di tassisti. Nessuna persona di buon senso pensa che sia possibile bloccare i flussi migratori, ma chiunque non sia accecato dalla ideologia politicamente corretta si rende conto che è necessario controllarli questi flussi, limitarne la portata, stabilirne modalità, tempi, caratteristiche. Non affrontare tematiche di questo genere e limitarsi a frasi ultra generiche sul carattere “biblico ed epocale” delle migrazioni non vuol dire essere profondi, ma solo affetti da stupidità ideologica.

Su un punto molti malati di ideologia politicamente corretta hanno ragione: i processi migratori in corso hanno, probabilmente, carattere epocale. Però, di nuovo, dire che un processo è epocale significa dire poco o nulla sul processo stesso. Un evento epocale è positivo o negativo? Avrà conseguenze progressive o distruttive? Va assecondato o contrastato, e come? Questi sono i veri problemi, sui quali coloro che si riempiono la bocca con le parole “biblico” o “epocale” non dicono mai nulla. O, quando dicono qualcosa, cadono in puerili contraddizioni con le stesse affermazioni da cui erano partiti.. Si, puerili contraddizioni, perché, dopo aver detto che le “migrazioni” sono eventi “biblici ed epocali”, quindi, per loro, inevitabili, questi signori iniziano a rassicurare il popolo bue dicendo che tutto sommato i “migranti” non sono poi tanto numerosi, che si tratta di una “emergenza”, che col tempo tutto si normalizzerà e palle di questo genere. Le visioni generali del mondo lasciano posto alla propaganda spicciola, con le sue ridicole menzogne.
Personalmente sono convinto che un esodo senza limiti, freni e controlli come quello a cui stiamo assistendo non possa avere altro che conseguenze profondamente negative. Non è solo destinato ad aggravare la crisi economica che ci assilla, a creare gravissimi problemi di criminalità e sicurezza. Alla lunga l'esodo che incombe su di noi è destinato a mettere in crisi le fondamenta stesse della nostra cultura e della nostra civiltà. Approfondire un simile tema è impossibile nei limiti di questo piccolo scritto, quindi mi limito ad una sola, brevissima, considerazione. Una cultura può integrare gradualmente un numero limitato di nuovi venuti, ma non può integrare in breve tempo enormi masse umane quasi sempre ostili ai suoi valori basilari. Se poi questa cultura attraversa, come l'occidente sta attraversando, una grave crisi di identità, se quasi si vergogna, come avviene, di se stessa, un simile processo di integrazione è semplicemente impossibile. Non voler porre limiti e controlli all'esodo, limitarsi a blaterare idiozie sul suo carattere “biblico” significa quindi, per essere chiari, dare per scontata la fine della nostra civiltà. Un evento epocale, senza dubbio, ma estremamente distruttivo, e niente affatto inevitabile. Siamo noi a renderlo tale, col nostro buonismo stupido e nichilista.

sabato 6 giugno 2015

EMERGENZA

Il vocabolario Treccani della lingua italiana definisce in questo modo il termine “emergenza”.
a. Circostanza imprevista, accidente: la congiuntura de’ tempi e delle e.
b. Particolare condizione di cose, momento critico, che richiede un intervento immediato, soprattutto nella locuzione stato di emergenza (espressione peraltro priva di un preciso significato giuridico nell’ordinamento italiano, che, in situazioni di tal genere, prevede invece lo stato di pericolo pubblico). Con usi più generici e più com.: avere un’e.; essere, trovarsi in una situazione di e., di improvvisa difficoltà; intervenire solo in caso di e.; formare un governo di e.; adottare provvedimenti di e., eccezionali, ma resi necessari dalla particolare situazione; cercare un rimedio d’emergenza.

E' “di emergenza” quindi una situazione eccezionale, accidentale, imprevista tale da richiedere un intervento immediato e fuori dal comune.
Non si può considerare “emergenza” ogni situazione brutta o addirittura drammatica. In Europa dal 1939 al 1945 venivano uccisi tutti i giorni migliaia, decine di migliaia, di esseri umani. Si trattava di una situazione di emergenza? NO, era la tragica normalità della guerra. Nel mondo esistono sottosviluppo e fame, si tratta di “emergenza”? NO, se così fosse TUTTA la storia dell'intero genere umano sarebbe stata una “emergenza” durata millenni. Le “emergenze” sono qualcosa di eccezionale e, proprio per questo, di delimitato nel tempo. Una “emergenza” che dura anni o decenni NON è emergenza, è normalità.

