giovedì 29 dicembre 2022

IL PD A CONGRESSO

Folli: «Il Pd deve decidere cosa essere a sinistra» - Tempi


Si avvicina il congresso del PD, un partito in crisi ma ancora importante nel panorama politico italiano. Il Pd costituisce la parte largamente maggioritaria della sinistra italiana ed ha la sua importanza per il paese, per tutto il paese, sapere che tipo di sinistra è quella che aspira a governarlo e, particolare non da poco, lo ha governato, più o meno direttamente, negli ultimi 10 anni. Val quindi la pena di prestare attenzione a quanto avviene in questo partito in crisi.
Il dibattito precongressuale che sta animando il PD mostra una particolarità che non può non stupire le persone che hanno della politica una concezione laica. Il congresso è presentato da molti  dirigenti e militanti del PD come una sorta di “giudizio di Dio”. Il partito deve sciogliersi, dice qualcuno. Siamo all’anno zero, replica qualcun altro. Dobbiamo fare un congresso aperto alle “istanze del sociale”, fa eco un terzo. E’ vero, il PD viene da una secca sconfitta, ma, cosa fanno i partiti normali dopo una sconfitta? Analizzano le loro politiche, sottopongono a critica il gruppo dirigente, cercano di individuare gli errori commessi e di correre ai ripari. Nessuno parla di “scioglimento del partito”, di “abbattere i muri fra partito e società civile”, nessuno evoca ipotetici “anni zero” o radicali "rifondazioni". Se qualcuno pensa che un certo partito abbia esaurito la sua funzione storica lo dice chiaramente. Si fa promotore di una scissione o invita tutti a tornare alla vita privata, o propone l’ingresso in un altro partito, punto e basta; senza strilli, prefigurazioni della fine del mondo, o dissertazioni pseudo colte sulla crisi irreversibile della “forma partito”.
Il PD non fa cose tanto semplici, i suoi leader, lo sappiamo bene, amano la “complessità”. Così mettono in atto una sorta di tragedia greca che con l’analisi politica ha poco a che vedere. In effetti ciò che lascia perplessi in quella sorta di psicodramma che sembra essere il congresso del PD è precisamente l’assenza di qualsiasi analisi politica, di ogni autocritica seria. Sono proprio quelli che con più vigore parlano di “anno zero”, “congresso aperto”, “scioglimento del partito nel movimento” a non avanzare alcuna critica seria alla politica che da tempo il PD ha fatto propria. Il PD viene da una secca sconfitta elettorale, su questo tutti sono, più o meno, d’accordo. Nessuno o quasi però si chiede se esista qualche legame fra la sconfitta e la politica delle porte spalancate all’immigrazione clandestina, lo pseudo ambientalismo alla Greta, il continuo strillare contro inesistenti “pericoli fascisti”. Quasi nessuno si chiede se perseguendo simili politiche il PD non si sia messo in rotta di collisione con le esigenze, gli interessi, i sentimenti di una parte importante, maggioritaria, del popolo italiano, anzi, spesso e volentieri c’è nel partito di Letta chi esprime sentimenti di autentico disprezzo verso questa componente del corpo elettorale.
Se si tiene conto di questo lo stesso insistente richiamo alla “apertura al sociale”, al “congresso aperto” si rivela per quello che è. Non si tratta tanto di cercare di cogliere esigenze forti, reali presenti nella società civile quanto di rapportarsi a ristretti gruppi di militanti super ideologizzati che con la società civile autentica hanno poco a che vedere. Sardine, centri sociali, studenti che scioperano contro “l’ingiustizia climatica”, esponenti del radicalismo femminista e gender, questi sembrano oggi gli interlocutori cui il PD intenderebbe “aprirsi”, rischiando tra l’altro di esser sdegnosamente rifiutato dagli stessi. Lo spettacolo umiliante di Letta che partecipa ad una manifestazione per la “pace” in Ucraina, in realtà di appoggio a Putin, e che viene insultato da molti manifestanti rispecchia bene la situazione di caos politico e culturale in cui versa oggi il principale partito di sinistra in Italia.

C’è da chiedersi: perché mai il PD, reduce da una secca sconfitta, porta avanti una simile politica che appare destinata a danneggiarlo? La risposta è a mio parere molto semplice: perché il PD resta un partito ideologico.
Risposta semplice dicevo, ma che merita di essere approfondita.
Il grosso del PD viene, è bene non dimenticarlo mai, dal vecchio PCI. Il vecchio PCI era un grande partito ideologico, con una sostanziale differenza rispetto all’attuale PD: la sua era una ideologia forte, radicata in una filosofia importante, anche se caratterizzata da errori gravissimi e potenzialmente assai pericolosi. Il vecchio PCI era un partito legato alla componente rivoluzionaria del marxismo, aveva una visione del mondo, dell’uomo e della storia unitaria e compatta ed una organizzazione conseguente. Nessuno nel vecchio PCI avrebbe mai osato proporre la “scioglimento del partito nel movimento”, meglio, chi lo avesse fatto sarebbe stato espulso in men che non si dica. In effetti chi, dopo il crollo del comunismo, è rimasto fedele a quella ideologia ha continuato a vivacchiare politicamente dando vita a partitini settari ed ultra minoritari, si veda il partito comunista di Rizzo. Chi invece ha preso atto di quanto di irreversibile è avvenuto nel 1989 poteva scegliere una strada diversa: dar vita ad un partito socialdemocratico aperto davvero, fino in fondo, al pluralismo sociale e politico, all’economia di mercato, alla democrazia rappresentativa. Il partito di una sinistra moderna, pragmatica, in una parola, occidentale. Non fu questa la scelta che venne fatta.
La mentalità ideologica è dura a morire. Chi chi per decenni ha sognato la perfezione sociale, ed in nome di tale futura, presunta, perfezione ha finto di non vedere l’abominio dei gulag e dei logoai, trova assai desolante ridurre i propri orizzonti alla gestione migliore possibile di società che sono, restano e resteranno imperfette. Così il i leader del futuro PD hanno sostituito alla vecchia, unitaria, totalizzante ideologia marxista leninista una sorta di insalata mista di ideologie in formato minore.
La rivoluzione proletaria, il paese del socialismo, la via italiana al socialismo, lo stesso eurocomunismo sono stati via via sostituiti prima dal “superamento”, pacifico ovviamente, del capitalismo, poi dal terzomondismo e poi, in un crescendo rossiniano, dall’adorazione per la magistratura, dall’immigrazionismo, dal femminismo radicaleggiante, dall’ideologia gender, dal radicalismo ecologico alla Greta, trasformato ormai in una sorta di nuova religione pagana. Ideologie in formato ridotto, prive di qualsiasi visione unitaria del mondo, dell’uomo e della storia, spesso in radicale contrasto fra loro, ma caratterizzate tutte da quelli che sono gli ingredienti principali di ogni ideologia: il rifiuto del principio di realtà, l’irrisione per la morale comune, la pretesa di anteporre se stesse agli esseri umani in carne ed ossa che vivono qui ed ora nel mondo. Il PD è oggi il partito che più di ogni altro sostiene e difende questa zuppa mista di piccole ideologie alla moda. Per questo assai più che il vecchio PCI è tanto amato da persone che con la vecchia, mitica classe operaia hanno poco o nulla a che vedere. E sempre per questo la struttura organizzativa del PD è radicalmente diversa da quella del vecchio PCI. Il centralismo democratico leninista, che di democratico aveva poco o nulla, è stato sostituito da una sorta di anarchia interna, con un partito diviso in gruppi, correnti e sottocorrenti in perenne lotta fra loro.

Il PD è insomma un partito ideologico di tipo nuovo. Una sorta di punto di raccolta, caoticamente diviso al proprio interno, di tante ideologie che tutte rivendicano il proprio valore assoluto in una sorta di paradossale pluralismo degli assoluti.
E, da buon partito ideologico, il PD reagisce alle sconfitte senza sottoporre a normale analisi e critica politica le proprie scelte. I vecchi partiti marxisti leninisti avevano la caratteristica di non riconoscere mai i propri errori. Non era un caso: il partito rappresentava “l’autocoscienza della storia” e come tale non poteva sbagliare. Quando il movimento comunista internazionale passò, per fare un solo esempio, dalla sciagurata politica del socialfascismo ai fronti popolari antifascisti non definì erronea la sua vecchia politica: il partito non sbagliava, era la “situazione oggettiva” ad essere mutata. Un partito come l’attuale PD non può, ovviamente, assumere un simile atteggiamento di fronte alle sconfitte che deve subire, ma non è neppure in grado condurre una normale, approfondita analisi dei propri errori. Così addebita le sconfitte al fatto di non essere stato abbastanza radicale. Avremmo dovuto essere più radicali nel nostro ecologismo, nel nostro femminismo, nel nostro mondialismo, siamo stati troppo timidi nel sostenere i nostri valori, questa la litania che tanti dirigenti del PD non si stancano di ripetere. Se un partito ideologico subisce sconfitte la cura è una sola: aumentare le dosi del suo radicalismo ideologico. La sconfitta è causata non dalla presenza ma dalla carenza di ideologia. Non solo: dimostrandosi non abbastanza radicale il partito ha dimostrato di essere malato, incapace di sostenere davvero, a tutti i livelli, i propri valori. Per questo va sottoposto ad una cura radicale. Non basta l’analisi degli errori, occorre una rifondazione radicale, assoluta. Se si mira alla perfezione sociale e si è sconfitti occorre tornare all’anno zero, ad un nuovo inizio che costituisca un paradossale avvicinamento al fine, meglio ai fini palingenetici che si intendono realizzare. Tutti i discorsi sullo “scioglimento” del PD, sulla sua apertura ad una presunta “società civile” hanno qui la loro origine. Chi persegue fini assoluti, addirittura una insalata mista di fini assoluti, deve sottoporsi ad una assoluta rifondazione in caso di errore. Il giudizio di Dio attende chi pretende di essere il profeta di Dio.
Per questo il dibattito che caratterizza oggi il PD è tanto carente di indicazioni politiche. Tutto si riduce in fondo ad una discussione sulla alleanza con il M5S e a considerazioni tattiche sul cosiddetto “campo largo”. Il partito che fu di Gramsci rischia di diventare il partito di Giuseppe Conte, il nulla fatto persona.

