giovedì 11 marzo 2010

La filosofia politica di Antonio Di Pietro, e di quelli come lui



Parlare di filosofia politica a proposito di un tipo come Antonio Di Pietro può lasciare perplessi. “Ma come” potrebbe dire qualcuno “filosofia politica di Di Pietro? Un tipo che odia i congiuntivi almeno quanto Silvio Berlusconi? Lasciamo perdere..”. Questo però sarebbe un discorso profondamente errato. Certo, la teoria astratta non è il forte di Tonino ma in questo tutto sommato egli non si differenzia troppo da molti altri politici. Anche nell’azione di uno come lui sono però rinvenibili alcune idee generali, una certa concezione se non del mondo quanto meno della società e dei suoi problemi. Anche se si tratta di qualcosa di estremamente rozzo esiste una filosofia politica che in qualche modo ispira le idee e le azioni di Antonio Di Pietro e di altri come lui: Marco Travaglio e Beppe Grillo, per fare due nomi a caso. Ed è molto importante capire bene in cosa consiste questa grossolana filosofia politica perché non si tratta di qualcosa di marginale o assolutamente minoritario nella società italiana. Il dipietrismo, o il grillismo, suo equivalente più goliardico e sboccato, sono fenomeni estremamente pericolosi e negativi ma, proprio per questo, vanno combattuti a tutti i livelli, compreso il fondamentale livello teorico. Piaccia o non piaccia la cosa occorre misurarsi col pensiero di Antonio Di Pietro e di altri come lui. Certo, Kant, Hegel e Schopenhauer sono leggermente più stimolanti, ma.. così va il mondo.
Una sola precisazione: in questo scritto mi interesso solo del pensiero di Antonio Di Pietro. I molti punti oscuri della sua vita, la sua quanto meno dubbia moralità non mi interessano. Parto dal presupposto che Di Pietro sia sincero quando si presenta come il paladino della morale. Cerco di fare una cosa che forse neppure Tonino fa col suo pensiero: lo prendo sul serio.

1) In cosa consiste l’essenza del dipietrismo? Qual’é l’idea base a che anima questa grossolana filosofia politica? E’ un’idea estremamente semplice e proprio per questo capace di attrarre un buon numero di persone: i problemi politici, economici e sociali sono essenzialmente problemi giudiziari. Dietro alla crisi economica, alla disoccupazione, alle guerre ci sono gli interessi di grandi criminali: corruttori e corrotti, pescecani della finanza, coltivatori ed esportatori di oppio. I problemi politici, economici, sociali diventano problemi giudiziari ed i problemi giudiziari si risolvono incarcerando i criminali. Di Pietro non è il solo a pensarla in questo modo. Il suo modo di ragionare è assai simile non solo a quello dei vari Grillo o Travaglio, anche il regista americano Michael Moore la pensa più o meno così e in questo modo ragionano settori consistenti dell’ex estrema sinistra e del movimento no global. Questi ultimi in particolare hanno ormai gettata alle ortiche la critica marxiana del capitalismo. Il pensatore di Treviri non se la prende con questo o quel capitalista, non accusa questo o quel capitano d’industria di essere un ladro o un truffatore. Oggetto della critica di Marx è il capitalismo allo stato chimicamente puro: sono i meccanismi impersonali della riproduzione allargata del capitale ad essere oggetto dei suoi strali. Non è così per i tardi epigoni del padre del socialismo scientifico. Costoro hanno personalizzato il capitalismo: non esiste il capitalismo, esistono i capitalisti, il problema non sono i meccanismi impersonali del sistema ma le scelte politiche delle multinazionali. La critica al sistema è stata soppiantata dalla lotta contro i criminali, i corruttori ed i pescecani della finanza. In questo modo una parte non secondaria dell’estrema sinistra si ritrova alleata con un uomo che solo fino a qualche decennio fa non avrebbe esitato a definire “fascista”.
