Ho finito di leggerlo ieri: “Hitler”
di Jan Kershaw, Bompiani 2019.
Una biografia monumentale del
tiranno nazista. Seria, approfondita, documentatissima. E di
piacevole lettura. Le 1586 pagine dell'ultima fatica dello storico
britannico si leggono quasi d'un fiato.
Kershaw, autore di altre
due opere di grande importanza : “Hitler e l'enigma del
consenso” e “La fine del terzo Reich”, è uno
dei più grandi storici del nazismo e del terzo Reich e lo dimostra
alla grande in questa biografia.
In “Hitler” Kershaw
riprende uno dei concetti interpretativi usati in “Hitler e
l'enigma del consenso”: quello di “lavorare
incontro al fuhrer”. Il potere di Hitler non si basava solo
sulla repressione. Il tiranno nazista godeva di un vasto consenso
popolare che solo nella seconda metà della guerra iniziò a
declinare, senza mai scemare del tutto, tranne che negli ultimi due
- tre mesi. Tale consenso si esprimeva in una miriade di
comportamenti che non erano diretta conseguenza di comandi ma
miravano tutti a realizzare ciò che il fuhrer voleva. Il nazista
fanatico che denunciava il vicino di casa perché lo riteneva un
oppositore, il non fanatico che si arricchiva entrando in possesso di
beni confiscati agli ebrei, il professore universitario che definiva,
senza crederci troppo, “salvatore della Germania” il fuhrer
lavoravano tutti “incontro al fuhrer”. Ognuno, cercava di fare
ciò che si riteneva, a ragion veduta, che al fuhrer piacesse e tutto
questo cementava il consenso intorno alla sua figura mitica,
semidivina.
Nella Germania nazista si combinavano, ricorda
Kershaw, il potere totale, assoluto del fuhrer ed una lotta senza
esclusione di colpi fra i vari gerarchi nazisti finalizzata a
conquistarne l'approvazione. Massima concentrazione del potere ed
insieme massimo disordine, con relativa inefficienza. Dovrebbe far
pensare chi ritiene che le dittature siano si brutte, ma facciano,
tutto sommato, le cose per bene.
Il discorso sarebbe lungo da
sviluppare e non è qui il caso neppure di tentarlo. Anche perché
“Hitler” di Kershaw non è e non vuole essere una storia
del terzo Reich. Si tratta di una biografia che a volte lascia un po'
in sordina le analisi sociologiche e politiche. Uno dei pochi limiti
di quest'opera è infatti, a mio modesto parere, lo spazio
insufficiente che dedica alle varie forze non ed anti naziste, alle
loro politiche, alle lotte sociali che caratterizzarono la repubblica
di Weimar. Ma... si tratta davvero di un difetto in quella che è la
biografia di un tiranno, non una storia recente della Germania?
Come
biografia l'opera di Kershaw dedica ampio spazio all'uomo Hitler. Ne
esce il quadro desolante di un uomo affetto da un egotismo mostruoso,
sostanzialmente incapace di empatia, ipocondriaco, malato di
antisemitismo paranoico, tutto concentrato su se stesso e su quella
che riteneva essere la sua missione salvifica.
In gioventù Hitler
amò a modo suo la madre, per il resto non amò nessuno. Né ebbe
amici autentici, forse con la sola, parziale eccezione di Speer.
Ebbe, pare, una relazione morbosa con la giovanissima nipote, morta
suicida, considerò Eva Braun poco più di un gingillo da esibire in
determinate occasioni. Manifestò un certo affetto per Blondi, la sua
femmina di cane lupo, affetto che tuttavia non gli impedì di testare
sulla povera bestia le pillole di cianuro che dovevano servire al suo
suicidio. E tanto basta. Gli altri esseri umani erano solo mezzi che
usava per raggiungere il suo scopo assoluto: il dominio razziale
della Germania “ariana”. Hitler non visitò mai un ospedale
militare, non si recò nelle città tedesche devastate dai
bombardamenti; quando le vicende belliche iniziarono ad andare male
cessò quasi di parlare al suo popolo. Il demagogo irresistibile di
un tempo visse quasi da recluso gli ultimi due anni della sua vita.