Qualcuno potrebbe dire: “meglio così”. Non credo abbia ragione. All’Italia servirebbe una sinistra moderna, pragmatica, occidentale. La si potrebbe votare o non votare, si potrebbe essere d’accordo o in disaccordo con le sue idee, valori, programmi, ma per il paese sarebbe positivo avere una sinistra siffatta, lontana dalle idiozie ideologiche che stanno appestando il clima culturale dell’occidente. La trasformazione del PD in una sorta di brutta copia delle componenti più estremiste del partito democratico americano non giova a nessuno. Per questo mi farebbe piacere se emergessero, nel corso del dibattito precongressuale del PD, posizioni politiche serie, magari non condivisibili, ma con le quali valga la pena di aprire un confronto politicamente e culturalmente elevato.
Una simile prospettiva per ora non sembra esistere. Purtroppo.

 

domenica 11 dicembre 2022

IRAN

“Il governo dell’Iran è una Repubblica islamica che la nazione iraniana, sulla base della sua tradizionale fede nel governo del diritto e della giustizia del Corano ha adottato...”
(…)
“La repubblica islamica è un sistema che si basa sulla fede in:
1) Non c’è dio al di fuori di Dio (la ilaha illa Allah), nella sua sovranità esclusiva, nei suoi comandamenti e nella necessità di sottomettersi al suo ordine.
2) La rivelazione divina e il suo ruolo fondamentale nella formazione delle leggi.”
(…)
“L’insieme di leggi e regolamenti civili, penali, finanziari, economici, amministrativi, culturali, militari, politici o altro deve essere basata su precetti islamici. Questo principio si applica in modo generale a tutti i principi della Costituzione e alle leggi e regolamenti. La determinazione di questo punto è di competenza dei dottori del dogma, membri del consiglio di sorveglianza.”

Sono estratti della Costituzione iraniana, riportati ne “Il libro nero del califfato” di Carlo Pannella. BUR 2015.

Mentre il mondo parla d’altro e fa finta di non sapere in Iran si assiste ad una esplosione di violenza inaudita. La “polizia morale” (si, proprio così, in quel paese esiste una “polizia morale”) sorveglia le donne, pronta a riempirle di botte se indossano nella maniera “sbagliata” il velo, quello stesso velo che certe femministe occidentali fingono di credere sia una “libera scelta”.
Enormi manifestazioni scuotono il paese. Il regime risponde col pugno di ferro. La polizia spara sui manifestanti, i tribunali hanno emesso già ben 11 sentenze di morte, una è stata eseguita. Gli imputati sono accusati di “guerra contro Dio”. Non di omicidio o crimini simili, no, di “guerra contro Dio, il più orribile dei reati per dei teocrati fondamentalisti.
Eppure il mondo tace.
Tacciono i “progressisti” di sinistra, e non a caso. Loro non fanno che ripetere che l’Islam è una “religione di pace”. Lo ripetono tutti i santi giorni dall’undici settembre 2001. E per rafforzare questa autentica fede si sono inventati il reato di “islamofobia”.
Tacciono i critici ed i nemici dello stato di Israele, quelli che in continuazione manifestano a favore di Gaza. Non è un caso: l’Iran è lo stato che con più radicalità nega ad Israele il diritto di esistere. I teocrati iraniani neppure concedono ad Israele il diritto al nome: lo definiscono “entità sionista”.
Tacciono i putinisti. Di nuovo, non a caso: l’Iran fondamentalista è forse il miglio alleato del despota del Cremlino.
Tacciono certi sedicenti “difensori della libertà” che hanno strillato contro la “dittatura sanitaria” in occasione del Covid. Ho dato un’occhiata alle pagine di alcuni loro eminenti esponenti, come Fusaro o Paragone. Non una parola sull’Iran, in compenso ancora polemiche sui vaccini.
Tacciono certe persone vicine alla destra che confondono la difesa delle proprie tradizioni religiose con l’intolleranza fondamentalista.
Tacciono quelli che strillano contro il mercato, l’onnipresente “liberismo”, ed i processi di “omologazione” che questo imporrebbe agli esseri umani.
Insomma, tacciono tutti o quasi. E l’Iran è membro della commissione ONU per i diritti delle donne.
Da morire dal ridere, se non ci fosse da piangere.
E chi in Iran lotta per avere un po’ di quella libertà di cui noi occidentalki non sappiamo più apprezzare il valore è solo, disperatamente solo.
L’Iran è la nostra cattiva coscienza.



 

lunedì 7 novembre 2022

CHI STABILISCE COSA E' E COSA NON E' LEGALE?

 

Un poliziotto della stradale mi ferma e mi chieda di esibire patente e libretto di circolazione. Io gli rispondo: “non glieli mostro perché se lo facessi violerei la legge”.
E’ anche solo concepibile una simile situazione? E’ ammissibile che un privato si arroghi il diritto di stabilire se l’ordine che gli è stato impartito da un rappresentante della legge sia o non sia legale?
Basta porsi la domanda per avere la risposta. Se un simile “diritto” esistesse segnerebbe la fine di ogni legalità, quindi del diritto.
Il comandante della nave ONG approdata a Catania però ha fatto proprio questo. Ha risposto all’ordine delle autorità portuali che gli intimavano di prendere il largo dicendo “non posso farlo perché se lo facessi commetterei una illegalità”. Quindi questo signore si arroga il diritto di stabilire cosa sia illegale e cosa no. Si colloca al di spora degli organi cui uno stato sovrano ha delegato il compito di far osservare la legge.
Certo, si può far ricorso contro un ordine o una delibera considerati illegali, ma intanto si obbedisce. Posso denunciare un poliziotto della stradale, ma quando mi fa cenno di fermarmi ed accostare, sono tenuto ad obbedire.
Le ONG si ritengono superiori ad ogni legge, si appropriano del diritto di stabilire quale debba essere la politica migratoria dei vari stati, passano sulla testa dei loro governi.
Per essere più precisi, fanno una cosa simile solo con l’Italia ed i suoi governi. Non si azzarderebbero a farlo in Spagna o in qualsiasi altro paese europeo, non parliamo poi degli Stati Uniti.
Lo ripeto: non saranno i continui bracci di ferro con le ONG a risolvere, o ad avviare a soluzione il problema della immigrazione illegale che il nostro paese continua a subire. Il punto centrale è bloccare le partenze. Ciò non toglie che si debba mostrare ai prepotenti delle ONG che NON sono loro a stabilire chi ha e chi non ha il diritto di entrare in Italia.


lunedì 24 ottobre 2022

IL MERITO ED IL MARXISMO

 

