lunedì 29 aprile 2013

ANCORA SUGLI SPARI DI ROMA



Quante idiozie circolano in rete sulla sparatoria di Roma! Anche se serve a poco vediamo se si può fare un po' di chiarezza.
1) In una situazione come la attuale ci sono un sacco di persone alle prese con problemi gravissimi. Questo però non giustifica in nessun modo il gesto folle di ieri. Se tutti coloro che non trovano lavoro si sentissero in qualche modo autorizzati a sparare nel mucchio sarebbe la fine!!!
2) “Poteva colpire un politico” dicono in molti, fra il serio ed il faceto. Ora, a parte il fatto che NON TUTTI i politici sono ladri, chi dice cose simili dimentica che sparare ad un politico è esso stesso un ATTO POLITICO, ed è una affermazione POLITICA augurarsi che un politico venga fatto fuori. Oggi viene fatto fuori il politico di uno schieramento, domani ad essere eliminato potrebbe essere il politico di un altro schieramento e così via, in una spirale INFERNALE.
3) Speculare su un fatto come quello di ieri sarebbe del tutto sbagliato. Però non è sbagliato ricordare a tutti che le parole sono pietre. Non si possono usare toni da guerra civile e poi stupirsi se qualche pazzo prende sul serio le cose che vengono dette.
4) Bisogna scegliere. O la politica è confronto, ed anche scontro, fra interessi, idee, valori, diversi ma tutti egualmente legittimi, o è LOTTA A MORTE fra onesti e disonesti, criminali e persone eticamente superiori, un piccolo pugno di oppressori e la gran massa degli oppressi Se si ritiene vero il secondo corno del dilemma si entra nella logica della GUERRA CIVILE.

Mi permetto di invitare chi gioca con le parole a leggersi gli scritti di un certo LENIN. Potrà constatare che il rivoluzionario russo non scherzava. Parlava di togliere tutto agli “sfruttatori” e lo ha fatto, ed ha compreso fra gli “sfruttatori” anche i contadini indipendenti. Definiva un inganno la democrazia ed infatti ha eliminato l'inganno. Chiamava i socialdemocratici “traditori” e “rinnegati”, da buttare nella “spazzatura della storia”, e ce li ha buttati. I rivoluzionari VERI non scherzano. Ed i popoli pagano il conto della loro coerenza...

domenica 28 aprile 2013

OGGI A ROMA

Non voglio speculare su quanto è avvenuto a Roma, si tratta con tutta probabilità di un gesto folle ed isolato. Ma di certo quella follia è in sintonia con un'altra follia che da troppo tempo serpeggia nel paese.
Prima si è trasformato il rivale politico in nemico politico, poi in nemico tout court. Prima l'odio si concentrava su una persona, poi si è allargato ad uno schieramento, infine ha inghiottito tutti, indiscriminatamente.
Non si criticano più i rivali politici, li si accusa di ogni nefandezza, si addebitano loro cose che con la politica non hanno nulla a che fare. Il tal politico non è accusato di non essere in grado di fare cose buone, o di non tutelare interessi che vanno tutelati, o di tutelare troppo altri interessi, che invece sarebbe meglio tutelare meno. No, lo si accusa di essere un ladro, un depravato, un delinquente comune. Se mio figlio non trova lavore ciò non è causato dalla crisi, o magari dalla incapacità dei politici di farvi fronte. No, mio figlio non trova lavoro perché un branco di criminali vuole "rubargli il futuro", si facciano fuori questi criminali e mio figlio lo riavrà, il suo futuro.
Da troppo tempo in Italia opera il partito della guerra civile. Bisogna fermarlo, prima che sia troppo tardi.

sabato 27 aprile 2013

IL NUOVO GOVERNO



Le elezioni rischiavano di consegnare l'Italia a Bersani e Vendola, e la cosa non è avvenuta. Subito dopo le elezioni Vendola e Bersani hanno tentato il colpaccio dell'accordo con Grillo, finalizzato alla eliminazione del cavaliere, la cosa non è passata. Poi hanno puntato su Prodi presidente della repubblica, ed hanno fallito ancora una volta. Ora il PD deve ingoiare la pillola di un governo col Pdl, cosa che procurerà a molti post comunisti forti attacchi di dissenteria. La prossima mina è rappresentata dalle sentenze dei giudici, specie di quelli della cassazione, nei processi a carico di berlusconi. Se prevalgono gli sfascia carrozze tutto torna in alto mare, se no si potrà aprire un periodo di relativa normalità istituzionale. Qualcuno potrebbe dire: queste sono considerazioni politiche, non giuridiche: che fine fa la ricerca della verità? Beh, ci vuole una bella dose di "ingenuità" per pensare che i magistrati che da 20 anni aprono sempre nuove inchieste sul cavaliere lo facciano per amore della verità.
Soprattutto ci sono, pesanti come macigni, i problemi del paese, l'economia in ginocchio, le famiglie e le imprese allo stremo. Il governo DEVE ottenere risultati positivi, DEVE riuscire a dare aria all'economia, ad allentare i vincoli europei, ad aprire prospettive di crescita. Se fallisce consegna l'Italia a Grillo, cioè allo sfascio totale. Ecco perchè il governo VA SOSTENUTO, senza se e senza ma, anche se questo o quel ministro possono non piacerci.

LO PSICODRAMMA



Militanti di base” che chiedono ansiosamente, o furiosamente: “perché?”, alcuni piangono, altri gridano, in molti occupano le sezioni, moltissimi urlano: “non fatelo!”. Quadri intermedi che vanno dai “grandi capi” a chiedere soccorso: “non riusciamo a farlo digerire, questo accordo” affermano costernati. E i più “duri” fra i “grandi capi”, quelli contrari all'accordo, scuotono la testa: “ecco, vedete? “ dicono rivolti ai dialoganti, “la base non ci segue, stiamo (state) sbagliando tutto”...
Lo psicodramma in atto in questi giorni nel PD mi ricorda un altro psicodramma, legato ad un evento ben più importante che non la formazione del governo Letta. Mi riferisco al crollo del comunismo ed alla scelta dell'allora PCI di rinunciare al suo “glorioso” nome. Anche allora protest
e, urla, pianti, rivolta della base. Ed anche allora una buona dose di “comprensione” da parte di molti “democratici progressisti” colpiti dal “sincero travaglio” del popolo comunista.
Però, dietro a quel “sincero travaglio”, dietro ai pianti ed agli strilli stava una esperienza storica costata MOLTE DECINE DI MILIONI DI CADAVERI al genere umano. Stava il sistema dei Gulag descritto splendidamente da Solgenicyn, stavano la eliminazione del Kulak in quanto classe ed il gran balzo in avanti, l'holodomor in Ucraina e la grande rivoluzione culturale proletaria in Cina, i processi farsa, le confessioni estorte con la tortura e la allucinante vicenda cambogiana; e stava, soprattutto, la protesta di interi popoli che di quella esperienza storica non ne potevano più, letteralmente. Il “sincero travaglio” dei militanti del PCI avrebbe fatto infuriare o sbellicare dalle risate un ungherese o un polacco, un rumeno o un cambogiano. Induceva invece a pensose considerazioni tanti pseudo intellettuali italici.

Le grandi ideologie totalitarie sono fatte così: anche quando crollano e tutti possono constatarne il carattere criminale lasciano rimpianti, nostalgie, senso di vuoto. E' dura rinunciare all'assoluto, alla fine della storia, alla trasfigurazione angelica dell'uomo. E' dura passare dalla contestazione globale all'azione moderata e pragmatica volta a riformare il sistema. Le ideologie prometeiche uccidono ma affascinano, coinvolgono gli esseri umani nel cervello, nel cuore, e nella pancia. E quando il cervello si rende conto che non è il caso di continuare a seguirle, il cuore, e, soprattutto, la pancia, si ribellano. E vanno alla ricerca di altri assoluti, in formato ridotto, piccoli assoluti, piccole ideologie prometeiche, piccoli totalitarismi in miniatura.
E se questi non bastano, li si può integrare con un assoluto negativo. Se non c'è più il fine glorioso verso cui convergere con tutte le forze, può esserci un nemico assoluto, una incarnazione del male, contro cui lottare, sempre con tutte le forze..
Ecologismo mistico, adamantina onestà, pacifismo terzomondista: la sinistra italiana ha cercato tanti piccoli assoluti con cui sostituire il grande, terribile assoluto che ha adorato per decenni. Ma soprattutto è riuscita a costruirsi un perfetto assoluto negativo: un uomo che riassume in se quanto di peggio può esistere al mondo, un uomo con cui ogni dialogo è precluso, ogni accordo impossibile, ogni legittimazione criminosa.
Ora il PD, che di questa sinistra è il partito più forte, è costretto a dialogare con questo demonio, deve addirittura farci un governo. E allora riecco lo psicodramma, le urla, i pianti, la rabbia.
Ed ecco l'urlo: “mi fa schifo!”.
Beh, se ne facciano una ragione, crescano, diventino laici. E si ricordino che se a loro fa schifo governare col Pdl, a molti del Pdl può fare un po' di nausea governare con loro. Però bisogna cercare di farlo, perché la crisi del paese è tragica e non la si può superare con le risse ideologiche.
Forse, finito lo psicodramma, avremo un paese un po', solo un po', migliore.

venerdì 26 aprile 2013

GRILLO E IL 25 APRILE

Val la pena di esaminare alcune invettive di Grillo apparse ieri nel suo blog. Sono estremamente rivelatrici.

