giovedì 29 dicembre 2016

IDIOZIE DI FINE ANNO.

L'anno sta per finire e sembra che gli imbecilli si siano dati appuntamento per vedere chi le spara più grosse. Esaminiamone qualcuna, così, alla buona, per ridere, anche se in realtà c'è davvero poco da ridere.  

ATTENZIONATO
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I cronisti dei vari TG lo ripetono instancabili. L'attentatore di Berlino era “attenzionato” Che vorrà mai dire? Semplice, la polizia gli prestava attenzione. Gli prestava attenzione ma non poteva arrestarlo, non esistevano prove a suo carico, e fin qui un vecchio garantista come me può essere d'accordo. Ma lo si poteva espellere no? Esaltava la guerra santa, odiava i cittadini dei pesi che lo ospitavano, si informava su come si costruiscono bombe artigianali, forse tutto questo non bastava per metterlo dentro, ma per rispedirlo al suo paese era più che sufficiente, direi. Soprattutto se teniamo conto che non viviamo in una situazione normale. Non è normale che i mercatini di Natale siano protetti da barriere anti TIR, né che stazioni ed aeroporti siano blindati, né che si debba passare attraverso dei metal detector per entrare in Chiesa. Se tipini come Anis Amri ci obbligano a questa anormalità noi possiamo, direi, prendere qualche contro misura e liberarci almeno di quelli come lui.
Invece non lo facciamo. Quelli come lui non vengono arrestati o espulsi ma ATTENZIONATI. Fino a quando fanno una bella strage. Solo allora possiamo arrestarli. Sperando che qualche magistrato non li rimetta in libertà perché li considera “resistenti” invece che terroristi.

ACCOGLIENZA DIFFUSA.
E' il nuovo slogan. Accoglienza diffusa. Cosa vuol dire? Semplice. Se ci sono 100 clandestini non vanno messi tutti e cento in un solo paese. Se ne mettono 10 in dieci località diverse, in maniera, “diffusa”, appunto. Fin qui tutto bene, ma...
Se i clandestini diventano 1.000 che si fa? Elementare Watson! Si prendono le dieci località di prima ed in ognuna se ne mettono 100.
E se diventano 10.000? Semplice, se ne mettono 1.000 in ognuna di quelle dieci località.
E se diventano 100.000? Semplice, se ne mettono 10.000.
E così via.
Il gioco può cambiare ovviamente.
Se ci sono 100 clandestini se ne può mettere UNO in cento diverse località.
Se diventano 1.000 se ne possono mettere DIECI in ognuno delle cento località.
Se diventano 10.000 se ne possono mettere CENTO in ognuno delle cento località.
E se diventano UN MILIONE? Se ne possono mettere 10.000 in ognuna delle cento località, oppure 1.000 in MILLE località.
Il gioco può andare avanti. Entri pure chi vuole, non mettiamo limite alcuno alla “accoglienza”. Ma, che sia DIFFUSA, per piacere!!!

MITTENTE SCONOSCIUTO.
Non possiamo rispedire a casa loro i migranti perché di molti non sappiamo neppure da dove vengano. Ho letto anche questo in uno pseudo giornale che giorni fa sfogliavo nella sala d'aspetto di un medico. Ma che bello!!! Riempiamo casa nostra di gente di cui neppure conosciamo la provenienza. E visto che non sappiamo da dove vengono dobbiamo tenerceli, vita natural durante.
Accogliamo clandestini che i paesi d'origine non vogliono indietro, cosa molto strana perché si tratta di “rifugiati politici” ed i paesi tirannici i dissidenti in fuga di solito li reclamano. Ne accogliamo altri di cui non sappiamo neppure da dove vengano. Insomma, dobbiamo fare entrare tutti, perché siamo contro i “muri” (a meno che non proteggano i mercatini di Natale) e non dobbiamo rispedire al mittente nessuno, anche perché a volte il mittente è sconosciuto.
Un paese serio prenderebbe questi signori e li accompagnerebbe, sotto adeguata scorta armata, ai porti di partenza. Ma noi non siamo seri, solo “accoglienti”. Diffusamente accoglienti.

Direi che basti, anche se si potrebbe continuare. Al peggio non c'è mai limite.


lunedì 26 dicembre 2016

ISRAELE E I TERRITORI

Per la ambasciatrice americana all'ONU l'astensione USA sulla risoluzione che condanna Israele per gli insediamenti nei “territori” garantirebbe la “sicurezza dello stato ebraico. Tale risoluzione favorirebbe una soluzione in linea col principio “due popoli due stati”, la sola in grado di garantire la pace ed insieme la sicurezza di Israele.
La questione è piuttosto importante, e val la pena di esaminarla in dettaglio. Vediamo.

