martedì 14 maggio 2013

ARISTOTELE, BERLUSCONI E IL PRINCIPIO DEL TERZO ESCLUSO



Gli affari giudiziari privati del signor Berlusconi non sono e non devono diventare un caso politico, chi è innocente si difenda nei processi”. Molti fanno commenti di questo tipo a proposito dei processi a carico del leader del centro destra. “Lasciamo fare ai magistrati”, dicono, “una cosa è la politica, altra cosa i processi, noi non commentiamo le sentenze”. Tutto molto legalitario, ed anche molto, molto ipocrita.
A sentire questi sottili distinguo mi viene in mente il principio del terzo escluso, si quello di Aristotele (e di tutta la logica a lui successiva), quello che dice: “è’ impossibile che il medesimo attributo, nel medesimo tempo appartenga e non appartenga al medesimo soggetto e nella medesima relazione”.
Cosa c'entra il vecchio Aristotele con alcuni dei commenti ai processi a carico del cavaliere? Molto semplice. Questi commenti violano clamorosamente proprio il principio del terzo escluso.
I processi a carico di Berlusconi non riguardano la politica, si dice, quindi non ne parliamo. I casi giudiziari si risolvano nelle aule giudiziarie. Apparentemente sembra un discorso sensato, invece non lo è, per niente. Ce lo dice il principio del terzo escluso.
Berlusconi è un leader politico. Dal momento in cui è entrato in politica questo leader ha dovuto subire oltre 100 inchieste a suo carico, più di 33 processi, centinaia di migliaia di intercettazioni. Le accuse a suo carico coprono quasi l'intero arco del codice penale. Si va dalle stragi mafiose al favoreggiamento della prostituzione minorile, passando per corruzione, concussione, peculato, voto di scambio, compravendita di senatori, frode fiscale e chi più ne ha più ne metta; roba che Al Capone al confronto sembra un innocente pargoletto.
Ora, come dice il vecchio Aristotele, e tutta la logica a lui successiva, i casi sono due,
non si scappa.

Se
Berlusconi è colpevole, anche solo della metà, o di un terzo o di un quarto dei crimini di cui è accusato, allora il più forte partito italiano è nella mani di un pericolosissimo criminale e questo, piaccia o non piaccia agli ipocriti, è un fatto politico a tutti gli effetti. Non si può collaborare con un partito fondato e diretto da un criminale, ed usato da questo criminale per cercare di risolvere i suoi problemi con la giustizia. Invece di collaborare o anche solo di discutere, o di polemizzare, con un simile partito occorrerebbe porsi il problema di metterlo fuori legge: direi che è più che legittimo il sospetto che un partito che ha come leader incontrastato un criminale sia a sua volta una associazione criminale. Considerazioni simili valgono per i collaboratori del cavaliere, quanto meno per quelli più stretti. Invece di collaborare col Pdl bisognerebbe aprire fior di inchieste giudiziarie sui vari Alfano, Gasparri e Cicchito che collaborano da anni col cavaliere. Occorrerebbe anche indagare il signor Gianfranco Fini che per diciassette anni è stato il suo fido scudiero. I collaboratori di Al capone venivano indagati e se possibile condannati, mi pare.

Se invece
Berlusconi è innocente, quanto meno, innocente della gran maggioranza dei crimini di cui è accusato, e magari è colpevole solo di aver commesso qualche leggerezza di poco peso, allora è un caso politico l'incredibile accanimento con cui i magistrati lo perseguitano da venti anni. Non è serio in questo caso parlare di “errori” dei magistrati. Si possono commettere molti errori giudiziari riguardo a molte persone, o pochissimi, uno, due al massimo, errori giudiziari riguardo alla stessa persona, ma non si possono commettere moltissimi errori giudiziari che riguardano sempre la stessa persona. Aprire di continuo nuove inchieste sempre a carico dello stesso un uomo, stralciare da vecchi procedimenti inchieste nuove sempre sullo stesso uomo non può essere definito un “errore giudiziario”. Dietro ad una simile marea di “errori” è fin troppo facile individuare il desiderio di trovare qualche reato a carico di una specifica persona, di arrivare comunque a qualche condanna che la faccia uscire con disonore dall'arena della politica. Insomma, se Berlusconi è innocente esiste, ed è enorme, il problema dell'uso politico della giustizia e quella della riforma della magistratura diventa una autentica emergenza democratica. Tertium non datur.

E così, anche riguardo a Berlusconi ed alle sue vicende giudiziarie hanno ragione il vecchio Aristotele ed il suo principio del terzo escluso. Ed hanno torto gli ipocriti, quelli che dicono: “lasciano fare ai magistrati”, “i processi sono una cosa la politica un'altra”.
Ed ha torto anche Beppe Grillo. Il demagogo genovese ha detto, a proposito di Berlusconi, che lo “psiconano” farebbe bene a lasciare l'Italia. Che scappi in un'isola caraibica, lì, pieno di soldi e circondato da favolose veline, potrà passare in pace il resto dei suoi giorni senza rompere le palle agli italiani. E no caro signor Grillo, lei sta violando il principio del terzo escluso! Se Berlusconi è il criminale che si dice non deve andare in un'isola caraibica, troppo comodo! Deve finire in galera, in una cella di rigore, magari buia, umida, ubicata trenta metri sotto terra. Il nuovo Al Capone dovrebbe scappare ai Caraibi? E perché, solo perché ha tanti soldi? O perché tanti italiani lo amano? Ma, essere amato da un branco di evasori fiscali rincoglioniti dalla TV non è mica una attenuante! Non rende mica innocenti i delinquenti!
Forse anche uno come Grillo si sente un po' a disagio immaginando il leader del più importante partito italiano in cella. Sono fatti suoi! Aristotele gli ricorda il principio del terzo escluso: non si può essere forcaioli a metà, se sei forcaiolo lo devi essere fino in fondo, anche se magari a volte ti prende un leggero senso di fastidio pensando a
alle conseguenze delle cazzate che spari!
O con Aristotele o con gli ipocriti. Tertium non datur... appunto!

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