“Nella nomina a presidente del Consiglio di un membro del Bilderberg il 25 aprile è morto”.
Il gruppo Bilderberg altro non è che un incontro annuale di persone che discutono di vari temi di economia e politica mondiale. Per alcuni il suo difetto principale consiste nel non rendere pubbliche le proprie discussioni, il che alimenta le fantasie dei vari teorici del complotto, quelli per i quali tutto, dalla caduta del comunismo alla crisi dei mutui, dall'attacco alle torri gemelle alla rielezione di Napolitano è la risultante di bieche manovre di oscure forze reazionarie. Grillo vorrebbe tutto in diretta streaming, lui è per il massimo della “trasparenza”. Però, il co-leader del suo movimento è Andrea Casaleggio, di nessuno sa praticamente nulla; però impacchetta i parlamentari del M5S e li conduce in una località segreta per discutere su come comportarsi nei confronti del governo, e se qualcuno dice una parola ad un qualsiasi giornalista viene espulso! Le sette esigono sempre trasparenza... dagli altri!

“nell'inciucio tra il pdl e il pdmenoelle il 25 aprile è morto”
O si fa il governo che vuole Grillo o si è dei fascisti.. molto interessante.

“nella mancata elezione di Rodotà il 25 aprile è morto”
O eleggete chi IO propongo o siete fascisti... ancora più interessante.

"nella rielezione di Napolitano e il passaggio di fatto a una Repubblica presidenziale il 25 aprile è morto"
Idem come sopra.

“nei processi mai celebrati allo "statista" Berlusconi il 25 aprile è morto”
Processi MAI celebrati? Ma, si informa Grillo prima di parlare? Lo scandalo è che da circa 20 ANNI i magistrati aprono un giorno si e l'altro pure nuove inchieste sempre a carico della stessa persona. Quello che lo fa andare in bestia forse è il fatto che finora questa aggressione inaudita non abbia portato ad alcuna condanna definitiva. O condannate Berlusconi o siete fascisti strilla Grillo... sempre più interessante.

“nella trattativa Stato - mafia i cui responsabili non sono stati giudicati dopo vent'anni il 25 aprile è morto”
Grillo da per scontato che la trattativa ci sia stata, sa quali sono i colpevoli e ne chiede la condanna, magari la impiccagione sulla pubblica piazza. Se no... siete tutti fascisti! Interessantissimo...

“nei disoccupati, nelle fabbriche che chiudono, nei tagli alla Scuola e alla Sanità il 25 aprile è morto”
Grillo è per la “decrescita felice”, vuole una economia con meno lavoro, meno utilizzo di energia, meno produzione. E' contro i termovalorizzatori, i rigassificatori, considera una iattura il nucleare, non vuole ponti nè autostrade, nè ferrovie, ci invita a tenere il riscaldamento di casa molto basso (15 gradi sono più che sufficienti, dice), e poi che fa? Strilla perché ci sono troppi disoccupati! Ma, Grillo lo conosce il vecchio, fondamentale principio di non contraddizione?

Si potrebbe continuare, ma dovrebbe bastare. E pensare che Bersani ha fatto per quasi un mese la corte a gente simile...

martedì 23 aprile 2013

INCIUCIO


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"Da tutta questa vicenda è uscito vittorioso Berlusconi (…) che sta imponendo le sue condizioni, mentre il Pd è andato a raccomandarsi al Colle, e poi ha dato di nuovo spettacolo (...)
Non posso mettere fra parentesi il fatto che la larga intesa si fa con il responsabile dello sfascio e della regressione culturale e politica di questo Paese"
Sono dichiarazioni di Stefano Rodotà, intervistato dal “Manifesto”. Dichiarazioni molto interessanti, e rivelatrici di una mentalità. Per questo giovanotto si sarebbe dovuto eleggere il capo dello stato per impedire la “vittoria di Berlusconi”. Si tratta senza dubbio di una interpretazione molto personale del dettato costituzionale. Ma ancora più rivelatrice è la allusione alla “regressione culturale”. La evoluzione, come la involuzione, culturale di un paese è un processo molecolare, riguarda il graduale affermarsi nella società civile di certe idee, usi e costumi, valori. Tutte tendenze che possono essere favorite o combattute con le armi della persuasione e del dibattito, ma che riguardano solo indirettamente la politica, e non possono certo trasformarsi in programma di un governo, meno che mai guidare l'operato di un presidente della repubblica. Ma il libertario Rodotà ama probabilmente la cultura imposta dall'alto, magari da qualche sano ministro dell'educazione popolare. L'autonomia culturale della società civile per lui non esiste, probabilmente. E' proprio il diffondersi di idee di questo tipo, assolutamente illiberali e, nel profondo, anche assai poco democratiche, un aspetto di quella “regressione culturale” del paese che certo esiste, ma ha origini e caratteristiche del tutto opposte a quelle a cui accenna Rodotà.

"In quest'ultimo tranquillo
week end di vomito è successo un fatto straordinario. Di fronte a Montecitorio era assiepata una folla inferocita per l'ennesimo sberleffo del potere. Per l'inciucio conclamato, per il matrimonio osceno tra due amanti, il pdl e il pdmenoelle, che copulavano da vent'anni. Per la nomina di un ottuagenario spacciata come "gesto di responsabilità". L'estremo bacio della pantofola a un signore presente in Parlamento dal 1953 (un sessantennio, nozze di diamante con la politica) che cazzia i partiti come se lui non ne fosse la più alta e storica testimonianza.”
Questa invece è una citazione dal blog di Beppe Grillo: un possibile accordo fra due forze politiche è trasformato in “
matrimonio osceno”, preceduto da una “copulazione” durata venti anni.
Ci sono da dire solo tre cose, in ordine crescente di importanza.

Prima
E' davvero divertente che dei super libertari, dei teorici del matrimonio gay e della libera sessualità usino come sinonimo di cosa sporca, oscena, il termine “copulazione”. I demagoghi passano volentieri dal sesso libero al moralismo bacchettone, fatti loro...
Seconda
. Solo degli imbecilli o delle persone in assoluta malafede possono affermare che negli ultimi 20 anni PD e Pdl abbiano “copulato”. Il dramma del paese è stato semmai uno scontro politico caratterizzato dalla mancata, reciproca, legittimazione fra forze politiche contrapposte. In particolare il centro destra, il suo leader ed i suoi stessi elettori sono stati presentati come una banda di malfattori, evasori fiscali, razzisti, nel migliore dei casi imbecilli rincoglioniti dalle TV del cavaliere: forse a questo allude Rodotà quando parla di  "regressione culturale". A lui i Santoro, i Travaglio ed i Grillo devono apparire invece dei novelli Kant. E' questo clima di faziosità che ha fatto dell'Italia un paese anormale, trasformando la dialettica politica in uno scontro rabbioso, senza esclusione di colpi, che ha aggravato tutti i problemi, sino a renderli insolubili.
Terza
. E' sintomo di una concezione barbara della politica equiparare ogni accordo ad un atto osceno, escludere che si possano fare dei compromessi, delle trattative, delle alleanze più o meno temporanee fra forze politiche diverse. In una democrazia normale governa chi vince le elezioni, le elezioni vere, non quelle tenute in rete. Se nessuna forza politica ha i numeri per governare si indicono nuove elezioni o, nel caso in cui queste non siano possibili, si stringono accordi fra partiti diversi. In questo non c'è nulla di scandaloso, immorale o vomitevole, per usare il linguaggio di Grillo. Una prassi di questo genere fa parte della normale vita democratica dei paesi civili. In quei paesi si stringono alleanze fra forze politiche contrapposte non solo quando nessuno ha i numeri per governare, ma anche in particolari momenti di eccezionale gravità, quando alcuni, limitati, obiettivi diventano essenziali e sono condivisi da tutti. Chi vede in ogni accordo un “inciucio” (sarebbe ora di smetterla di usare questo orribile neologismo) è un manicheo che equipara il confronto e lo scontro politico ad una sorta di guerra civile fra assoluta virtù ed assoluta depravazione. Sappiamo tutti dove hanno portato, in passato, simili concezioni. Potrebbero, anche oggi, portarci ad esiti egualmente drammatici.

mercoledì 17 aprile 2013

I FANATICI DELLA MORALE



Di certo i grillini, ed i forcaioli in genere, non lo sanno ma di “fanatismo morale” non parla
no solo loro, o solo Giorgio Napolitano, o gli amici del "pregiudicato". Ne ha parlato anche un certo Immanuel Kant, uno che è abbastanza noto, non ai forcaioli, loro non perdono tempo con Kant, leggono Travaglio, per essere stato un severissimo rigorista morale.
Per Kant una persona morale dovrebbe comportarsi come se ogni sua azione potesse diventare una legge avente validità universale. Ciò che vale per me deve valere anche per gli altri, senza distinzioni, in ogni caso, in ogni situazione. Kant vuole che gli esseri morali e razionali si comportino non guardando il mondo dal loro punto di vista, ma dal punto di vista dell'uomo ingenerale, cosa che è possibile, a fatica, in alcune situazioni, non in tutte. Ed infatti Kant ammette tranquillamente che seguire l'imperativo etico è comunque difficile, e seguirlo
sempre praticamente impossibile. Il fanatismo morale è, per Kant, precisamente la pretesa che si possa seguire l'imperativo morale di buon grado, senza sentirsi costretti nel farlo. Agire moralmente è difficile, doloroso perché l'imperativo reprime le esigenze dell'uomo in quanto essere sensibile, naturale, perché l'uomo è fatto, dice Kant, di un "legno storto da cui non si potrà mai cavare nulla di diritto".
Pretendere che tutti, senza eccezione, in ogni situazione, si comportino in maniera morale significa scordare il carattere costr
ittivo dell'imperativo morale, la sua sostanziale “innaturalità”. Chi pensa che tutti, in tutte le situazioni possano, magari con facilità, addirittura gioiosamente, uniformarsi all'imperativo categorico cade in pieno nel fanatismo morale, trasforma, a parole ovviamente, una conquista sempre incerta, mai definitiva, dolorosa, in uno stile di vita consolidato, accettato e praticato con leggerezza e letizia.

