giovedì 9 maggio 2013

LENIN E I MAGISTRATI



Lenin, che era un avvocato fallito, odiava i giuristi, di qualsiasi tipo e detestava particolarmente i magistrati. La cosa non è affatto strana, al contrario. Il magistrato è un tutore dello status quo, deve applicare la legge ai casi concreti e non si sogna neppure di contestare la validità delle leggi che sta applicando. La magistratura difende la società così come questa è in un certo momento storico; persegue chi, infrangendo la legge, si pone fuori e contro le regole che rendono possibile l'ordinato svolgersi della vita sociale. Si tratta, com'è evidente, di una funzione diametralmente opposta a quella del rivoluzionario che vuole invece rovesciare l'ordine sociale, infrangere le regole su cui questo di basa.
In effetti quelle che dovrebbero essere le virtù del buon magistrato sono quanto di più distante si possa immaginare dalle virtù del buon rivoluzionario.
Il buon magistrato è imparziale, oggettivo, equilibrato. Il suo ideale è la assoluta oggettività e, anche se sa di non poter raggiungere tale ideale, cerca di attenervisi il più possibile. Il buon rivoluzionario invece è la persona meno imparziale del mondo. Non vuole essere “parte terza” fra i contendenti, egli è, a pieno titolo, parte in causa nella contesa. Il rivoluzionario non deve stabilire in maniera ponderata ed oggettiva da che parte stia la ragione, vuole far vincere la sua ragione; a differenza del buon magistrato, che deve tener conto di tutti i punti di vista, il rivoluzionario vuole che sia il suo punto di vista a prevalere, a qualsiasi costo. Il buon magistrato non è mai in guerra con nessuno, neppure con la “criminalità”: si limita ad appurare chi nel caso specifico abbia commesso un certo crimine. Il rivoluzionario invece è in guerra con lo stato di cose esistente ed è intenzionato a continuare questa guerra fino a che lo stato di cose esistente non sia stato distrutto, dalle fondamenta.
Il magistrato ed il rivoluzionario sono quindi figure diametralmente opposte. Il magistrato, difendendo la “sacralità della legge”, difende una società che il rivoluzionario si propone invece di distruggere. Lenin non sbagliava, dal suo punto di vista, quando riempiva di odio e disprezzo i giuristi di ogni tipo, e soprattutto i magistrati.

In Italia però accade oggi un fatto molto strano. Molti magistrati scendono in politica e militano in partiti e movimenti accanto a dei comunisti dichiarati. I vari Di Pietro, Ingroia, De Magistris vanno a braccetto con un dinosauro comunista come Oliviero Diliberto, manifestano insieme ai giovani dei centri sociali, sono solidali coi NO TAV. Non solo, indipendentemente dalle loro scelte politiche, molti, troppi, magistrati italiani mostrano di avere virtù che non sono caratteristiche della funzione che svolgono e sono invece molto simili alle virtù del buon rivoluzionario.
Si ascolti un Ingroia, o un Di Pietro e non si troverà nelle loro parole nulla che assomigli, neppure alla lontana, all'equilibrio, alla imparzialità, alla ponderatezza. Un magistrato, un magistrato
vero intendo, definirebbe mai “criminale” una persona che non ha ancora subito una condanna definitiva? E si sognerebbe mai di partecipare a comizi politici? E di confessare candidamente, arringando la platea, la sua parzialità? Un magistrato autentico si porrebbe mai l'obiettivo di “rivoltare la società come un calzino”? E un magistrato degno di questo nome strillerebbe contro la approvazione di questa o quella legge? Il suo compito di magistrato e quello di giudicare le persone in base alle leggi, non di giudicare le leggi. Un magistrato che giudica una legge è una autentica contraddizione in termini. Eppure in Italia di simili “magistrati” ce ne sono, molti.
In Italia ci sono oggi molti magistrati che non si pongono il compito di applicare con rigore ed imparzialità le leggi, si pongono invece il compito, del tutto opposto, di usare le leggi per raggiungere determinati fini politici.
Lenin non
avrebbe mai previsto una situazione tanto strana, eppure non c'è molta differenza fra il magistrato che usa le leggi contro “il sistema” ed rivoluzionario che usa lo scanno parlamentare come tribuna per propagandare idee sovversive. Lenin aveva teorizzato un uso dei diritti democratici finalizzato alla distruzione della democrazia, ma non è mai giunto a teorizzare che la legge “borghese” potesse diventare un'arma contro “la borghesia” o quantomeno contro alcuni suoi importanti esponenti. Ulteriore dimostrazione che la realtà supera, in molti casi, la più fervida delle fantasie.

Certo, la struttura istituzionale del nostro paese ha favorito, eccome, il sorgere di una situazione tanto paradossale. In un vero stato di diritto vale la regola secondo cui ogni potere dello stato è controllato da qualcuno ad esso esterno. A controlla B, B controlla C, C controlla A: questa dovrebbe essere la regola, e lo è nelle più importanti democrazie dell'occidente. In Italia invece la magistratura si “autogoverna”, è di fatto sottratta ad ogni controllo e limite. I nostri padri costituenti avevano il terrore, giustificato in fondo, che qualche forza politica potesse utilizzare contro i propri avversari l'enorme potere di cui i magistrati sono depositari. Hanno creato così una magistratura autoreferenziale, irresponsabile, unico controllore di se stessa. Molto bello, per alcuni. I magistrati in questo modo difendono i cittadini senza che nessuno possa in nessun modo condizionarli. Si, molto bello, però...
chi difende i cittadini dai magistrati? Chi controlla i controllori? I forcaioli di ogni tipo questi problemini non se li pongono.
E così in Italia alcuni magistrati, che in un paese come gli Usa sarebbero cacciati a pedate dalla magistratura, fanno il bello ed il cattivo tempo, emettono sentenze assurde, si inventano inchieste sempre nuove a carico della stessa persona, intercettano mezzo mondo, pretendono di avere l'ultima parola su tutto o quasi.
Ed il paese intanto continua ad affondare.

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