La formula che riduce tutti o quasi i problemi a problemi giudiziari è assai intrigante, non c’è da dubitarne. E’ una formula estremamente plastica ed adattabile, la si può applicare praticamente a tutto. Ultimamente Di Pietro, in uno dei rari momenti in cui non parlava di Silvio Berlusconi, è riuscito ad adattarla perfino alla guerra in Afghanistan. Per Di Pietro occorre abbandonare l’Afghanistan perché in quel paese sarebbe in corso una guerra fra bande che intendono dividersi il mercato dell’oppio. Chi pensava che in Afghanistan esistesse un problema di terrorismo fondamentalista è così servito. Il problema sono i criminali che si contendono l’oppio e, visto che non è possibile inviare in Afghanistan i un po’ di giudici della procura di Milano, che di certo risolverebbero tutto, si abbandoni quello sventurato paese! In Afghanistan esistono ovviamente le coltivazioni di oppio e sono in corso lotte tribali per assicurarsene il possesso. Però anche in altri paesi esistono grandi produttori ed esportatori di droga, si pensi alla Colombia, ma in quei paesi non è in corso alcuna guerra, comunque nulla di paragonabile a ciò che avviene in Afghanistan. Il problema principale in Afghanistan non è l’oppio, è la possibilità che i Talebani, usando anche i proventi della coltivazione dell’oppio, riprendano il potere e possano minacciare da vicino un paese come il Pakistan che, non dimentichiamolo, possiede armi nucleari. La formuletta di Di Pietro (e di quelli come lui) cancella dalla scena mondiale le decine, meglio, le centinaia di milioni di esseri umani che seguono l’ideologia fondamentalista, riduce a puri eventi polizieschi gli innumerevoli attentati che tutti i giorni insanguinano i più diversi paesi, cancella i vari focolai di violenza, gli eccidi, le guerre civili più o meno striscianti che rendono drammatica la vita di intere popolazioni e riduce il tutto ad un problema di complotti e indagini giudiziarie. E ciò che vale per l’Afghanistan vale per ogni altro problema. Michael Moore ad esempio vede nella crisi economica il risultato delle manovre criminali dei pescecani della finanza. Ora, di certo i pescecani esistono, agiscono e provocano grossi danni. I pescecani però agiscono anche nei momenti di crescita economica. Perché l’azione dei pescecani ha avuto effetti tanto dirompenti in una certa fase economica e non ne ha avuti di altrettanto gravi in altre fasi? La crisi è nata negli Stati Uniti in conseguenza di una crescita incontrollata del mercato immobiliare, di una eccessiva espansione del credito e di una conseguente scarsa capacità dei mutuatari di far fronte ai propri debiti; si è poi espansa a dismisura in conseguenza delle cartolarizzazioni che hanno inquinato i portafogli di banche, fondi comuni e addirittura fondi pensione. La causa scatenante della crisi è stata l’espansione incontrollata dei mutui e questa riguarda non pochi pescecani della finanza ma una quantità enorme di normalissimi esseri umani. L’azione dei pescecani è stata particolarmente distruttiva perché erano in opera autonomi fattori di crisi, non viceversa.
Gli esempi potrebbero continuare. La formuletta di Di Pietro isola alcuni aspetti, definiamoli pure criminali, di un certo problema, conferisce ad essi una valore assolutamente sproporzionato e fa dipendere la soluzione del problema dalla soluzione dei suoi aspetti che, più o meno a ragione, si possono considerare criminali. E così abbiamo finalmente, la chiave della felicità. C’è la guerra? Si arrestino i trafficanti di droga; c’è la crisi? Si arrestino i pescecani della finanza (negli Usa ne hanno arrestati e, giustamente, condannati, ma la crisi non si è per questo risolta); c’è l’inquinamento? Si arrestino gli inquinatori (e se gli “inquinatori” fossero i milioni di cittadini che si limitano a tenere accesi i caloriferi?); l’Italia ha dei problemi? Si arresti Silvio Berlusconi! Chiaro no?