Non è il caso di affrontare in questa sede un discorso critico sulla morale kantiana.
Nel blog "secondo Giovanni" c'è una pagina dedicata a questo argomento e a questa rimando chi fosse interessato. Quel che è certo è che coloro che strillano continuamente “morale”, “onestà” e si proclamano “fanatici della morale” non possono minimamente trovare appoggi nell'opera del grande moralista prussiano. Non li possono trovare soprattutto se si prendono la pena di analizzare il rapporto fra moralità e norma giuridica, etica ed azione dello stato (ma, pretendere che simili personaggi si addentrino in simili analisi è davvero una esagerazione) .
Per Kant la legge dello stato non deve contraddire i principi della morale, ma non si identifica con questa, meno che mai la fonda. Dal punto di vista del giudizio morale un uomo che desideri uccidere un suo simile e non lo faccia solo per paura della punizione è colpevole quanto un assassino, ma per la legge, giustamente, egli non è responsabile di nulla. L'etica si fonda su quanto di più privato, personale, sia possibile immaginare: il rapporto che ognuno di noi ha con la propria coscienza,
con la voce intima che ci dice: “non devi fare questo, se lo fai sbagli”. Lo stato e l'ordinamento giuridico in tutto questo non c'entrano per niente, esattamente come non c'entrano con la cura che chi crede ha, deve avere, per la salvezza della propria anima.Il sistema delle leggi mira a garantire la civile convivenza fra gli esseri umani, non a rendere tutti virtuosi. In una società libera lo stato agevola i cittadini nel raggiungimento dei loro fini, non cerca di imporre a nessuno fini più “elevati” o “nobili”, meno che mai cerca di cambiare la natura umana, di raddrizzare il “legno storto dell'umanità”. Chi cerca di riplasmare gli uomini al fine di renderli moralmente elevati compie un'azione che è profondamente immorale: pretende per se un ruolo che nega agli altri, si pone su un piedistallo che lo differenzia dai comuni mortali: lui è il costruttore di una moralità nuova, gli altri sono creta da modellare, a suo piacimento. Questa asimmetria etica nega però il principio base di ogni normativa morale: l'universalità, l'obbligo che ognuno di noi ha di rispettare tutti i suoi simili. In morale non esistono posizioni privilegiate: nessuno ha il diritto di riplasmare gli altri, neppure al fine di renderli “virtuosi”, anzi, meno che mai a questo fine. Ogni persona ha il diritto ed il dovere di rendersi virtuosa con le sue sole forze, perché ogni persona è un fine in se, in nessun caso può diventare materia prima nelle mani di qualche riformatore del mondo e dell'uomo.

I fanatici della moralità sono quindi i primi a contraddire le norme etiche fondamentali, e più sono fanatici più le contraddicono.
Una persona che davvero cerca di obbedire all'imperativo etico non condanna sbrigativamente i suoi simili, non lincia nessuno, non cerca di mettere nessuno alla gogna, non spera che Tizio sia condannato, indipendentemente dal fatto che la sua colpevolezza sia stata provata al di la di ogni ragionevole dubbio, solo perché considera “poco virtuoso” Tizio.
Marciare in corteo chiedendo a gran voce la testa di qualcuno è uno dei comportamenti più infami, esattamente come è infame ed immorale cercare nemici del popolo cui addebitare tutti i mali del mondo, organizzare continue cacce agli untori. Rispettare gli altri è la norma etica fondamentale, e rispettare gli altri vuol dire cercare di mettersi nei loro panni, di capire le loro ragioni, vuol dire pretendere che possano difendersi nella maniera più ampia, esigere che le indagini a loro carico siano condotte col massimo rispetto dei loro diritti.
Ed è anche profondamente immorale contrapporre alle umane debolezze degli altri una propria presunta integrità morale a prova di bomba. Molti secoli prima che Immanuel Kant parlasse del “legno storto dell'umanità” un certo Gesù di Nazareth aveva detto: “chi di voi è senza peccato lanci la prima pietra”. Questa frase di Cristo non è un mieloso richiamo al buonismo, una rinuncia a condannare i colpevoli. E', insieme, una sfida e l'individuazione di una caratteristica fondamentale, ontologica dell'uomo. Ogni uomo è  peccatore, questo afferma Cristo, nessuno ha il diritto di considerare se stesso del tutto immune da ogni colpa, e meno che mai può contrapporre alla sua assoluta innocenza la assoluta colpevolezza degli altri. Certo, non tutti siamo peccatori allo stesso modo, è giusto condannare, in certi casi, come è giusto assolvere, in altri; ma non è
mai giusta la divisione manichea del mondo in angeli e demoni, miserabili corrotti e angelici incorruttibili. Quando sono davvero tali gli incorruttibili sono molto spesso dei fanatici che tutto fanno meno che rispettare i propri simili. In molti casi si tratta di persone assai più pericolose e dannose del più abbietto dei corrotti.
Il fanatismo morale è una forza distruttiva, una nuova, pericolosissima forma di nichilismo. Ed è, nella sostanza, quanto di più immorale si possa concepire. Tutti gli strilli di tutti i forcaioli del mondo non possono nascondere questa elementare verità.

martedì 16 aprile 2013

LA INCANDIDABILITA'



Grillo e i forcaioli come lui hanno una sola cosa in mente: restringere le possibilità di scelta in mano agli elettori. Io vorrei votare per Tizio. "Non puoi", tuona Grillo, "dieci anni fa ha subito una condanna a sei mesi con la condizionale, è incandidabile". Perchè mai dovrebbe essere INCANDIDABILE? Ha sbagliato, ha pagato, il giudice NON lo ha condannato alla interdizione perpetua dai pubblici uffici, ora è di nuovo pulito. Dovrei poterlo votare. No, non per Grillo e per i forcaioli, loro vogliono che se un magistrato ti condanna a qualcosa, questo qualcosa ti deve restare appiccicato per tutta la vita. Bel garantismo, bella concezione dello stato! Ovviamente per loro tutto questo non vale. Se non sbaglio Grillo ha sul groppone una condanna per omicidio colposo, ma LUI può fare il moralista, solo lui...
Ed ancora, vorrei votare per Caio, ma, riecco Grillo: "Non puoi" strilla, "è proprietario di una grande azienda, è incandidabile". "Ma", replico timidamente "si è dimesso da tutte le cariche..." Grillo sorride sprezzante, "e cosa vuol dire? E' comunque molto ricco, POTREBBE usare la carica di primo ministro o anche solo di deputato per favorire le sue aziende". Molto interessante: non posso eleggere Caio perchè, dato che è ricco, "POTREBBE" usare a fini privati una carica pubblica. Ma anche un povero POTREBBE usare a fini privati una carica pubblica, magari potrebbe usarla per cercare di diventare ricco. Un giorno o l'altro Grillo proporrà che per essere eleggibili occorre esibire in rete il modello 101. Ovviamente ci sarà una persona che NON dovrà farlo: il signor Grillo.
Storicamente la sinistra si è sempre opposta ad una estensione eccessiva delle norme sulla incandidabilità. Le considerava, giustamente, qualcosa di potenzialmente anti democratico. Nel 1972 il gruppo del "manifesto" candidò Pietro Valpreda col fine esplicito di toglierlo di galera, su di lui pendeva l'accusa di STRAGE. I radicali candidarono Tortora, in carcere con l'accusa di essere CAMORRISTA.
Oggi la incandidabilità è diventata una bandiera della sinistra e un demagogo da strapazzo come Grillo può ricattare il PD dicendogli: vota un forcaiolo come Rodotà e noi forse potremo collaborare: collaborare su cosa? Su una legge che sancisca la incandidabiltà di Berlusconi. Una legge sulla incandidabiltà di UNA PERSONA.. molto, molto interessante.

sabato 13 aprile 2013

PRODI E GRILLO

 

