sabato 26 ottobre 2013

RECENSIONE: "LA CARITA' CHE UCCIDE" DI DAMBISA MOYO




“In Africa c'è un fabbricante di zanzariere che ne produce circa cinquecento la settimana. Da lavoro a dieci persone, ognuna delle quali (come in molti paesi africani) deve mantenere fino a quindici familiari. Per quanto lavorino sodo la loro produzione non è sufficiente a combattere gli insetti portatori di malaria.
Entra in scena un divo di Hollywood che fa un gran chiasso per mobilitare le masse e incitare i governi occidentali a raccogliere e inviare centomila zanzariere nella regione infestata dalla malaria al costo di un milione di dollari. Le zanzariere arrivano e vengono distribuite. Davvero una buona azione.
Col mercato inondato da zanzariere, però, il nostro fabbricante viene immediatamente estromesso dal mercato, i suoi dieci operai non possono più mantenere le centocinquanta persone che dipendono da loro (…) e, fatto non trascurabile, entro cinque anni al massimo la maggior parte delle zanzariere importate sarà danneggiata ed inutilizzabile.”
Si tratta, afferma Dambisa Moyo, nel libro “la carità che uccide” (BUR saggi 2011) del “paradosso micro-macro: un intervento efficace a breve termine può apportare pochi benefici tangibili di lunga durata; peggio ancora può, involontariamente, minare ogni fragile possibilità di sviluppo già esistente”.
Dambisa Moyo, economista di fama mondiale, è originaria dello Zaire. Nel libro di cui ci stiamo occupando, una volta tanto, i problemi dall'Africa sono affrontati da una africana, non da divi del rock, stelle del football, attori ed attrici di Hollywood. La tesi principale della Moyo è estremamente semplice e contrasta con tutti i luoghi comuni politicamente corretti che imperversano in occidente: gli aiuti ai paesi poveri, e, nello specifico all'Africa non servono. Non solo non servono, sono dannosi. L'esempio del fabbricante di zanzariere è quanto mai significativo. Una delle peggiori conseguenze degli aiuti è che bloccano lo sviluppo di una imprenditoria locale, l'unica che può garantire un decente sviluppo economico. Ben lungi dall'aiutare i paesi africani ad uscire dalla tragica spirale del sottosviluppo gli aiuti sono uno dei fattori, forse il principale, che impedisce che questa spirale sia spezzata.
Gli aiuti possono servire quando si tratta di interventi limitati, concentrati nel tempo, accompagnati da precise condizioni, insomma, prestiti da restituire in tempi determinati. Gli aiuti all'Africa sono però di tipo ben diverso: sono praticamente a fondo perduto, con debiti che vengono periodicamente “ridotti” solo perché se ne contraggono di nuovi, di fatto incondizionati, a tempo indeterminato.
La Moyo parte da un dato di fatto incontrovertibile: in meno di sessanta anni l'Africa ha ricevuto aiuti per circa mille miliardi di dollari, molti di più se si tiene conto della svalutazione, comunque  una cifra non da poco. Eppure non solo questi aiuti non hanno innescato alcun decollo economico, ma la situazione dell'Africa si è progressivamente aggravata. Qualche decennio fa molti paesi africani se la passavano meglio di altri come la Cina o l'India, oggi la situazione si è invertita e l'Africa vede peggiorare tutti i principali indicatori economici e sociali. “L'Africa non sta soltanto tendendo verso il basso” afferma la Moyo, “sta completamente scollegandosi dai progressi raggiunti nel resto del mondo”. Una situazione tragica, malgrado gli aiuti. Malgrado? Per la Moyo in conseguenza degli aiuti.