Come mai la parola “merito” affiancata ad istruzione nella denominazione di un ministero ha suscitato tante reazioni, tra l’altro in un momento in cui ben altri sono i problemi? Si tratta solo di settarismo, desiderio di polemizzare ad ogni costo con la Meloni? Certo, questi fattori esistono, ma non bastano a spiegare tutto.
Storicamente l’ideologia della sinistra comunista è olistica: il tutto precede le parti, la totalità economico sociale precede i singoli riducendoli a “momenti” del suo movimento dialettico. Sintetizzando e semplificando al massimo, in Marx i motori della storia sono soggetti collettivi: le classi sociali. Nell’epoca del capitalismo lo scontro fra questi soggetti: la borghesia ed il proletariato è destinato a condurre l’umanità in una nuova era. La società dello sfruttamento e della alienazione dovrà cedere il passo ad una “associazione” in cui il libero sviluppo di ognuno sarà la condizione del libero sviluppo di tutti.
Ora, come si colloca in questo quadro una scuola che valorizzi il merito di ognuno? Molto semplicemente una simile scuola NON può armonizzarsi con un quadro simile. Il perché è facilmente intuibile. La scuola permette l’emergere delle singole individualità. Se si vuole che la società abbia una classe dirigente all’altezza, se si vuole evitare che siano degli incapaci ad operare a cuore aperto, a guidare aerei o a costruire ponti, ogni scuola dovrà essere in qualche misura selettiva. Potrà essere la scuola più democratica del mondo, potrà favorire al massimo gli studenti che vengono da famiglie economicamente disagiate, i governi potranno sperimentare tutti i sistemi per favorire che ha meno di altri, il risultato non cambia: alla fine deve emergere il merito, potrà essere il merito del figlio dell’operaio invece che dell’imprenditore, non cambia nulla: un certo individuo, una certa singola persona, avrà conseguito un titolo di studio che gli permetterà di avanzare socialmente. I contestatori del 68 se ne accorsero: tutto questo favorisce la disgregazione del soggetto collettivo che nella visione rivoluzionaria marxista è destinato a cambiare il mondo dalle fondamenta. Più la scuola è democratica, più apre le sue porte ai figli di chi meno ha, più si disgrega la compattezza dei soggetti collettivi che “fanno la storia”. Allargare a tutti le possibilità dell’istruzione apre ad un numero sempre maggiore di persone le porte dell’ascensore sociale, ma questo fa si che la società diventi sempre più una società di individui. Accade con la scuola ciò che accade con la democrazia politica e la diffusione del benessere: più una società è democratica più le classi un tempo subalterne si integrano in questa, più si diffonde il benessere, meno netti si fanno i confini fra le classi e meno duri i loro contrasti; e più si diffondono forme spontanee di solidarietà che superano i confini delle classi di appartenenza.
Ora, tutto questo che appare assai desiderabile alla gran maggioranza degli esseri umani, fa letteralmente schifo al rivoluzionario (o presunto tale) ex sessantottino. Perché elimina radicalmente dalla scena la prospettiva del “salto dal regno della necessità a quello della libertà” : il suo sogno.
Non a caso negli anni 70 dello scorso secolo si chiedeva il 18 politico, si imponevano gli esami di gruppo, si riteneva un crimine la “selezione”, anche la più ampia, democratica ed inclusiva delle selezioni. Non a caso il contestatori del ‘68 guardarono con enorme simpatia a quel grande crimine che fu la “rivoluzione culturale” in Cina. Non a caso in Italia i maoisti raffinati del “Manifesto” avanzarono al proposta del “metà studio metà lavoro”. La scuola come “corpo separato”, sede di un sapere di tipo individuale doveva essere soppiantata da una organizzazione che permettesse l’acquisizione collettiva, di classe, al sapere.
In Cina la rivoluzione culturale produsse morti a vagonate, distrusse l’economia e permise a Mao eliminare i rivali politici ed affermare il suo potere assoluto nel partito. In Italia la contestazione mise in crisi le strutture universitarie, e ne stiamo ancora pagando le conseguenze.
Però chi ha vissuto quella esperienza e non ha poi trovatola forza e la lucidità di sottoporla a critica radicale ne sente ancora la nostalgia. Se la tenga.


sabato 1 ottobre 2022

PUTIN E L'OCCIDENTE

 

“L'Occidente ha iniziato la sua politica coloniale già nel Medioevo, e poi è seguita la tratta degli schiavi, il genocidio delle tribù indiane in America, il saccheggio dell'India, dell'Africa, le guerre dell'Inghilterra e della Francia contro la Cina (...)

Quello che hanno fatto è stato soggiogare intere nazioni con la droga, sterminare deliberatamente interi gruppi etnici”.

Così parlo Vladimir Putin.
L’autocrate accusa l’occidente di tutti i mali del mondo: schiavista, razzista, imperialista.
Certo, in occidente c’è stato lo schiavismo, il razzismo, l’imperialismo, ma non sono queste le caratteristiche distintive della grande civiltà occidentale.
In occidente c’ stato lo schiavismo, come in TUTTE le civiltà, ma SOLO in occidente è sorto un movimento abolizionista della schiavitù. Come ovunque in occidente c’è stato ed ancora c’è il razzismo, ma è occidentale l’idea della pari dignità di tutti gli esseri umani. Anche l’occidente è statao imperialista, ma è occidentale il principio della autodeterminazione delle nazioni. In occidente ci sono stati i roghi ma anche la rivendicazione della libertà di pensiero, l’’intolleranza ma anche la “lettera sulla tolleranza” di quel pensatore super occidentale che è stato John Locke.
Non si può dire altrettanto, purtroppo, della Russia, che in tutta la sua storia non ha mai conosciuto un periodo di vera democrazia, a parte i pochi mesi che separano il febbraio dall’ottobre del 1917.
Meno che mai si può dire altrettanto della Russia che piace a Vladimir Putin: un enorme stato imperiale compost da circa 200 diverse etnie che dopo l’ottobre del 1917 si è trasformato in una delle più mostruose tirannidi totalitarie di ogni tempo. Uno stato che ha costruito la sua grande industria sfruttando a morte quei nuovi tipi di schiavi che erano gli ospiti dei gulag, che ha cercato, fallendo, di modernizzare l’agricoltura sterminando per fame fatto morire di milioni di contadini, in larga misura ucraini, che ha fatto rinascere forme di coartazione del libero pensiero a cui confronto i tribunali della santa inquisizione erano “liberali”.

Ormai Putin ha gettato la maschera. Prima si limitava ad equiparare in maniera mistificatoria l’occidente ad alcune sue degenerazioni politicamente corrette. Ora usa contro l’occidente tutto l’armamentario propagandistico del peggior stalinismo e, in maniera solo apparentemente paradossale, del peggior politicamente corretto: quello della “cancel culture”.
Putin ha ingannato per un certo periodo di tempo molti occidentali. Molti hanno visto in lui un possibile modernizzatore della Russia, certo, non un democratico occidentale ma un leader con cui si poteva collaborare. Ormai simili illusioni non hanno fondamento alcuno. Putin ha rivelato senza possibilità di dubbio di esser rimasto quello che è sempre stato: un alto funzionario del KGB, la polizia politica del vecchio regime comunista. Che un simile personaggio possa piacere ai nostalgici di baffone Stalin o a pseudo filosofi che odiano l’occidente non desta sorpresa. Che persone che si autodefiniscano “liberali” possano guardare con simpatia ad un simile personaggio è assolutamente inammissibile.
Non sono più possibili equivoci di sorta. Chi ancora prova una certa emozione leggendo la “lettera sulla tolleranza” di Locke non può che provare un senso di nausea leggendo le esaltazioni che fa di Putin quello pseudo filosofo che è Diego Fusaro.
In mezzo non si può stare. O con l’occidente o coi suoi nemici.

venerdì 16 settembre 2022

METAFORE

Il governatore della Puglia, Michele Emiliano, ha avuto il suo momento di notorietà giorni fa quando ha definito la Puglia la “Stalingrado d’Italia”, ha assicurato che loro “non cederanno” qualsiasi sia l’esito delle elezioni ed ha terminato affermando che i nemici dovranno “sputare sangue”. Mi sono astenuto dal commentare queste dichiarazioni perché non amo le polemiche a tinte forti, non servono a nessuno. Ora apprendo che Emiliano ha addirittura telefonato alla Meloni per “rassicurarla”. Le sue affermazioni erano solo metaforiche: nessun invito alla violenza, anzi, in una successiva trasmissione televisiva Emiliano ha affermato che fra lui e la Meloni esiste un rapporto di amicizia e reciproco rispetto.
Caso chiuso quindi? Diciamo di si. Personalmente non ho mai dubitato che quelle di Emiliano fossero affermazioni metaforiche, però… però non è un caso che le metafore cui fa uso una certa parte politica siano molto, molto spesso di carattere militare. “Stalingrado d’Italia”, “roccaforti rosse”, “qui non passeranno”, “avanzate”, “ritirate”, “strategia”, “tattica”… la politica, tutta la politica, fa spesso uso di termini militari, ma è certo che la sinistra italica ne fa un uso smodato, molto superiore al normale.
Carl Von Clausewitz, celebre generale prussiano, definì a suo tempo la guerra una “prosecuzione della politica con altri mezzi”. Parafrasando le sue parole Lenin definì la guerra civile una prosecuzione della politica rivoluzionaria con altri mezzi. Sia il generale prussiano che il rivoluzionario russo non pongono alcuna barriera qualitativa fra guerra e politica; la politica non è per loro un confronto civile fra interessi, idee, valori diversi tutti pienamente legittimi, no, la politica è lotta a morte fra nemici ognuno dei quali cerca di distruggere l’altro.
La attuale sinistra italiana sembra aver capovolto le formule di Von Clausewitz e Lenin senza tuttavia abbandonarne la sostanza. Per Von Calusewitz la guerra è prosecuzione della politica con altri mezzi, per personaggi come Emiliano la politica sembra essere una sorta di guerra combattuta con altri mezzi. Il voto non è lo strumento a disposizione dei cittadini per conferire ad una certa parte politica il diritto di governare, temporaneamente e secondo certe modalità. No, il voto è una sorta di proiettile non letale. Il confronto politico cessa di essere alternanza fra rivali per diventare guerra di distruzione fra nemici.
Questa concezione aberrante della politica è ancora presente in Italia. Fa capolino un po’ ovunque, è di certo egemone in gruppazzi di estrema destra ed estrema sinistra per fortuna del tutto minoritari nel paese, ma è largamente presente, assai più che altrove, anche nella sinistra che conta, quella che ci ha governato per quasi dieci degli ultimi undici anni.
Per questo le metafore di Emiliano sono comunque preoccupanti.