Prodi è fra i candidati dei grillini alla presidenza delle repubblica, l'unico che abbia serie possibilità di farcela. Come mai tanta simpatia di Grillo per Prodi?
Prodi è stato implicato in molti affari poco chiari, e Grillo è uno per cui un sospetto equivale ad una verità. Grillo è, per usare un eufemismo, un euro scettico, uno che spara a zero contro la moneta unica. Prodi è stato il principale artefice dell'ingresso dell'Italia nell'euro, ci ha imposto anche la famosa tassa per l'Europa per avere il privilegio di essere nel gruppo dei fondatori della moneta unica. Prodi ha accettato un tasso di conversione lira-euro assolutamente svantaggioso per l'Italia e favorevole invece alla Germania, è l'uomo della commissione europea, è vicino al mondo finanziario europeo, ai poteri forti contro cui Grillo spara a zero, insomma, dovrebbe essere uno dei bersagli preferiti delle sparate grilline, invece Grillo lo vuole alla presidenza della repubblica, come mai?
Tralascio varie ipotesi "dietrologiche" sui rapporti fra Prodi e Casaleggio e tento una spiegazione politica.
Molti criticano Grillo per avere perso la grande occasione di far fuori il mostro di Arcore. Una bella alleanza Grillo Bersani e il gioco sarebbe stato fatto: il cavaliere finiva in galera o comunque fuori dalla politica. Pare che il comico genovese stia perdendo consensi per non aver colto al volo una occasione tanto ghiotta. Ora può cercare di rimediare. Vota Prodi insieme al PD e il mortadella diventa capo dello stato. Prodi conferisce l'incarico a Bersani, gli permette di presentarsi alle camere e li i grillini fanno in qualche modo passare la fiducia, magari vanno tutti al bagno al momento del voto, o si danno malati o altre simili piacevolezze. Il "governo del cambiamento" inizia ad operare e per prima cosa vara i provvedimenti che tutto il paese attende, quelli che consentiranno l'uscita dalla crisi, che ridaranno fiato all'economia: ineleggibilità di Berlusconi, allungamento dei termini di prescrizione, norme forcaiole sulla incandidabilità, magari anche solo degli indagati. Inoltre, qualche elemosina per chi muore di fame, finanziata da nuove tasse e, ovviamente, blocco di tutte le grandi opere, a cominciare da Tav e terzo valico: le infrastrutture non servono all'economia, lo sanno tutti. A quel punto il cavaliere è fritto, anche tenendo conto delle condanne che la magistratura gli farà arrivare. Grillo dal canto suo potrà affrontare le nuove elezioni, che comunque si faranno, libero dal sospetto di aver voluto salvare il mostro di Arcore e con una patente di “serietà” e “responsabilità”. Certo, a quel punto non sarà più l'alternativa AL sistema, l'uomo che spara contro tutti; sarà un nuovo Travaglio, un nuovo Ingroia, una piccola, misera, alternativa NEL sistema, ma forse il merito di aver fatto fuori Berlusconi, e di aver impeduto il presunto "incicucio" fra PD e Pdl potrebbe compensarlo, nell'immediato.
Si tratta di fantasie? Forse si, e forse no. Certo, ci sono tante variabili in gioco, a partire dalla unità del PD e dei grillini. Però, è bene iniziare ad prendere in seria considerazione l'ipotesi che si potrebbero affrontare le prossime elezioni con un paese allo stremo ed una democrazia ridotta all'ombra di se stessa: Berlusconi in prigione, la magistratura ancora più onnipotente, un capo dello stato che tutto sarebbe meno che un arbitro imparziale, una economia agonizzante. Ma non sono le sorti della democrazia nè lo stato dell'economia a preoccupare i Bersani ed i Grillo, e i tanti altri imbecilli forcaioli di casa nostra. Preoccupano invece chi non intende rinunciare alla propria libertà.
Ci aspettano tempi molto duri, è bene che lo sappiamo, tutti.

giovedì 11 aprile 2013

STUPIDO, ARROGANTE ED IGNORANTE




Ogni volta che sento parlare Bersani mi chiedo se è stupido, o fa finta di esserlo, o ritiene stupidi gli italiani.
“Io ho fatto le mie proposte, sono stati Pdl e M5S a rifiutarle” afferma Bersani.
Detta in questo modo sembra che Bersani abbia fatto una proposta di governo SIA al Pdl che al M5S. Questo però NON E' VERO. Bersani ha fatto una proposta di governo SOLO al M5S, ha pregato, supplicato i grillini di venirgli incontro, e ha messo su un programma che potesse allettarli, con al primo punto non la tragica situazione dell'economia ma il “conflitto di interessi”. I grillini lo hanno mandato a fan... divertendosi anche ad umiliarlo in presa diretta. SOLO ALLORA Bersani si è accorto che esiste anche il Pdl.

COSA dice Bersani al Pdl? Più o meno questo: con voi non è possibile alcuna alleanza, alcuna trattativa sul governo ed il suo programma, fra noi e voi le distanze sono INCOLMABILI. Però vi chiedo di aiutarci ad ottenere la fiducia, magari potete uscire dall'aula al momento del voto, così la fiducia passa perché il quorum si abbassa, e noi non ci sporchiamo coi i vostri voti. Poi, una volta che il governo ha ottenuto la fiducia, di volta in volta potrete votare a favore di provvedimenti che condividete.
Ora, anche un CRETINO dovrebbe capire che se la distanza che divide due forze politiche è INCOLMABILE non ci può essere, “di volta in volta”, convergenza alcuna sui “singoli provvedimenti”. Inoltre, solo un PREPOTENTE ARROGANTE può avere la faccia tosta di chiedere ad una forza politica di aiutarlo ad ottenere la fiducia nel momento stesso in cui rifiuta sprezzantemente anche solo di discutere con lei sul programma di governo.

In realtà ciò a cui mira Bersani è di conquistare una parte dei voti grillini. Una volta ottenuta in qualche modo la fiducia cercherà di varare provvedimenti che piacciano se non a Grillo ad una parte almeno dei suoi seguaci. In questo modo il suo gevernetto potrebbe andare avanti.
Ma quali potrebbero essere dei provvedimenti che “piacciano” ai grillini?
La filosofia profonda del movimento di Grillo è la “decrescita felice”. C'è in questo  blog una critica un po' articolata di questa filosofia e ad essa mi permetto di rimandare chi fosse interessato. Qui si può dire, molto brevemente, che si tratta di un insieme di concezioni secondo le quali la diminuzione del Pil si accompagnerebbe ad un miglioramento della qualità della vita. Si deve mirare ad una economia con meno lavoro, meno energia, meno materie prime ed una contemporanea crescita dell'economia di auto consumo. In estrema sintesi, smettiamo di andare al supermercato e facciamoci a casa marmellata e yogurt, e tante altre cose. Nulla di nuovo, il semplice ritorno ad una situazione in cui il genere umano ha vissuto per secoli, e non troppo bene.
“Tutta filosofia” pensa forse Bersani. Se lo fa dimostra di essere IGNORANTE oltre che stupido ed arrogante.
Le idee generali hanno un fortissimo impatto sulla realtà. Semplificate, banalizzate, vendute “formato pillola” entrano nella testa e nel cuore di esseri umani che mai le hanno conosciute in forma originaria. Ed influenzano idee e comportamenti diffusi a livello di massa. Grillo è per la decrescita felice QUINDI è contro il TAV, come contro qualsiasi altra grande infrastruttura, quindi non è preoccupato se il prezzo della benzina è alle stelle, né è interessato all'andamento del PIL. Misure di governo in qualche modo influenzate dalla ideologia della decrescita felice sarebbero oggi letali per l'economia.
Questo anche uno STUPIDO come Bersani dovrebbe capirlo. Ma non lo capisce, è troppo impegnato a pensare al suo "governo del cambiamento".

venerdì 5 aprile 2013

BERSANI E VYSCINSKIJ



Al centro: Vyscinskij.


