giovedì 15 ottobre 2020

JAN KERSHAW: "HITLER"

Hitler - Ian Kershaw - copertina


Ho finito di leggerlo ieri: “Hitler” di Jan Kershaw, Bompiani 2019.
Una biografia monumentale del tiranno nazista. Seria, approfondita, documentatissima. E di piacevole lettura. Le 1586 pagine dell'ultima fatica dello storico britannico si leggono quasi d'un fiato.
Kershaw, autore di altre due opere di grande importanza : “Hitler e l'enigma del consenso” e “La fine del terzo Reich”, è uno dei più grandi storici del nazismo e del terzo Reich e lo dimostra alla grande in questa biografia.
In “Hitler” Kershaw riprende uno dei concetti interpretativi usati in “Hitler e l'enigma del consenso”: quello di “lavorare incontro al fuhrer”. Il potere di Hitler non si basava solo sulla repressione. Il tiranno nazista godeva di un vasto consenso popolare che solo nella seconda metà della guerra iniziò a declinare, senza mai scemare del tutto, tranne che negli ultimi due - tre mesi. Tale consenso si esprimeva in una miriade di comportamenti che non erano diretta conseguenza di comandi ma miravano tutti a realizzare ciò che il fuhrer voleva. Il nazista fanatico che denunciava il vicino di casa perché lo riteneva un oppositore, il non fanatico che si arricchiva entrando in possesso di beni confiscati agli ebrei, il professore universitario che definiva, senza crederci troppo, “salvatore della Germania” il fuhrer lavoravano tutti “incontro al fuhrer”. Ognuno, cercava di fare ciò che si riteneva, a ragion veduta, che al fuhrer piacesse e tutto questo cementava il consenso intorno alla sua figura mitica, semidivina.
Nella Germania nazista si combinavano, ricorda Kershaw, il potere totale, assoluto del fuhrer ed una lotta senza esclusione di colpi fra i vari gerarchi nazisti finalizzata a conquistarne l'approvazione. Massima concentrazione del potere ed insieme massimo disordine, con relativa inefficienza. Dovrebbe far pensare chi ritiene che le dittature siano si brutte, ma facciano, tutto sommato, le cose per bene.
Il discorso sarebbe lungo da sviluppare e non è qui il caso neppure di tentarlo. Anche perché “Hitler” di Kershaw non è e non vuole essere una storia del terzo Reich. Si tratta di una biografia che a volte lascia un po' in sordina le analisi sociologiche e politiche. Uno dei pochi limiti di quest'opera è infatti, a mio modesto parere, lo spazio insufficiente che dedica alle varie forze non ed anti naziste, alle loro politiche, alle lotte sociali che caratterizzarono la repubblica di Weimar. Ma... si tratta davvero di un difetto in quella che è la biografia di un tiranno, non una storia recente della Germania?

Come biografia l'opera di Kershaw dedica ampio spazio all'uomo Hitler. Ne esce il quadro desolante di un uomo affetto da un egotismo mostruoso, sostanzialmente incapace di empatia, ipocondriaco, malato di antisemitismo paranoico, tutto concentrato su se stesso e su quella che riteneva essere la sua missione salvifica.
In gioventù Hitler amò a modo suo la madre, per il resto non amò nessuno. Né ebbe amici autentici, forse con la sola, parziale eccezione di Speer. Ebbe, pare, una relazione morbosa con la giovanissima nipote, morta suicida, considerò Eva Braun poco più di un gingillo da esibire in determinate occasioni. Manifestò un certo affetto per Blondi, la sua femmina di cane lupo, affetto che tuttavia non gli impedì di testare sulla povera bestia le pillole di cianuro che dovevano servire al suo suicidio. E tanto basta. Gli altri esseri umani erano solo mezzi che usava per raggiungere il suo scopo assoluto: il dominio razziale della Germania “ariana”. Hitler non visitò mai un ospedale militare, non si recò nelle città tedesche devastate dai bombardamenti; quando le vicende belliche iniziarono ad andare male cessò quasi di parlare al suo popolo. Il demagogo irresistibile di un tempo visse quasi da recluso gli ultimi due anni della sua vita. L'uomo Hitler è inseparabile dal fanatismo nazista, come pochissimi altri egli si identifica totalmente con una ideologia malata.