 

sabato 10 settembre 2022

LETTA HA SBAGLIATO TUTTO

Se, sottolineo: SE, i sondaggi hanno una qualche affidabilità è chiaro che Enrico letta ha sbagliato clamorosamente l’impostazione della campagna elettorale. Che il centro destra partisse nettamente favorito lo sapevano tutti, ma circa un mese fa PD e FdI erano dati più o meno alla pari. Nel corso della campagna elettorale la distanza fra i due partiti si è però andata allargando a tutto vantaggio del partito della Meloni. Insomma, Letta ed il PD dovevano cercare di recuperare lo svantaggio, questo è invece cresciuto man mano che la campagna elettorale proseguiva, come mai?
La risposta mi sembra abbastanza chiara. Letta NON ha cercato di convincere gli indecisi, di parlar loro, misurarsi coi loro problemi e le loro perplessità. No, Letta ha parlato SOLO ai suoi, si è rivolto a quell’area del corpo elettorale che è già schierata a sinistra, spesso addirittura all’estrema sinistra.
Per quanto riguarda i programmi Letta non ha fatto altro che riproporre tutto l’armamentario ideologico post comunista: ecologismo alla Greta Thunberg, immigrazionismo no border, filosofia gender, ma questa è in fondo la cosa meno importante. Tutta la campagna elettorale di Letta ha gravitato e gravita attorno ad un nome ed un cognome: Giorgia Meloni. E’ stata ed è LEI, non la crisi energetica, non la guerra, non l’economia il centro degli sforzi propagandistici di Letta. Tutta l’azione del segretario del PD ha mirato e mira non a battete l’avversaria ma a demonizzarla, delegittimarla, addirittura a contestare il suo diritto costituzionale a partecipare alle elezioni e, se vincente, a governare.
Ora, è chiaro che una simile impostazione della campagna elettorale convince solo chi è già convinto, può al massimo compattare il campo della sinistra, ma non conquista alcun voto aggiuntivo, anzi, provoca una reazione, un moto quasi istintivo di rifiuto in masse consistenti del corso elettorale, specie fra gli indecisi.
C’è da chiedersi: possibile che Letta non capisca una cosa tanto semplice? D’accordo, il leader del PD non è un genio, ma non occorre un genio per rendersi conto di simili, elementari banalità.
L’errore di Letta ha in realtà una radice profonda. Per i leader del PD gli elettori di sinistra sono la “parte più avanzata” del paese, quelli che vanno nel verso giusto della storia. Gli altri, chi vota per il centro destra ed anche la gran massa degli indecisi, sono il corpo morto della storia. Sfruttatori, evasori fiscali, persone grette con interessi limitati al loro miserabile orticello, nel migliore dei casi imbecilli. Non val neppure la pena di cercare di conquistare gente simile, la si può solo disprezzare.
Marx divideva la società in sfruttatori e sfruttati, oppressi ed oppressori. Letta ha sostituito alla polarizzazione marxiana del corpo sociale una polarizzazione di tipo diverso, ma ancora più sbagliata: quella fra nobili ed ignobili. Con una differenza importante rispetto a Marx. Il barbone di Treviri fonda la sua previsione della polarizzazione sociale su una analisi filosofica ed economica che Letta non è in grado, probabilmente, neppure di capire. Chiedo perdono a Marx per l’accostamento col leader del PD.
Comunque, il 25 settembre si vota. Fra poco sapremo se Letta ha davvero sbagliato tutto o se invece ha dimostrato una intelligenza politica superiore.
Io penso che il 26 settembre le persone intelligenti del PD si porranno il problema di una sua immediata sostituzione.
Ovviamente posso sbagliare.



 

mercoledì 4 maggio 2022

GUERRA PER PROCURA?


Vari sapientoni parlano, a proposito della guerra in Ucraina, di “guerra per procura”.
L’Ucraina non c’entra nulla nel conflitto, affermano, la vera guerra è fra USA e Russia con gli ucraini manovrati dagli americani nel ruolo di carne da cannone. La conseguenza di una simile impostazione è chiara: il legittimo governo ucraino deve essere escluso da possibili negoziati di pace. Altri devono trattare per lui. Quindi si smetta di sostenere militarmente gli ucraini, li si induca alla resa e a trattare del loro destino saranno Russia e Stati Uniti.
Bel quadretto, non c’è che dire, ma stanno davvero così le cose? Perché mai gli ucraini hanno resistito alla aggressione? Erano tanto desiderosi di fare i burattini da sostenere i costi altissimi di uno scontro con la terza potenza militare del mondo? Perché resistere, perché opporsi se la loro indipendenza non c’entra una mazza nel conflitto in corso? Perché chiedere armi se la guerra che stanno sostenendo non ha relazione alcuna con i loro interessi e le loro aspirazioni? Per i sapientoni gli ucraini sono nella migliore delle ipotesi degli idioti, gente che si mette a guerreggiare con la Russia solo perché Biden gli fa un cenno. Nel peggiore sono delle persone geneticamente predisposte alla guerra, una sorta di robot distruttori pronti a scendere in campo non appena gli americani glielo ordinino. E’ la tesi di Putin e di Lavrov. Gli ucraini sono geneticamente nazisti, a partire dal loro leader, ebreo come Hitler (assurda palla!) quindi come Hitler nazista. Questi robot distruttori e geneticamente nazisti vanno “denazificati”. Questa la logica conclusione. L’apogeo del razzismo sostenuto dai vari Santoro e compagnia.
In realtà gli ucraini NON sono degli idioti né dei robot, né, meno che mai, geneticamente nazisti. Combattono perché sono stati invasi. Non combatterebbero se Putin non li avesse aggrediti, tra l’altro per la seconda volta in otto anni. Se Biden avesse ordinato loro di invadere la Russia di certo non lo avrebbero fatto. Elementare Watson.
Certo, nessuno è ingenuo. Intorno alla crisi ucraina ruotano interessi che vanno oltre questo sventurato paese. La guerra in Ucraina non riguarda solo gli ucraini, i suoi esiti influiranno sulla determinazione di equilibri internazionali che superano i confini dell’Ucraina. Ma è fondamentale stabilire se in questi nuovi equilibri ci sarà posto per una Ucraina libera ed indipendente oppure no. Dal fatto che la guerra in Ucraina non riguarda solo gli ucraini NON segue che non riguardi anche e soprattutto loro. Non trasforma il popolo ucraino in un aggregato di imbecilli o di robot guerrieri. Soprattutto non segue che loro, i diretti interessati, non debbano essere i primi protagonisti di un auspicabile negoziato di pace.
Non è un caso che i vari Santoro e compagnia discettino di negoziati che escludano di fatto il popolo interessato. A suo tempo ammiratori di Mao e Stalin certi personaggi proprio non capiscono che ci sono popoli che amano la loro indipendenza e libertà. E non sono disposti a giocare la parte di burattini o utili idioti.



 

sabato 30 aprile 2022

RIVEDERE LA STORIA


Leggo che il professor Orsini ha dichiarato che Hitler non intendeva scatenare la seconda guerra mondiale.
C’è un grumo di verità in questa affermazione, ma si tratta del tipico grumo di verità che cerca di rendere verosimili le menzogne.
Hitler intendeva conquistare lo spazio vitale, cioè ridurre l’Europa orientale, compresa in prospettiva la stessa Unione sovietica, allo status di colonia agricola della Germania. Per far questo era pronto alla guerra con le democrazie occidentali, ma sperava di evitare un simile scoglio.
Il tiranno nazista sperava che Francia e Gran Bretagna non reagissero alle sue provocazioni, non rispondessero ai suoi atti sempre più violenti di pirateria internazionale. Htler Sperava, in altre parole, che le democrazie occidentali si comportassero più o meno come i vari Orsini, Capuozzo, Travaglio e compagna vorrebbero si comportasse oggi l’occidente a fronte della aggressione russa all’Ucraina. Gli era andata bene con la Renania, con l’Austria, con i Sudeti e poi con tutta la Cecoslovacchia. Gli andò male con la Polonia. A fronte della invasione nazista della Polonia Francia e Gran Bretagna risposero dichiarando guerra alla Germania.
Se il professor Orsini avesse un minimo di coerenza logica ed onestà intellettuale dovrebbe dire che la responsabilità dello scoppio del secondo conflitto mondiale fu non della Germania nazista, ma della Francia e della Gran Bretagna. Furono le democrazie occidentali a dichiarare guerra alla Germania nazista, non viceversa. E’ vero che le democrazie occidentali si mossero in risposta alla invasione tedesca della loro alleata Polonia, ma pare che per il professor Orsini non sono gli aggressori ed i ricattatori ad essere responsabili delle guerre che scatenano. Ad essere responsabili sono gli aggrediti che si difendono e coloro che non cedono ai ricatti.
Quindi, basta con la menzogna di una Germania nazista responsabile del secondo conflitto mondiale. Le vere responsabili sono le democrazie, meglio, la “plutocrazie” occidentali, esattamente come oggi sono l’Ucraina che si difende e la Nato che la aiuta ad essere responsabili della guerra in corso.
Il professor Orsini dovrebbe iniziare una grande campagna di revisione storica volta a riabilitare, almeno parzialmente, uno dei peggiori, forse il peggior tiranno di ogni tempo, ed i suoi emuli dovrebbero dargli man forte. A condizione, lo ripeto, che fossero coerenti ed intellettualmente onesti.
Ma chiedere coerenza ed onestà intellettuale a simili personaggi è davvero una esagerazione.