Andreij Januar'evic Vyscinskij fu un leader bolscevico dal 1903 al 1953, anno della sua morte. E' ricordato soprattutto perchè sostenne, come procuratore generale, la pubblica accusa ai processi di Mosca. Una ben sinistra fama.
Tra il 1936 ed il 1938 si svolgono a Mosca numerosi processi contro la vecchia guardia bolscevica. Zinov'ev, Kamenv, Radek, Pjatakov, Bucharin e tantissimi altri sono accusati di essere traditori, terroristi, sabotatori, spie al soldo di Hitler e dell'imperialismo. Sono loro i responsabili di tutte le difficoltà che affliggono la “patria del socialismo”, stremata dai piani quinquennali e dalla collettivizzazione forzata dell'agricoltura. I processi si concluderanno con numerosissime sentenze di morte, eseguite pochi giorni, a volte entro 24 ore, dopo la sentenza. Quasi tutti i leader più conosciuti della vecchia guardia bolscevica finiranno davanti al plotone d'esecuzione.
Fa eccezione Trotskyj, momentaneamente al sicuro all'estero. Ci penserà il piccone di un sicario a sistemare i conti con lui.
Nei processi non viene esibita alcuna prova materiale, non ci sono testimonianze, nulla che possa in qualche modo venir controllato, magari da qualche giornalista straniero invitato ad assistere al dibattimento. Del resto non c'è bisogno di prove perché gli imputati sono inchiodati alle loro responsabilità dalla regina delle prove: la confessione.
Gli imputati infatti confessano tutto, senza reticenze. Si dichiarano colpevoli, si definiscono traditori, spie, terroristi. Ma fanno anche qualcosa di più.
Sempre, chi rinuncia a proclamarsi innocente, e confessa i propri crimini, invoca quanto meno delle circostanze attenuanti, o si dichiara pentito ed implora la corte di essere clemente. Anche i perseguitati dal tribunale della Santa Inquisizione, quando ritrattavano le loro teorie “eretiche”, chiedevano perdono ed invocavano pietà, e questo di solito li salvava dal rogo. Gli imputati dei processi di Mosca non fanno nulla di simile. Si dichiarano colpevoli e non
invocano circostanze attenuanti, non chiedono perdono, nè pregano la corte di essere clemente. No, affermano di meritare la morte, invocano per se stessi la massima punizione, si dichiarano irrecuperabili, vogliono essere uccisi. In tutta la storia precedente non si era mai vista una cosa simile.
Oggi sappiamo casa c'era dietro a quelle “confessioni”: torture, ricatti, pressioni psicologiche, forse la promessa di avere comunque salva la vita, non da ultimo il peso dell'ideologia. I “traditori” erano in realtà quadrati militanti comunisti a cui il partito chiedeva il sacrificio supremo: fatti condannare, accusati di fronte al mondo, per il bene del partito e della rivoluzione!
Storie vecchie, certo, ma forse è bene ricordarle, visto che in rete si possono trovare post in cui si afferma che i processi di Mosca furono perfettamente regolari e gli imputati godettero di tutte le garanzie (auguro a chi scrive simili idiozie di doverli subire, processi tanto “regolari”). Ed è bene ricordarli, questi eventi, perché qualcosa, nel comportamento degli attuali leaders del PD li richiama sinistramente alla memoria.

Cosa pretende oggi Bersani dal Pdl? Che si dimostri “responsabile” e aiuti in qualche modo la nascita di un “governo del cambiamento”. Attenzione, Bersani non vuole nessuna alleanza col Pdl, neppure limitata, a termine. Il Pdl è per lui “impresentabile”, non si può stringere alcun patto politico con un simile partito. L'atteggiamento di Bersani ad altri leader del PD conferma quanto detto. Quando parlano di “esigenze di rinnovamento” che "vengono dalla società", o di “richieste della gente” questi personaggi si riferiscono sempre e solo all'elettorato del PD e del movimento a 5 stelle. Gli altri, quel buon terzo degli italiani che hanno votato Pdl, non contano, loro  non sono "la gente", non fanno parte della "società"; le loro esigenze non valgono, non devono essere prese in considerazione.
Ed ancora, Bersani continua ad affermare che i primi problemi da risolvere sono il “conflitto di interessi” e l'ineleggibilità... ineleggibilità di chi? Chi lo sa? Insomma, Bersani mira a mettere il cavaliere nell'angolo, aiutato da magistrati molto imparziali come la Boccassini. Eppure... eppure chiede al Pdl di aiutarlo! Rifiuta la proposta del Pdl per un governissimo ma chiede comunque aiuto ai “berlusconiani”, insomma,
vuole che il Pdl in qualche modo appoggi un governo che mira a distruggerlo. Pretende comprensione da parte di un partito con cui qualsiasi accordo, qualsiasi forma di dialogo sui problemi del paese è dichiarata impossibile.
E' evidente l'analogia fra un simile atteggiamento e la logica dei processi di Mosca. Nei processi di Mosca gli imputati collaboravano con chi li stava mandando al patibolo, mostravano “comprensione” nei confronti dei loro boia. Durante i processi gli imputati non subivano violenza alcuna, quella aveva preceduto il dibattimento. Recitavano il loro ruolo, erano parte integrante del meccanismo che li avrebbe distrutti. Certo, si tratta di qualcosa di ben diverso da ciò che accade oggi in Italia: Bersani non è Vyscinskij. Eppure la pretesa che qualcuno debba “collaborare”, mostrarsi “responsabile” con chi ritiene che neppure si possa discutere con lui dimostra che la vecchia mentalità stalinista è ancora ben viva nella testa e nel cuore di molti esponenti del PD. Noi vi riteniamo "impresentabili, voi dovete in qualche modo sostenerci, noi diciamo che siete poco meno che dei malavitosi, voi dovete essere "responsabili" con noi.  E' questa mentalità l'ostacolo vero ad ogni processo di rinnovamento del paese.

giovedì 4 aprile 2013

LO SCIMMIONE TECNOLOGICO E I LIMITI DELLO SVILUPPO




E’ assai nota una critica che Karl Marx muoveva al modo di produzione capitalistico. Par Marx il capitalismo era incapace di assicurare lo sviluppo delle forze produttive. La contraddizione fondamentale del capitalismo era per Marx quella fra sviluppo delle forze produttive sociali e rapporti di produzione borghesi. I rapporti di produzione borghesi impedivano il pieno dispiegamento della capacità produttiva dell’uomo, costituivano un limite allo sviluppo economico, scientifico e tecnologico. Questo, per Marx, rendeva il capitalismo un sistema socio economico storicamente provvisorio. La classe operaia nella sua lotta contro il capitalismo era portatrice di interessi universali perché, distruggendo i rapporti di produzione borghesi, avrebbe eliminato il limite fondamentale che impediva la crescita economica.

Se paragoniamo la concezione di Marx a quelle che vanno oggi per la maggiore in vaste aree politiche e sociali (non solo di estrema sinistra) assistiamo ad un autentico capovolgimento di paradigma. L’economia di mercato ora non è più accusata di essere un, anzi, il limite dello sviluppo ma di non rispettare limite alcuno. L’economia capitalistica, affamata di profitto, persegue uno sviluppo insensato e distruttore. Il mercato impone agli esseri umani "modelli di consumo alienanti", distrugge senza ritegno le risorse naturali e l’ambiente, elimina la biodiversità. Insomma, è lo sviluppo, non la sua assenza ad essere imputato con sempre maggiore insistenza all’economia di mercato. Certo, le cose non sono sempre tanto semplici. Gli stessi che accusano il capitalismo di non rispettare limite alcuno sono poi i primi a protestare quando l’economia entra in recessione e l’occupazione ristagna o decresce. Al di la di tutti i contorcimenti dialettici, i sofismi e le contraddizioni, il mutamento di paradigma è però abbastanza evidente. Era stato inaugurato nel  secolo scorso dalla scuola di Francoforte ed ora si è solo banalizzato, guadagnando in estensione ciò che ha perso in rigore.

L’economia di mercato dunque non conosce né rispetta limite alcuno. Sempre a caccia di profitti è pronta a distruggere il pianeta pur di far crescere dello 0,01% gli utili delle imprese. E’ corretta questa concezione? L’ideologia ambientalista si è sviluppata, è cresciuta ed ha ottenuto dei risultati (sulla cui bontà non mi pronuncio) nelle aree capitalistiche classiche, è stata invece del tutto assente nei paesi ex comunisti o in quelli in via di sviluppo. Inoltre è sorto e si è sviluppato nei paesi capitalistici un autentico business ecologico. Fior di imprese capitalistiche producono pannelli solari, impianti eolici o depuratori o alimenti biologici. Il richiamo alla natura domina la pubblicità, vette incontaminate e mari cristallini sono le offerte più gettonate di innumerevoli agenzie turistiche. Forse il capitale distrugge l’ambiente, ma l’ambiente si sta dimostrando un ottimo affare per molti capitalisti. Questi semplici fatti dovrebbero indurre quanto meno alcuni dubbi in certe menti troppo dogmatiche.
Il capitale ha per fine il profitto ma possono ottenere profitti sia le grandi imprese industriali che quelle che,  nel settore dei servizi, producono beni immateriali. Fa profitti l’impresa che costruisce impianti colossali come quella che si specializza nella miniaturizzazione, fanno profitti sia l’agenzia turistica che si rivolge ad un pubblico di massa sia quella che organizza gite in parchi ecologici in cui non si può neppure cogliere un fiore. Equiparare la crescita economica ad inquinamento e distruzione dell’ambiente significa avere, nella migliore delle ipotesi, una visione unilaterale della realtà.
Grazie allo sviluppo tecnologico oggi è possibile produrre quantità enormi di beni utilizzando una quantità di materie prime molto minore che in passato. Per la costruzione della HMS Victory , un vascello a tre ponti della regia marina britannica, furono necessari, nel 1760, oltre 6000 alberi, querce per il 90% e per il resto olmi, pini e abeti. Oggi è possibile costruire navi più grandi, enormemente più sicure e veloci utilizzando quantità molto inferiori di materie prime. Non solo si risparmia il legno ma molti materiali con cui sono costruite navi, auto ed aerei sono fabbricati in laboratorio (si pensi alle plastiche o alle resine in fibrovetro) con impatto ambientale nettamente inferiore che in passato. I paesi più inquinati del mondo sono quelli meno sviluppati: il Gange è molto più inquinato del Tamigi. Quando le vetture a trazione animale non erano ancora state sostituite dalle auto le strade della grandi città erano letteralmente intasate dai rifiuti organici animali, Londra era simile ad una fogna a cielo aperto. E’ stato il sistema fognario, figlio dello sviluppo industriale, a rendere meno inquinate e più salubri le città. Gli esempi potrebbero continuare. Il tempo andato ci appare bello solo perché non ci viviamo.
Equiparare sviluppo e distruzione ambientale significa avere una concezione puramente quantitativa dello sviluppo, concezione che ignora del tutto la tecnologia. Sviluppo economico non vuol dire solo produrre più beni, vuol dire produrre più beni in maniera più efficiente, con minor consumo di risorse, quindi con minore impatto ambientale. Questo significa che tutto va bene, che non esiste un problema di gestione razionale di risorse scarse ed esauribili? No, ovviamente. Vuol dire solo che occorre evitare di affrontare in maniera superficiale e propagandistica certi temi.