L'uomo Hitler è inseparabile dal fanatismo nazista, come pochissimi
altri egli si identifica totalmente con una ideologia malata.
E'
impossibile cercare di riassumere anche solo le parti più rilevanti
dell'opera di Kershaw. Il gioco di azzardo di Hitler con le
democrazie occidentali e la inettitudine di queste a contrastarlo, i
rapporti tempestosi con gli alti comandi dell'esercito, il titanico
scontro militare con l'URSS staliniana, inizialmente di fatto sua
alleata, l'orrendo genocidio degli ebrei... tutti argomenti che
Kershaw tratta con rigore e profondità senza tuttavia mai
appesantire più di tanto il testo.
Particolare impressione fanno
la descrizione del periodo trascorso a Vienna dal giovane Hitler e
quella dei suoi ultimi giorni, chiuso come una belva in gabbia nel
bunker della cancelleria.
E' impossibile leggere dei vagabondaggi
senza meta di un giovane fallito, un buono a nulla sedicente artista
senza chiedersi come è stato mai possibile che un simile personaggio
sia diventato il padrone assoluto di uno degli stati più civili del
mondo. Certo, bisogna valutare il momento: la sconfitta del 1918 e
l'umiliazione sofferta dalla Germania, la crisi economica, l'iper
inflazione prima e la disoccupazione di massa poi, il timore non
ingiustificato di una rivoluzione bolscevica, una tradizione
culturale in cui l'antisemitismo era largamente presente, ma tutto
questo non basta. Il punto fondamentale è che un uomo a tutti gli
effetti mediocre riuscì ad unificare in se le reazioni a tutto
questo. Su questo punto Kershaw è molto chiaro. Senza Hitler la
Germania sarebbe probabilmente andata incontro ad una qualche forma
di autoritarismo, forse anche dittatura, di destra, ma non a quel
tipo di dittatura, non alla tirannide totalitaria e fanaticamente
razzista che Hitler edificò.
Quanto agli ultimi giorni del
tiranno, la narrazione di Kershaw è davvero avvincente. Leggendo le
sue pagine si respira quasi l'atmosfera isterica del bunker della
cancelleria. Le sfuriate di Hitler, le ultime fucilazioni ai danni di
presunti “traditori”, gli ordini concitati ad armate che ormai
non esistevano più. E particolare interesse desta l'evoluzione del
pensiero di Hitler nell'ultima fase della sua vita. “Il popolo
tedesco si è dimostrato debole, non era degno di me” diceva spesso
il tiranno. I suoi amati tedeschi “ariani” lo avevano “deluso”.
Non a caso Hitler, ormai rinchiuso nel suo bunker-tomba emanò la
famosa “direttiva Nerone”: tutto ciò che restava della struttura
industriale tedesca andava distrutto. Il popolo tedesco doveva
seguire il fuhrer nella rovina totale. Giusto castigo per chi non si
era dimostrato all'altezza di una “grande” idea. La stessa
persona che aveva idolatrato il tedesco “ariano” lo giudicava
alla fine indegno di lui. Potenza malefica della ideologia! Prima
affida ad un popolo, una nazione, una classe sociale un fine
assoluto, poi, quando questo si rivela una chimera se la prende con
classi, nazioni, popoli reali. Hitler schiumante rabbia nel bunker
della cancelleria ricorda, fatte le debite proporzioni, certi
intellettuali radical - schik che si dicono e si dicevano “delusi
dalla classe operaia” per il semplice motivo che gli operai veri
pensano più al salario ed alle condizioni di lavoro che alla mitica
società perfetta.
Non è il caso di dilungarsi troppo. Fra
tanti libri inutili che ingombrano gli scaffali delle librerie
questo “Hitler” di Jan Kershaw costituisce una gran bella
eccezione. Consiglio a tutti di leggerlo. Ne vale davvero la pena.
Detesto il fanatismo,la faziosità e le mode pseudo culturali. Amo la ragionevolezza, il buon senso e la vera profondità di pensiero.
giovedì 15 ottobre 2020
JAN KERSHAW: "HITLER"
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