domenica 7 dicembre 2014

IDENTITA'

L'identità è l'insieme coordinato delle caratteristiche di un ente, tutto quello che fa di un ente ciò che  questo realmente è. Ogni essere umano ha la sua identità. Ha un nome, un aspetto fisico, una vita interiore. Ha un certo modo di pensare, una storia privata e pubblica, un insieme di ricordi. Ha una cultura, sentimenti, simpatie ed antipatie, amori, a volte anche odi. Ha un suo modo di vedere il mondo e di rapportarsi agli altri. Soprattutto, ha la capacità di tenere unito tutto questo. Io coordino in ogni istante della mia vita stati mentali e fisici, il muoversi del mio corpo ed il fluire dei miei pensieri e delle mie sensazioni. Collego nel tempo i ricordi del passato alle aspettative per il futuro, unificandole in quell'attimo sempre fuggente che è il presente. Ed è questo “tenere unito” che fa si che io possa considerare mie le esperienze che vivo e possa dire che quella che sto vivendo è la mia vita.
La perdita della identità coincide con lo sfaldarsi di questo “tener unito”. Quando l'attività unificante inizia a perdere colpi l'io va incontro ad un irreversibile processo di decomposizione. Non connette, non unifica, la sua vita diventa un fluire indistinto in cui va persa ogni organizzazione, ogni distinzione ed ogni gerarchia di eventi . E' un processo che termina con la morte, ma anche prima del grande salto un io sgretolato, non unificato, non più centro della sua esperienza, cessa, a rigore di essere un io. E' un io privo di identità.

Anche le società e le civiltà hanno una loro identità. Certo, una società, e, a maggior ragione, una civiltà non sono degli individui. Non esiste una “signora società” con un suo sentire, pensare, agire distinto da quello degli individui che la compongono. Le società e le civiltà sono composte da individui, non sono super individui. Ma gli individui formano una società solo se sono uniti da qualcosa: un insieme di interessi, idee, valori, sentimenti comuni. Un comune senso di appartenenza, il legame con un linguaggio, un territorio, una tradizione. Questo insieme di interessi, idee, valori, costituisce il centro di gravità di civiltà e società. Se questo scompare la convivenza diventa ogni giorno più difficile, la cooperazione cessa, la società si spezzetta in una miriade di gruppi ed individui che si combattono o si ignorano a vicenda. Società e civiltà perdono allora la propria identità, si trasformano prima in contenitori vuoti, insiemi di persone non unite da nulla. Poi inevitabilmente decadono e muoiono.
Qualcuno potrebbe obbiettare che società libere, pluraliste e democratiche, non hanno, né possono avere un centro unificante. Libertà e pluralismo sono policentrici, pretendere che società fondate sul rispetto per la libertà individuale abbiano un centro unificante equivarrebbe a distruggere la libertà, dicono alcuni. Le cose sono però un tantino più complesse. Le società libere hanno più delle altre bisogno di un centro unificante, di pochi ma fondamentali valori largamente condivisi. Una economia di mercato non può funzionare se la gran maggioranza degli operatori non rispetta le regole della corretta concorrenza e, più in generale, se non esiste fra loro almeno un buon livello di reciproca fiducia. Una democrazia vive solo se il principio di maggioranza, e le sue limitazioni, sono largamente rispettati e condivisi. La libertà individuale degenera e muore se la stragrande maggioranza degli esseri umani non considera un valore fondamentale, stavo per scrivere “sacro”, la libertà della persona. In società prive di un centro di aggregazione gli individui si trasformano in monadi incomunicanti, capaci non di competere ma di combattersi, di ignorarsi ma non di ascoltarsi e rispettarsi reciprocamente.