 

giovedì 21 aprile 2022

VITA E LIBERTA'

 

Piero Sansonetti afferma, in un articolo pubblicato su "Il riformista", che la vita è un valore assoluto, che viene prima di tutti gli altri. La vita è più importante della liberà, dell’indipendenza, dell’uguaglianza. Prima viene la vita, dopo il resto.
Cosa significa tutto questo?
Può significare una cosa che è paradossalmente banale ed insieme profonda: per essere liberi occorre essere vivi. E può anche significare che il rispetto della vita umana è un imperativo etico fondamentale: nessuno deve attentare alla altrui vita. Non si può ovviamente che essere d’accordo con questo. Ma non di questo si tratta.
Innanzitutto occorre porsi la domanda: cosa intendiamo per vita? Ha senso contrapporre la vita alla libertà e ad altri fondamentali valori?
Aristotele afferma, nell’etica nicomachea e altrove che la vita è attività, continuo passaggio dalla potenza all’atto. La vita è sviluppo delle doti umane fondamentali, si vive attualizzando ciò che si è in potenza. La vita è tensione e, se è buona vita, acquisizione di comportamenti virtuosi. Nella vita l’uomo si forma, diventa realmente uomo. Bastano queste brevi considerazioni per capire quanto sia errata la contrapposizione fra vita e libertà. Si è uomini nella misura in cui lo si diventa, e questo diventare è l’attualizzazione della libertà. La vita contrapposta alla libertà è mera sopravvivenza. La domanda da farsi è allora: davvero la mera sopravvivenza è un valore assoluto, da anteporre sempre, in tutte le situazioni, a tutti gli altri? Quanti di noi accetterebbero senza combattere di vivere in una cella di un metro per due? Oppure legati ad un letto ed alimentati con delle flebo? Quanti accetterebbero senza combattere, e rischiare di morire, di vivere in una società come quella descritta da Orwel in “1984”? Non molti, credo. Non a caso sempre nella storia gli esseri umani hanno ritenuto che val la pena di combattere contro la riduzione della vita a mera sopravvivenza, o a schiavitù, o ad oppressione sociale, nazionale o etnico razziale. Piaccia o non piaccia a Sansonetti, da sempre gli esseri umani hanno lottato per quei valori che lui ritiene “secondari”, spesso hanno dato la vita per questi.

Sansonetti in realtà non nega che si possa lottare per la libertà anche a costo di sacrificare la vita. Dopo aver affermato che la vita è un valore assoluto, cui tutti gli altri vanno subordinati, fa marcia indietro e dice di ammirare quelli che si sacrificano per la libertà, l’uguaglianza o altri valori. Questo però, continua, non deve coinvolgere terze persone, i civili. Se Tizio ritiene che valga la pena di rischiare la morte pur di essere libero, faccia pure, ma non coinvolga gli altri, la popolazione civile. Questo invece fa la guerra ed è questo ad essere inaccettabile. “Quando c’è una guerra, e quando in questa guerra cadono migliaia e migliaia di civili, non c’è una scelta da parte dei civili. Non sono loro che si offrono in cambio della possibilità, talvolta remota, di conquistare l’indipendenza, o la libertà”, afferma Sansonetti.
Che pensiero profondo! Un certo paese, ad esempio, la Russia, ne invade un altro, ad esempio, l’Ucraina, lo vuole “denazificare”, deucrainizzare”, gli vuole imporre un governo di suo gradimento, vuole stabilire quale lingua devono parlare i suoi abitanti, quale devono essere al sua collocazione internazionale e la sua politica estera. Ha questo paese il diritto di difendersi? In teoria si, a condizione che i civili non siano in nessun caso coinvolti. Se il paese aggressore spara e bombarda i civili il paese aggredito deve arrendersi perché la difesa coinvolgerebbe i civili; se non si arrende è l'aggredito ad essere responsabile dei crimini che l’aggressore compie. Ragionando come Sansonetti qualsiasi difesa, qualsiasi lotta per la libertà che coinvolga non i singoli ma intere collettività diventerebbe impossibile, al contrario qualsiasi prepotenza, qualsiasi pretesa di stati autocratici ed aggressivi sarebbe immediatamente premiata. Lo stato A invade lo stato B e minaccia di bombardare obiettivi civili. Subito lo stato B deve arrendersi perché individualmente ognuno di noi ha il diritto di difendersi, ma chi governa uno stato non può coinvolgere nella sua difesa la popolazione di questo. La guerra come un incontro di pugilato o una partita di calcio, al massimo un regolare duello insomma… fantastico! Ragionando come Sansonetti si sarebbe dovuta consegnare tutta l’Europa, magari tutto il mondo, ad Hitler perché lottare contro il tiranno nazista avrebbe portato sicuramente alla morte di molti civili.
Per inciso, ragionando come Sansonetti la stessa difesa individuale diventerebbe impossibile. Passeggio per strada e vedo un bruto che sta violentando una ragazza. Devo intervenire? Il bruto potrebbe essere armato, se intervengo potrebbe sparare ed uccidere un ignaro passante, potrebbe uccidere la ragazza che invece se io non intervenissi se la “caverebbe” con lo stupo. Meglio girarsi dall’altra parte.
Ma… lasciamo perdere gli incisi riguardanti i casi individuali. Sansonetti sembra sicuro che arrendersi ai prepotenti non provochi nessuna vittima civile. E se le cose stessero diversamente? Se nel 1940 La Gran Bretagna avesse accettato le proposte di “pace” di Hitler il tiranno nazista sarebbe diventato l'incontrastato padrone dell’Europa continentale ed avrebbe potuto, in tutta calma, senza che nessuno lo disturbasse, massacrare milioni e milioni di ebrei. E, per venire alle cose di oggi, cosa succederebbe agli ucraini se Putin vincesse a mani basse? Non ci sarebbero vendette, fucilazioni, fosse comuni? Sansonetti non sembra troppo preoccupato da simili eventualità. Forse non sa che in tempo di “pace” sono avvenuti autentici genocidi, uno proprio in Ucraina, si chiama Holodomor.

Infine, è proprio sicuro Sansonetti che le popolazioni civili vogliano sempre la resa? E’ proprio sicuro che “i civili” non tengano alla libertà, all’indipendenza, alla democrazia? La popolazione ucraina oggi vuole la pace ma non la resa. Non è Zelens’kyj che obbliga gli ucraini a combattere, al contrario, questi con tutta probabilità gli si rivolterebbero contro se lui accettasse la resa. Gli inglesi non volevano la “pace” con Hitler nel 1940. Quando le popolazioni civili vogliono davvero la resa (che è cosa ben diversa dal soffrire per gli orrori di una guerra ed anche dal protestare per l’incapacità, vera o presunta, dei governanti di condurla efficacemente) di solito le guerre finiscono. Nessun governante può obbligare alla lotta un popolo che ad immensa maggioranza non vuole più battersi, non può farlo perché non esistono muraglie cinesi fra civili ed esercito. I civili altro non sono che i genitori, le mogli, le fidanzate, i figli e le figlie dei militari, per questo, se è davvero diffuso,  il desiderio di resa del popolo coinvolge alla fine gli stessi combattenti. Il fronte occidentale tedesco crollò letteralmente dopo il fallimento dell’offensiva delle Ardenne, interi paesi si arresero senza combattere agli anglo americani. I tedeschi si difesero invece fanaticamente sul fronte orientale per un motivo molto semplice: temevano le rappresaglie dei russi. L’esercito zarista si disfò completamente nell’autunno del 1917, sappiamo cosa successe poi.
Ovviamente è dovere assoluto dei governanti di un paese costretto alla guerra cercare di tutelare al massimo la popolazione civile, ed evitare attacchi indiscriminati contro la popolazione civile del paese nemico. Ma questo dovere non va confuso con un presunto dovere di arrendersi. Non esiste questo dovere. Esiste il dovere di rispettare la altrui vita e libertà. Ed il diritto di difendersi da ingiuste aggressioni.