Una economia capitalistica senza incremento della produzione del resto è perfettamente ipotizzabile, lo stesso Marx ne ha parlato affrontando il problema della riproduzione semplice. Una economia di mercato in cui tutti i profitti siano consumati e quindi non reinvestiti, o in cui le imprese non conseguano alcun profitto, ed il capitalista debba “accontentarsi” della remunerazione che gli spetta per il suo lavoro di coordinamento e direzione, è perfettamente concepibile, così com’è concepibile una economia capitalista in cui la produzione globale invece di crescere si contragga. Si tratta di modelli puramente teorici? No, purtroppo. Si tratta della realtà delle economie capitalistiche nelle fasi di stagnazione o di recessione. Non è la sete di profitto a determinare lo sviluppo economico, per lo meno non è solo quella. L’economia si sviluppa se gli imprenditori fanno gli investimenti giusti, se i beni che immettono sul mercato trovano acquirenti in grado di comprarli, se esiste una domanda solvibile.
E come può esistere un capitalismo senza incremento dello sviluppo può esistere, anzi, esiste ed è esistita una economia centralmente pianificata letteralmente pervasa dalla frenesia di uno sviluppo senza limiti. I piani quinquennali di Stalin, il gran balzo in avanti di Mao sono esempi clamorosi di economie pianificate impegnate in progetti di crescita economica incuranti di ogni limite. Il volontarismo sfrenato di uno Stalin o di un Mao, il loro ripudio di ogni vincolo, il disprezzo per l’oggettività delle leggi economiche hanno portato a drammi storici di immane portata al cui confronto impallidiscono i costi umani e sociali della accumulazione originaria capitalistica.

Per molti critici dell’economia di mercato la razionalità capitalistica sarebbe concentrata solo sul processo produttivo. Attenta a calcolare i costi ed i ricavi dell’attività produttiva la razionalità “borghese” non darebbe la minima importanza a tutto ciò che sta a monte o a valle di questa attività. A monte della produzione stanno le risorse naturali alla cui conservazione il capitalismo non sarebbe minimamente interessato, a valle stanno i bisogni degli esseri umani che non interesserebbero minimamente la produzione capitalista.
Si tratta però di uno schema profondamente errato. In realtà non è possibile organizzare razionalmente il processo produttivo se non si presta la massima attenzione a tutto ciò che sta a monte ed a valle dello stesso. Davvero si può pensare che all’imprenditore non interessino i bisogni degli esseri umani? Ma è da questi bisogni che dipendono i suoi profitti! Ciò che distingue il buon imprenditore è precisamente la capacità di capire “come spira il vento”, di intuire che certi beni possono avere una buona accoglienza sul mercato, che certi altri si avviano invece verso una rapida, o meno rapida, obsolescenza. Caso mai è il burocrate pianificatore che può disinteressarsi dei bisogni della gente. Se una burocrazia politica controlla la totalità delle forze produttive può fare le scelte che vuole senza alcun timore. Dove lo stato decide, lui solo, cosa, quanto e come produrre i consumatori non hanno scelta: o consumano ciò che lo stato offre loro o non consumano.  La loro scelta, quale che sia, non guasta i sonni del burocrate.
E, allo stesso modo, è davvero possibile ipotizzare che una classe  imprenditoriale degna di questo nome non si interessi della scarsità o dell’abbondanza di certe risorse, o sia del tutto indifferente all'impatto ambientale della sua attività? Sarebbe razionale investire fior di miliardi in una attività legata a materie prime in via di esaurimento? Sarebbe un buon l’imprenditore chi  si disinteressasse del problema del reperimento di fonti di energia abbondanti e a buon mercato? Se le città fossero sommerse dai rifiuti a qualche imprenditore del settore verrebbe mai in mente di aprire in queste città una catena di ristoranti?
Certo, esistono imprenditori che hanno una visione molto ristretta del loro ruolo, mirano solo all’utile immediato, nella smania di arraffare più che possono vendono prodotti scadenti o pericolosi e non si preoccupano affatto dell’impatto della loro attività sull’ambiente e la salute. L’imprenditore è un uomo, un uomo certamente assai sensibile al profumo del denaro. E’ anche per questo che esistono le leggi, le regole del gioco, la politica.

Tutte le considerazioni fatte finora si prestano ad una obiezione che può essere formulata più o meno in questi termini: “Il capitalismo, il capitalismo sano, non quello che attraversa fasi di recessione o stagnazione, mira allo sviluppo, alla crescita economica. Ma lo sviluppo, anche se efficiente e razionale, anche se attento all’uso ottimale delle risorse, consuma risorse, le consuma sempre e comunque. Le risorse però sono limitate. Una crescita economica che prosegua indefinitamente è quindi inevitabilmente destinata a scontrarsi con i limiti che madre natura pone all’agire dell’uomo. Se vogliamo salvarci dall’auto distruzione dobbiamo rallentare prima e bloccare poi lo sviluppo economico, quindi superare il capitalismo”.
Anche se sono in pochi a parlare tanto chiaro, una simile posizione è sottintesa praticamente in tutte le analisi dell’ecologismo radicale: ad essere messo sotto accusa è lo sviluppo in quanto tale. Il capitalismo deve essere condannato perché mira allo sviluppo, ma allo stesso modo vanno condannate più o meno tutte le ideologie “sviluppiste”, comprese quelle socialiste. Andando ancora più a fondo ci si rende conto che la critica riguarda la stessa natura umana, almeno così come essa si è storicamente manifestata. La tendenza dell’uomo ad andare costantemente oltre la propria situazione data, a non adattarsi all’ambiente, il rifiuto, tipicamente umano, di essere una semplice componente di qualche eco-sistema sono alla base di un’azione insensata che porta alla distruzione e all’auto distruzione. A parte ogni considerazione su quelli che sarebbero i risultati di una coerente messa in pratica di simili concezioni, occorre vedere se esse sono davvero fondate e per far questo occorre analizzare il concetto stesso di limite.

A prima vista può sembrare che un limite costituisca una sorta di barriera contro cui inevitabilmente deve scontrarsi chi va in una certa direzione non curandosi del fatto che il limite esiste. Il limite impedisce che qualcosa possa espandersi indefinitamente, la presenza di un limite ha come sua inevitabile conseguenza che qualcosa debba essere bloccato se non vuol cozzare contro quel limite. Il limite è compatibile con uno stato stazionario ed è incompatibile con uno stato indefinitamente dinamico.
Questa concezione del limite però, assai rozza e primitiva, vale solo in un numero limitato di casi. Se io corro in auto incurante del fatto che di fronte a me c'è un muro faccio di certo una brutta fine. Però la presenza di un muro  in una certa direzione non mi impedisce di continuare a correre in altre direzioni. Teoricamente potrei correre in auto tutta la vita senza mai scontrare contro il muro, il limite che esso costituisce non mi impedisce di proseguire indefinitamente la mia attività di guidatore. Ed ancora, la terra è limitata eppure ci si può muovere all’infinito sulla terra senza incontrare limite alcuno. Se parto dal punto X diretto verso oriente e continuo a muovermi dopo un po’ di tempo mi ritrovo nel punto X. Lo spazio che ho percorso è limitato, ma io posso continuare illimitatamente a muovermi nella stessa direzione. La concezione matematica di limite dal canto suo ci dice che i valori di una funzione con X che tende ad infinito si avvicinano indefinitamente ad un certo valore (il limite, appunto) senza mai raggiungerlo. Insomma, l’idea secondo cui esisterebbe una incompatibilità assoluta fra presenza del limite e crescita dinamica si basa su una concezione del tutto inadeguata di ciò che è un limite. Non è vero che il limite è compatibile solo con stati stazionari, esso è del tutto compatibile anche con stati dinamici.