Due popoli due stati.
Sono in molti, in occidente a parlare di “due popoli due stati” ed anche in medio oriente ci sono dei leader arabi che ripropongono ogni tanto questo slogan. Ma si tratta, nella gran maggioranza dei casi, di pura mistificazione.
I due popoli per due stati ci sarebbero dal 1948 se i paesi arabi avessero accettato la risoluzione 181 del 29 novembre 1947. Tale risoluzione infatti dava vita, insieme, allo stato di Israele e ad uno stato arabo palestinese, i famosi due stati per due popoli. Gli israeliani accettarono tale risoluzione, tutti i paesi arabi NO. Non era passata un'ora dalla approvazione di quella risoluzione che i vari stati arabi attaccavano militarmente il neonato stato di Israele. Da quel momento è stata guerra, una guerra che dura ancora oggi. Ed ancora oggi i movimenti palestinesi rifiutano l'esistenza dello stato ebraico. Hammas la rifiuta in maniera esplicita e nettissima. Ecco cosa dice in proposito il suo statuto:
Il Movimento di Resistenza Islamico crede che la terra di Palestina sia un sacro deposito (waqf), terra islamica affidata alle generazioni dell’islam fino al giorno della resurrezione. Non è accettabile rinunciare ad alcuna parte di essa. (...) la Palestina è terra islamica affidata alle generazioni dell’islam sino al giorno del giudizio”. Più chiari di così si muore, altro che “due popoli due stati”!
La autorità nazionale palestinese dal canto suo non parla più di distruzione dello stato di Israele, ma si guarda bene dal riconoscerne esplicitamente il diritto alla esistenza entro confini sicuri. In particolare la ANP rifiuta di riconoscere Israele come stato ebraico e pretende che tutti i “profughi” palestinesi possano rientrarvi. I palestinesi però hanno questo di particolare: possono tramandarsi di padre in figlio lo status di profugo. Così nel tempo questi profughi sono incredibilmente cresciuti di numero, oggi sono circa cinque milioni di persone, quasi lo stesso numero degli ebrei israeliani. Per capirci, far tornare questi profughi in Israele sarebbe come accettare in Italia una quarantina di milioni di “profughi” musulmani. E' più che evidente che un simile ritorno distruggerebbe Israele in quanto stato degli ebrei. Per la ANP quindi “due popoli due stati” significa, insieme, creazione di uno stato palestinese e fine di Israele in quanto stato ebraico. In maniera meno diretta e brutale si persegue lo stesso obiettivo di Hammas: la distruzione di Israele.


I territori

I famosi territori di cui tanto si parla sono stati conquistati da Israele nella guerra dei sei giorni del 1967. In quella guerra Israele sconfisse una coalizione di paesi arabi, guidata dall'Egitto, che lo avevano aggredito mirando a cancellarlo dalla faccia della terra.
Chi considera i famosi “territori” una conquista “coloniale” degli “imperialisti israeliani” provi a fare un piccolo esperimento mentale.
E' appena finita la seconda guerra mondiale. L'Italia la ha condotta dalla parte sbagliata, ha assecondato la follia aggressiva e criminale della Germania hitleriana ed è stata sconfitta. Come conseguenza della sconfitta ha perso l'Istria, che è passata alla Jugoslavia. L'Italia però reclama a gran voce l'Istria ed accusa gli Jugoslavi di essere degli aggressori colonialisti. Non solo. Chi governa il nostro paese non si accontenta di rivolere l'Istria, ma strilla a gran voce che
la Jugoslavia non ha diritto di esistere e che tutto il suo territorio deve diventare parte dell'Italia.
Sembra fantascienza vero? Eppure è esattamente quello che accade per Israele. Gli arabi hanno perso dei territori perché sconfitti in una guerra di aggressione; malgrado questo, non si accontentano di reclamare i territori persi ma negano ad Israele vincitore il diritto di esistere. Se una cosa simile avvenisse in qualsiasi altra parte del mondo le grida di protesta toccherebbero il cielo. Ma succede in medio oriente, riguarda i rapporti arabo israeliani, quindi è tutto normale.