2) In tutti i paesi dell’occidente la magistratura è un corpo dello stato che ha il compito di applicare la legge ai casi singoli. La legge definisce reato il furto ed il magistrato deve decidere se il signor Tizio ha o meno commesso un furto ed eventualmente a che pena condannarlo, punto e basta. La magistratura inoltre, sempre nei paesi civili dell’occidente, non dispone, come non ne dispongono gli altri corpi dello stato, di un potere illimitato. Negli stati Uniti ad esempio i giudici sono eletti dal popolo, si tratta di un modello criticabile, come tutti, e di certo non perfetto ma che realizza un principio la cui importanza è difficilmente sopravalutabile: nessun corpo dello stato può disporre di un potere illimitato, ogni corpo od ordine dello stato deve sottostare a limiti e controlli ad esso esterni. In Italia le cose stanno però diversamente. Mentre gli altri organi dello stato sono sottoposti nel nostro paese a limiti e controlli esterni, questo non avviene per la magistratura. In Italia il governo deve godere della fiducia del parlamento, i parlamentari devono periodicamente essere sottoposti al giudizio del corpo elettorale. I magistrati invece non sono sottoposti a controlli esterni di alcun tipo. Su tutti gli aspetti della attività professionale di un magistrato sono chiamati a decidere solo altri magistrati. Si tratta di una situazione unica in tutto l’occidente che sono ormai in molti a volere in qualche modo modificare, senza riuscirci.

Ovviamente Di Pietro si oppone fieramente ad ogni tentativo di modificare una situazione tanto anomala, e non a caso. Nella filosofia politica di Antonio Di Pietro la magistratura ha un ruolo assolutamente centrale, tanto centrale che il partito, il suo stesso partito, si riduce al ruolo poco nobile di “fiancheggiatore” della magistratura. Lo ha detto lo stesso Tonino al primo, ed unico, congresso dell’Idv. La magistratura non basta, i magistrati non possono “pizzicare” tutti e spesso arrivano a cose fatte, quindi occorre la politica, l’azione del partito. Insomma, la politica serve per aiutare i giudici a “pizzicare” quanta più gente possibile. Come nella filosofia scolastica la ragione veniva considerata l’ancella della fede così nella filosofia dipietrista la politica decade al ruolo di ancella della magistratura, e mi perdoni San Tommaso per l’accostamento blasfemo. E’ chiaro come, partendo da una simile concezione, ogni limite e controllo sulla attività della magistratura sia equiparato ad un’azione criminosa. I problemi politici sono soprattutto problemi giudiziari e i problemi giudiziari li deve affrontare la magistratura. Indebolirla significa solo favorire i criminali; non solo, a porre limiti alla magistratura dovrebbe essere la politica ma la politica, salvo rare eccezioni (l’Italia dei valori) è il campo in cui più di altri sorge e prospera la pianta velenosa della corruzione. Se le cose stanno così, com’è possibile che corruttori e corrotti possano limitare l’attività di chi indaga su di loro? Tutta una serie di norme che, in forme diverse, esistono negli ordinamenti giuridici di tutti i paesi democratici dell’occidente sono non a caso bollate Da Di Pietro come atti eversivi, attentati alla costituzione, regali ai mafiosi e così via. La separazione delle carriere fra giudici e pubblici ministeri esiste pressoché ovunque ma per Tonino è sinonimo di fascismo (quindi gli Stati Uniti la Francia e la Svezia sarebbero stati fascisti..), la responsabilità civile dei magistrati mirerebbe ad imbavagliarli a tutto vantaggio dei mafiosi (quindi sarebbero amici dei mafiosi i radicali che a suo tempo promossero un referendum proprio sul tema della responsabilità civile dei magistrati..), lo stesso dicasi per ogni tentativo di riforma della obbligatorietà della azione penale, o per ogni limite all’uso ed alla diffusione di intercettazioni telefoniche.. si potrebbe continuare. Insomma, Di Pietro e quelli come lui vogliono una magistratura irresponsabile, auto referenziale, pressoché onnipotente. Una sorta di super potere che tutti controlla senza essere a sua volta controllato da nessuno. Parlamento, governo, alte cariche dello stato oltre che, ed è questa la cosa più grave, pressoché tutti i cittadini dovrebbero essere tenuti costantemente sotto osservazione da questo super corpo dello stato senza aver diritto ad alcuna difesa nei suoi confronti.