Un’ultima considerazione. Sansonetti conclude il suo articolo affermando che la globalizzazione oggi rende possibile che ogni negoziato si concluda positivamente, perché le dittature sono destinate alla sconfitta dal potere della globalizzazione. Aspettino qualche decennio gli ucraini e tutto si risolverà. Tralasciamo le facili ironie. Partito da considerazioni etiche e di principio Sansonetti termina con risibili considerazioni empiriche. Che la globalizzazione porti alla irresistibile affermazione mondiale della democrazia liberale era la tesi esposta poco dopo il crollo del comunismo da Francis Fukuyama in “la fine della storia e l’ultimo uomo”. Una tesi che ha trovato negli ultimi decenni innumerevoli smentite, ovunque. L'ultima smentita a questa tesi, letteralmente demolita sul piano analitico da Samuel Huntington ne “lo scontro delle civiltà”, ce la fornisce proprio la guerra in Ucraina. Gli ucraini rivendicano anche per se il diritto universale delle nazioni all'auto determinazione, i russi intendono negar loro questo diritto. Né gli uni né gli altri prestano attenzione alcuna all'utopia, una distopia in realtà, di un mondo senza frontiere, enorme area grigia priva di stati e nazioni, culture e civiltà. Non val la pena di aggiungere altro.
In passato ho provato simpatie per Sansonetti. Continuo a condividere le sue idee riguardo alla giustizia, lo trovo una persona onesta. Ma che per puntellare la sua teorizzazione del dovere di arrendersi faccia ricorso a tesi che pochi ormai osano sostenere mi sembra davvero deprimente. Pazienza.

sabato 16 aprile 2022

TRE BREVI SCRITTI SULL'UCRAINA

TRASIMACO
Tutti i profondissimi, eruditissimi, estremamente complessi discorsi dei finti pacifisti (i pacifinti) si riduco a questo: Se sei aggredito da chi è più forte non ti difendere e dagli tutto ciò che vuole.
Non devi lottare, non devi chiedere aiuto, devi solo cedere, subito, senza neppure tentare una qualche difesa. Se non lo fai sei TU il responsabile delle sofferenze che accompagnano ogni conflitto.
Cosa significa tutto questo? Molto semplice: nei rapporti fra gli stati vale la LEGGE DEL PIU’ FORTE. Chi è più forte ha diritto alla aggressione, chi è più debole non ha diritto di difesa.
Ok, prendiamone atto. E’ questo ciò che pensano i pacifinti, però, di grazia, lo dicano chiaramente e ci risparmino le chiacchiere sulla “pace”, il “dialogo”, le “trattative”, la “complessità” eccetera eccetera. Nei rapporti internazionali vale la legge della giungla, punto.
Però, a pensarci bene, perché questa legge dovrebbe valere solo nelle relazioni internazionali? Se uno stato ha il diritto di invaderne un altro perché mai un individuo non dovrebbe avere il diritto di aggredirne un altro? Se non si deve aiutare uno stato aggredito a difendersi perché mai si dovrebbe prestar difesa ad una ragazza minacciata di stupro? O ad un ottantenne preso a pugni da un teppista giovane e forte che si vuole impossessare del suo portafoglio? Se la forza è legge sia legge sul serio, a tutti i livelli!
I pacifinti probabilmente non lo sanno, ma hanno un illustre predecessore: Trasimaco, il protagonista, insieme a Socrate, del primo libro della “Repubblica” di Platone.
Rispondendo alla domanda di Socrate su cosa sia la giustizia Trasimaco afferma: “giustizia è l’utile del più forte”. Chiaro no? Se Tizio è più forte di Caio è “giusto” che Tizio malmeni, derubi, al limite uccida Caio. La Russia è più forte dell’Ucraina quindi è “giusto” che le città ucraine siano assediate e bombardate. Se invece un missile ucraino manda a fondo una nave russa questo è molto ”ingiusto”, degno di biechi “guerrafondai”.
Quasi tutta la filosofia politica occidentale rifiuta la definizione di giustizia di Trasimaco, ma questo non turba probabilmente i sonni dei pacifinti. Il sofista Trasimaco, nella rappresentazione, non si sa quanto corrispondente al vero, che ce ne dà Platone nel primo libro della “Repubblica”, è il leader teorico dei vari Capuozzo, Feltri e Liguori. Non so se lo conoscono. In ogni caso, se lo tengano.

ASIMMETRIA
Fra le tante cose che i sedicenti “equidistanti” non capiscono spicca il carattere asimmetrico della guerra in corso.
Non si tratta della mancata distinzione fra aggredito ed aggressore, invasore ed invaso, si tratta di qualcosa di più, e ancora più grave.
Se la Russia dovesse perdere questa guerra, la “sconfitta” (non sono casuali le virgolette) per lei si ridurrebbe a far tornare a casa i suoi soldati. La “sconfitta” non farebbe perdere alla Russia un centimetro del suo territorio, non le imporrebbe la rinuncia ad un metro cubo del suo gas, ad un grammo delle sue materie prime. Non sarebbe seguita da nessun umiliante accordo di pace.
Per l’Ucraina il discorso è completamente diverso. La sconfitta (senza virgolette) porterebbe alla fine dell’Ucraina come stato indipendente.. Una Ucraina sconfitta si trasformerebbe nel migliore dei casi in uno stato fantoccio, nel peggiore in una regione della grande Russia.
Nessuno definisce la Russia una non – nazione. Putin definisce invece non – nazione l’Ucraina.
Nessuno cercherebbe di “derusificare” una Russia “sconfitta”. Una Ucraina sconfitta verrebbe invece brutalmente “deucrainizzata”.
Se i russi fossero costretti a lasciare l’Ucraina nessuno ucraino torcerebbe un capello a Putin (questo semmai avrebbe da temere un colpo di stato nel suo paese).
Se i russi conquistassero Kiev con tutta probabilità Zelens’kyj finirebbe appeso ad una forca.
Mi sembrano differenze sostanziali.
Ma in tanti si ostinano a non capirle.

DOMANDA RETORICA?
Come tutti sanno, o dovrebbero sapere, l’Ucraina ha restituito alla Russia 1900 testate atomiche, ricevendo in cambio la formale assicurazione che la sua integrità sarebbe sempre stata rispettata. Sappiamo come sono andate le cose.
Oggi Putin minaccia addirittura l’uso di atomiche “tattiche” contro gli ucraini.
Eppure stamattina ho dovuto sentire il senatore Gasparri, di Forza Italia, affermare che “per fortuna l’Ucraina non ha più le testate nucleari” se no… chissà cosa avrebbero fatto quei guerrafondai di ucraini. (chissà forse in quel caso non ci sarebbe stata invasione da parte russa).
Vittorio Feltri dal canto suo è molto dispiaciuto per l’affondamento dell’incrociatore russo. Ora Putin si incazza e vedrete cosa succede!
Feltri ha cominciato a strillare "resa" dal primo minuto di guerra. In buona compagnia: Capuozzo, Liguori, Sansonetti, Travaglio, Rizzo, Fusaro, D’Alema eccetera eccetera. Mai si era vista una simile armata Brancaleone della “pace” (cimiteriale).
In questi giorni ho chiesto più di una volta a chi teorizza la resa: “direste lo stesso se ad essere sotto assedio fossero Milano o Roma?”.
Pensavo si trattasse di una domanda retorica. Credevo che in questo caso i sostenitori della “pace” (cimiteriale) in Ucraina sarebbero stati per la resistenza armata.
Sbagliavo, comincio a pensare.
Certi personaggi con tutta probabilità consegnerebbero le chiavi dell’Italia al primo invasore di turno. Tutto per la “pace” (cimiteriale) perbacco!
Se poi l’invasore ci ricompensa con qualche prebenda… meglio!
C’è chi la libertà la merita e chi no...