Abbandoniamo le considerazioni di carattere generale per affrontare più da vicino il problema di cui stiamo discutendo.
Di che tipo può essere un limite all’attività umana, più precisamente il limite che la scarsità delle risorse pone all’attività umana? Si possono a mio parere individuare tre tipi di limiti di questo genere,  per brevità li chiameremo limite A, limite B e limite C.
Limite A. Poniamo che un uomo di 40, impossibilitato a lavorare, anni abbia a disposizione, per far fronte alle sue necessità da oggi alla fine dei suoi giorni, la cifra di duecentomila euro, che non può in alcun modo investire e far fruttare.  Si tratta di un limite stringente che lo obbliga, se non vuole morire di fame, ad uno stile di vita estremamente "sobrio", diciamo pure assai  povero. Se davvero il soddisfacimento dei suoi desideri fosse condizionato da un simile limite qualsiasi miglioramento del suo stile di vita sarebbe impossibile. Un simile limite lo obbligherebbe ad un livello di consumo stazionario o decrescente.
Limite B. Poniamo che la somma a disposizione di quest'uomo non sia non di duecentomila ma di  duececento miliardi di euro. Anche in questo caso il limite esisterebbe, ma a tutti gli effetti pratici sarebbe come se non esistesse. La somma a sua disposizione sarebbe tanto elevata che la sua attività di consumatore, anche se voracissima, non incontrerebbe limite alcuno.
Limite C. Il nostro amico dispone dei suoi duecento di miliardi di euro, fa una vita piuttosto bella e gradevole, anzi, diciamo pure che se la spassa. Il fatto che la somma a sua disposizione sia limitata non gli da alcun pensiero. Però.. però deve morire, prima o poi. Tutti i suoi divertimenti finiranno un giorno, non si scappa. Siamo di fronte ad un terzo tipo di limite che non ha relazione col livello dei consumi e con le risorse a disposizione di ognuno di noi. Si tratta di un limite esterno alla vita terrena, un limite che delinea l’area al cui interno ha senso parlare di consumi e risorse, ricchezza e povertà, limiti.

L’uomo ha sempre a che fare con tutti e tre questi limiti. Certe risorse sono molto limitate e ci impongono un loro uso estremamente oculato e parsimonioso. Certe altre sono talmente abbondanti da potersi considerare praticamente illimitate. Infine, quale che sia il nostro rapporto col mondo e le sue risorse, siamo comunque limitati, oberati da una limitatezza che nessuna tecnologia, nessuna razionalità scientifica potranno riuscire ad eliminare. Il limite fa parte della nostra essenza di esseri razionali finiti. Ci piaccia o non ci piaccia siamo mortali e nessuno sviluppo, nessun progresso potrà renderci uguali o simili a Dio. Ma non potrà renderci uguali o simili a Dio neppure alcun “ritorno alle origini”, alcuna regressione a mera componente di qualche ecosistema, parte di un tutto armonioso che ci sovrasta. L’assoluto è al di fuori della nostra portata, sempre, in tutti i casi.

Il limite C delimita il campo della nostra azione ma non impedisce che questa sia dinamica. La crescita economica non ci farà mai superare la nostra finitezza, ma la finitezza non costituisce un vincolo contro cui la crescita economica possa o debba scontrarsi. Io posso passare tutta la vita seduto a guardare il nulla o occupato in una miriade di attività diverse. Morirò comunque e il fatto che debba morire non ha nulla a che fare col modo in cui ho speso la mia vita.
Il discorso è del tutto diverso nel caso dei limiti A e B. Qui il limite non è limite alla vita e al mondo, ma nella vita e nel mondo, non delimita l’area del nostro agire ma sorge in quest’area.
I limiti A e B ci obbligano alla stagnazione? Rendono irrazionale la ricerca di una costante crescita economica? Le considerazioni fatte in precedenza non possono che spingerci ad una risposta negativa. E’ chiaro che il limite di tipo B nei fatti non è un limite per noi, ma anche il limite di tipo A non impone alcun blocco assoluto allo sviluppo. L’inventiva umana. La scoperta e l’innovazione, la tecnologia consentono di utilizzare meglio,  in maniera sempre più efficiente e razionale le risorse, consentono anche di passare dall’utilizzo di una risorsa a quello di un’altra. Grazie alla sua attività l’uomo può trasformare molti limiti di tipo A in limiti di tipo B. La risorsa A è molto scarsa se ce ne occorre moltissima per produrre certi beni, ma se grazie all’innovazione tecnologica, riusciamo a produrre questi beni con quantità decrescenti di A tale risorsa diventa abbondante. Inoltre si può passare dall’utilizzo di A all’utilizzo di B, dall’utilizzo di B a quello di C e questo molto tempo prima che A o B siano esauriti. L’età della pietra non è finita quando non ci sono state più pietre a disposizione degli esseri umani, ma quando è stato possibile costruire con altre materie prime una serie di utensili. Se alcune risorse sono limitate nel senso A, tutte insieme possono considerarsi limitate in senso B, a condizione naturalmente che ci si rapporti alle risorse disponibili in maniera intelligente e responsabile, che si faccia ricorso alla ricerca ed alla innovazione tecnologica. Tornando per un attimo all’esempio di limite in senso A che si è fatto in precedenza, è chiaro che chi dovesse vivere il resto dei suoi giorni con duecentomila euro a disposizione sarebbe condannato alla povertà, dato l’attuale livello dei prezzi, l’attuale volume della produzione e della ricchezza disponibile. Un altro livello di ricchezza sociale, un altro livello dei prezzi trasformerebbero invece quei duecentomila euro in due milioni di euro e forse più. Il limite, che esiste sempre, non è mai totale ed assoluto, è sempre variabile, relativo.
Il senso di quello che si è detto è molto semplice in fondo. Occorre tenere conto dei limiti e questa è la condizione indispensabile affinché questi limiti non ci impediscano di svilupparci, non si trasformino in freni assoluti al nostro operare. E’ possibile migliorare costantemente il nostro tenore di vita anche in presenza di risorse limitate. Non è un paradosso, è la storia del genere umano.

Un grosso scimmione osserva un mucchio di ossa. Le sfiora con la mano pelosa, poi afferra un osso, un osso grosso, robusto. Lo agita, lo guarda. Colpisce con il grosso osso che tiene in mano un altro osso, lì, per terra. Lo colpisce di nuovo e poi ancora di nuovo. I colpi sempre più forti frantumano le ossa che giacciono  ai piedi dello scimmione. Lo scimmione è felice, salta in preda all’euforia, emette suoni gutturali…
E’ una delle scene centrali del capolavoro di Stanley Kubrick “2001 odissea nello spazio”. Tutti la ricordano, penso, e ricordano anche come prosegue il film. Lo scimmione usa l’osso per cacciare, affronta con la sua arma un altro scimmione e lo uccide. Esaltato dalla vittoria getta in aria l’osso. L’osso vola in alto, sempre più in alto e.. si trasforma in una astronave.
La scena è splendida non solo per la assoluta maestria con cui è girata, o per il magnifico accompagnamento musicale. Ciò che colpisce nella scena è il pensiero che molto probabilmente qualcosa di simile è davvero accaduto, da qualche parte nel mondo, tantissimo tempo fa.
Un niente separa l’osso dall’astronave, lo scimmione dall’uomo super tecnologico che è il protagonista del resto del film. Il vero salto di qualità nella storia del genere umano lo fa lui, lo scimmione, quando afferra l’osso e “capisce” che quello non è solo un osso da spolpare o da triturate coi denti. Quell’osso può essere qualcosa di diverso, può essere un’arma, può dare allo scimmione semi intelligente un vantaggio decisivo nella lotta per la sopravvivenza. Usando l’osso come un’arma lo scimmione compie una operazione tecnologica fondamentale: smette di consumare semplicemente gli oggetti che lo circondano, inizia ad usarli per soddisfare le proprie esigenze; smette in qualche modo di essere uno scimmione, inizia a diventare uomo.
L’uomo non è solo un animale razionale, e simbolico, e politico, è anche un animale tecnologico. Tutti quelli cha accusano la tecnologia di “alienare “ l’uomo dimenticano la banalissima verità che l’impulso a modificare il mondo, a compiere operazioni tecnologiche, è parte essenziale della natura umana. A qualcuno non  piace tutto questo? Preferirebbe che tutti noi fossimo mere componenti di un ecosistema? Considera vuota arroganza la pretesa di modificare a nostri fini l’ambiente in cui viviamo? Liberissimo di pensarla in questo modo. Solo, non se la prenda col capitalismo, con la scienza o con la società dei consumi. Se la prenda con la natura, metta sul banco degli imputati una selezione naturale durata milioni di anni.

