sabato 20 gennaio 2024

BRANI DA "FRA FILOSOFIA E POLITICA"

 

Alcuni brani tratti da scritti presenti in “Fra filosofia e politica”

Da: “La morale di Kant”

… La possibilità di universalizzare una norma è un elemento essenziale della morale. In assenza di questo elemento la morale degenera inevitabilmente nel relativismo o nella stucchevole morale dei buoni sentimenti che ne costituisce spesso l’anticamera. Ognuno ha la sua morale perché ognuno ha la sua scala di valori. (...)

Ma l’universalizzazione non può essere fine a se stessa. In sé la possibilità di universalizzare un imperativo non basta a renderlo buono. Se l’imperativo “uccidetevi a vicenda” fosse universalizzabile non sarebbe per ciò conforme alla morale. Un imperativo è davvero morale quando ci comanda di rispettare universalmente qualcosa che è positivo per l’uomo, che gli consente di svilupparsi liberamente. E’ morale rispettare la vita, la libertà, l’autonomia degli esseri umani e la norma che ci impone di farlo non vale solo per me o per pochi altri, magari per i miei amici ed i miei familiari. La forma universale dell’imperativo morale vieta l’autoesenzione, non consente che qualcuno possa riservare a se solo qualche diritto o possa ritenersi esentato dall’obbligo di fare ciò che il dovere impone. Proprio per questo pone dei limiti alle nostre azioni, ci impedisce di violare i diritti degli altri e può impedircelo precisamente perché questi diritti sono universali, (...) La forma universale che deve assumere la norma morale è quindi essenziale, ma lo è in quando difende e tutela universalmente cose che riguardano gli esseri umani in carne ed ossa, persone empiricamente determinate che vivono qui ed ora nel mondo (o che ci vivranno)….


Da “La logica di Hegel”

...Il tentativo di Hegel di “superare” il principio di non contraddizione e con esso la logica solo formale, la conoscenza finita e la stessa umana finitezza hanno però un esito del tutto insoddisfacente.

In primo luogo Hegel ritiene di non dover nulla all’esperienza sensibile ma è invece enormemente debitore nei suoi confronti. Tutti i passaggi “logici” con cui Hegel tenta di “dedurre” dal puro pensiero il suo contenuto sono presi di peso dall’esperienza, dalla scienza del suo tempo o dall’esperienza storica. Hegel cerca di dare forma di divenire razionale a ciò che è e resta irrimediabilmente dato. (…)

In secondo luogo (e questa è forse la cosa più grave) il sistema di Hegel sembra costantemente avvilupparsi su se stesso, girare a vuoto. A si definisce tramite B e B tramite A, ma, qual è il significato reale, comprensibile, di A e di B? B rimanda ad A, A rimanda a B, il vero di entrambi è nella sintesi, nella totalità dinamica di questi rimandi, ma né A, né B né la loro sintesi riescono in questo modo a dare di se stessi un significato definito. Se non avessimo già un qualche concetto di cosa siano A e B potrebbe questo esserci dato dal gioco di rimandi, di affermazioni e negazioni in cui si risolve la dialettica hegeliana? No evidentemente. Ed ancora, come può un ente “trapassare” nell’altro, “accennare” all’altro se è in questo “trapassare”, in questo “accennare” che l’ente diventa ciò che è? Come può A relazionarsi con B se ciò che A significa è il risultato della relazione con B?
(…) Il principio di non contraddizione ci permette di relazionare gli enti fra loro ma impedisce ad un ente di passare nell’altro, di essere nel contempo se stesso e l’altro, l’altro e se stesso. Per questo il principio di non contraddizione, a differenza del principio di contraddizione, è il fondamento stesso del discorso sensato e comprensibile...


Da “Alienazione seconda parte Marx”

...Trasformando in enti logici gli enti reali la dialettica impone alla storia un corso predeterminato e totalmente illusorio, lontano anni luce dalla scienza di cui i marxisti affermano essere sostenitori.
La alienazione rappresenta una fase di questo processo predeterminato, fase necessaria, destinata però ad essere superata. Uscito da se l'uomo torna a se, recupera la sua essenza umana dopo averla perduta. Ma proprio qui nascone le contraddizioni. Come può un ente che è fuori di se, un ente alienato, desiderare il superamento della sua condizione alienata? L'uomo alienato
non è, val la pena di ripeterlo, un uomo oppresso, tenuto in catene, impossibilitato a sviluppare quanto di meglio c'è in lui. Un uomo tenuto prigioniero può desiderare e desidera liberarsi dalle sue catene appunto perché queste lo opprimono in quanto ente positivo uomo. Ci si può ribellare contro qualcosa quando questo qualcosa opprime e limita ciò che siamo. Un uomo che vive in un abbruttente miseria desidera un certo livello di benessere, lo schiavo vuole essere libero, ognuno pretende il rispetto dei suoi simili. Ma si può desiderare il benessere, la libertà, il rispetto, proprio in quanto si è uomini. La propria umanità è il presupposto della lotta per la propria emancipazione. Ma l'uomo alienato non è propriamente un uomo, un ente positivo che desidera realizzare appieno la sua positività. E' un non uomo, un ente negativo che, appunto perché tale, ha desideri, aspirazioni, bisogni che appartengono per intero al suo essere negativo. I desideri, i bisogni, le aspirazioni di un ente negativo, alienato, non possono essere che il riflesso della sua alienazione, non possono contenere alcun anelito alla liberazione. Se desidero recuperare la mia essenza vuol dire che in realtà non la ho davvero persa…


