venerdì 24 aprile 2015

VENTICINQUE APRILE




Il venticinque Aprile 1945 è una data importante, da ricordare. Quella data ci ricorda la fine di una dittatura che aveva precipitato il paese ad una guerra disastrosa e segna il crollo del nazismo, una delle due grandi tirannidi totalitarie del secolo scorso. E quella data ha rappresentato, è bene non scordarlo mai, la fine di un incubo orrendo per gli ebrei d'Europa, quelli scampati alla “soluzione finale” sognata e messa in atto con feroce determinazione, dai nazisti e dai loro scherani.
Giusto quindi festeggiare il venticinque Aprile. Giusto farlo a condizione di non scambiare la storia con la sua rappresentazione ideologica.
In effetti la storia della resistenza e, più in generale, del nazismo e del secondo conflitto mondiale, è carica di silenzi, reticenze se non addirittura di autentiche menzogne. Enumerarli tutti, o parlare anche solo dei più importanti con un minimo si approfondimento, è impossibile, mi limiterò quindi a qualche telegrafico esempio.
Per decenni sono state attentamente occultate le enormi responsabilità dell'URSS nello scoppio del secondo conflitto mondiale. Col patto Molotov Ribbentrop Stalin non solo fornì alla Germania nazista l'assicurazione che invadendo la Polonia non si sarebbe esposta ad una guerra su due fronti, ma si divise la stessa Polonia con Hitler. Se si vuole essere rigorosi si deve riconoscere che Francia ed Inghilterra avrebbero dovuto dichiarare, nel settembre del 1939, guerra sia alla Germania che all'URSS, visto che le due democrazie occidentali si erano impegnate a difendere la Polonia e che questa subì due invasioni: una, ad occidente, da parte della Germania nazista e un'altra, quando era ormai già piegata dai tedeschi, ad oriente, da parte dell'URSS.
E tante altre cose sono state per decenni occultate sul conflitto più sanguinoso della storia. Le menzogne decennali sulle fosse di Katyn, le violenze gratuite che seguirono la liberazione in Italia e in altri paesi, il dramma delle Foibe, i bombardamenti anglo americani delle città tedesche, che causarono un numero mostruoso di vittime civili senza avere importanti conseguenze strategico militari. Certo, la ferocia dei crimini nazisti è inarrivabile, ma sarebbe bene che, a settanta anni di distanza dalla sua conclusione, la storia del secondo conflitto mondiale fosse studiata senza pregiudiziali ideologiche, col coraggio di chiamare col loro nome i crimini, da chiunque commessi.