Sano realismo
Israele non ha mai fatto della conservazione dei territori un dogma intoccabile. Gli israeliani, o almeno, la loro netta maggioranza, desiderano solo di poter vivere in uno stato come tutti gli altri. Uno stato con confini sicuri, universalmente riconosciuto, non obbligato a difendersi da continui attacchi terroristici. Insomma, uno stato di cui nessuno debba dire che “ha diritto di esistere”. Al fine di raggiungere questo obiettivo gli israeliani hanno rinunciato in passato a grandi porzioni dei territori occupati. L'Egitto ad esempio aveva perso il Sinai nella guerra dei sei giorni, gli è stato restituito quando il presidente Sadat, superate le vecchie posizioni nasseriane ed antisemite, ha fatto proprio una politica realistica ed ha riconosciuto lo stato di Israele. Da allora Egitto ed Israele hanno convissuto l'uno accanto all'altro, in pace. Si è trattato di un fatto probabilmente senza precedenti nella storia: un paese subisce una aggressione, vince una guerra, conquista delle terre che successivamente cede
in cambio del semplice riconoscimento diplomatico. Quale stato “imperialista”, anzi, quale stato tout court si è mai comportato in questo modo?
E qualcosa di simile è avvenuto nei confronti dei palestinesi che reclamano un loro stato. I palestinesi il loro stato lo avevano avuto nel 1948, e lo hanno rifiutato; la Giordania del resto può a tutti gli effetti essere considerata uno stato palestinese. Dopo lunghe esitazioni gli Israeliani hanno accettato il principio dei “due popoli due stati”, anche se tutto l'atteggiamento dei palestinesi avrebbe giustificato una loro chiusura su questo punto. Si sono ritirati da Gaza per cederla ai palestinesi (cosa che l'Egitto non aveva mai fatto) ed hanno concesso ai palestinesi di Cisgiordania una amplissima autonomia.
Ma gli israeliani, se sono realisti, non sono per questo ingenui: pretendono che un eventuale stato palestinese riconosca Israele, e lo riconosca per quello che è, lo stato degli ebrei, gli riconosca dei confini difendibili e non chieda in cambio di tale, normalissimo, riconoscimento, ritorni in massa dei “profughi” palestinesi. Uno stato palestinese che nascesse senza che questo fosse stabilito con la massima chiarezza sarebbe una spina nel fianco di Israele e ne comprometterebbe la sicurezza. Basti pensare che se venissero ripristinati i confini del 1967 i missili palestinesi potrebbero colpire tutti i giorni Tel Aviv. Gli israeliani fanno benissimo a non cedere su questo punto.
 


Gerusalemme
“Gerusalemme è una città santa per tre religioni” si dice e si ripete spesso e volentieri. La affermazione è vera nella sostanza, ma gravemente inesatta. Gerusalemme è certamente sacra per
due religioni: quella ebraica e quella cristiana. Lo è anche per la religione musulmana solo perché i musulmani hanno la pessima abitudine di dichiarare sante per l'Islam molte delle città che conquistano.
Ma, tralasciamo. Dato per scontato che Gerusalemme sia una città sacra per le tre religioni monoteiste, resta da porsi una domanda: quale amministrazione è più affidabile nel garantire ai fedeli di
tutte e tre le religioni la libera professione della propria fede? Una Gerusalemme amministrata dagli israeliani garantirebbe maggiore o minore libertà di culto rispetto ad una Gerusalemme amministrata dai palestinesi? I musulmani sono più o meno tolleranti in materia religiosa degli ebrei? Basta porsi la domanda per avere la risposta. In Israele, paese grande quanto la Lombardia e costantemente nel mirino del terrorismo islamico, sorgono più di 200 moschee, quante sinagoghe esistono a Gaza? Quanto in Siria, quante in Iran?  


Insediamenti
Gli israeliani controllano territori che hanno conquistato in una guerra combattuta per garantire l'esistenza del proprio stato. Potrebbero cederne una gran parte, ma non possono farlo fino a che i palestinesi non riconosceranno senza se e senza ma il diritto di Israele ad esistere.
E' ammissibile che gli ebrei israeliani non possano vivere in nessuno dei territori solo perché questi potrebbero in futuro far parte di uno stato palestinese? Israele dovrebbe sobbarcarsi gran parte dei costi dell'amministrazione di territori in cui nessun suo cittadino dovrebbe avere il diritto di abitare? In Italia è esistito per molto tempo un movimento indipendentista in Alto Adige. Questo avrebbe dovuto impedire che in quel territorio vivessero cittadini italiani? Pochi, credo , potrebbero sostenere una simile tesi.
Cosa sono, alla fin dei conti questi famosi
insediamenti? Non sono altro che normalissime costruzioni di abitazioni civili in cui vanno a vivere dei civili israeliani. Tempo fa, a poche decine di metri dalla casa in cui vivo è stata costruita una villetta in cui è andata a vivere una famiglia albanese. Né io né nessun altro ha parlato di “insediamenti”, “aggressione coloniale” o simili idiozie. Lasciamo perdere gli esempi personali. In Israele vivono moltissimi arabi e nessuno parla di “colonizzazione” araba dello stato ebraico. Per i palestinesi la questione si pone in maniera del tutto diversa. Dove vivono loro non possono vivere gli ebrei, quanto meno, non possono vivere come liberi cittadini dotati dei loro stessi diritti e doveri. Quando gli israeliani hanno ceduto Gaza tutti gli abitanti ebrei della striscia hanno dovuto abbandonarla. Sono state smantellate le sinagoghe, addirittura rimosse le salme dai cimiteri. Qualsiasi traccia della presenza ebraica costituiva una insopportabile “offesa” per i palestinesi, quindi doveva essere cancellata, con la massima cura. Su questa base dovrebbero sorgere i famosi “due stati” per “due popoli”? Tutti coloro che appoggiano la soluzione dei due stati, sulla carta del tutto ragionevole, dovrebbero quanto meno porsi il problema dei diritti degli ebrei che per ventura dovessero trovarsi a vivere in uno stato palestinese. Ma i “pacifisti” questo problemino non se lo pongono. Pronti a strillare per ogni presunta violazione dei diritti dei palestinesi trovano del tutto normale la pretesa palestinese di non vedere neppure un ebreo nei loro territori, salvo poi cercarli, gli ebrei, quando c'è da trovare un lavoro o avere forniture di acqua e gas.  