Eppure la stragrande maggioranza di politici, giornalisti, opinionisti e buffoni di vario tipo continua ad usare il termine “emergenza” riferito ai cosiddetti “migranti”, anche se tutti sanno che si tratta di una “emergenza” che dura da più di venti anni. Come mai commettono un simile errore? Si tratta di analfabetismo semantico? Forse c'è anche questo, ma non solo.
Usano il termine “emergenza” perché si tratta di un termine rassicurante. Tutti i giorni migliaia di “migranti” sbarcano sulle nostre coste e la cosa non piace alla gran maggioranza degli italiani, di tutti o quasi i colori politici. Ma i padroni dei media ci invitano a non avere paura. Si tratta di “emergenza” sussurrano dolcemente. Non vi preoccupate, finirà presto.
Non solo, continuando a cinguettare “emergenza” i signori dei media cercano di indurre tutti a considerare vero ciò che vero NON E': che ogni situazione brutta o drammatica sia per definizione una emergenza.
Parlando di “emergenza” cercano di rassicurarci, ma sanno che l'emergenza durerà decenni, quindi cercano di spingere tutti ad interiorizzare la assurda equivalenza fra ciò che è brutto e ciò che costituisce una “emergenza”, e ad accettare la prospettiva di una “emergenza”, e di una “accoglienza”, a tempo indeterminato.

Una simile politica è destinata trascinarci una crisi economica, sociale, culturale drammatica ma questo interessa poco ai politici “buoni”, ai giornalisti “umanitari” ed anche ai professionisti della accoglienza.
Tutte le persone intellettualmente libere dovrebbero NON usare il termine “emergenza” riferito ai “migranti”. E' una piccola cosa ma, possiamo fare solo piccole cose, purtroppo.

venerdì 5 giugno 2015

MUHAMMAD AMIN AL HUSAYNI



“Si tratta di creare un ostacolo all'unità e all'indipendenza dei paesi arabi contrapponendoli direttamente agli ebrei di tutto il mondo, nemici pericolosi le cui armi segrete sono il denaro, la corruzione e l'intrigo oltre alle baionette britanniche (…) Se gli arabi vengono aiutati a sconfiggere gli obiettivi sionisti gli ebrei, soprattutto quelli americani, si demoralizzeranno vedendo svanire nel nulla l'oggetto dei loro sogni.
(...)
Adesso e in futuro, la grandissima simpatia dei popoli arabi per la Germania e per l'asse è una realtà indubitabile. (…) Gli arabi sono ovunque pronti ad agire, come si conviene, contro il nemico comune e a schierarsi con entusiasmo dalla parte dell'Asse per contribuire alla meritata sconfitta della coalizione anglo ebraica.
(…)
Il nazionalismo arabo è debitore e riconoscente nei confronti di Sua Eccellenza per avere spesso ricordato, in vibranti discorsi, la questione palestinese. Desidero ancora una volta rinnovarle i miei ringraziamenti e assicurarla sui sentimenti di amicizia, simpatia ed ammirazione del popolo arabo per Sua Eccellenza, il grande Fuhrer, e per il coraggioso popolo tedesco”
Dalla lettera del 20 Gennaio 1941 di Muhammad Amin Al Husayni, gran Mutfi di Gerusalemme, ad Adolf Hitler.

Quella di Mufti di Gerusalemme è la massima carica politico religiosa dell'Islam sunnita in Palestina. Il gran Mufti di Gerusalemme è responsabile della corretta gestione dei luoghi santi di Gerusalemme, compresa la moschea di Al Aqsa. Al Husayni ricopriva quella carica dal 1921. Sempre ferocemente ostile agli ebrei ed all'idea stessa di un focolare ebraico in Palestina, vide nel nazismo un prezioso alleato nella sua lotta antisemita. Soggiornò a Berlino dal Novembre del 1941 al maggio 1945, incontrando personalmente Hitler e stringendo amicizia con i principali gerarchi del nazismo, da Himmler ad Eichmann.
Questo un brano della risposta di Hitler al gran Mufti
“La Germania e gli Arabi sono uniti nella lotta contro il loro nemico comune, gli inglesi e gli ebrei (…) la Germania è lieta di collaborare e nella misura del possibile concedere aiuti militari e finanziari qualora gli arabi fossero costretti a combattere l'Inghilterra per raggiungere i loro obiettivi nazionali.”

