Si avvicina il congresso del PD, un partito in crisi ma ancora
importante nel panorama politico italiano. Il Pd costituisce la parte largamente maggioritaria della sinistra italiana ed ha la sua importanza per il paese, per tutto il paese,
sapere che tipo di sinistra è quella che aspira a governarlo e,
particolare non da poco, lo ha governato, più o meno direttamente,
negli ultimi 10 anni. Val quindi la pena di prestare attenzione a
quanto avviene in questo partito in crisi.
Il dibattito
precongressuale che sta animando il PD mostra una particolarità che
non può non stupire le persone che hanno della politica una
concezione laica. Il congresso è
presentato da molti dirigenti e militanti del PD come una sorta di
“giudizio di Dio”. Il partito deve sciogliersi, dice qualcuno.
Siamo all’anno zero, replica qualcun altro. Dobbiamo fare un
congresso aperto alle “istanze del sociale”, fa eco un terzo. E’
vero, il PD viene da una secca sconfitta, ma, cosa fanno i partiti
normali dopo una sconfitta? Analizzano le loro politiche,
sottopongono a critica il gruppo dirigente, cercano di individuare
gli errori commessi e di correre ai ripari. Nessuno parla di
“scioglimento del partito”, di “abbattere i muri fra partito e
società civile”, nessuno evoca ipotetici “anni zero” o
radicali "rifondazioni". Se qualcuno pensa che un certo partito abbia
esaurito la sua funzione storica lo dice chiaramente. Si fa promotore
di una scissione o invita tutti a tornare alla vita privata, o
propone l’ingresso in un altro partito, punto e basta; senza
strilli, prefigurazioni della fine del mondo, o dissertazioni pseudo
colte sulla crisi irreversibile della “forma partito”.
Il PD
non fa cose tanto semplici, i suoi leader, lo sappiamo bene, amano la
“complessità”. Così mettono in atto una sorta di tragedia greca
che con l’analisi politica ha poco a che vedere. In effetti ciò
che lascia perplessi in quella sorta di psicodramma che sembra essere il congresso del PD è precisamente l’assenza di
qualsiasi analisi politica, di ogni autocritica seria. Sono proprio
quelli che con più vigore parlano di “anno zero”, “congresso
aperto”, “scioglimento del partito nel movimento” a non
avanzare alcuna critica seria alla politica che da tempo il PD ha
fatto propria. Il PD viene da una secca sconfitta elettorale, su
questo tutti sono, più o meno, d’accordo. Nessuno o quasi però si
chiede se esista qualche legame fra la sconfitta e la politica delle
porte spalancate all’immigrazione clandestina, lo pseudo
ambientalismo alla Greta, il continuo strillare contro inesistenti
“pericoli fascisti”. Quasi nessuno si chiede se perseguendo simili
politiche il PD non si sia messo in rotta di collisione con le
esigenze, gli interessi, i sentimenti di una parte importante,
maggioritaria, del popolo italiano, anzi, spesso e volentieri c’è
nel partito di Letta chi esprime sentimenti di autentico disprezzo
verso questa componente del corpo elettorale.
Se si tiene conto
di questo lo stesso insistente richiamo alla “apertura al sociale”,
al “congresso aperto” si rivela per quello che è. Non si tratta
tanto di cercare di cogliere esigenze forti, reali presenti nella
società civile quanto di rapportarsi a ristretti gruppi di militanti
super ideologizzati che con la società civile autentica hanno poco a
che vedere. Sardine, centri sociali, studenti che scioperano contro
“l’ingiustizia climatica”, esponenti del radicalismo femminista
e gender, questi sembrano oggi gli interlocutori cui il PD
intenderebbe “aprirsi”, rischiando tra l’altro di esser
sdegnosamente rifiutato dagli stessi. Lo spettacolo umiliante di
Letta che partecipa ad una manifestazione per la “pace” in
Ucraina, in realtà di appoggio a Putin, e che viene insultato da
molti manifestanti rispecchia bene la situazione di caos politico e
culturale in cui versa oggi il principale partito di sinistra in
Italia.
C’è da chiedersi: perché mai il PD, reduce da
una secca sconfitta, porta avanti una simile politica che appare
destinata a danneggiarlo? La risposta è a mio parere
molto semplice: perché il PD resta un partito ideologico.
Risposta
semplice dicevo, ma che merita di essere approfondita.
Il grosso
del PD viene, è bene non dimenticarlo mai, dal vecchio PCI. Il
vecchio PCI era un grande partito ideologico, con una sostanziale
differenza rispetto all’attuale PD: la sua era una ideologia forte,
radicata in una filosofia importante, anche se caratterizzata da
errori gravissimi e potenzialmente assai pericolosi. Il vecchio PCI
era un partito legato alla componente rivoluzionaria del marxismo,
aveva una visione del mondo, dell’uomo e della storia unitaria e
compatta ed una organizzazione conseguente. Nessuno nel vecchio PCI
avrebbe mai osato proporre la “scioglimento del partito nel
movimento”, meglio, chi lo avesse fatto sarebbe stato espulso in
men che non si dica. In effetti chi, dopo il crollo del comunismo, è
rimasto fedele a quella ideologia ha continuato a vivacchiare
politicamente dando vita a partitini settari ed ultra minoritari, si
veda il partito comunista di Rizzo. Chi invece ha preso atto di
quanto di irreversibile è avvenuto nel 1989 poteva scegliere una
strada diversa: dar vita ad un partito socialdemocratico aperto
davvero, fino in fondo, al pluralismo sociale e politico,
all’economia di mercato, alla democrazia rappresentativa. Il
partito di una sinistra moderna, pragmatica, in una parola,
occidentale. Non fu questa la scelta che venne fatta.