Ipocrisia
Per concludere, la vicenda dei “territori” mostra tutta la doppiezza e l'ipocrisia dei sostenitori della causa palestinese. Gli israeliani hanno conquistato i territori in una guerra combattuta per affermare il loro diritto ad esistere, ma dovrebbero cederli senza avere in cambio neppure il riconoscimento diplomatico. Sostengono gran parte dei costi per la gestione dei territori ma nessun cittadino israeliano può vivere negli stessi, devono accogliere i “profughi” palestinesi ma questi non possono ammettere che un ebreo possa vivere accanto a loro. La sola esistenza di un cittadino ebreo costituisce una “offesa” per loro. E tutto questo sarebbe “pacifismo” e “tolleranza”. Servirebbe addirittura, come con somma ipocrisia ha detto l'ambasciatrice statunitense all'ONU, alla “sicurezza di Israele”. Si tratta invece di
antisemitismo, puro e semplice.

mercoledì 21 dicembre 2016

LA MORTE DELLA VERITA'

Qualcuno lo ricorda? Inizialmente i media parlavano di terrorismo islamico. Certo, i terroristi erano cattivi islamici, gente che travisava il vero senso delle parole del Corano, che non capiva che l'Islam è una religione di pace, ma pur sempre di islamici si trattava.
Poi, d'un tratto, gli occidentali politicamente corretti, e tutti i loro media, hanno scoperto che l'Islam col terrorismo non c'entra nulla.
“Questi non sono musulmani”, sono criminali, ebbe a dire il leader inglese Cameron subito dopo uno sgozzamento filmato e diffuso in rete per la gioia dei tagliagole di mezzo mondo. Gli ha fatto eco papa Francesco: “i terroristi adorano solo il Dio denaro” ha detto. L'islam non c'entra nulla con loro. Si tratta di agenti di borsa mascherati da fondamentalisti.
Infine hanno stabilito che non esiste neppure il terrorismo. Il massacro di Berlino è un atto terroristico? Non si sa, brancoliamo nel buio, hanno ripetuto per ore dai teleschermi i pennivendoli di regime. Forse si tratta di una manovra fatta male, di un normalissimo incidente stradale. Oppure del gesto di uno squilibrato.
E si, ultimamente gli squilibrati diventano sempre più numerosi. Un tale accoltella gente a casaccio su un tram? E' uno squilibrato, da giovane litigava col padre. Un altro spara ad un passante? È uno squilibrato con problemi sessuali, pare abbia difficoltà di erezione. Un altro ancora si fa esplodere in una pizzeria? E' uno squilibrato: da ragazzino a scuola ha subito atti di bullismo.
Prima hanno trasformato persone che passano metà del loro tempo a studiare il Corano in “cattivi” o “falsi” islamici.
Poi hanno stabilito che l'Islam col terrorismo non c'entra proprio nulla ed hanno trasformato i terroristi islamici in speculatori di borsa.
Infine hanno tolto dalla scena il terrorismo stesso. Il terrorismo non esiste, esistono incidenti, manovre sbagliate con dei TIR ed un esercito di squilibrati.

