Alla bella età di cento anni è morto Pietro Ingrao. Tutti i politici italiani lo ricordano come un grande campione della democrazia.
Certo, se paragonato ai tanti nani della attuale politica italiana, molti dei quali militano nel PD, Pietro Ingrao appare un gigante, ed è d'obbligo il rispetto di fronte alla maestà ed al mistero della morte, ma il rispetto non può indurci a mettere in secondo piano la verità.
Pietro Ingrao è stato per molti, molti anni uno stalinista di ferro. Ha applaudito i carri armati sovietici che nel 1956 repressero la rivolta di Budapest; neppure l'infamia della condanna a morte, prontamente eseguita, di Imre Nagy valse a fargli cambiare idea.
L'appoggio che Ingrao diede alla repressione della rivolta ungherese è tanto più grave se si pensa che questa avvenne dopo lo storico ventesimo congresso del PCUS, quello in cui Kruscev gettò un primo fascio di luce sui crimini dello stalinismo. I dirigenti del PCI ormai non potevano dire di ignorare quei crimini né potevano più negarli. Eppure applaudirono tutti, compreso Ingrao (e, per la verità, compreso anche Giorgio Napolitano) un atto che riportava l'URSS nel più brutale stalinismo.
Poi Ingrao sottopose quella scelta ad una severa autocritica, occorre dargliene atto, e divenne un comunista “critico”. Cercò di separare il giudizio sulla esperienza storica del comunismo da quello sulla idea comunista. Triste il destino di tanti materialisti storici che, posti di fronte alle smentite che la storia vera riserva alle loro utopie, diventano, alle soglie della vecchiaia, platonici!
Ingrao divenne così il punto di riferimento di molti di coloro che nella sinistra italiana non condividevano la politica ufficiale del PCI. Ma il suo “comunismo critico”, restò sempre una idea confusa, priva di impatto sul reale. E non a caso. Le libertà civili, il pluralismo politico e sociale, la democrazia non sono possibili fuori dal quadro di una economia di mercato. Si può, ovviamente, sottoporre il mercato a limiti e controlli, ma la sua abolizione non si limita a rendere più povere le masse, a cui nome tanti nemici del mercato dicono di parlare, le rende anche radicalmente non libere.
Ingrao divenne, forse suo malgrado, il punto di riferimento di tutti coloro che, in nome della preservazione della utopia comunista, avevano sostituito a Stalin nuove icone: Mao, Ho Ci Min, Castro, Pol Pot. Icone meno pesanti forse, ma in alcuni casi addirittura più sanguinarie dell'originale. E quando a Berlino, a Praga, a Budapest (ironia della storia) folle enormi distrussero il comunismo reale e dissero chiaro e forte di non voler sperimentare alcun tipo di “nuovo” comunismo, Ingrao difese l'utopia che tanto amava, e che tanti lutti aveva provocato al genere umano. Rifiutò la svolta con cui il PCI cambiava nome e cercava, con dubbi esiti, di diventare un partito socialdemocratico. Divenne, sempre più un guru, osannato da tanti, ma che nessuno ascoltava veramente.
Ora si è chiusa la sua vicende umana.
Riposi in pace.