E' impossibile cercare di riassumere anche solo le parti più rilevanti dell'opera di Kershaw. Il gioco di azzardo di Hitler con le democrazie occidentali e la inettitudine di queste a contrastarlo, i rapporti tempestosi con gli alti comandi dell'esercito, il titanico scontro militare con l'URSS staliniana, inizialmente di fatto sua alleata, l'orrendo genocidio degli ebrei... tutti argomenti che Kershaw tratta con rigore e profondità senza tuttavia mai appesantire più di tanto il testo.
Particolare impressione fanno la descrizione del periodo trascorso a Vienna dal giovane Hitler e quella dei suoi ultimi giorni, chiuso come una belva in gabbia nel bunker della cancelleria.
E' impossibile leggere dei vagabondaggi senza meta di un giovane fallito, un buono a nulla sedicente artista senza chiedersi come è stato mai possibile che un simile personaggio sia diventato il padrone assoluto di uno degli stati più civili del mondo. Certo, bisogna valutare il momento: la sconfitta del 1918 e l'umiliazione sofferta dalla Germania, la crisi economica, l'iper inflazione prima e la disoccupazione di massa poi, il timore non ingiustificato di una rivoluzione bolscevica, una tradizione culturale in cui l'antisemitismo era largamente presente, ma tutto questo non basta. Il punto fondamentale è che un uomo a tutti gli effetti mediocre riuscì ad unificare in se le reazioni a tutto questo. Su questo punto Kershaw è molto chiaro. Senza Hitler la Germania sarebbe probabilmente andata incontro ad una qualche forma di autoritarismo, forse anche dittatura, di destra, ma non a quel tipo di dittatura, non alla tirannide totalitaria e fanaticamente razzista che Hitler edificò.

Quanto agli ultimi giorni del tiranno, la narrazione di Kershaw è davvero avvincente. Leggendo le sue pagine si respira quasi l'atmosfera isterica del bunker della cancelleria. Le sfuriate di Hitler, le ultime fucilazioni ai danni di presunti “traditori”, gli ordini concitati ad armate che ormai non esistevano più. E particolare interesse desta l'evoluzione del pensiero di Hitler nell'ultima fase della sua vita. “Il popolo tedesco si è dimostrato debole, non era degno di me” diceva spesso il tiranno. I suoi amati tedeschi “ariani” lo avevano “deluso”. Non a caso Hitler, ormai rinchiuso nel suo bunker-tomba emanò la famosa “direttiva Nerone”: tutto ciò che restava della struttura industriale tedesca andava distrutto. Il popolo tedesco doveva seguire il fuhrer nella rovina totale. Giusto castigo per chi non si era dimostrato all'altezza di una “grande” idea. La stessa persona che aveva idolatrato il tedesco “ariano” lo giudicava alla fine indegno di lui. Potenza malefica della ideologia! Prima affida ad un popolo, una nazione, una classe sociale un fine assoluto, poi, quando questo si rivela una chimera se la prende con classi, nazioni, popoli reali. Hitler schiumante rabbia nel bunker della cancelleria ricorda, fatte le debite proporzioni, certi intellettuali radical - schik che si dicono e si dicevano “delusi dalla classe operaia” per il semplice motivo che gli operai veri pensano più al salario ed alle condizioni di lavoro che alla mitica società perfetta.

Non è il caso di dilungarsi troppo. Fra tanti libri inutili che ingombrano gli scaffali delle librerie questo “Hitler” di Jan Kershaw costituisce una gran bella eccezione. Consiglio a tutti di leggerlo. Ne vale davvero la pena.