Quale sarà il prossimo passo? Probabilmente la scomparsa dei fatti.
Nessun camion ha mai investito nessuno in un mercatino natalizio. Le torri gemelle sono crollate? Ma... chi lo dice? No, sono sempre in piedi, vedete? Sono là. Strage al Bataclan? Ma quando mai? Al Bataclan si tengono concerti... basta con le paure diffuse ad arte dagli islamofobi!
Esagero? Mica tanto. Qualcuno ricorda gli stupri di Colonia? La notte di San Silvestro del 2015 moltissime ragazze tedesche sono state pesantemente molestate, alcune anche stuprate, da numerosi “migranti”. La cosa è rimaste segreta per molti giorni. Non solo. Nelle settimane successive è venuto fuori che atti simili si ripetevano da lungo tempo e che erano sempre stati tenuti nascosti. Diffonderli avrebbe favorito l'ostilità nei confronti dei nostri fratelli migranti, perbacco! Ed ancora, nascondere i fatti quando ci sono di mezzo i migranti sta diventando uno sport in cui eccellono i pennivendoli di regime. Un giovanotto accoltella a caso un passante? Si tratta, ragliano gli annunciatori e cinguettano le annunciatrici dai teleschermi, di un ragazzo francese di venti anni. Poi, molto tempo dopo, vien fuori che quel ragazzo “francese” si chiama Mohamed , o Assam, o Alì.
La distruzione della verità ha radici profonde nella cultura della sinistra comunista. Quando prese il potere nel partito Stalin stabilì che Trotskij aveva tradito il proletariato internazionale ed era diventato un agente dell'imperialismo. Dopo qualche tempo svelò al mondo che Trotskij non aveva tradito il proletariato, ma era sempre stato un agente dell'imperialismo. La realtà non esiste, fa dire Orwell all'inquisitore in “1984, quindi non esiste la verità. E' vero ciò che il partito stabilisce essere vero, e lo è fino a quando vuole che lo sia.
Oggi agli inquisitori stalinisti ed orwelliani si sono sostituite le vestali del politicamente corretto. Sarebbero felicissimi, questi personaggi, di eliminare i fatti, trasformare la verità in una loro creazione. Per fortuna ancora non ci riescono, quanto meno, non completamente. La tanto vilipesa rete svolge una funziona preziosissima e positiva nel rendere difficile a questi personaggi la totale distruzione della verità.
Ma a questo mirano, alla morte della verità, possiamo esserne certi.

lunedì 19 dicembre 2016

DIECI PICCOLE VERITA'

Gramsci diceva che la verità è rivoluzionaria. Aveva ragione, anche se il movimento comunista, di cui Gramsci fu esponente di primo piano, ha istituzionalizzato la menzogna. Oggi possiamo dire che la verità, rivoluzionaria o meno che sia, è essenziale per chiunque intenda evitare il collasso finale della nostra civiltà.
Proviamo ad elencare alcune verità. Si tratta di verità semplici, addirittura ovvie. Non richiedono per essere scoperte alcuna particolare erudizione, nessuna geniale intelligenza. Ma sono negate, tutti i giorni, 24 ore al giorno, da un sistema mediatico goebbelsiano. Per questo è vitale ribadirle.

1) L'Islam NON E' una religione di pace. E' al contrario une religione aggressiva che mira ad imporsi ovunque non disdegnando di usare a tal fine metodi che con la pace non hanno nulla a che vedere.

2) Non tutto l'Islam è fondamentalista e terrorista, ma il fondamentalismo terrorista è un fenomeno islamico, qualcosa che trova nella cultura e nella religione islamiche un formidabile terreno di crescita.

3) Esiste un islam fondamentalista e terrorista, in compenso non esiste un islam democratico, laico e liberale. Questo differenzia l'Islam da altre religioni al cui interno si sono sviluppate, accanto e contro le posizioni integraliste, correnti di pensiero aperte alla modernità.

4) Il massimo che l'Islam oggi possa offrirci sono dei dittatori ragionevoli. Ben vengano ovviamente i dittatori ragionevoli, ma spacciarli per laici democratici è un insulto alla verità.

5) L'Islam non è violento solo contro l'occidente, lo è anche contro se stesso. Le guerre civili non sono una eccezione nel mondo islamico, ma quasi una tragica, sanguinosissima normalità.

6) Non tutti i “migranti” sono terroristi e fondamentalisti, anzi, fra loro ci sono certamente delle vittime del fondamentalismo terrorista. Ma la grande maggioranza dei “migranti” fa propria una cultura che costituisce il brodo di cottura del fondamentalismo terrorista ed assassino.

7) Ogni discorso sul contrasto al terrorismo è ridicolo se non si blocca il flusso continui , massiccio , incessante dei clandestini.

8) Se solo una parte, importantissima, dell'Islam è fondamentalista, TUTTO l'Islam è caratterizzato da una cultura che con la nostra non ha nulla in comune. Tutto l'Islam considera reati, da punire in maniera severissima, quelle che per noi sono espressioni della libertà personale.

9) Continuare ad “accogliere” clandestini non ci espone solo ai rischi del terrorismo, ma modifica nel profondo le basi stesse della nostra civiltà. Distrugge i principi su cui qui da noi si fonda la civile convivenza. Stravolge dalle fondamenta il patto sociale in cui la stragrande maggioranza di noi si riconosce.

10) Tutto questo è destinato a modificare in maniera irreversibile le regole del gioco democratico.