Questa entusiastica difesa del ruolo della magistratura si scontra però con un problema non da poco. Che fare quando la magistratura si dimostra divisa? Come comportarsi quando scoppiano autentiche guerre fra diverse procure? Se la magistratura è un corpo separato ed autoreferenziale come comportarsi quando questo corpo tende a dividersi? Anche in questo caso Tonino non ha dubbi. Senza esitare egli si schiera con quelle componenti della magistratura che sono o appaiono impegnate nella lotta contro l’odiato Berlusconi. Dopo avere messo la magistratura al di sopra di tutto Di Pietro ed i suoi scherani discriminano fra magistrati usando criteri politici di valutazione. I magistrati da difendere ed additare ad esempio sono quelli che rilasciano dichiarazioni al vetriolo contro il governo, o che non si accorgono che un certo reato è ormai prescritto, o che propongono ai loro colleghi di scioperare contro il parlamento quando questo intende varare leggi che a loro piacciono poco (con buona pace della divisione dei poteri!), o che aprono di continuo nuove inchieste sempre sulla stessa persona (chissà chi sarà?) o ancora che, puramente e semplicemente, si rifiutano di applicare leggi che a loro non piacciono (sempre in nome della divisione dei poteri). Il dipietrismo da un lato mette la magistratura molto, molto al di sopra la politica, dall’altro tende a politicizzare in maniera intollerabile proprio la magistratura. In questo senso la filosofia dipietrista rappresenta la negazione radicale di quelle che sono, o dovrebbero essere, le virtù del buon magistrato: imparzialità, equilibrio, spirito critico, capacità di ascolto. L’idealtipo del magistrato alla Di Pietro assomiglia molto agli inquisitori protagonisti dei grandi processi staliniani degli anni trenta. Il loro compito non era quello di appurare la verità ma di distruggere dei nemici politici veri o presunti., esattamente lo stesso dovrebbero fare dei buoni magistrati, per l’ineffabile Tonino.“Io quello lo sfascio” ebbe a dire Di Pietro, allora ancora PM, riferendosi a Berlusconi. Ci sta ancora tentando, con tutti i mezzi.

3) Lentamente e con gran fatica un principio è emerso nella storia dell’occidente e con gran fatica si è alla fine affermato: si tratta del principio della centralità del singolo. Nelle società libere, aperte e democratiche il cittadino è titolare di alcuni inalienabili diritti che tutti devono rispettare. Una parte non secondaria dell’azione dello stato mira appunto, nelle società libere e democratiche, a tutelare questi diritti, non solo, questi diritti costituiscono dei limiti alla stessa azione dello stato che può temporaneamente limitarli solo se esistono specifici fatti criminosi e corposi indizi a carico di un cittadino. Il cittadino può vedere intercettate le proprie telefonate ma solo temporaneamente e solo se indiziato di uno specifico reato, la custodia cautelare deve essere ridotta al minimo perché nei paesi civili vige il principio della presunzione di innocenza, sempre in base al principio della presunzione di innocenza nessuno può essere costretto a dimettersi da qualche carica solo perché indagato, nessuno inoltre può essere indagato o processato a vita, le indagini ed i processi non possono durare indefinitamente, la loro durata massima deve essere stabilita dalla legge. Se la magistratura, per i più vari motivi, non riesce a concludere in un certo lasso di tempo i processi occorrerà riorganizzare gli uffici giudiziari; certamente non deve essere il singolo cittadino a pagare per la disorganizzazione, o la pigrizia o il pressapochismo di chi lo giudica o di chi lo governa. Si tratta, come si vede, di principi fondamentali, elementari, largamente condivisi ma che fanno letteralmente a pugni con la filosofia dipietrista (e non solo). E non a caso. Se dietro tutti i mali del mondo ci sono le azioni malvagie di onnipotenti criminali possiamo permetterci di dare tanta importanza a quisquilie come la presunzione di innocenza o la riservatezza? Nella rozza filosofia di Di Pietro il mondo è una sorta di gran campo di battaglia fra incorruttibili magistrati ed astuti e potenti criminali. Se le cose stanno così il garantismo altro non è che un impiccio all’azione di chi lotta contro il crimine, nella migliore delle ipotesi è un lusso che raramente possiamo permetterci. Nella filosofia di Di Pietro la presunzione di colpevolezza sostituisce così quella di innocenza, la violazione della privacy diventa un fatto quotidiano, lo sputtanamento mediatico di presunti colpevoli una doverosa azione di “smascheramento” delle loro malefatte. Al seguito di questa filosofia è sorta in Italia una nuova e fortunata industria editoriale. Basta entrare in una libreria per vedere, in bella evidenza, decine di libri, di solito dell’onnipresente Marco Travaglio, in cui si parla delle malefatte di questo e quello, magari malefatte di cui questo o quello sono stati assolti o mai rinviati a giudizio. E una quantità enorme di questi libri è dedicata, potevamo dubitarne? A Silvio Berlusconi. E i libri non bastano, ci sono i giornali, le riviste, i blog, soprattutto i programmi televisivi alla “anno zero” in cui ci si dedica sempre a dimostrare che il tale è un criminale, un mafioso eccetera eccetera. La “giustizia” mediatica e televisiva si sostituisce così a quella delle aule dei tribunali, un bel risultato per chi ha fatto dell’azione della magistratura una sorta di toccasana! Il dipietrismo fa a pezzi il garantismo liberale e con esso la serietà e l’imparzialità che dovrebbero caratterizzare l’amministrazione della giustizia. Alla ponderata ed imparziale analisi dei fatti si sostituiscono le urla, i processi celebrati nelle piazze o negli studi televisivi, insomma, la più bieca demagogia. In questo senso il dipietrismo è incompatibile con la parte migliore della storia e della tradizione culturale dell’occidente.