Soprattutto, sarebbe ora di liberarsi del mito della resistenza.
Quando parlo di mito della resistenza non mi riferisco tanto alle sciocchezze di chi afferma che “l'Italia è stata liberata dai partigiani”. Una simile affermazione fa semplicemente sorridere: l'Italia, piaccia o non piaccia la cosa, è stata liberata dagli anglo americani ed il ruolo militare della resistenza partigiana è stato secondario. No, il mito vero della resistenza è un altro ed ha segnato in profondità la storia della nostra repubblica. Secondo tale mito la resistenza è stata condotta da uomini che, al di la delle differenze che pure li caratterizzavano, erano tutti profondamente legati agli ideali di democrazia, libertà, progresso sociale. Fra i resistenti c'erano comunisti e socialisti, democratici cattolici e liberali, uomini con idee, valori e visioni del mondo assai diverse. Tutti però volevano la democrazia, la giustizia, l'indipendenza nazionale. Ciò che li divideva era di gran lunga meno importante di ciò che li univa. Conseguenza di questa concezione è l'idea che l'antifascismo sia stato un valore in se. Non una alleanza temporanea dettata dalla necessità di far fronte ad un nemico potente, ma una visione del mondo davvero unitaria, un coerente sistema di valori.
Tutto questo altro non è che un mito, anche se, come tutti i miti, contiene un frammento di verità. E' vero, i partigiani hanno condotto una lotta comune contro nazismo e fascismo, ma non è vero che avessero fini comuni; i loro fini erano profondamente diversi, anzi, radicalmente opposti. I partigiani comunisti (la maggioranza, va ammesso) volevano trasformare l'Italia in una democrazia popolare del tipo di quelle che furono imposte si popoli dell'est Europa dalla armata rossa. Il loro leader autentico era Giuseppe Stalin e combatterono al fianco degli anglo americani solo perché Stalin in quel momento era loro alleato. Altre formazioni partigiane volevano una repubblica democratica, più o meno “socialmente avanzata”, ma completamente diversa dal tipo di “repubblica democratica” che i “liberatori” sovietici avevano imposto a Cecoslovacchia o Romania, Bulgaria o Germania orientale.
Questa differenza interna alla resistenza ne marca sanguinosamente la storia. La resistenza non è stata lotta unitaria di uomini diversi ma affratellati dalla comune fede antifascista. No, la storia della resistenza è anche storia di crudeli lotte intestine risolte molto spesso a suon di plotoni d'esecuzione. Lotte intestine non solo fra partigiani comunisti e non, lotte intestine, ed autentiche purghe, anche all'interno della resistenza comunista. Ne è prova la vicenda di Pietro Tresso.
Pietro Tresso aveva aderito al Partito comunista d'Italia sin dal 1921 ed era diventato in seguito membro del comitato centrale dello stesso. Espulso dal partito nel 1930 per la sua vicinanza alle tesi di Trotzky, Tresso aderì all'opposizione di sinistra ed in seguito alla quarta internazionale. Partecipò alla resistenza francese e nel 1944 venne fucilato. Non dai nazisti, ma da un gruppo di partigiani stalinisti. Non è un caso isolato. La guerra civile spagnola è stata caratterizzata da purghe sanguinose interne al movimento comunista. Il leader del POUM, una formazione di sinistra filo trotzkista, Andres Nin, venne rapito ed ucciso dagli staliniani. A chi chiedeva loro dove fosse Nin questi usavano rispondere, per dispregio: “A Paris o a Berlin”. Indicativo...

Non è il caso di dilungarsi sui casi particolari. Se davvero la resistenza fosse stata quel grande movimento unitario democratico che si dice non si capisce perché mai il fronte antifascista si sia frantumato dopo la fine della seconda guerra mondiale. L'antifascismo come fenomeno unitario non sopravvisse alla rottura fra i vincitori del nazismo. Eventi drammatici come l'imposizione ai paesi dell'est Europa di ferree dittature comuniste, con la conseguente spaccatura fra USA e URSS, provocarono in Italia la rottura fra comunisti e democristiani e questa trascinò il paese sull'orlo della guerra civile. La melensa retorica sugli “uomini della resistenza uniti dagli ideali dell'antifascismo” non può cancellare il fatto che per alcuni anni quegli uomini furono, letteralmente, sul punto di spararsi addosso. E la stessa retorica sui “padri della repubblica”, tutti considerati autentici democratici, non può cancellare il fatto che uno di quei padri, Palmiro Togliatti, non solo ha responsabilità gravissime, al limite della complicità, nei crimini dello stalinismo, ma rinunciò alla prospettiva insurrezionale solo perché era troppo intelligente da non capire che questa non aveva possibilità di vittoria, vista la presenza, per lui inquietante, in Italia dei marines made in USA.
La cosa più grave è che la nostra costituzione è figlia di questa disomogeneità fra coloro che la hanno scritta. E' vero: la costituzione della repubblica italiana è nata dalla resistenza, ma proprio per questo è una costituzione - compromesso. Intendiamoci, tutte le costituzioni contengono dei compromessi, se non altro per l'ovvio motivo che alla redazione di tutte le costituzioni hanno contribuito forze sociali, politiche, culturali diverse. Ma raramente il compromesso riguarda i valori fondanti dello stato. Questa invece è la caratteristica della nostra costituzione. I padri costituenti erano in parte fedeli seguaci dell'URSS staliniana, in parte democratici cattolici o liberali che guardavano quanto meno con simpatia agli USA. Il documento che è venuto fuori dal loro lavoro è, appunto, un compromesso sui valori. Ne è prova il dibattito che accompagnò in sede di assemblea costituente la redazione del primo articolo della nostra carta costituzionale. I costituenti liberali e democristiani volevano che questo dicesse che l'Italia è una repubblica democratica, quelli comunisti e socialisti (il PSI era allora fedele alleato del PCI) pretendevano che la dicitura fosse: “l'Italia è una repubblica democratica di lavoratori”, qualcosa di simile insomma alla famigerata RDT. Alla fine un democristiano, Fanfani, proporrà la dicitura di compromesso: “l'Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro” che non significa nulla. Il resto della costituzione è fedele a questa linea, con articoli che nella prima parte enunciano principi liberal democratici e nella seconda li attenuano, quando non li contraddicono. Non è un caso che la costituzione repubblicana sia stata “tirata per la giacca” da una parte e dall'altra per cercare di interpretarla in modi spesso diametralmente opposti. La cosa può non piacere ma va riconosciuta, una volta per tutte: la nostra repubblica è nata senza avere a fondamento idee e valori davvero condivisi. Tutta la nostra storia successiva ne è stata condizionata.