Gli aiuti, ben lungi dal favorire lo sviluppo, favoriscono un incredibile aumento della corruzione. Non vanno a finanziare, se non in misura ridottissima, opere pubbliche o investimenti produttivi, finiscono nelle mani di governi corrotti e tirannici e delle loro fameliche clientele. In parte le somme erogate a favore dell'Africa non restano neppure in Africa: finiscono in conti esteri.
Quando in occidente si pensa che una certa somma sia spesa per costruire un ospedale, in Africa si sta costruendo un bordello, ricorda provocatoriamente la Moyo.
Secondo alcune stime, viene ricordato, “risulta che almeno il 25% dei 525 miliardi di dollari (cioè 130 miliardi) prestati dalla banca mondiale ai paesi in via di sviluppo sia stato usato in modo disonesto. Le enormi somme degli aiuti quindi non solo incoraggiano la corruzione: la generano”. E, ovviamente, la corruzione è un potentissimo fattore frenante dello sviluppo: è molto difficile che un investitore straniero rischi i propri capitali in un pese in cui la corruzione dilaga a tutti i livelli.
La corruzione indotta dagli aiuti ha conseguenze sociali, oltre che economiche. In particolare blocca lo sviluppo di quel potente fattore di stabilità sociale costituito dal ceto medio. In Africa esiste un ceto medio, ma è solo marginalmente legato allo sviluppo delle attività produttive, si tratta per lo più di un sottile strato di popolazione foraggiato da denaro pubblico, quindi, in larga misura dagli aiuti. Tutto questo ha ripercussioni negative sulla formazione del capitale umano. Il capitale umano è un fattore decisivo della crescita economica: si tratta dell'insieme delle competenze diffuse a livello di società e, soprattutto, del clima di fiducia che lega i cittadini fra loro ed al loro governo. In società dipendenti da aiuti esteri, con un ritmo di sviluppo autonomo estremamente basso ed in balia della corruzione, il capitale umano non può che deteriorarsi, e questo diventa un nuovo ostacolo allo sviluppo. Molti governi africani del resto considerano, a ragione, gli aiuti una sorta di sostitutivo delle entrate fiscali. Non esistono tasse quindi, ed i governi non si sentono in alcun modo obbligati a fornire ai propri cittadini alcun servizio pubblico. La bassa pressione fiscale favorisce lo sviluppo, ricorda la Moyo, ma la assenza di tassazione crea un clima di reciproca estraneità fra governi e cittadini e questo è un fatto negativo.
Del resto, anche quando una parte degli aiuti finisce nelle tasche della gente comune questo non favorisce se non marginalmente l'economia. In economie stagnanti e tecnologicamente arretrate l'aumento della domanda si traduce non in un incentivo alla produzione ma in un incremento dell'inflazione. Allo stesso modo, le iniezioni di liquidità derivanti dagli aiuti determinano spesso pressioni sul cambio della moneta (i dollari devono essere convertiti in valuta locale), questa si rivaluta con conseguenze negative sulle esportazioni, cosa grave in paesi che vivono spesso di esportazioni.
Infine, ma non certo di scarsa importanza, gli aiuti favoriscono il clima di perenne guerra che opprime larga parte del continente africano. I vari capi e capetti militari cercano affannosamente di conquistare il potere statale perché lì sta il principale rubinetto del denaro. Le somme messe in circolazione dagli aiuti vengono spesso spese in armi e servono per fidelizzare la soldataglia intorno a piccoli, e spietati, signori della guerra.
In occidente sono in molti a rendersi conto che gli aiuti prendono direzioni ben diverse da quelle volute, e c'è chi teorizza che si dovrebbe controllare come gli aiuti vengono utilizzati; però, pensare che da un comodo ufficio di New York si possa “controllare” come vengono spesi un bel po' di dollari nell'Africa sub sahariana è semplicemente ridicolo. L'unico “controllo “ possibile sarebbe legare la prosecuzione degli aiuti al raggiungimento di chiari, controllabili, livelli di sviluppo, ma questo significherebbe di fatto la fine degli aiuti. Gli aiuti non favoriscono la crescita, anzi, la ostacolano e questo crea una domanda supplementare di aiuti. Questa è la tragica spirale in cui si dibatte l'Africa.