4) Il dipietrismo è forcaiolo quindi, ma non solo. Esso è anche profondamente auto contraddittorio. Abbiamo già visto come le urla dei giustizialisti forcaioli a difesa della legalità, dell’equilibrio fra i poteri, delle regole altro non siano che pura demagogia dietro cui si nasconde la negazione radicale di tutte queste ottime cose. Ma il dipietrismo è auto contraddittorio in senso più sottile e profondo. L‘obiettivo dichiarato di Di Pietro è la lotta alla corruzione ed al malaffare considerati le cause di praticamente tutti i mali del mondo e, nella concezione dell’ex PM, si lotta contro la corruzione ed il malaffare quasi esclusivamente con le armi della repressione giudiziaria. In sostanza Di Pietro non fa che proporre più poteri per la magistratura, libertà di indagare ed intercettare a tempo pieno ed indeterminato chiunque, controlli a tappeto su tutto e tutti. Ora, anche prescindendo dal fatto che una tale concezione non ha nulla a che vedere con il garantismo liberale, essa è almeno coerente con gli obiettivi che si propone? In altre parole, le proposte forcaiole di Di Pietro sono davvero efficaci ai fini di battere corruzione e malaffare? No, non lo sono. L’incremento del controllo burocratico e poliziesco sulla vita dei cittadini non elimina la corruzione ma al contrario la incrementa. Per Di Pietro il controllo costituisce la quint’essenza della vita sociale, ma non si tratta nel suo caso del controllo liberale, del controllo reciproco fra i corpi dello stato che se non impedisce quanto meno limita gli abusi. No, quello che Di Pietro sogna è il controllo repressivo, a cascata, in cui un organo superiore controlla l’inferiore e tutti insieme gravano sulle spalle del cittadino. A controlla B che a sua volta controlla C e così via, potenzialmente all’infinito. Ma chi assicura che A, B, C e tutti gli altri non possano anche loro essere corrotti? Se Tizio vuole apportare una miglioria alla sua abitazione deve sottostare al controllo dell’ufficio tecnico del comune che a sua volta è controllato dalla polizia municipale che a sua volta è controllata dai carabinieri e così via. In questo modo, ragionano quelli come Tonino, si evita che Tizio possa commettere qualche illegalità e che tutti gli altri possano farsi corrompere. Una simile organizzazione del controllo sociale porta invece solo alla moltiplicazione delle tangenti. Il proliferare dei centri di potere burocratico incrementa la corruzione, moltiplicare leggi e leggine, mettere in mano a piccoli e grandi burocrati il potere di rendere difficile, a volte molto difficile, la vita dei cittadini favorisce lo sviluppo della illegalità e delle pratiche corruttive e clientelari. Il giustizialismo forcaiolo alla Di Pietro ama presentarsi come l’unico antidoto possibile alla corruzione, è vero il contrario: un simile giustizialismo è destinato ad incrementare a tutti i livelli tutti i tipi di corruzione.