Da “Sul materialismo storico e la presunta assoluta centralità dell’economia”

...Si
è fatto un accenno agli eventi distruttivi. In effetti questi sorgono spesso in ambiti che con l'economia hanno relativamente poco a che fare. Che le guerra abbiano sempre origine economica è ormai un luogo comune. Comodo luogo comune che serve ad assolvere, ad esempio, ideologia e religione che invece con la guerra hanno avuto a che fare spesso e volentieri.
Perché dovrei fare la guerra a Tizio per impossessarmi del suo denaro e non perché lo considero un mostro che per il solo fatto di esistere offende i miei sentimenti più profondi? Possono convivere due stati uno dei quali considera l'altro un ricettacolo di corruzione in grado di infettare, prima o poi, i suoi stessi cittadini? Pensare che ci si possa ammazzare solo per denaro è una variante dell'idea secondo cui l'unico obiettivo che gli esseri umani perseguono è la ricerca del benessere materiale, ma questo è, molto semplicemente, falso. Il fanatismo religioso o ideologico, l'odio nei confronti di certe razze o certi popoli, la convinzione assoluta che certi pseudo ideali
debbano comunque affermarsi, costi quel che costi, son tutte cose che esistono e non riguardano solo sparuti gruppi di intellettuali. Le fedi irrazionali, gli ideali assoluti, gli stessi grandi filosofemi totalitari, debitamente banalizzati e semplificati, diventano spesso luoghi comuni popolari, sentimenti diffusi a livello di massa, esaltanti obiettivi collettivi, con le ben note conseguenze. Si elimini la componente fideistica, ideologica dalla storia ed eventi come la shoah, l'eliminazione del kulak in quanto classe o il fondamentalismo islamico diventano inspiegabili. Certo, qualcuno trova sempre qualche pozzo di petrolio o qualche contratto commerciale che spiegherebbe tutto. Però, contratti commerciali se ne fanno ovunque, e ovunque c'è qualche appetibile materia prima. Non ovunque però ci sono guerre e massacri…


Da “L’ospite indesiderato”

...Esiste una autonomia del mondo dal soggetto? Il mondo esisteva prima che apparisse un qualsiasi soggetto senziente? E' evidente che nella
mia esperienza io sono in costante rapporto col mondo ed il mondo è in costante rapporto con me, ma il punto è: il mondo esiste solo nella mia esperienza o la mia esperienza mi rivela, in piccolissima parte, il mondo? Non appena il problema sia posto in questi termini esso inevitabilmente si amplia. Quasi tutti i soggettivisti parlano di soggetto ma usano poi spesso e volentieri il pronome “noi”. Parlano delle rappresentazioni “nell'uomo” ed intendono rappresentazioni in Tizio, Caio e Sempronio, addirittura si riferiscono alle rappresentazioni degli animali. Ma se il mondo è rappresentazione, se esiste solo in relazione al soggetto, a quale soggetto è relazionato? In chi è rappresentazione? Basta porre la domanda per avere la risposta: gli altri soggetti sono per me oggetti, oggetti esterni come le case ed i gatti; se il mondo esiste solo relazionato al soggetto esiste relazionato a me, è rappresentazione in me. Tutto il resto, compresi gli altri esseri umani esistono solo come mie rappresentazioni. Con quale fondamento allora posso parlare di Tizio, Caio e Sempronio come di soggetti senzienti distinti da me? Io vedo Tizio, parlo con lui, lo sento. Ma se Tizio esiste solo come rappresentazione in me posso ipotizzare che io sia a mia volta rappresentazione in lui? In realtà io non ho, non ho mai avuto e non posso avere la rappresentazione di Tizio che vede me come sua rappresentazione. Se io posso essere rappresentazione in Tizio allora Tizio non è, non può essere, solo rappresentazione in me, è, deve essere, almeno in parte, autonomo da me...