 

venerdì 8 aprile 2022

RESA E REALISMO


E’ dal primo minuto di guerra che una schiera di giornalisti, scrittori, esperti in geopolitica e gastronomia, intellettuali, filosofi, ballerine e cabarettisti strilla: “resa! Resa!”.
Fosse per loro la guerra sarebbe finita da un pezzo. Zelens’kyj con tutta probabilità penzolerebbe da una forca e l’Ucraina sarebbe rientrata a vele spiegate nell’impero russo (o sovietico).
Non intendo dilungarmi troppo sul valore etico di una simile “soluzione” del conflitto. In fondo, chi se ne frega dell’Ucraina? Confina con la Russia e deve tenerne conto in nome del “realismo” perbacco! La Polonia confinava con Germania ed URSS, non ha voluto tenerne conto ed avete visto cosa le è successo? Chi confina con i cattivoni deve diventare colonia dei cattivoni… è tanto semplice (e se coi cattivoni ci confinassimo NOI?). Quanto a Zelens’kyj… beh… sono convinto che la sua impiccagione causerebbe a qualche “pacifista” piccoli orgasmi. Ognuno ha gli orgasmi che si merita.
Lo ripeto, tralasciamo gli svolazzi etici, pensiamo al realismo. Parliamo delle conseguenze di questa tanto agognata resa di quei rompipalle di ucraini.
Avremmo la “pace”? Io credo di no.
In primo luogo non credo che la resa farebbe cessare le ostilità in Ucraina. Quei “nazisti” di ucraini pare non vogliano proprio saperne di tornare sotto il dominio russo. La resa che i vari Capuozzo, Feltri, Liguori invocano di continuo sarebbe seguita dall’esplodere di una guerriglia che l’occidente non potrebbe esimersi dall’aiutare qualche modo. L’Ucraina diverrebbe una zona di altissima instabilità, una sorta di Afghanistan in Europa. Altro che “pace”!
La Russia dal canto suo non si fermerebbe all’Ucraina. Putin ha già detto chiaro e tondo che se la Svezia si provasse ad entrare nella Nato sarebbero guai, non parliamo poi della Finlandia. Ha già avanzato mire sulla Moldavia, e pretende concrete azioni di disarmo da parte degli stati baltici. Del resto proprio la resa dell’Ucraina spingerebbe al riarmo Moldavia e stati baltici, e Svezia e Finlandia a pensare seriamente ad un ingresso nella Nato, unica garanzia per la loro sicurezza.
La resa in altre parole aumenterebbe probabilmente l’instabilità e quindi i rischi di nuove guerre.
Questo, mi sembra, ci dice il “realismo”, perché una analisi realista deve tener conto di TUTTE le variabili. La prepotenza di Putin, certo, ma anche l’ostilità degli ucraini, le paure della Finlandia, della Moldavia e degli stati baltici. Se no il “realismo” cessa di essere tale e diventa pura e semplice speranza che tutti si adeguino alla pretese della Russia. Qualcosa di molto poco realistico.

 

sabato 2 aprile 2022

TAIWAN

 


Possiamo esserne certi.
Se la Cina invadesse Taiwan subito una schiera di sapientoni inizierebbe a pontificare.
“Taiwan è da sempre parte della Cina”, direbbe uno. La cosa è inesatta ma si tratta di dettagli.
“Gli USA hanno armato Taiwan e questa minaccia la Cina”, aggiungerebbe un secondo.
“E’ vero”, esclamerebbe un terzo, “Taiwan è parte di una manovra che mira ad accerchiare la Cina”.
Un professorone esperto in economia, geopolitica, fisica quantistica, filosofia teoretica, gastronomia e stronzologia comparata si alzerebbe dicendo con voce stentorea: “Taiwan è governata dai fascisti!”
Un professorino specializzato in culinaria e teoria della complessità replicherebbe: “forse i governanti di Taiwan non sono tutti fascisti ma di certo la democrazia a Taiwan ha molte lacune”. Invece in Cina è perfetta.
Tutti strillerebbero: “Taiwan ha dato asilo a Chiang Kai Shek, un nemico mortale della libertà”. Mao ne era invece un fulgido difensore.
Una militante di qualche collettivo femminista rivoluzionario direbbe singhiozzando. “A me interessa il lato umano della vicenda. Aiutando Taiwan l’occidente prolunga la guerra e questa fa aumentare i morti. Fermiamo i guerrafondai americani!”
Suo figlio, sempre singhiozzando aggiungerebbe: “In ogni caso Taiwan non può resistere alla invasione cinese. Fornendo armi a Taiwan ne prolunghiamo l’agonia”.
Una leggiadra fanciulla sentenzierebbe: “la guerra non si ferma con armi! Difendendosi Taiwan non fa altro che aggiungere violenza alla violenza”.
“L’Italia deve restarne fuori!” Strillerebbero in molti. “Ce lo impone la costituzione”.
“Volete portare il mondo alla terza guerra mondiale per difendere un’isola priva di importanza?” Direbbe un anziano signore con espressione contrita.
“l’occidente deve ritirarsi, non può sostenere il confronto con la Cina mantenendo le attuali posizioni”. Direbbe una docente in filosofia esperta in strategia geopolitica. E aggiungerebbe: “se non si ritira l’occidente è responsabile dei morti che la guerra provoca”.
Tutti farebbero precedere le loro dottissime affermazioni da queste parole: “io non sono con Xi JinPing… però…”
PS. Nel suo ottimo libro “Fermare Pechino” Federico Rampini, uomo di sinistra che dice cose intelligenti e largamente condivisibili da ogni persona di buon senso, ricorda che Taiwan è la prima produttrice al mondo di semi conduttori. In quella piccola isola è concentrata la produzione mondiale di circa il 60% dei semi conduttori. I semi conduttori sono quei cosini senza i quali nella nostra società non funziona praticamente nulla: dai telefonini agli aerei, dagli elettrodomestici alle auto, dai missili alle attrezzature sanitarie.
Proviamo a pensare come andrebbero le cose se questa isola “senza importanza” cadesse nelle mani di quel simpaticone di Xi Jinping…
Ah… dimenticavo ogni riferimento alla situazione attuale dell’Ucraina è puramente casuale. Certi “argomenti” (si fa per dire) sono interscambiabili, dettagli a parte. Valgono per l’Ucraina, ma possono valere per Taiwan come per gli stati baltici o per la Polonia… a scelta.




CUORI GENEROSI


“Seguivo il suo profilo, su Facebook, anche se da tempo era chiaro che avesse altre cose da fare. Era un comunista vecchio stampo, che non negava le foibe, e piuttosto ne faceva una gloria della giustizia proletaria. Riposi in pace, lui e la sua coerenza, che rivelano la grande confusione tra i cuori generosi e smarriti delle destre e delle sinistre più eccitabili”.
Così il fiero tony Capuozzo parla di Edy Ongaro, l’uomo che, dopo aver eroicamente preso a calci in pancia una donna, è fuggito dall’Italia ed ha trovato eroica morte nel Donbas.
Ongaro era un comunista stalinista duro e puro, uno di quelli che sono pronti a giustificare, meglio, ad esaltare ogni orrore se questo serve a realizzare il presunto paradiso in terra che la loro ideologia promette alla future, molto, molto future, generazioni.
Di questo personaggio Capuozzo non dice che era un pericoloso fanatico, no, lo considera una persona coerente, profondamente legata alle proprie idee, quindi un “cuore generoso”.
Ma né la coerenza né il legame con le proprie idee sono, in quanto tali, delle virtù. Esiste la coerenza della ricerca scientifica, ma esistono anche la lucida coerenza dei folli e la coerenza assassina dei criminali. Ed esistono le idee assassine, accanto alle idee positive.
In tutta la storia nessuno, credo, è stato più fanaticamente e coerentemente legato alle proprie idee di Adolf Hitler. Il tiranno nazista era convinto, sinceramente convinto, che gli ebrei fossero la sifilide del genere umano e ne ha coerentemente programmato il massacro. Non credo lo si possa definire un “cuore generoso”.
Ma il grande Capuozzo non si limita a considerare un “cuore generoso” il signor Ongaro, no, se la prede col popolo ucraino.
L’Ucraina è “è un Occidente alla buona, fatto di Nato e laboratori chimici che è scomodo ospitare da noi, di badanti e utero in affitto, di un popolo che non vuole tornar sotto il grigiore del socialismo reale senza neanche il socialismo, e che per farlo ha rispolverato vecchi eroi collaborazionisti…”
Voglio dirlo chiaramente. Considero moralmente repellenti questi continui attacchi ad un popolo che ha subito in passato un autentico genocidio su cui ancora grava un infame silenzio tombale e che vive oggi sotto le bombe.
Considero puro e semplice razzismo il continuare a parlare degli ucraini come di un popolo di badanti ed uteri in affitto, ed è prova di totale ignoranza storica, se non di autentica malafede, il parallelo fra gli episodi di collaborazionismo che ci sono stati in effetti in Ucraina ai tempi dell’invasione nazista e gli eventi di oggi.
In alcune occasioni i nazisti furono accolti come liberatori dalle popolazioni ucraine, è vero. Ne parla anche Solzenicyn in “Arcipelago Gulag”. Ma Solzenicyn, che è stato un grandissimo scrittore ed un eccellente storico, non un giornalista un tanto al chilo, spiega anche le cause di simili eventi. I contadini ucraini nel 1941 erano letteralmente stremati dalla guerra di sterminio che Stalin aveva loro dichiarato. A milioni erano morti di fame a causa delle brutali requisizioni dei raccolti messe in atto dal tiranno sovietico, quello che certi “cuori generosi” ancor oggi amano ed ammirano. Qui è la radice, la causa profonda del tragico errore, cui si sono accompagnati anche crimini ed orrori, di cui è si è resa colpevole una parte, comunque minoritaria, del popolo ucraino. Errore ed orrori che comunque nulla hanno a che vedere con quanto accade oggi in Ucraina, a meno di non voler prendere per buona la propaganda di Putin.
Non val la pena di continuare. Tony Capuozzo è oggi molto amato da tutti i teorici della resa, è il punto di riferimento obbligato di quanti affermano che se questa guerra orribile continua la colpa non è degli aggressori ma degli aggrediti. Perfetta logica, degna dei più generosi dei cuori.
Capuozzo è stato a suo tempo militante di Lotta continua. Oggi è anche peggio.
E tanto basta.