Naturalmente la repressione della illegalità è necessaria ed è bene che sia anche severa. Se Tizio viola la legge e se la sua colpevolezza viene riconosciuta da un giudice davvero terzo ed imparziale Tizio va condannato e deve scontare la pena che gli è stata inflitta. Il garantismo non ha nulla a che vedere col buonismo idiota oggi tanto di moda in Italia. La giustizia di un paese libero deve essere insieme garantista e severa: il cittadino deve avere la più ampia possibilità di difesa ma se riconosciuto colpevole deve pagare per ciò che ha fatto, l’esatto contrario di quanto avviene in Italia dove le garanzie a difesa dell’imputato sono spesso assai deboli ma in compenso molto spesso le pene sono addirittura ridicole. Invece di essere garantista e severa la giustizia è nel nostro paese forcaiola e lassista. Questo non è affatto in contraddizione con la filosofia dipietrista: in questa infatti ad essere davvero essenziale non è tanto la condanna dei vari imputati “eccellenti” quanto la bagarre politico mediatica che accompagna indagini e processi. Chi ha dubbi in proposito ripercorra un attimo la storia di tangentopoli. A quanti anni di galera sono stati condannati i numerosissimi politici coinvolti in quella storica inchiesta? A parte Craxi, che si è beccato complessivamente venti anni (più di quanti vengano comminati in Italia ad uno stupratore omicida) quasi tutti gli altri sono stati condannati, quando lo sono stati, a pene ridicole, spesso patteggiate, quasi sempre coperte dai benefici di legge. E ciò che vale per tangentopoli vale per tutte le altre grandi inchieste (calciopoli, valletopoli e così via..) che hanno accompagnato negli ultimi due decenni la vita degli italiani.

5) Esiste un problema teorico che tutti i giustizialisti non riescono neppure a porsi nei suoi termini essenziali: cosa fa si che una legge sia osservata se non da tutti almeno da una larga maggioranza dei cittadini? Un giustizialista neppure si pone una domanda simile e se qualcuno gliela pone risponde pronto: ”la repressione”. Si controlli per bene la gente e questa osserverà le leggi! Se non le osserva è perché qualcuno “delegittima” i magistrati, perché questi non hanno abbastanza poteri e così via. Una simile risposta può apparire giusta ma è invece profondamente stupida.
Nella loro grande maggioranza i cittadini non aggredirebbero mai una vecchietta per rubargli la pensione, né violenterebbero una bambina, né sparerebbero al primo che passa per il solo gusto di vederlo cadere al suolo in una pozza di sangue. Un normale essere umano non farebbe mai queste cose non perché intimorito dalla minaccia della punizione ma perché convinto nel suo intimo che queste cose non si devono fare. Certo, esistono, e sono anche troppi, quelli che rapinano, violentano e uccidono ma costituiscono, per fortuna, una minoranza: la gran maggioranza non solo non rapina né uccide né violenta ma si indigna di queste cose e chiede a gran voce che i colpevoli vengano puniti, puniti severamente. La repressione della illegalità è efficace e costituisce un valido deterrente precisamente perché i criminali sono minoritari mentre sono largamente maggioritarie le persone tutto sommato oneste e disposte a collaborare con chi il crimine lo combatte. Una legge è tanto più osservata quanto più è condivisa, quanto più è in sintonia col modo di pensare, con i sentimenti morali profondi della gran maggioranza dei cittadini, ed è precisamente questa sintonia di fondo a rendere efficace l’azione di repressione del crimine. Se, non dico la maggioranza, ma anche solo una minoranza consistente dei cittadini considerasse una cosa del tutto normale violentare una bambina, la repressione di questo crimine odioso perderebbe gran parte della sua efficacia. Se vivessimo in una società in cui fosse maggioritaria l’idea che ognuno può far fuori chiunque se solo ci riesce noi tutti non perderemmo tempo a denunciare Tizio o Caio alla polizia ma ci alleneremmo all’uso delle armi.