La
mentalità ideologica è dura a morire. Chi chi per decenni ha
sognato la perfezione sociale, ed in nome di tale futura, presunta,
perfezione ha finto di non vedere l’abominio dei gulag e dei
logoai, trova assai desolante ridurre i propri orizzonti alla
gestione migliore possibile di società che sono, restano e
resteranno imperfette. Così il i leader del futuro PD hanno
sostituito alla vecchia, unitaria, totalizzante ideologia marxista
leninista una sorta di insalata mista di ideologie in formato
minore.
La rivoluzione proletaria, il paese del socialismo, la
via italiana al socialismo, lo stesso eurocomunismo sono stati via
via sostituiti prima dal “superamento”, pacifico ovviamente, del
capitalismo, poi dal terzomondismo e poi, in un crescendo rossiniano,
dall’adorazione per la magistratura, dall’immigrazionismo, dal
femminismo radicaleggiante, dall’ideologia gender, dal radicalismo
ecologico alla Greta, trasformato ormai in una sorta di nuova
religione pagana. Ideologie in formato ridotto, prive di qualsiasi
visione unitaria del mondo, dell’uomo e della storia, spesso in
radicale contrasto fra loro, ma caratterizzate tutte da quelli che
sono gli ingredienti principali di ogni ideologia: il rifiuto del
principio di realtà, l’irrisione per la morale comune, la pretesa
di anteporre se stesse agli esseri umani in carne ed ossa che vivono
qui ed ora nel mondo. Il PD è oggi il partito che più di ogni altro
sostiene e difende questa zuppa mista di piccole ideologie alla moda.
Per questo assai più che il vecchio PCI è tanto amato da persone
che con la vecchia, mitica classe operaia hanno poco o nulla a che
vedere. E sempre per questo la struttura organizzativa del PD è
radicalmente diversa da quella del vecchio PCI. Il centralismo
democratico leninista, che di democratico aveva poco o nulla, è
stato sostituito da una sorta di anarchia interna, con un partito
diviso in gruppi, correnti e sottocorrenti in perenne lotta fra
loro.
Il PD è insomma un partito ideologico di tipo
nuovo. Una sorta di punto di raccolta, caoticamente diviso al proprio
interno, di tante ideologie che tutte rivendicano il proprio valore
assoluto in una sorta di paradossale pluralismo degli assoluti.
E,
da buon partito ideologico, il PD reagisce alle sconfitte senza
sottoporre a normale analisi e critica politica le proprie scelte. I
vecchi partiti marxisti leninisti avevano la caratteristica di non
riconoscere mai i propri errori. Non era un caso: il partito
rappresentava “l’autocoscienza della storia” e come tale non
poteva sbagliare. Quando il movimento comunista internazionale passò,
per fare un solo esempio, dalla sciagurata politica del
socialfascismo ai fronti popolari antifascisti non definì erronea la
sua vecchia politica: il partito non sbagliava, era la “situazione
oggettiva” ad essere mutata. Un partito come l’attuale PD non
può, ovviamente, assumere un simile atteggiamento di fronte alle
sconfitte che deve subire, ma non è neppure in grado condurre una
normale, approfondita analisi dei propri errori. Così addebita le
sconfitte al fatto di non essere stato abbastanza radicale. Avremmo
dovuto essere più radicali nel nostro ecologismo, nel nostro
femminismo, nel nostro mondialismo, siamo stati troppo timidi nel
sostenere i nostri valori, questa la litania che tanti dirigenti del
PD non si stancano di ripetere. Se un partito ideologico subisce
sconfitte la cura è una sola: aumentare le dosi del suo radicalismo
ideologico. La sconfitta è causata non dalla presenza ma dalla
carenza di ideologia. Non solo: dimostrandosi non abbastanza radicale
il partito ha dimostrato di essere malato, incapace di sostenere
davvero, a tutti i livelli, i propri valori. Per questo va sottoposto
ad una cura radicale. Non basta l’analisi degli errori, occorre una
rifondazione radicale, assoluta. Se si mira alla perfezione sociale e
si è sconfitti occorre tornare all’anno zero, ad un nuovo inizio
che costituisca un paradossale avvicinamento al fine, meglio ai fini
palingenetici che si intendono realizzare. Tutti i discorsi sullo
“scioglimento” del PD, sulla sua apertura ad una presunta
“società civile” hanno qui la loro origine. Chi persegue fini
assoluti, addirittura una insalata mista di fini assoluti, deve
sottoporsi ad una assoluta rifondazione in caso di errore. Il
giudizio di Dio attende chi pretende di essere il profeta di Dio.
Per
questo il dibattito che caratterizza oggi il PD è tanto carente di
indicazioni politiche. Tutto si riduce in fondo ad una discussione
sulla alleanza con il M5S e a considerazioni tattiche sul cosiddetto
“campo largo”. Il partito che fu di Gramsci rischia di diventare
il partito di Giuseppe Conte, il nulla fatto persona.
Qualcuno
potrebbe dire: “meglio così”. Non credo abbia ragione.
All’Italia servirebbe una sinistra moderna, pragmatica,
occidentale. La si potrebbe votare o non votare, si potrebbe essere
d’accordo o in disaccordo con le sue idee, valori, programmi, ma
per il paese sarebbe positivo avere una sinistra siffatta, lontana
dalle idiozie ideologiche che stanno appestando il clima culturale
dell’occidente. La trasformazione del PD in una sorta di brutta
copia delle componenti più estremiste del partito democratico
americano non giova a nessuno. Per questo mi farebbe piacere se
emergessero, nel corso del dibattito precongressuale del PD,
posizioni politiche serie, magari non condivisibili, ma con le quali
valga la pena di aprire un confronto politicamente e culturalmente elevato.
Una simile prospettiva per ora non sembra
esistere. Purtroppo.