 

lunedì 28 marzo 2022

ANCORA SULL'ARTICOLO 11

Quelli che invocano di continuo l’articolo 11 della Costituzione ed il ripudio della guerra ne hanno inventata un’altra. Oltre all’articolo 11 c’è anche l’articolo 52 della costituzione che dice: “La difesa della Patria e' sacro dovere del cittadino” e questo pone qualche problema a chi sostiene che il famoso articolo 11 vieta in maniera assoluta, sempre e comunque qualsiasi ricorso alle armi. Perché, è ovvio, se la difesa della patria è sacro dovere del cittadino qualche volta qualche arma la si potrà pure impugnare, se costretti, no?
Ma gli ermeneuti del “ripudio della guerra” non si danno per vinti. Ci pensano su ed arrivano alla seguente, fantastica conclusione: L’Italia può ricorrere alle armi solo e soltanto per difendere la SUA indipendenza, non quella di altri paesi. Fantastico! Altro che “sacro egoismo”! Qui siamo all’apogeo, alla assolutizzazione dell’egoismo! Se un certo paese è invaso da un altro, molto più forte e ci chiede aiuto noi non dobbiamo dargli neppure una fionda per difendersi. Noi “ripudiamo” la guerra perbacco, ci interessano solo i nostri confini. E se il paese invasore mette in atto un massacro generalizzato nei confronti della popolazione del paese invaso? In questo caso innalzeremo al cielo soavi conti, urleremo “pace”, sventoleremo bandiere arcobaleno. Molto, molto commovente.
Molti teorici di questo nuovo “sacro egoismo” sono gli stessi che predicano il dovere della assoluta accoglienza, i teorici della “inclusività” assolutizzata. Sono quelli che strillano “solidarietà” tutti i giorni, 24 ore al giorno.
L’Italia accoglie chi fugge dalle guerre, ed anche chi dalle guerre non fugge, ma se degli uomini coraggiosi ci dicono: noi non vogliamo fuggire, vogliamo difendere la nostra terra, la nostra patria, aiutateci, anche indirettamente, noi gli rispondiamo: affaracci vostri, a noi interessano solo i nostri confini. Più “buoni” di così si muore...
Ma, a parte il lieve senso di nausea che provocano simili affermazioni, sono giuridicamente fondate? Ritengo di NO. Vediamo.
L’articolo 11 della Costituzione recita:
“L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.
Sul ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà di altri popoli non si può che concordare. Personalmente mi sembra che il ripudio della guerra come strumento di offesa della altrui libertà implica la condanna delle offese alla libertà di qualsiasi paese e che quindi la carta costituzionale non ci impone di rimanere inerti quando un paese ne aggredisce un altro, ma… tralasciamo.
L’articolo 11 afferma che l’Italia ripudia la guerra anche come “mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Questo, secondo gli amanti del pacifismo un tanto al chilo, ci impedirebbe qualsiasi azione militare, forniture di armamenti comprese, riguardanti altri paesi.
A questi sottilissimi ermeneuti vorrei porre due domande.
1) Fermo restando che se esiste una controversia si deve seguire la via del negoziato, se la parte avversa fa saltare il tavolo, la smette di negoziare, o pone condizioni palesemente inaccettabili e passa alle vie di fatto è consentito rispondere armi alla mano alla sua aggressione? Qualsiasi persona dotata di normali capacità di ragionamento non può rispondere che SI.
2) L’Italia, membro tra l’altro della UE e della Nato, può partecipare solo a negoziati che riguardano se stessa? Può discutere solo, per dire una sciocchezza, su eventuali pretese francesi sulla Valle D’Aosta o può partecipare anche a trattative che riguardino, ad esempio, la Polonia, Ucraina o l’Egitto? Di nuovo, basta fare la domanda per avere la risposta.
L’Italia può partecipare a trattative che non la riguardano direttamente, non mettono in discussione i suoi confini e se quelle trattative falliscono per colpa della parte avversa può partecipare agli sforzi militari conseguenti al fallimento. E’ pura logica questa. E se dalla logica si passa all’empiria, l’Italia è stata militarmente presente in Afghanistan ed in Iraq che non avevano affatto invaso il nostro paese. Che poi le nostre forze non fossero direttamente combattenti non cambia la sostanza delle cose. Si può partecipare ad una azione militare anche indirettamente, mandando sul campo soldati con funzioni limitate, oppure limitandosi ad inviare aiuti militari.
Non mi interessa approfondire il giudizio sulle spedizioni militari italiane, sulla loro efficacia, sulla sottile ipocrisia sottesa al cercare di mascherarle come “azioni di pace”. Quello che mi interessa ribadire è che l’interpretazione che i pacifisti un tanto al chilo danno dell’articolo 11 trasformandolo in una sorta di porta aperta al “sacro egoismo” non sta in piedi.
E tanto basta.

mercoledì 23 marzo 2022

MEMORIA STORICA


La guerra in Ucraina sta diventando qualcosa che molti occidentali proprio non riescono a capire: una guerra di popolo. Una resistenza dura, tenace che unisce la stragrande maggioranza della popolazione e rende agli invasori russi estremamente costosa la sottomissione della nazione ucraina.
Se così non fosse Kiev sarebbe già stata conquistata e Zelen’skyj penderebbe probabilmente da una forca, fra i malcelati gridolini di soddisfazione di qualche occidentale amante della “pace” (preferibilmente quella dei cimiteri).
Gli ucraini NON si vogliono arrendere, questo è il punto. Tanti occidentali amanti della “complessità” forse non lo sanno (e si che sono profondissimi “studiosi”) ma l’Ucraina ha subito un genocidio di dimensioni simili alla Shoah. Si tratta dell’holodomor, il massacro per fame dei contadini ucraini cui il partito comunista sovietico, cioè, in concreto, russo, strappò sino all’ultimo chicco di grano, l’ultima patata, l’ultimo tozzo di pane. Morirono dai 4 ai 7 MILIONI di persone (per inciso, in tempo di PACE), ricomparve il cannibalismo, il granaio d’Europa fu ridotto ad un cumulo di macerie. La criminale politica di Stalin colpì anche i contadini russi, anche se in misura quantitativamente minore e un po’ meno brutale, ma in Ucraina il massacro dei contadini fu accompagnato ed intrecciato con una brutale politica di denazionalizzazione. Fu proibita la pubblicazione delle opere di scrittori e poeti ucraini, cancellati i corsi universitari di lingua e letteratura ucraine, imposta la lingua russa nei libri di testo. Furono chiusi prestigiosi istituti di ricerca, imprigionati ed accusati di “nazionalismo piccolo borghese” migliaia insegnanti, professori, intellettuali. Molti di loro morirono nei gulag. Lo stesso partito comunista ucraino fu sottoposto a purghe spietate perché sospettato di non eseguire con la dovuta fermezza gli ordini staliniani relativi al massacro dei contadini e di essere pervaso da deleteria ideologia nazionalista. Molti suoi leader morirono fucilati, alcuni suicidi.
E non è che dopo le cose cambiarono molto. L’holodomor fu negato sino al crollo del comunismo ed anche dopo. Come le fosse di Katyn divenne qualcosa di cui fino a tempi assai recenti è stato impossibile parlare, qualcosa da rimuovere, dimenticare.
NON dagli ucraini però. Certe cose entrano a far parte della memoria collettiva di un popolo e restano, piaccia o non piaccia la cosa agli angioletti dell’occidente privo di valori forti.
Anche per questo quando ci fu il referendum per l’indipendenza dell’Ucraina questa venne approvata con oltre il 90% dei SI. Venne approvata in TUTTE le regioni del paese, Crimea e Donbas comprese.
Non deve stupire la volontà degli ucraini di RESISTERE. E’ un DATO DI FATTO. I “realisti” invitano sempre tutti a “tener conto” dei dati di fatto. Ebbene, è un dato di fatto che la stragrande maggioranza degli ucraini NON vogliono vivere in uno stato asservito alla Russia di Putin. La cosa può addolorare i “pacifisti”. Non possiamo far altro che dolerci del loro dolore.
Malgrado tutta la retorica della “complessità” le cose sono oggi molto semplici. Possiamo fregarcene della volontà di resistenza degli ucraini, voltarci dall’altra parte e lasciare che gli questi vengano massacrati.
Oppure possiamo aiutarli, con intelligenza, combinando aiuti militari, sanzioni economiche, iniziativa diplomatica, condanna morale, soccorsi umanitari.
A noi la scelta. Ma smettiamola per favore con la vomitevole retorica finto pacifista di cui alcuni sono campioni. Non è vero che non dare armi all’Ucraina fa diminuire i morti, fa solo aumentare i morti ucraini. Se un missile russo sta per colpire un ospedale ucraino i casi sono due: o una batteria antimissile ucraina abbatte il missile russo o questo colpisce l’ospedale.
Questa la realtà vera. Il resto sono chiacchiere.