Dieci piccole verità. Nulla di sconvolgente, Cose ovvie per le persone di buon senso. Ma, quanto buon senso esiste nel decadente occidente di oggi?

domenica 18 dicembre 2016

VICESINDACA

Tizia, una gentile signora, è “sindaca” di una città italiana. Caio, un barbuto omaccione, è il suo vice. Caio è vice sindaco o vice sindaca? Un bel problema.
Nel termine composto “vicesindaco, la parola “sindaco” posta subito dopo “vice”, si riferisce, appunto, al sindaco, a chi copre la carica di sindaco. Se il sindaco è una “sindaca”, il suo vice deve essere definito vice sindaca, anche se a coprire la carica di vice è un essere umano di sesso indubitabilmente maschile.
Declinare al femminile il termine “sindaco” rende immediatamente impossibile declinare al femminile il termine “vice sindaco”. Se il sindaco è di sesso maschile, il suo vice sarà vicesindaco anche se si tratta di una graziosa fanciulla, se invece il sindaco è di sesso femminile, una “sindaca”, il suo vice sarà “vicesindaca” anche se porta barba e baffi. Tutto questo ovviamente se la logica conserva un minimo di senso, cosa che non darei troppo per scontata.
Le vicende di “vicesindaco” dovrebbero dimostrare abbastanza chiaramente a chi ha conservato un minimo di capacità di raziocinio che la declinazione al femminile (o al maschile) di alcuni termini indicanti cariche o funzioni è priva di senso. Certo, probabilmente non è casuale che termini come “sindaco” abbiano una desinenza al maschile. Forse ha inciso nel formarsi di tale desinenza il fatto che per lungo tempo cariche come quella di sindaco erano riservate esclusivamente agli uomini. Ma lo sviluppo storico, lo stesso in cui si sono formate certe parole, ha modificato, ampliandolo, il modo in cui oggi queste vengono intese. Oggi tutti sanno che il termine “sindaco” indica una carica, non il sesso di chi la ricopre, e nessuno si stupisce se a coprire quella carica è un essere umano di sesso femminile. Le vestali del radicalismo femminista però non si accontentano. Il loro fine non è un linguaggio che serva a comunicare correttamente e, se possibile, in maniera esteticamente gradevole. No, il loro fine è la sessualizzazione del linguaggio. Piene di furore ideologico si riuniscono e modificano a tavolino la lingua parlata per adattarla alle loro fisime ideologiche. E così, dall'oggi al domani, sui giornali e sulle TV tutti parlano di “sindache” e ministre”, stuprando la lingua italiana.
Cosa ci aspetta nel prossimo futuro? La signora Boccassini diventerà una “magistrata”? Addirittura una “pubblica ministera”? E' possibile anche se su questo le vestali sembrano procedere coi piedi di piombo. Chissà, qualche magistrato, maschio o femmina che sia, potrebbe pensare che lo si sta prendendo in giro e spedire ai riformatori linguistici un avviso di garanzia. non si sa mai...

Un po' stupisce che tanta gente, anche lontana dal politicamente corretto si adegui alla barbarie linguistica imperante. Personaggi insospettabili parlano tranquillamente della “sindaca” di Roma, accettano come naturale la violenza al linguaggio che per altri aspetti rifiutano, ad esempio quando definiscono, giustamente, “clandestini i” presunti “profughi”. Come mai?
Molti probabilmente subiscono il ricatto psicologico che sta dietro all'uso di certe parole. Se non dici “sindaca” sei un nemico delle donne, un bieco, immondo, maschilista. Inoltre ritengono che si tratti, tutto sommato, di una questione secondaria. Usiamo pure la parola “sindaca”, che male c'è?
Si tratta di un errore gravissimo, a mio parere. Usare termini come “sindaca” o “ministra” è grave perché usandoli si avalla l'azione di tutti coloro che pensano che la lingua possa essere costruita a tavolino ed imposta d'imperio ai parlanti. Dietro a termini come “sindaca”, o “normodotato” o “afroamericano” non c'è nessuna evoluzione spontanea, molecolare, del linguaggio e neppure alcuna opera di abbellimento dello stesso messa in atto da scrittori e letterati, qualcosa di simile, per intenderci, a quanto fatto da un Dante e da un Manzoni. No, dietro a quei termini c'è solo la prepotenza burocratica di chi usa coscientemente la lingua a fini politico-ideologici. Perché la manipolazione del linguaggio in atto risponde a finalità ideologiche, questo va ribadito con la massima chiarezza. Si vuole costruire una neolingua totalmente funzionale alla ideologia politicamente corretta che sta uccidendo la nostra civiltà. I termini che in qualche modo contrastano con questa ideologia vanno espulsi dal linguaggio, chi li usa va prima emarginato, poi, possibilmente, punito. Chi non usa “sindaca” è un maschilista nemico delle donne, chi rifiuta “afroamericano” è razzista, chi parla di “terrorismo islamico” invece che di “terrorismo di matrice islamica” è islamofobo e così via.
Altro che questione secondaria! NON usare, fra le altre, una parola come “sindaca” vuol dire difendere la libertà di tutti. Degli uomini come delle donne.