Né la attività di Husayni si limitò allo scambio di idee e lettere ed alla propaganda radiofonica anti ebraica ed anti inglese. Nel 1943 Himmler incaricò Husayni di reclutare truppe islamiche destinate ad operare nei Balcani. Husayni contribuì alla formazione della brigata Handschar delle Wafen SS bosniache. Questa brigata ebbe un ruolo fondamentale nello sterminio degli ebrei in Bosnia.
Sono assai rivelatrici le parole di Al Husayni ad Himmler contenute in una lettera dell'Ottobre 1944.
“Mi permetto di attirare la sua attenzione sul rinnovo delle pericolose richieste degli ebrei, con il sostegno degli alleati, per la creazione di uno stato ebraico in Palestina, nonché sull'approvazione concessa dal governo britannico per la creazione di una unità militare ebraica per combattere contro la Germania. (…) propongo che venga annunciata la creazione di un esercito arabo islamico in Germania, composto da volontari arabi e islamici e destinato a confluire nelle unità arabo islamiche già esistenti”.
Mentre gli ebrei si organizzavano per combattere contro i nazisti i “palestinesi” facevano lo stesso per combattere a loro fianco, molto interessante.
In un telegramma del novembre 1943 del resto Himmler e Ribbentrop avevano chiaramente esplicitato il loro pensiero a proposito del focolare ebraico:
“La Germania è legata alla nazione araba da antichi rapporti di amicizia e oggi più che mai siamo alleati. L'eliminazione del cosiddetto focolare ebraico e la liberazione di tutte le terre arabe dall'oppressione e dallo sfruttamento delle potenze occidentali è parte inalterabile della politica del grande Reich tedesco”
Sono parole di Himmler e Ribbentrop, ma, a parte gli accenni al Grande Reich, potrebbero benissimo stare sulla bocca di qualche “anti sionista non anti semita” di oggi.

Piaccia o non piaccia la cosa l'ostilità assoluta, viscerale, contro l'idea stessa di una patria per gli ebrei è storicamente legata non solo all'antisemitismo, ma all'antisemitismo nella sua forma più sanguinaria e ripugnante.
Gli "antisionisti non antisemiti", del resto, se fossero onesti, dovrebbero rispondere ad alcune domandine.

Il sionismo ha sempre rivendicato una patria per gli ebrei, come altre forme di nazionalismo hanno rivendicato una patria per altre nazionalità. Si può non essere nazionalisti, è ovvio, però, perché mai solo il sionismo è sul banco degli imputati?

Ammettiamo pure, anche se in linea di massima non è vero, che la nascita di Israele sia stata caratterizzata da ingiustizia nei confronti dei palestinesi, perché mai solo per Israele questa (PRESUNTA) ingiustizia serve a contestare l'esistenza stessa di uno stato? Non sono state commesse ingiustizie nella formazione, ad esempio, degli USA o della Russia? Eppure nessuno dice che Usa o Russia hanno “diritto di esistere”, come se questo diritto fosse qualcosa di dubbio, una sorta di privilegio da pagare con chissà quali concessioni.

Israele deve restituire i territori contesi, si dice. Ma, questi territori Israele li ha conquistati la termine di una guerra in cui è stato aggredito da nemici che volevano semplicemente cancellarlo dalla faccia della terra. Perché qualcuno non dice che l'Italia ha oggi diritto all'Istria, o la Germania alle terre che le sono state tolte nel 1945? Perché mai solo per Israele vale il principio secondo cui le terre conquistate devono sempre essere tutte restituite? E restituite a chi? A gente che accetta l'esistenza di Israele? NO, a gente che è pronta a fare di quelle terre la base di lancio per missili diretti contro gli israeliani.

I profughi palestinesi devono tornare nelle loro terre, dicono gli "antisionisti non antisemiti". Come mai non chiedono il ritorno nelle loro terre dei profughi ebrei che nel 1948 si sono rifugiati in Israele perché cacciati da stati in cui vivevano da secoli? O il ritorno dei profughi giuliani discendenti degli infoibati? O di quelli rumeni, cechi, polacchi che nel 1945 hanno dovuto abbandonare le loro patrie?

Si potrebbe continuare ma sarebbe inutile. Tutta la propaganda dei cosiddetti "anti sionisti non antisemiti" si basa su questo: ad Israele è vietato ciò che a tutti gli altri stati è concesso. Israele non ha diritto a confini sicuri, non ha diritto di controllare i flussi migratori, non ha diritto di difendersi dal terrorismo, meglio, non ha diritto di difendersi tout court. Gli “anti sionisti non antisemiti” tacciono di fronte alle adultere lapidate, i gay gettati dalle torri, gli apostati decapitati, ma strillano contro ogni atto di Israele che possa apparire come una sia pur minima lesione di qualche diritto, compreso il “diritto” di lanciare “razzi giocattolo” contro i civili israeliani.
Israele è l'unico paese al mondo a cui si chiede una storia immacolata ed una politica sempre assolutamente irreprensibile. Lo stato che ha dato una patria ed un rifugio al popolo più perseguitato della storia è continuamente sotto esame, deve quotidianamente pagar pegno per vedersi riconosciuto ciò che per tutti gli altri è ovvio: il diritto all'esistenza.
E tutto questo non sarebbe antisemitismo! Era intellettualmente più onesto Al Husayni (grande amico di Arafat, detto per inciso) che affermava senza tante storie il legame fra antisemitismo ed antisionismo e scodinzolava di fronte al Fhurer cercando appoggi per la sua politica di eliminazione del focolare ebraico in Palestina.