4 commenti:

  1. Poco tempo fa mi è capitato di leggere un aneddoto sull’Hitler giovane, quello sotto i 30. per come era descritto, sembrava il ritratto dello sfigato buono a nulla odierno. Se Hitler fosse vissuto ai giorni nostri, sarebbe stato uno di quei ragazzetti frignoni su Facebook che si crogiolano in mezzo ai loro simili a frignare sulle loro disgrazie, di quanto «loro e pochi altri eletti sono buoni mentre il resto dell’umanità è cattiva», condividendo articoli complottisti, pagine pro vegan e via discorrendo.
    Ai tempi forse ha attirato l’attenzione per essere uno 'diverso', per la sua arroganza e per il fatto di saper tutto sommato incantare
    Cresciuto al giorno d’oggi invece sarebbe 'bastonato' dai trolls, la sua faccia finirebbe sui vari meme affiancato a personaggi quali la celebre donna con gli occhiali che urla e piange per il suo disappunto per la vittoria di Trump nel 2016, e si sarebbe beccato l’appellativo dispregiativo di ‘Soy-Boy’ (che poi ai cosidetti ‘Soy-boy Hitler somigliava in pieno). Sarebbe uno sfigatello qualsiasi.
    Però abbiamo le varie ‘Alicia Garza, Patrisse Cullors e Opal Tometi’, le potenziali hitlerine dei giorni nostri.

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  2. Però in "Hitler: gli anni dell'apprendistato" di Brigitte Hamann relativo al periodo viennese, sono dette alcune cose un po' diverse, ossia che tutto ciò che sappiamo mostra che all'epoca non c'era traccia, nelle sue scelte e nei suoi comportamenti, di antisemitismo: mangiava alla mensa dei poveri, finanziata da ebrei (e fin qui potrebbe trattarsi di pura necessità per sopravvivere, ma anche in questo caso sarebbe del tutto incompatibile col fanatismo isterico mostrato successivamente); i suoi quadretti li vendeva prevalentemente, se non esclusivamente, a commercianti ebrei, perché erano gli unici che glieli pagavano subito, mentre gli altri li mettevano in vetrina e solo se poi li vendevano gli davano la sua parte; infine in quella specie di ospizio in cui ha alloggiato per alcuni anni, aveva più amici ebrei che cristiani, il che, in una città in cui gli ebrei erano il 10%, sembrerebbe essere proprio una scelta.
    Una cosa che viene messa in risalto è il suo autentico terrore delle donne: addirittura, quando andava a teatro, nonostante facesse la fame, preferiva spendere di più per andare in galleria piuttosto che in uno spazio economicissimo in cui gli spettatori stavano in piedi tutti accalcati, in cui poteva facilmente accadere che si trovasse vicino o addirittura - orrore degli orrori - a contatto con qualche donna. Non banale misoginia, disprezzo o altri sentimenti analoghi, ma proprio autentico terrore fisico.

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  3. Anche Kershaw mette in risalto che negli anni giovanili l'antisemitismo di Hitler era ben diverso da quello isterico mturato negli anni successivi. Hitler era anche allora antisemita, anche se aveva conoscenze, non amicizie, fra gli ebrei, ma il suo antisemitismo non era dissimile da quello in voga all'epoca. Sulle donne,anche Kershaw sottolinea la misoginia di Hitler, ma, come altri (BulloK ad esempio) ritiene siano sbagiate le tesi di chi ritiene che Hitler fosse impotente o sessualmente anormale.

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  4. Se intendi anormale dal punto di vista fisico sì, penso anch'io che siano leggende, tra l'altro, se ricordo bene, ci sarebbe anche la testimonianza del suo medico che le smentisce. Non credo però ci siano dubbi sul fatto che il suo rapporto con le donne fosse decisamente patologico - e non solo quello, del resto.

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