domenica 26 novembre 2017

EGITTO

“Il mondo islamico non può più essere percepito come fonte di ansia, pericolo, morte e distruzione per il resto dell'umanità. Le guide religiose dell'Islam devono uscire da se stesse e favorire una rivoluzione religiosa per sradicare il fanatismo e rimpiazzarlo con una versione più illuminata del mondo. (…)
I processi innescati dalla perversione islamista vanno bloccati. E' mai possibile che un miliardo e seicento milioni di persone possano mai pensare di riuscire a vivere solo se eliminano il resto dei sette miliardi di abitanti del mondo? No, è impossibile!”

Chi ha detto queste cose? Marine le Pen? Matteo Salvini? Donald Trump? No, le ha dette nel giugno del 2009, dinnanzi ai dotti della università di Azhar, Fattah al Sisi, presidente dell'Egitto.
Un abisso separa le parole di Al Sisi dai belati degli occidentali politicamente corretti. Il presidente egiziano non afferma che il terrorismo sarebbe estraneo all'Islam, come hanno fatto e fanno uno stuolo di personaggi che vanno da Barack Obama a Federica Mogherini a papa Francesco. Non tira in ballo le crociate o il colonialismo, e neppure i ghetti e l'islamofobia. Non contrappone i terroristi, piccoli gruppi di fanatici privi di seguito, alla massa dei fedeli islamici, al contrario dice chiaramente che dentro questa massa il germe del fondamentalismo fanatico ha messo solide radici. Al Sisi afferma in un'altra parte del suo discorso che l'Islam “autentico” è altra cosa dal fanatismo terrorista, ma aggiunge che per farlo emergere occorre nientemeno che una rivoluzione religiosa. In bocca ad un uomo politico europeo o americano queste parole verrebbero subito bollate come “manifestazione di islamofobia”. Così va il mondo...

L'Egitto è stato per lungo tempo la punta di diamante del fanatismo anti occidentale ed anti israeliano. Ha fatto almeno tre guerre contro Israele, la crisi di Suez, la guerra dei sei giorni e la guerra del Kippur, subendo sempre clamorose sconfitte. Alla fine Sadat, a suo tempo fedelissimo di Nasser, ha avuto il coraggio di assumere un atteggiamento realistico. Ha guardato ai veri interessi del suo popolo ed ha firmato la pace con Israele. L'Egitto ha riconosciuto diplomaticamente lo stato ebraico ed ha riavuto in cambio il Sinai, che aveva perso nella guerra dei sei giorni, un evento praticamente unico nella storia che molti occidentali dimenticano, quando parlano dei famosi “territori occupati”.
Sadat ha pagato con la vita il suo coraggio, ma da allora è stata pace fra Egitto ed Israele. E con Al Sisi l'Egitto ha iniziato una politica di collaborazione con lo stato ebraico finalizzata alla lotta al terrorismo. Per farla breve, se esiste in medio oriente uno stato con cui val la pena di dialogare e collaborare questo è proprio l'Egitto di Al Sisi.
Ma è proprio questo stato ad essere da tempo nel mirino degli occidentali “dialoganti”. L'Egitto di Al Sisi non è una vera democrazia, ripetono continuamente questi personaggi. Al Sisi ha compiuto un autentico golpe contro i fratelli musulmani che a suo tempo vinsero le elezioni, aggiungono. Certo, l'Egitto non è una "vera" democrazia, ma, Israele a parte, esistono forse “vere” democrazie in medio oriente? Quanto ai fratelli musulmani, è vero, vinsero le elezioni, ma nelle “vere” democrazie una forza che vince alle elezioni ha diritto di governare, non di eliminare le opposizioni.
Ma tutto questo conta poco per certi occidentali. Per loro si può dialogare con tutti, qualcuno fra gli incredibili “5 stelle” ha addirittura teorizzato che i terroristi dell'ISIS dovrebbero essere promossi al rango di “interlocutori”, ma non con l'Egitto di Al Sisi. Di fronte al presidente egiziano tutti si ricordano dei principi della democrazia liberale. Che bravi!
L'Italia poi! Ha assunto con l'Egitto di Al Sisi un atteggiamento durissimo, mai assunto nei confronti delle peggiori dittature teocratiche. C'era di mezzo il caso Regeni, è vero, ma il caso dei due marò, di fatto sequestrati dal governo e dalla magistratura indiane, non ha provocato conseguenze simili nei rapporti Italia India, mi pare.

L'Egitto è un po' la cartina di tornasole di tutte le ipocrisie, le paure, le viltà dell'occidente politicamente corretto. Gli occidentali “buoni” condannano senza riserve Al Sisi non per il suo autoritarismo, ma per la fermezza che dimostra nei confronti del terrorismo fondamentalista. L'Egitto piace poco ai "dialoganti" perché il dialogo con l'Egitto rende molto difficile qualsiasi apertura, compiacenza o giustificazionismo nei confronti del fondamentalismo islamico.
Per questo le parole di cordoglio dopo l'ultimo, rivoltante attentato perpetrato in quel paese suonano non sincere, ipocrite. Come i minuti di silenzio, i palloncini, i gessetti colorati, i lumini e i fiori.

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