Quando invece una legge non è largamente condivisa la repressione ottiene risultati sempre inadeguati, spesso molto deludenti. Si pensi alla lotta all’evasione fiscale, autentica bandiera del dipietrismo. Certo, occorre combattere l’evasione ma fino a quando una gran quantità di cittadini continuerà a pensare che le tasse siano una specie di furto l‘evasione continuerà ad avere dimensioni molo ampie. E per far cambiare idea ai cittadini non servono certo le prediche moralistiche, assai più efficace sarebbe la riduzione della pressione fiscale, oggi attestata a livelli folli, il miglioramento dei servizi finanziati con i soldi del contribuente, la drastica riduzione di sprechi, privilegi e clientelismo. Solo se combinata con azioni politiche di questo tipo la repressione dell’evasione può portare a risultati positivi. Pensare di batterla con il puro moltiplicarsi dei controlli non porta invece a nulla di buono. Per farla breve: l’illegalità si combatte non, come stupidamente pensano Di Pietro e quelli come lui, estendendo il controllo burocratico sulla vita sociale ma principalmente facendo buone leggi in sintonia col senso morale diffuso fra i cittadini. Ciò non vuol dire, ovviamente, seguire le varie oscillazioni della pubblica opinione, vuol dire sintonizzarsi su quei sentimenti profondi, basilari che costituiscono il fondamento stesso ed il cemento della vita sociale. Staccarsi da questi sentimenti per attestarsi su posizioni di elitarismo snobistico combinato con l’incremento di pratiche puramente repressive è il peggiore degli errori. Si disprezza il popolo bue, lo si opprime con una quantità demenziale di leggi, leggine e regolamenti e si cerca di controllarlo il più possibile per “combattere l’illegalità”. Lo snobismo di frivoli pseudo intellettuali combinato con una rude mentalità forcaiola è la peggiore delle ricette: riduce le libertà civili, stressa i cittadini e non riduce di un millimetro l’illegalità. Assolutamente orribile!

6) Bisogna ammetterlo: il dipietrismo attrae. Dal punto di vista teorico si tratta di una filosofia politica che non vale nulla: poco più di un insieme rozzo e malamente assemblato di luoghi comuni qualunquisti e forcaioli. Eppure questo guazzabuglio di banalità, qualunquismo e mentalità forcaiola esercita un suo fascino, attrae buone quantità di esseri umani, ha una estensione che va oltre i confini, ristretti ma non insignificanti, di un partito impresentabile come l’Italia dei valori.
La cosa è triste ma tutto sommato spiegabile.
Il dipietrismo è semplice. Dà ai problemi degli esseri umani risposte sbagliate, puerilmente semplicistiche ma immediatamente comprensibili. Noi tutti siamo circondati, quasi assediati da eventi che spesso ci appaiono sconcertanti ed incomprensibili, modi di pensare e di agire che ci turbano. A tutto questo la filosofia dipietrista dà una risposta semplice, alla portata di tutti. Dietro alle tante, troppe cose che rendono difficile la nostra vita c’è l’azione malvagia di criminali senza scrupoli. Le filosofie allucinate dei grandi totalitarismi dello scorso secolo additavano alla pubblica esecrazione dei mostri responsabili di ogni male. L’”ebreo”, o il “nemico del popolo” erano i responsabili della disoccupazione, della miseria, del fallimento dei grandi piani quinquennali. Gli “agenti dell’imperialismo” o i “congiurati ebraico massoni” tramavano per portare il mondo alla guerra. Fatte le debite proporzioni la filosofia politica di Di Pietro (e di Grillo, Travaglio eccetera) fa la stessa cosa. C’è la disoccupazione? Una fabbrica chiude? Il mondo è attraversato da guerre, conflitti interetnici, fanatismo? I colpevoli di tutto sono i grandi criminali, le multinazionali, i politici al soldo della mafia. Il futuro ci appare difficile, preoccupante, le prospettive sono incerte? La colpa è dei mafiosi piduisti che sono giunti addirittura a mettere le mani sul governo del paese (è significativo che sia i nazisti che, nel loro piccolo, i dipietristi mettano la massoneria al vertice delle organizzazioni criminali). Tutto è semplice, chiaro. Non occorre comprendere come funziona un sistema economico, cercare di capire un’ideologia che spinge degli esseri umani a farsi esplodere al solo fine di uccidere degli “infedeli”, confrontarsi con la complessità delle moderne società post industriali. La soluzione sta lì, a portata di mano, ha un volto, un nome. Il dipietrismo toglie agli uomini l’immane fastidio di pensare.