Può essere spezzata questa spirale? A questa domanda cerca di dare risposta la parte propositiva del libro di Dambisa Moyo.
L'Africa ha bisogno di fondi, ma questi possono essere reperiti, meglio che dagli aiuti, sul mercato obbligazionario internazionale. Perché emettere obbligazioni è meglio che ricevere aiuti? Si tratta comunque di somme prese a prestito, e le emissioni di obbligazioni hanno un costo maggiore. Però, se un paese emette obbligazioni sa che deve rimborsare il prestito alla scadenza, se non lo fa non troverà tanto facilmente altri sottoscrittori, inoltre per piazzare le proprie obbligazioni c'è bisogno di un rating, buono possibilmente. Tutto questo invoglia, si potrebbe dire obbliga, i governi ad utilizzare in maniera molto oculata i soldi avuti in prestito. Questi devono servire ad attività economiche produttive, non essere sperperati in spese futili, depositati in conti esteri o usati per finanziare clientele fameliche.
Si possono fare considerazioni simili per gli investimenti internazionali. L'Africa, afferma Dambisa Moyo, può rappresentare una ottima occasione per investitori in cerca di nuove occasioni di profitto, a condizione che si doti di istituzioni adeguate, riduca il peso di una burocrazia inefficiente e si emancipi, almeno in parte, dalla situazione di dilagante corruzione in cui si dibatte attualmente. Lo stesso vale per il commercio. Le materie prime di cui l'Africa abbonda fanno gola a molti ed è possibile ricavarne i fondi indispensabili per lo sviluppo. Sono in molti a voler commerciare con l'Africa, Cina in testa, basta creare una situazione istituzionale idonea, e dal commercio possono venire proventi assai più cospicui che non dagli aiuti. Quello che occorre all'Africa, afferma la Moyo, non sono stuoli di giovanotti pronti a partecipare a collette umanitarie. Servono investitori, commercianti, sottoscrittori di obbligazioni. Gente che vuole lavorare in Africa e con l'Africa e che esige che la sua attività sia adeguatamente remunerata. Un investitore cinese che costruisce una strada assume operai africani, immette liquidità nel sistema, sveltisce le comunicazioni, quindi rende più facili, o meno difficili, ulteriori iniziative economiche. Questo investitore, che mira, ovviamente, al profitto, fa per gli africani molto più di quanto non facciano tanti “generosi” sottoscrittori di aiuti a fondo perduto.

Dambisa Moyo dedica molte pagine assai interessanti al microcredito. Di cosa si tratta? Di prestiti di modesta entità concessi a piccoli o piccolissimi aspiranti imprenditori. Il guaio di chi chiede soldi a prestito in Africa consiste nel fatto che non è in grado di prestare garanzie. Una banca specializzata in microcredito cosa fa? Seleziona un gruppo di aspiranti lavoratori in proprio, ad esempio, donne che hanno bisogno di una macchina da cucire per lavori di piccola sartoria. Il prestito viene prima concesso ad A, quando A lo rende viene concesso a B e così via. Se Invece A non restituisce, B non avrà accesso al credito. In questo modo, malgrado le aspiranti sarte non siano obbligate in solido, si crea fra loro un interesse comune alla restituzione. Se per caso A non riesce a far fronte ai suoi impegni B, C, D intervengono per darle una mano. Questa solidarietà di gruppo diventa un ottimo sostituto delle garanzie: in effetti le percentuali di insolvenza nel microcredito, in America latina ad esempio, sono insolitamente molto basse. “Ricordate il fabbricante di zanzariere che, a causa degli aiuti, ora è estromesso dal mercato?” si chiede la Moyo, “quanto sarebbe potuto invece andare meglio se anche solo la metà del milione di dollari in donazioni fosse stata investita col microcredito?” La domanda è retorica.