I politicamente corretti odiano l'identità, meglio, la nostra identità. Parlano di "presunta identità”, storcono la bocca se qualcuno accenna ad una identità occidentale e subito appiccicano al malcapitato l'etichetta di “identitario”. Chi rivendica la nostra identità sarebbe un un pericoloso “reazionario” desideroso di “innalzare muri invece che costruire ponti”. Un intollerante sciovinista xenofobo, e chi più ne ha più ne metta. Invece di perdere tempo con le “identità” dovremmo “aprirci all'altro”, confrontare le idee, discutere, dialogare.
Si tratta però di sciocchezze. In realtà può aprirsi all'altro chi intanto è qualcuno o qualcosa, ha una sua identità. Posso scambiare idee se ho delle mie idee, posso prendere in considerazione valori in cui altri si riconoscono se ho dei miei valori, posso cercare di tener conto degli altrui interessi e cercare di armonizzarli con i miei se, appunto, ho dei miei interessi. E posso fare tutte queste belle cose se l'altro a cui desidero aprirmi è disposto ad aprirsi a sua volta con me, mi riconosce come interlocutore, senza considerarmi nemico.
Un individuo, un popolo o una civiltà privi di identità non possono discutere, confrontarsi, aprirsi con nessuno. Non si relazionano all'altro, possono al massimo cercare di contenerlo.
Contenere, questa è la parola chiave. Tutte le pretenziose sciocchezze che i seguaci del politicamente corretto spargono senza tregua dai media si basano in fondo su un fraintendimento, probabilmente voluto. Si scambia il confrontarsi con il contenere. Confrontarsi è impossibile se non si ha una identità propria.  Contenere vuol dire semplicemente accogliere in casa propria coloro che hanno una identità diversa. Accoglierli senza confrontarsi con loro, senza chieder loro nulla, un po' come il proprietario di un albergo non chiede nulla, né si confronta con i suoi clienti. Con una sostanziale differenza però: i clienti dell'albergo pagano.
Altro che apertura, confronto! I politicamente corretti vogliono solo accogliere. “Venite da noi”, dicono, “e noi non faremo nulla che possa urtare la vostra suscettibilità. Se i nostri discorsi vi infastidiscono noi parleremo a voce bassa, o smetteremo di parlare, ed anche di scrivere. Se le nostre feste sono per voi offensive noi le cambieremo: trasformeremo il Natale in festa dell'inverno e la Pasqua in festa della primavera, e se anche questo non basterà rinunceremo a Pasqua e Natale. Se i nostri costumi vi sembrano peccaminosi cercheremo di cambiarli, se le merci che si vendono nei nostri supermercati sono per voi intoccabili simboli di corruzione noi non obbligheremo quelli che di voi nei supermercati ci lavorano a toccarle, quelle orribili merci; col tempo vedremo di cessare di produrle e venderle. Costruiremo piscine separate per maschi e femmine, modificheremo le regole delle competizioni sportive, rimuoveremo simboli civili e religiosi che voi potreste considerare offensivi. E cambieremo i programmi scolastici, i nostri figli dovranno studiare la vostra storia e la geografia dei vostri paesi. Cercheremo, col tempo di imparare la vostra lingua. E se, malgrado tutto, voi continuerete a mettere bombe nelle nostre stazioni e dei nostri aerei noi, pur condannando certi atti estremi, cercheremo di capire le ragioni del vostro odio, e di meritarci il vostro amore”.
Nessun confronto, nessuna apertura quindi: solo la riduzione della nostra civiltà a contenitore. Un contenitore vuoto, asettico, una scatola in cui possano trovarsi bene coloro che hanno una identità diversa dalla nostra. Perché loro possono averla, una identità. Per loro essere “identitari” non è un crimine, loro non sono sciovinisti e xenofobi se rivendicano storia, tradizioni, simboli della loro civiltà.
La civiltà di Platone ed Aristotele, Kant e Newton, Dante e Shakespeare, Michelangelo e Beethoven ridotta a scatola vuota, e forse neppure a scatola, perché, in fondo, una scatola ha la sua identità: ha una forma, una dimensione, un colore. Sarebbe meglio dire ridotta ad un nulla culturale, mera virtualità, potenzialità ad accogliere, a contenere. Tutti, sempre, senza alcun confronto, scambio di idee, dibattito. Senza vero dialogo. Questa è la sostanza del politicamente corretto imperante nell'occidente decadente di oggi. Una sostanza celata, nascosta da fumosi discorsi, mascherata da bontà, solidarietà, volontà di dialogo e confronto. Ma che, al di là di tutte le maschere, si palesa tragicamente per quella che è: la proposta di una eutanasia dell'occidente.

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