venerdì 9 dicembre 2016

MAGGIORITARIO, PROPORZIONALE

I sistemi maggioritario e proporzionale esprimono due diverse concezioni, potremmo dire due diverse filosofie della democrazia. Rispondono a due domande diverse.
Nel sistema maggioritario il corpo elettorale sceglie chi lo governa, nel sistema proporzionale chi lo rappresenta nelle istituzioni. Per i sostenitori del sistema maggioritario la domanda fondamentale è: chi ci deve governare? E ad essa rispondono: “ci deve governare chi vince le elezioni”.
Per i sostenitori del proporzionale invece la domanda fondamentale è: “
chi deve stare nelle istituzioni?” e a questa rispondono: “deve stare nelle istituzioni chi rappresenta il popolo nelle sue varie articolazioni”.
Governabilità contro rappresentanza, quindi.
La contrapposizione ovviamente non è totale ed assoluta. Nei sistemi maggioritari esistono in parlamento una maggioranza ed una minoranza che rappresentano in qualche modo le articolazioni del corpo elettorale; nei sistemi proporzionali la maggioranza sostiene i governi ed assicura in questo modo la governabilità del paese. Il contrasto è di accenti, punti vista, ma non per questo secondario o privo di importanza. Influisce invece, e profondamente, sulla struttura istituzionale degli stati.
Nei sistemi proporzionali il popolo non elegge il capo del governo, meno che mai il capo dello stato. Questo nel proporzionale è un “arbitro imparziale” che ha il compito di “dirigere il gioco” senza cercare di influenzarlo. Gli elettori votano per i vari partiti; una volta eletti, i parlamentari cercano, sotto la regia del capo dello stato, di formare una maggioranza di governo. In questi sistemi non esiste una corrispondenza immediata fra volontà popolare e maggioranze che sostengono i governi. Nel sistema costituzionale italiano, ad esempio, qualsiasi maggioranza si formi in parlamento è lecita, indipendentemente dalla sua coerenza con l'espressione della volontà popolare. La cosa può piacere o non piacere, ma
non viola alcuna norma costituzionale.

La costituzione italiana infatti è
integralmente e coerentemente disegnata in armonia con il sistema proporzionale. Si discute molto in questi giorni della costituzionalità di certe leggi elettorali, e la cosa è leggermente ridicola. Vorrei sapere se esiste qualche altro paese dell'occidente ove non solo si facciano leggi elettorali una volta all'anno, ma tutte corrano il rischio di essere dichiarate incostituzionali. Da dove origina una simile aberrazione? Molto semplice: dalla pretesa di innescare leggi elettorali in qualche modo maggioritarie sul corpo di una costituzione coerentemente disegnata sul proporzionale.
In Italia, quando c'è una crisi di governo il capo dello stato convoca i partiti, affida a qualcuno l'incarico di formare un governo che possa godere dell'appoggio di una maggioranza parlamentare (attenzione, di
una maggioranza, non della maggioranza uscita vincente alle elezioni). Se l'incaricato ce la fa il governo si presenta alle camere per chiedere la fiducia, se no il gioco ricomincia, altre consultazioni, altro incarico, e così via.
Una simile procedura può piacere o meno, ma non ha
niente a che vedere con l'elezione popolare del capo del governo, quindi con la designazione del candidato premier, con le famose “primarie” e cose simili. Non è neppure compatibile con una riforma come quella appena bocciata al referendum. Questa infatti aboliva il senato, ma non toccava minimamente le attribuzioni ed i poteri del capo dello stato, non trasformava in alcun modo l'impostazione proporzionale su cui tutta la nostra costituzione è disegnata.
Non a caso disegnata in questo modo, si può aggiungere. La “costituzione più bella del mondo” è, come sanno anche i poppanti, figlia di un compromesso. Non però di un compromesso fra liberali e socialisti democratici, laici e cattolici, conservatori e progressisti. No, la nostra costituzione è figlia di un compromesso fra forze politiche più o meno occidentali e
comunisti stalinisti. Se si tiene presente questo piccolo particolare tutto si spiega. Ad esempio che nella prima parte della costituzione si parli non solo di alcuni generalissimi principi democratico liberali, ma praticamente di tutto. Di risparmio e lavoro, pace e guerra, scuola e famiglia, chiesa e ricerca scientifica, diritto di sciopero e proprietà privata, cercando sempre, su tutti questi argomenti, di conciliare punti di vista diametralmente opposti.
E, passando dal livello dei principi generali a quello dei meccanismi istituzionali, non è casuale che una costituzione figlia di un compromesso fra forze liberali e cattoliche democratiche, da un lato, e staliniane dall'altro, si caratterizzi per lo scarsissimo spazio che concede alle istanze della governabilità. Capo dello stato “arbitro imparziale”, bicameralismo perfetto, fluidità delle maggioranze, irresponsabilità della magistratura, sono tutte figlie della paura reciproca che caratterizzava i nostri “padri costituenti”. Quando la “costituzione più bella del mondo” è stata scritta i democristiani di De Gasperi temevano che i comunisti di Togliatti tentassero in Italia quello che i loro compagni avevano fatto nei paesi “liberati” dall'armata rossa. I comunisti stalinisti dal canto loro stavano buoni perché temevano i marines. Si sfrondi il discorso sulla costituzione dalla retorica e dall'ipocrisia e si deve constatare che la nostra costituzione è figlia di una situazione di semi guerra civile.
Ma pensare di cambiarla sul serio è vietato. Così abbiamo avuto riforme pasticciate e un po' truffaldine come quella proposta da Renzi, ed abbiamo le chiacchiere sui governi tecnici, di scopo, istituzionali, del presidente eccetera eccetera.
E mentre i politici discutono, ogni giorno sbarcano clandestini che sulla costituzione hanno idee molto chiare. Esiste una sola costituzione, e questa è il CORANO, punto. Ci penseranno loro a mettere tutti d'accordo.