L'occidente fa molte elemosine all'Africa, afferma la Moyo, ma non fa ciò che invece occorrerebbe davvero a questo continente in preda ad un sottosviluppo endemico: ridurre drasticamente i dazi protettivi che penalizzano le esportazioni africane di prodotti agricoli. “Se l'occidente vuole fare della morale sul mancato sviluppo dell'Africa, la questione da affrontare è il commercio, non gli aiuti”. Sia gli Stati Uniti che l'Unione europea spendono somme ingentissime in sussidi alle proprie agricolture e questo impedisce agli africani un accesso paritario ai mercati, di fatto li strangola. “Nell'Unione europea ogni bovino riceve sussidi per 2,5 dollari al giorno, un dollaro di più di quanto un miliardo di individui, molti dei quali africani, hanno ogni giorno per vivere (…) questi sussidi hanno un doppio impatto: i coltivatori occidentali vendono i propri prodotti in patria, ad un consumatore prigioniero, a prezzi superiori a quello di mercato, e possono permettersi di vendere sottocosto all'estero (…). I coltivatori africani non possono assolutamente competere con i milioni di tonnellate esportazioni sovvenzionate a prezzi tanto bassi”. Altro che “liberismo” che affama l'Africa! è il protezionismo statalista che contribuisce ad affamarla, e crea inoltre, è bene ricordarlo, numerosi problemi negli stessi paese avanzati.

Il libro della Moyo ha fatto molto discutere, soprattutto è stata al centro di molte polemiche la sua affermazione che la democrazia non sempre favorisce lo sviluppo economico. In paesi poverissimi la lotta alla povertà ha la precedenza sulla stessa democrazia. Certo, la democrazia liberale è il sistema che più di ogni altro favorisce la crescita dell'economia, questo Dambisa lo riconosce senza esitazioni, ma in situazioni come quelle africane può non avere effetti positivi. Più che della democrazia molti paesi dell'Africa avrebbero bisogno di “un dittatore benevolo e risoluto che introduca le riforme indispensabili a mettere in moto l'economia”. Si tratta di una tesi assai discutibile, del resto è la stessa Moyo a ricordare che “disgraziatamente, troppo spesso, le dittature sono tutt'altro che benevole”, ed inoltre, non è affatto detto che, una volta avviato lo sviluppo il “dittatore benevolo” si faccia da parte. Tuttavia è una tesi che, almeno in parte coglie il bersaglio, prova ne siano i fallimenti dei maldestri tentativi occidentali di imporre la democrazia in paesi del tutto privi di tradizioni democratiche. E prova ne sia, purtroppo, anche il chiaro fallimento delle varie “primavere arabe”.

L'Africa si è armai assuefatta agli aiuti, è un continente dipendente, drogato dalla “bontà” di cui è fatto oggetto. E si è assuefatto agli aiuti anche l'occidente, dove è sorta una autentica industria della solidarietà che da lavoro e redditi a decine di migliaia di persone. “I donatori occidentali hanno un'industria degli aiuti da alimentare, agricoltori da placare (vulnerabili quando le barriere del commercio vengono rimosse), elettori liberal con intenzioni “altruistiche” da tenere a bada, e, dovendo affrontare le proprie difficoltà, economiche, assai poco tempo per preoccuparsi della morte dell'Africa”. Gli aiuti insomma sono una droga non solo per l'Africa, lo sono, in maniera radicalmente diversa, è ovvio, per lo stesso occidente. Però, è necessario abbandonare gradualmente questa droga, è necessario anche se per gli africani può essere, all'inizio, doloroso. Continuare con la politica degli aiuti non serve a nulla, anzi, aggrava tutti i problemi.
Ciò che la Moyo vorrebbe è un'Africa capace di sviluppo, come sono stati capaci di sviluppo la Cina e l'India, il sud Corea ed il Brasile. Non piace alla economista originaria dello Zaire la prospettiva di un'Africa eternamente dipendente dalla “bontà” degli occidentali politicamente corretti, fatta oggetto di continuo di concerti di solidarietà, collette di solidarietà, campagne mediatiche di solidarietà. Dietro a tanta “bontà” si cela una sorta di nuovo, strisciante razzismo. “Il problema”, afferma la Moyo in un passo assai significativo ”è se considerare gli africani come bambini, incapaci di progredire autonomamente e di crescere senza che venga mostrato loro in che modo o senza esservi costretti; oppure trattarli come adulti e offrir loro la possibilità di tentare uno sviluppo economico duraturo. L'inconveniente del modello di dipendenza dagli aiuti è proprio che l'Africa viene sostanzialmente tenuta in un perpetuo stato infantile”.