Da “Il coleottero di Wittgenstein”

...
Il linguaggio privato non distrugge solo la possibilità di un discorso intersoggettivo, rende impossibile anche il dialogo del soggetto con se stesso, mina l'unità dell'io pensante quindi anche la possibilità stessa del pensiero.
“Immaginiamo” scrive Wittgenstein sempre nelle
ricerche filosofiche, “una tabella che esista solo nella nostra memoria, per esempio, un vocabolario. Mediante un vocabolario possiamo giustificare la traduzione di una parola X con una parola Y. Ma sarà il caso di parlare di giustificazione anche quando questa tabella venga consultata solo nell'immaginazione? Ebbene, si tratterà appunto di una giustificazione soggettiva. Ma la giustificazione consiste nell'appellarsi ad un ufficio indipendente. (…) Non ci troviamo qui di fronte allo stesso caso? No; perché questo procedimento deve effettivamente evocare il ricordo esatto. Se non fosse dato controllare l'esattezza dell'immagine mentale dell'orario ferroviario, come potrebbe questa confermare l'esattezza del ricordo precedente? (sarebbe come acquistare più copie dello stesso giornale per assicurarci che le notizie in esso contenute siano vere)”. (7)
Il soggetto di Cartesio è solo con le sue sensazioni che si trasformano immediatamente in ricordi. Ogni controllo sulla esattezza dei ricordi si basa sul confronto fra un ricordo e l'altro, si tratta quindi di un controllo che non porta a nulla, non può garantire certezza alcuna, esattamente come comprare più copie dello stesso giornale non ci permette di verificare l'esattezza di quanto quel giornale riporta...


Da “Il cancro del politicamente corretto”

...Il liberalismo democratico rende compatibili universale e particolare, diritti dell
’uomo e tutela delle sue particolarità. L’impostazione politicamente corretta combina invece un universalismo fasullo che nega le particolarità ed un particolarismo di tipo tribale che nega i diritti universali. Cattivo universale e cattivo particolare insomma e loro combinazione nichilista. Più nello specifico l’impostazione politicamente corretta dà importanza all’universale laddove questo non dovrebbe avere rilevanza, da invece importanza al particolare laddove questo non conta, non può né deve contare.
L’universalismo democratico e liberale, ad esempio, non nega le particolarità nazionali, anzi, il diritto delle nazioni all’autodecisione è un tipico diritto democratico liberale. (…)
Proprio questo invece negano i teorici politicamente corretti del migrazionismo privo di limiti e regole. Tutti abbiamo pari dignità quindi ognuno ha il “diritto” di stabilirsi dove vuole, indipendentemente da qualsiasi limite, vincolo e controllo. Il mondo non deve avere confini, nostra patria è il mondo intero. Qui un universalismo fasullo nega una particolarità estremamente rilevante, negando in questo modo uno dei fondamentali diritti universali dell’uomo: quello, appunto, di riconoscersi in determinate nazioni, culture, civiltà.
D’altro canto gli stessi “no border” politicamente corretti rivendicano con forza la tutela delle particolarità nazionali, etniche e culturali all’interno dei vari stati, occidentali. Ognuno può entrare come e quando gli pare in Italia o in Europa, ma, una volta entrato, ha il diritto di difendere la propria particolarità anche contro e malgrado le leggi, i regolamenti, gli usi ed i costumi dei paesi ospitanti…


Da “Lo stato che non dovrebbe esistere”

Tutti si indignerebbero sinceramente se qualcuno dicesse che l’Italia, o la Francia, o l’Egitto non hanno diritto di esistere in quanto stati indipendenti, ma le cose cambiano se qualcuno dice che Israele non ha diritto di esistere in quanto stato. Di nessuno stato si dice oggi che ha diritto di esistere. E’ ovvio, scontato che la Russia o il Cile o qualsiasi altro stato abbiano diritto di esistere, non occorre ripeterlo. Per Israele no. Nel caso di Israele il semplice affermare il suo diritto all’esistenza scatena discussioni, dubbi, polemiche. (...)
La maledizione di Israele sta nella sua origine. La nascita di Israele è una macchia indelebile, una sorta di peccato originale (...) più radicali non si fanno troppi scrupoli: Israele è nato dalla cacciata dei palestinesi dalle loro terre, dicono, quelle terre devono essere ridate ai palestinesi, punto e basta. (...)

Chi ragiona in modo simile (e sono in tanti a farlo, anche nel democratico e laico occidente) commette, in primo luogo, un fondamentale errore di principio e, in secondo luogo, dimostra di ignorare la storia. L’errore di principio è abbastanza evidente. TUTTI i popoli di TUTTI gli stati del mondo occupano oggi terre che cinquanta, o cento o mille anni fa erano di altri popoli. La nascita di TUTTI gli stati è stata caratterizzata da violenze. (...) Se si dovesse contestare il diritto ad esistere di tutti gli stati la cui origine è stata caratterizzata da qualche violenza nessuno stato avrebbe oggi diritto di esistere.
(...)
Se proprio si volesse andare indietro nel tempo per stabilire chi abbia oggi il diritto di vivere in "Palestina" si dovrebbe concludere che gli ebrei e solo loro hanno questo diritto. Un tempo infatti  gli ebrei vivevano nella terra che oggi alcuni chiamano "Palestina" e in quella terra non vivevano i "palestinesi" (...
I primi coloni ebrei in Palestina si impossessarono della terra che intendevano colonizzare in maniera assai poco violenta: comprandola dai palestinesi. La compra vendita di terra proseguì per molto tempo, malgrado le pressioni di chi guardava con ostilità i nuovi venuti...







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