lunedì 5 dicembre 2016

RENZI


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E' stato un referendum su Renzi ed il fiorentino lo ha perso, in maniera nettissima.
I mille giorni di Renzi sono stati caratterizzati da una contraddizione ogni giorno più acuta: quella fra il dire ed il fare, i proclami e la realtà.
Ha parlato di riduzione della pressione fiscale, una sorta di mosca bianca nel panorama della sinistra italiana, occorre ammetterlo. Ma la pressione fiscale la ha lasciata sostanzialmente invariata.
Ha parlato di contenimento del disavanzo, ma ha elargito mance un po' a tutti.
Ha fatto la voce grossa con l'Europa, salvo poi allinearsi a tutti i diktat della UE.
Ha fatto così anche con la riforma istituzionale. Continuo a pensare che fosse giusto superare il bicameralismo perfetto, ma Renzi ha preteso di sostituire ad un senato eletto uno nominato dai consigli regionali: un mostro giuridico. E una gran furbata, se fosse stata approvata la riforma istituzionale avrebbe praticamente regalato il senato al PD; il popolo bue questo lo ha capito, benissimo.
Soprattutto, il governo Renzi ha messo in atto una politica che non ha precedenti in tutta la storia universale. Mai, da nessuna parte, in nessuna epoca, si è vista la marina militare di un paese andare a prendere i clandestini a casa loro per condurli fino alle porte di casa propria. Mai eravamo stati obbligati ad assistere allo spettacolo degradante di navi danesi, svedesi, greche eccetera che raccolgono qua e là un certo numero di clandestini e li portano, TUTTI, in ITALIA. Una cosa umiliante: il bel paese ridotto al ruolo di imbuto d'Europa, un imbuto, tra l'altro, ostruito visto che nessuno ormai vuole più “risorse” a casa sua. Nessuno, tranne l'Italia.

Tutto questo ha pesato, e tanto, nel voto di ieri. Ed ha pesato, tanto, un'altra cosa. Gli italiani sono stufi di governi privi di qualsiasi legittimazione popolare. Non si tratta del fatto che in Italia non è prevista l'elezione diretta del premier. Si tratta della assoluta, totale contraddizione fra chi governa e la volontà dei cittadini così come è stata espressa nel voto. Un tempo i governi erano retti da maggioranze che avevano vinto le elezioni, erano in qualche modo legittimati. Renzi ha governato per mille giorni sostenuto da una maggioranza composta da ex seguaci di Bersani e da transfughi da Forza Italia. Eletti, tra l'altro, grazie ad una legge dichiarata incostituzionale. Qualcosa con nessun precedente, mi pare, nella storia dell'Italia democratica.

E ora? Non ho la sfera di cristallo, non so come andrà a finire. Probabilmente andiamo incontro ad un periodo di fortissima instabilità che potrebbe riservare sorprese molto brutte. Trovo patetico D'Alema che gioisce per la sconfitta del suo nemico: di certo non saranno lui ed gli esponenti della sinistra PD i beneficiari della rotta di Renzi. Il centro destra è profondamente diviso ed in crisi. Riuscirà a rimettersi in forze in tempi brevi? C'è da dubitarne. Il movimento di Grillo potrebbe essere il beneficiario del crollo di Renzi, molto dipenderà dalla nuova legge elettorale che ormai è obbligatorio varare. Renzi era tanto sicuro della vittoria che non si è neppure premunito di fare una legge elettorale valida anche per il senato, una ulteriore prova del suo non profondissimo acume politico.
In ogni caso, è meglio, credo, una fase aperta, che metta di nuovo al centro il corpo elettorale, che l'indefinita prosecuzione della sostanziale sospensione della democrazia che ormai da tempo caratterizza l'Italia.
Di certo non viviamo in tempi facili. Così va il mondo.