Ma la filosofia dipietrista non si limita a fornire risposte semplici a problemi difficili, viene anche incontro ad una esigenza profonda dell’animo umano: quella di trovare un colpevole per ogni evento luttuoso o semplicemente negativo. La vita di tutti noi spesso è sconvolta da eventi tristi, a volte addirittura drammatici, eventi che sembrano, che sono, ingiusti ma di cui non è possibile accusare nessuno. Un incidente, una malattia improvvisa, una catastrofe naturale troncano la vita di un nostro caro e questo ci appare ingiusto oltre che terribile, però non ci è possibile prendercela con nessuno, al dolore si aggiunge la rabbia, ma si tratta di una rabbia impotente. Ed è qui che la filosofia dipietrista ci viene in aiuto. Non è vero che non possiamo prendercela con nessuno: il colpevole c’è, deve esserci. I medici non si sono comportati bene, i lavori in quella strada sono stati fatti alla carlona, la protezione civile non è intervenuta adeguatamente. Dietro al caso fortuito, alla disgrazia, alla malattia che ti uccide in un mese c’è sempre qualche criminale, lui è il responsabile, il corrotto, lui si arrichisce sulle lacrime ed il sangue degli esseri umani. Molte volte i colpevoli ci sono, ovviamente, ma nel modo di pensare di Di Pietro e di quelli come lui i colpevoli devono esserci. Chi parla di caso o di tragica fatalità dimostra con ciò stesso di essere un disonesto o di difendere i disonesti. Tutto questo ricorda gli untori manzoniani? Certo, ma spesso è molto in sintonia con il dolore e la rabbia di un gran numero di esseri umani.
E infine il dipietrismo è rassicurante. Si, rassicurante, perché se alcuni di criminali sono i responsabile di tutto si può legittimamente sperare che tutto possa essere risolto con relativa facilità. Si mettano sotto controllo le multinazionali, si arrestino speculatori, corrotti e corruttori, mafiosi e piduisti, soprattutto si sbatta, finalmente, in galera Silvio Berlusconi e l’orizzonte tornerà ad essere sereno. Se dobbiamo misurarci con i complessi meccanismi del sistema finanziario internazionale, con un fanatismo diffuso a livello planetario, con società complesse e difficilmente governabili, con il caso, la tragica fatalità, con una natura che non si adatta alle nostre esigenze allora avremo sempre dei problemi da risolvere, nessuna soluzione sarà mai definitiva, potremo migliorare le società in cui viviamo ma non renderle perfette. Se invece tutto dipende dalla protervia di un branco di criminali le cose cambiano. Forse non riusciremo a sbatterli tutti in galera ma possiamo avvicinarci molto a questo obiettivo e con questo ad una società quasi perfetta. Controllo sociale, manette ed intercettazioni sostituiscono la lotta di classe quali strumenti per avvicinarci al nuovo eden. In questo senso il dipietrismo rappresenta una versione impoverita, meschina e ridicola dell’anelito alla perfezione che per tanti anni ha caratterizzato l’estrema sinistra italiana.

Di Pietro è un uomo piccolo e meschino ed il suo “pensiero” non ha praticamente alcun valore. Eppure è un uomo importante, è importante perché le sue “idee” sono in sintonia con altre idee, aspirazioni, sentimenti diffusi a livello di massa. Di Pietro non parla alla testa o al cuore degli esseri umani, parla al loro ventre, o ai loro genitali. Ma ottiene un relativo successo perché in momenti di difficoltà e di crisi un discorso rivolto a ventre e genitali può avere una sua efficacia. Proprio perché efficace la demagogia dipietrista rappresenta oggi un pericolo mortale per la democrazia in Italia. Non solo per le cose indecenti che propone ma, soprattutto, perché rende impossibile qualsiasi confronto pacato, qualsiasi tentativo di ricostruire nel paese una normale dialettica politica, di annodare le fila di un dialogo fra maggioranza ed opposizione sul grande tema delle riforme di cui il paese ha assoluto bisogno. Il dipietrismo vive di risse, usa argomenti e toni da guerra civile virtuale. Il demagogo abruzzese non capisce che, o forse capisce fin troppo bene, che le parole a volte non solo pesano come pietre ma spingono la gente ad usarle, le pietre, e magari non solo quelle. Fermarlo dovrebbe essere l’obiettivo comune di tutte le persone di buon senso. In Italia però il buon senso non è troppo diffuso.

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