Le parole cambiano spesso significato, nel corso della storia. La parola “resistenza” è una di queste. Col termine “resistenza”, inteso in senso storico, si intendeva un tempo la resistenza contro i fascisti ed i nazisti nel corso della seconda guerra mondiale. Poi, lentamente, il termine ha cambiato significato. Questo si è ampliato, fino a comprendere qualsiasi tipo di resistenza contro tutto ciò che una certa parte politica giudica odioso. La “resistenza” contro il nazismo ed il fascismo è diventata di volta in volta “resistenza” contro i padroni sfruttatori, la finanza internazionale, la scuola di classe, gli inquinatori del mondo, o contro partiti antifascisti come la DC o il partito socialista di Craxi, o contro questo o quel governo. Ed oggi è di gran moda la “resistenza” contro il sionismo e chi il sionismo lo difende, o comunque non lo condanna, cioè la stragrande maggioranza degli ebrei.
L'antisemitismo è stata la caratteristica principale della ideologia hitleriana. Un antisemitismo assoluto, paranoico, omicida. Se le cose avessero un senso i primi a sfilare nei cortei che commemorano il 25 aprile dovrebbero essere gli ebrei, e la stella di Davide, quella con cui gli ebrei venivano identificati per essere condotti al macello, dovrebbe aprire tutti i cortei che commemorano la liberazione. Invece no. Nei cortei che commemorano la fine del nazismo la stella di Davide non può essere esposta, al suo posto sventolano le bandiere palestinesi! E poco conta, per i settari che le innalzano al cielo, che i “palestinesi” abbiano collaborato con Hitler nel corso del secondo conflitto mondiale, i settari se ne fregano della storia, di quella vera, la hanno sostituita con la sua immagine ideologica.
La brigata ebraica ha combattuto contro le SS più o meno nello stesso periodo in cui il gran Mufti di Gerusalemme organizzava squadre militari che con le SS collaboravano, ma i nipotini dei collaboratori di Hitler sono oggi fra i protagonisti dei cortei “resistenziali” da cui è esclusa la brigata ebraica. Bisogna avere il coraggio di dire la verità: le celebrazioni del venticinque aprile, o almeno la loro maggioranza, non hanno ormai più nulla a che vedere con lo spirito più positivo della resistenza. Sono o retoriche rimembranze di un tempo ormai lontano o esibizioni di intollerabile settarismo, caratterizzate spesso da un antisemitismo appena mascherato da antisionismo. Se qualcuno avesse detto, 70 anni fa, che un giorno il ricordo della liberazione sarebbe stato caratterizzato dall'antisemitismo tutti si sarebbero messi a ridere. Invece è così che vanno, oggi, le cose. Meglio allora lasciare che i settari manifestino da soli, mischiarsi a loro non ha alcun senso, né alcuna utilità.

Nessun commento:

Posta un commento