La carità che uccide” è un autentico pugno nello stomaco, una provocazione contro chi ha fatto della “bontà” la scusa per non pensare, non affrontare i problemi, non vedere la realtà. Le sue tesi possono certo essere discusse ma non rimosse con una sprezzante alzata di spalle, cosa in cui eccellono gli “intellettuali” del politicamente corretto. Scritto in uno stile piano ma coinvolgente, anche se non particolarmente brillante, con tecnicismi ridotti al minimo, questo libro offre un quadro dell'Africa e dei suoi problemi di cui non è possibile non tener conto. Non a caso è subito diventato un best seller mondiale. Fa piacere imbattersi in un libro simile sfogliano in libreria i tanti testi sul sottosviluppo trasudanti idiozie e banalità. Insomma, un libro da leggere, assolutamente.

7 commenti:

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  7. PRIMO COMMENTO NON SPAMBOT

    E' quello che dico sempre anche io.
    Se faccio beneficenza, la faccio alla ricerca, non all'associazione che ritarderà ancor di più lo sviluppo dell'africa.

    A volte mi piace immaginare un'Africa sviluppata come l'Occidente, che mantiene la sua cultura, i suoi usi e costumi, ma dove l'economia funziona e c'è il ceto medio.
    Questa cosa non diverrà mai vera finchè ci saranno i terzomondisti.

    L'Occidente una volta era povero come l'Africa. Ma a quei tempi non esisteva nessun primo mondo. Si ha lavorato per secoli per arrivare allo sviluppo di pochi anni fa (non dico attuale perchè oggi ci sono troppi imbecilli illustri che fanno danni).


    In Africa esiste il luogo comune bianco=ricco.
    In un blog lessi di una donna bianca, che vive in Senegal, che a volte si sente chiedere dagli amici senegalesi se per caso è ricca e se vive una vita agiata, e si sorprendono quando vedono la sua casa modesta, uguale a quella di tutti i senegalesi (posto che non si vive a Dakar), che lavora esattamente come lavorano i senegalesi per procurarsi il cibo ecc ecc...

    Penso che molti aiuti sono diseducativi per gli africani, perchè in alcune terre si ha imparato che si può oziare. Tanto prima o poi arriverà il bianco a portare soldi e cibo. Io sono convinta che se si vuole aiutare in Africa (nel minimo fattibile per aiutare lo sviluppo anzichè frenarlo) si deve preferire missionari neri occidentali (ragazzi adottati, immigrati o nativi afroamericani o afroeuropei), in tal modo gli africani avranno l'esempio che anche loro possono svilupparsi come gli occidentali se lavorano per migliorare. Il razzismo dei bianchi verso i neri è dovuto all'ignoranza. I neri sono esseri umani come i bianchi, per questo anche loro, se ignoranti, possono essere razzisti verso i bianchi e farsi idee sbagliate nei loro confronti.

    Sarebbe paradossale se a riuscire ad aiutare l'Africa in modo concreto, fosse proprio una dittatura come la Cina, uno schiaffo ai terzomondisti che si sentivano ganzi perchè facevano la carità. (Sia ben chiaro che non ammiro il comunismo e il governo cinese, e non inizio a farlo neppure ora)

    Quando sento parlare di aiuti (zavorre) per l'Africa, penso: 'quelli sono soldi che servirebbero a noi occidentali per migliorare ciò che de'vessere migliorato. Invece li si da a chi li usera senz'altro in modo sbagliato.

    Esistoo paesi sviluppatissimi che 15 anni fa erano parte del terzo mondo.

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