Le concezioni contro cui si è polemizzato in questo scritto hanno almeno tre aspetti molto negativi e pericolosi.
In primo luogo è sottesa ad esse una visione profondamente totalitaria della vita e dell’uomo. In nome di un preteso ritorno all’armonia con la natura si vorrebbero imporre agli esseri umani determinati stili di vita. Il sacrosanto diritto di ognuno a scegliere come condurre la propria esistenza viene oggi sempre più messo in discussione. Non si tratta dei limiti che ogni convivenza civile pone alla libertà di ognuno, si tratta del tentativo di limitare in maniera drastica la nostra libertà per imporre a tutti un modo di vivere indicato surrettiziamente come l’unico compatibile con la sopravvivenza del pianeta. Guardando i telegiornali a volte si ha la sensazione di ascoltare le raccomandazione della figlia di Homer Simpson: “Se nessuno usasse l’auto”..”se nessuno prendesse l’aereo”.. “se ci lavassimo di meno”.. “se non usassimo lo sciacquone nel bagno” .. “se non dimenticassimo accese le luci di casa”.. “se non mangiassimo carne”. Molti guru dell’ecologismo radicale, che dal canto loro consumano quantità enormi di energia, viaggiano in aerei privati, hanno ville con megapiscine riscaldate ecc. (ogni accenno ad Al Gore è voluto), molti di questi guru dicevo, considerano ottimale un determinato rapporto fra uomo e natura e vorrebbero che tutti si comportassero in un certo modo affinché questo rapporto potesse affermarsi. Il loro astratto modello di armonia ecologica conta per questi signori molto di più della libertà per ognuno di noi.
In secondo luogo certe concezioni ignorano del tutto, malgrado le belle parole, il dramma della fame e del sottosviluppo. Certo, ci si sciacqua molto la bocca, oggi, con formule magiche tipo “sviluppo sostenibile”, ma cosa significano in concreto queste formule? Davvero si può pensare di dare da mangiare a centinaia di milioni di affamati con l’agricoltura biologica? A parte il fatto che fior di scienziati (ad esempio Veronesi) hanno denunciato i rischi per la salute del biologico, qualcuno ha mai notato quanto costano frutta e verdura biologiche? Ed ancora, lo sviluppo dell’Africa, naturalmente sostenibile, prevede la costruzione di navi, auto, aerei, treni? Contempla le centrali elettriche, la costruzione di case e strade? Insomma sarà uno sviluppo che consuma risorse e modifica l’ambiente o, in nome del rispetto della diversità culturale e dell’equilibrio fra uomo e natura, gli africani saranno condannati a vivere ancora per chissà quanto delle nostre elemosine?
Infine, tutte queste concezioni hanno una visione ridicola della natura. La natura è bella e terribile, affascinante e spietata. Ormai invece questa enorme forza primordiale è stata banalizzata, ridicolizzata, trasformata in un cartone animato, con gli animali ridotti a ridicoli pupazzi di peluche. Da teatro di una spietata, e per molti versi affascinante, lotta per l’esistenza la natura è diventata un noioso film di amore e di armonia, uno zuccheroso fotoromanzo o un fumetto per bambini poco intelligenti.
La natura va amata e rispettata per quello che è, banalizzarla, umanizzarla, farle perdere la dimensione tragica e spietata significa non comprenderla, non conoscerla, non amarla.





martedì 2 aprile 2013

L'IMMUNITA' PARLAMENTARE



Esiste in tutti i paesi dell'occidente, ma se in Italia se ne parla le proteste toccano il cielo. La prevedeva la Costituzione che, all'articolo 68, così recitava:
Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del

Parlamento può essere sottoposto a procedimento penale; né può essere

arrestato, o altrimenti privato della libertà personale, o sottoposto a perquisizione

personale o domiciliare, salvo che sia colto nell'atto di commettere un delitto per

il quale è obbligatorio il mandato o l'ordine di cattura.”
Questo articolo è stato modificato, come si sa, in seguito allo scandalo di tangentopoli. Ora è possibile sottoporre un parlamentare a procedimento penale, esistono solo dei limiti alla sua carcerazione preventiva:
“Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell'atto di commettere un delitto per il quale è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza”
Andrebbe aggiunto che la carcerazione preventiva non dovrebbe essere applicata nei confronti di nessuno, se non in casi di particolare, comprovata gravità.

In Gran Bretagna i parlamentari non possono essere arrestati, ma sono sottoposti a i poteri sanzionatori della Camera di appartenenza. La regina è insindacabile e gode di immunità assoluta.
In Francia il presidente della repubblica è totalmente irresponsabile, può essere giudicato solo alla scadenza del mandato. In Germania i parlamentarinon possono essere arrestati o privati in altro modo della libertà senza l'autorizzazione del Bundestag.
Negli Stati Uniti senatori e deputati non possono essere arrestati se non per alto tradimento, rispondono però di fronte ai “comitati etici” della loro camera di appartenenza. Il presidente non è giudicabile dalla magistratura ordinaria ma solo dal congresso in seduta comune.
I membri del parlamento europeo infine non solo non possono, com'è ovvio, essere “ricercati, detenuti o perseguiti a motivo delle opinioni o dei voti espressi nell'esercizio delle funzioni parlamentari” ma sono immuni “da ogni misura detentiva e da ogni procedimento giudiziario”, oltre che a godere “dell'immunità riconosciuta ai membri del Parlamento, sul territorio nazionale”, insomma, nei loro confronti vale una doppia immunità.

In tutto il mondo civile esiste l'immunità parlamentare, solo da noi non se ne può neppure parlare. “Tutti i cittadini sono uguali” si sente strillare non appena se ne accenna. Perché Tizio può essere indagato e magari messo in carcere, anche prima della sentenza definitiva, e un politico invece no? Se un magistrato può fare intercettare il signor Rossi, e può indagare su di lui, e può farlo arrestare, perché mai non dovrebbe poter fare lo stesso col presidente del consiglio? O magari con quello della repubblica? Siamo tutti uguali! Se non fosse il capo dei uno stato estero anche il papa dovrebbe potere essere tranquillamente intercettato, magari messo in carcere in attesa di giudizio. Questa si che sarebbe vera uguaglianza dei cittadini!

Di fronte ad argomentazioni di questo tipo non si sa cosa pensare. Chi le fa è sciocco o fa finta di esserlo? Nessuno contesta, ovviamente, il principio delle uguaglianza dei cittadini. Chiunque, se commette un delitto, deve essere punito. Quelle che cambiano sono le procedure inerenti la sua eventuale incriminazione ed il suo processo. Il signor Rossi può essere indagato, intercettato, eventualmente arrestato da un normale magistrato, il capo dello stato no, per lui occorre seguire una procedura particolare. Perché? Per due motivi, elementari.

Il primo: perché il capo dello stato, o un ministro, o il primo ministro, non sono cittadini come tutti gli altri. Piaccia o non piaccia la cosa, sono persone che rappresentano il paese, ed il loro arresto, le stesse indagini che li riguardano hanno enormi conseguenze sulla immagine del paese, sulla sua vita politica e sociale, sulla sua economia. Da nessuna parte nel mondo, all'infuori dell'Italia, un qualsiasi pubblico ministero, può indagare sul presidente del consiglio come se fosse un qualsiasi cittadino, chiederne addirittura la carcerazione. Il capo del governo è all'estero, ad una riunione importantissima di capi di stato. Viene avvicinato da un poliziotto che gli dice: “molli tutto, ci deve seguire, lei si deve presentare in tribunale, è accusato di aver frodato il fisco dieci anni fa”. Qualcuno pensa che ad Obama possa capitare una cosa simile? Solo in Italia l'immagine e il peso internazionale di un paese sono nelle mani di un qualsiasi PM, magari di un ex sessantottino che tiene nel suo ufficio un poster del “Che”.

Il secondo motivo è ancora più evidente. I magistrati detengono il più grande potere che un essere umano possa detenere: quello di privare i loro simili della libertà. E' un potere enorme, superiore allo stesso potere di fare le leggi. E i magistrati sono esseri umani, come tutti gli altri. Hanno le loro idee politiche, come tutti gli altri. E possono essere colti dalla tentazione di usare l'enorme potere di cui dispongono per colpire persone che sono loro lontane politicamente. Non dico che lo facciano o che lo facciano spesso, dico che potrebbero essere tentati di farlo e che occorre tenere a bada questa loro possibile, umanissima, tentazione. Quando si parla di queste cose molti affermano indignati: “i magistrati sono imparziali, il loro compito è di far osservare la legge...” eccetera eccetera. Ammettiamolo pure, ma.. se non fosse così, se a qualcuno di loro venisse in mente, ad esempio, di indagare su un certa persona solo perché gli è politicamente invisa? Se considerasse un "pericolo per la democrazia" questa persona e fosse tentato di usare il suo potere per accusarla di un migliaio di crimini? Questo solo fatto non altererebbe in maniera profondissima l'equilibrio politico del paese? Altro che tutela della divisione dei poteri! Eliminare ogni filtro fra politica e magistratura, permettere a qualsiasi magistrato di incarcerare un parlamentare senza avere avuto la autorizzazione della camera di appartenenza, vuol dire eliminare la divisione dei poteri, conferire ad un potere, quello giudiziario, la possibilità di intervenire pesantemente nella dialettica politica, addiruttura di far politica in prima persona, con gli avvisi di di garanzia e le inchieste giudiziarie. Esattamente quello che da venti anni avviene in Italia.

Certo, la immunità parlamentare rischia di trasformarsi, da strumento di tutela contro la politicizzazione della magistratura, in fattore di impunità per i politici poco onesti, che sono tanti. Ma il problema è quello di trovare i filtri adeguati che eliminino questo rischio, o lo riducano in limiti ragionevoli, non di eliminare ogni filtro, come sostengono i giustizialisti forcaioli di casa nostra. Per colpire i privilegi dei politici si concede un privilegio enorme ai magistrati, si da loro il potere di decidere in ultima istanza, al di fuori di ogni investitura popolare e di ogni controllo, i destini politici e sociali del paese. E questo è l'esatto contrario della uguaglianza dei cittadini. E' molto semplice in fondo, per tutti, meno che per chi ha il cervello annebbiato dalla faziosità e dall'odio.