mercoledì 1 ottobre 2014

RIMEMBRANZE





Lo statuto dei lavoratori è stato approvato dal parlamento italiano il 20 maggio 1970. Per i più giovani, o i meno anziani, una simile data non dice nulla, per i vecchietti come me dice molto, invece.
Nel 1968 “scoppia” il movimento studentesco. Scuole ed università sono occupate, cortei quasi giornalieri attraversano rumorosi tutte le principali città italiane, e non solo; spesso degenerano in scontri con la polizia. L'idolo degli studenti è il compagno Mao Tze Tung, quello della “grande rivoluzione culturale proletaria”, che ha mandato scrittoti, filosofi e scienziati a lavorare la terra, in nome del superamento della “divisione borghese del lavoro”. Qualche anno dopo un leader cambogiano, Pol Pot, farà qualcosa di simile, ed eliminerà circa un quarto della popolazione del suo paese, inezie. Anche il compagno Mao del resto quanto ad “eliminazioni” ci sa fare. Il “gran balzo in avanti” e le “comuni popolari agricole” hanno causato morti a MILIONI. Pinzillacchere.
Nel 1969 scoppia l'autunno caldo. Il compagno Lama, un gigante se paragonato ai sindacalisti di oggi, parla di “salario come variabile indipendente”. Ovunque ci sono scioperi, dei più diversi tipi. A gatto selvaggio, senza preavviso, a scacchiera, per settore e cosette simili. Il testo di una canzone di voga a quei tempi diceva: "sciopero interno, da dentro l'officina/ noi perdiam poco e Agnelli va in rovina/ se si sta a scioperar dentro i cancelli/ chi ci rimette è solamente Agnelli. La canzone fotografa abbastanza bene la realtà. Oggi io sciopero e tu no, domani scioperi tu ed io no, così solo uno perde la giornata di paga e tutta la fabbrica si blocca lo stesso. Si faceva così, allora. La normale, fisiologica, differenza di interessi in una società pluralistica era interpretata come “guerra di classe” ed in guerra, lo si sa, tutti i mezzi vanno bene. 
Sullo statuto dei lavoratori il “movimento” si divise. Una parte dei compagni lo considerava uno “strumento dei padroni per ingabbiare le lotte operaie”, un “contentino” che mirava a placare la rabbia e la combattività degli oppressi. Un'altra parte invece lo interpretava come un “sasso negli ingranaggi del sistema”, un provvedimento che avrebbe reso più difficile il normale funzionamento dell'economia capitalista favorendo in questo modo lo “sviluppo della lotta di classe”. TUTTI consideravano una “idiozia” il concetto stesso di “giusta causa” nei licenziamenti. Un licenziamento non avviene MAI per “giusta causa” perché il “padrone” è SEMPRE, per definizione, uno sfruttatore e l'operaio SEMPRE, per definizione sfruttato.
Tanta acqua è passata sotto i ponti da allora, è vero, ma  non per tutti, forse. Però, parlando di una legge e della sua validità, è lecito dimenticare il clima in cui quella legge nacque? Le sollecitazioni cui erano sottoposti coloro che la approvarono?  E' solo una domanda...  

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