giovedì 18 febbraio 2010

La Stasi e gli spioni italiani

Qualcuno si ricorda, penso, del film "Le vite degli altri" di Florian Helckel. Il film, molto bello, narra la vicenda del capitano Gerd Wiesler, agente della Stasi nell'ex Ddr, che spia giorno e notte Georg Dreyman, un noto drammaturgo sospettato di essere ostile al regime. In casa di Dreyman sono state installate numerose "pulci" e così tutta la sua vita è costantemente monitorata dagli zelanti spioni della stasi. Nulla sfugge ai difensori del regime: i dialoghi, i litigi fra il drammaturgo e la sua compagna, le parole dolci, i mugolii o le urla di piacere che accompagnano gli amplessi amorosi: tutto è spiato, registrato, catalogato.
Quello che appare particolarmente inaccettabile in una simile prassi non è solo, nè principalmente, il fatto che essa sia finalizzata a scoprire dei "reati" che tali non sono: il "crimine" di cui è sospettato Dreyman altro non è che un atteggiamento critico nei confronti di un regime anti democratico e illiberale. Ad essere forse ancora più inaccettabile è la totale mancanza di indizi, addirittura la assoluta mancanza di fatti "criminosi" che in qualche modo possano giustificare lo spionaggio totale a cui è sottoposto Drayman. Si spia Drayman perchè "forse" è colpevole di qualcosa, perchè "uno come lui di certo deve essere un dissidente". La logica degli agenti della Stasi è la seguente: "Spiamo, qualcosa verrà fuori e se non viene fuori nulla, pazienza, avremo pur sempre tenuto sotto controllo un individuo pericoloso".
Non vorrei essere troppo polemico ma, non c'è qualche analogia fra un simile modo di pensare e di agire e ciò che avviene oggi in Italia? Davvero in Italia si intercettano solo le persone coinvolte in specifici eventi criminosi e contro cui esistono reali indizi di colpevolezza? Non si fanno forse in Italia le intercettazioni "a strascico"? Nessuno nel nostro paese fa propria la filosofia secondo cui è giusto spiare un cittadino per appurare se "per caso ha commesso qualche reato"? Qualche dubbio in proposito è lecito averlo a mio modesto parere, non foss'altro per il fatto che negli Stati uniti si effettua una quantità di intercettazioni telefoniche enormemente inferiore che in Italia, e gli Stati uniti sono un po' più grandi dell'Italia e non sono certamente esenti da problemi inerenti la criminalità.
Ma in Italia, a differenza che nella ex Ddr, le intercettazioni devono essere autorizzate dal magistrato, si potrebbe dire. Certo, nessuno afferma che l'Italia di oggi sia come la ex Ddr, ci mancherebbe altro! Tra l'altro in Italia ci si limita alle intercettazioni telefoniche, non si piazzano "pulci" che permettano a qualcuno di spiarci anche quando espletiamo le nostre funzioni corporali ( forse a qualche politico italiano una cosa simile non dispiacerebbe...). Nessun paragone fra Italia e Ddr quindi, però... però in Italia non esiste divisione delle carriere fra magistratura inquirente e magistratura giudicante: chi concede l'autorizzazione a intercettare è un collega di chi la chiede e sa bene che domani i ruoli potrebbero invertirsi. Inoltre in Italia non esiste responsabilità civile per i magistrati e chi è intercettato non potrà domani chiedere i danni al magistrato se questi non ha usato con la dovuta, necessaria, cautela il potere di autorizzare le intercettazioni. Insomma, ci sono molte buone ragioni per ritenere che in Italia l'autorizzazione del magistrato non sia di per sè una garanzia sufficiente contro gli abusi di intercettazioni.
Ma la cosa davvero pericolosa nel nostro paese è il clima forcaiolo che purtroppo caratterizza vasti strati della pubblica opinione. "Si spiino tutti! Chi non ha fatto nulla non ha nulla da temere!": sono in molti a dire simili mostruosità.
In primo luogo, chi dice che chi non ha fatto nulla non ha nulla da temere? Se un PM è in possesso di informazioni sul mio conto, informazioni irrilevanti dal punto di vista penale ma imbarazzanti da quello personale, non potrebbe usarle a fini "impropri"? Nel film di Helckel un alto burocrate della Stasi usa le prove accumulate contro il drammaturgo per indurre la sua compagna a concedergli dei favori sessuali; molti organi di stampa raccontano che quando era PM Di Pietro si è fatto concedere dei prestiti da suoi indagati. Di certo si tratta di menzogne, ma.. non è meglio non accumulare troppo potere nelle mani di chi indaga su di noi?
Ma, anche a prescindere da queste considerazioni, il diritto alla privacy è assolutamente fondamentale, è alla base dello stato di diritto! In una società libera deve esistere un'area in cui il singolo è il solo a decidere. Mi sposo o resto scapolo? Devo avere o non avere dei figli? Preferisco fare il bancario o il metalmeccanico? Credo in Dio? La filosofia di Kant mi convince più o meno di quella di Hegel? A chi voglio far conoscere i miei affari privati? Su tutte queste cose è il singolo, solo lui, a poter decidere. In particolare, solo il singolo può decidere a chi parlare degli affari suoi, quali affari privati far conoscere agli altri e in che modo farli conoscere. Questo diritto fondamentale del cittadino può essere limitato, temporaneamente, solo se a suo carico esistono seri indizi di coinvolgimento in specifiche attività criminose. Fare a pezzi questo ed altri diritti personali per mettere le manette ad un paio di corrotti in più è semplicemente criminale. Meglio un paio di tangenti in più che una gran quantità di diritti in meno! E' triste anche solo il doverle ricordare cose simili!

Nessun commento:

Posta un commento