giovedì 30 marzo 2017

MINATORI

I “diversamente giovani” di certo la ricordano. La battaglia durissima fra la signora Thatcher ed i minatori del carbone. Da un lato la lady di ferro decisa a chiudere miniere ormai del tutto improduttive, dall'altro lavoratori impegnati a difendere con le unghie e con i denti il posto di lavoro. Una situazione tragica che si è presentata spesso nella storia del movimento operaio. Governi decisi a ridimensionare produzioni diventate anti economiche da un lato e, dall'altro, lavoratori costretti a difendere aziende decotte. La sinistra stava, allora, con i minatori. La sua posizione era sbagliata, se considerata alla luce delle esigenze complessive dell'economia, ma aveva dalla sua valide ragioni, rappresentava interessi vitali di esseri umani in grave difficoltà.
Nulla di tutto questo avviene oggi negli Stati Uniti. Obama a suo tempo ha ridimensionato drasticamente la produzione di carbone non perché divenuta anti economica, ma per favorire la “green economy”. Oggi Trump rilancia invece le attività estrattive perché alla green economy proprio non crede.
A ragione. La green economy è una truffa, da qualsiasi punto di vista la si guardi.
E' una truffa a livello energetico, economico e sociale perché produce quantità irrisorie di energia a costi elevati e con gravi ricadute sulla occupazione.
Ed è una colossale truffa dal punto di vista della tutela dell'ambiente. Per produrre quantità anche solo un po' rilevanti di energia con l'eolico ed il solare bisognerebbe coprire aree enormi  di panelli o pale, con ricadute devastanti sul paesaggio, la flora e la fauna. Si tratta solo di un buon affare per le lobby delle energie “alternative” e di una gratificazione ideologica per chi di ideologia è malato.
E così oggi i sindacati dei minatori sono schierati con Trump, una situazione diametralmente opposta a quella della Thatcher. E, a differenza di allora, oggi la sinistra, la “nuova” sinistra al caviale, è contro i minatori. Non guarda più alla mitica classe operaia. Suo punto di riferimento sono i residenti a Beverly Hills, i divi del cinema che lanciano proclami in difesa dell'ambiente dai bordi di mega piscine riscaldate o dalla plancia di yacht di una trentina di metri.
Segno dei tempi, dei brutti tempi in cui siamo costretti a vivere.

mercoledì 29 marzo 2017

MATRIMONIO APERTO

Lo avete notato? Tutti dicono EUROPA EUROPA!!! ma NESSUNO, proprio NESSUNO, dice che l'Europa così com'è e così come la abbiamo conosciuta negli ultimi 20 anni va bene.
Dicono: EUROPA e se qualcuno propone di uscirne strillano subito: “POPULISTA! XENOFOBO! SCIOVINISTA!” e si incazzano come delle belve. Però, appena si sono calmati ed i sacri furori sono stati sostituiti da una calma rilassata aggiungono: “le regole europee non sono dogmi, occorrono deroghe”, oppure: “ci vuole flessibilità”, oppure “l'Europa deve essere a più velocità”, oppure: “i parametri non possono essere intoccabili” e così via.
Qualsiasi associazione fra esseri umani si da regole vincolanti per tutti. L'Europa a quanto pare no. In Europa si può, no, si DEVE stare ma si possono chiedere “deroghe” e “flessibilità” per non osservarne le regole. Un po' come se in un matrimonio marito e moglie, dopo essersi giurata eterna e reciproca fedeltà, si facessero spesso e volentieri una scopatina col primo o con la prima che passa in nome delle “deroghe” e della “flessibilità”.
Ecco, la grande “EUROPA “ della UE assomiglia sempre più ad un matrimonio “flessibile” ed “aperto”, molto, molto “aperto” e “flessibile”. Però, guai a chi osa parlare di divorzio!

lunedì 27 marzo 2017

NAVALNY

Non mi piace che gli oppositori vengano incarcerati, anche solo per 15 giorni, né che le manifestazioni vengano vietate se non per reali e comprovati motivi di ordine pubblico.
So bene che la Russia non è una democrazia compiuta, anche se il regime di Putin è la cosa più simile alla democrazia che la Russia abbia avuto in TUTTA la sua storia.
Ma trovo semplicemente insopportabili gli strilli mediatici intorno alla vicenda di Navalny.
Fidel Castro ha governato per oltre mezzo secolo senza mai sottoporsi al vaglio di libere elezioni. Quando è diventato troppo vecchio ha ceduto il potere al FRATELLO! Eppure quando è morto le varie italiche TV lo hanno presentato come un personaggio certo un po' controverso, ma che aveva comunque molto a cuore la sorte degli “oppressi” (esclusi ovviamente coloro che subivano la SUA oppressione).
Il presidente Chavez ed il suo successore Maduro hanno fatto cose al cui confronto gli eventi russi di questi giorni fanno sorridere. Nel silenzio assordante del mondo. E degli italici media.
Nella stessa democraticissima Europa se qualcuno manifesta dubbi sul fatto che l'Islam sia un religione di pace rischia di doversi difendere in tribunale dall'accusa di “islamofobia”.
Però una condanna a 15 giorni di reclusione ed una multa di 300 euro vengono presentate dai media come il massimo della oppressione dittatoriale.
Ai tempi di Breznev Navalny sarebbe stato sepolto in un manicomio criminale. A quelli di Stalin si sarebbe trovato a spaccar pietre, coperto di stracci, in una ridente pianura a 30 gradi sotto zero. Oppure di fronte al plotone di esecuzione.
Fra chi oggi strilla contro Putin ci sono figli e nipotini degli adoratori di Stalin e Breznev. E non hanno rinnegato né i padri né i nonni.
Ma fatemi il piacere!!!

mercoledì 22 marzo 2017

CHIACCHIERE FRA AMICI

Tizio. Morti a Londra. Un'auto investe dei passanti. Accoltellato un poliziotto.
Caio. Si tratta certamente dell'atto di uno squilibrato.
Tizio. Non ne dubito. Pensa, un agente lo ha ucciso.
Caio. Come minimo è eccesso colposo di legittima difesa.
Tizio. E come dubitarne?
Sempronio. Le crociate, le crociate!
Tizio. Forse si tratta solo di un incidente stradale.
Caio. E le coltellate?
Tizio. Basterebbe mettere fuori legge i coltelli, ma le multinazionali delle posate da cucina si oppongono.
Caio. Sante parole. Ma io tornerei alle cause del gesto. Chi guidava l'auto?
Tizio. Un cittadino inglese.
Sempronio. La tratta degli schiavi, la tratta degli schiavi!
Caio. Sento ora che il cittadino inglese era un tifoso fanatico. Sembra che alla sua squadra sia stato negato, domenica, un evidente calcio di rigore.
Tizio. Questo spiega tutto.
Caio. Io non trascurerei la psicanalisi. Può benissimo trattarsi di un complesso d'Edipo non superato.
Sempronio. Il colonialismo, il colonialismo.
Tizio. E la scuola? E la famiglia? Penso che questo cittadino inglese avesse grossi problemi coi genitori. E chissà quanti atti di bullismo ha dovuto subire!
Caio. Ed è anche stato ucciso! Più che eccesso colposo di legittima difesa mi sembra omicidio volontario.
Tizio. Sembra anche a me.
Sempronio. Il sionismo, il sionismo!
Tizio. Per non parlare delle influenze nefaste dei fumetti, dei film violenti, di internet.
Caio. Non trascurerei le motivazioni economico sociali. La Brexit ha gettato nella miseria più nera gli inglesi. Di certo quel poveretto aveva grossi problemi economici.
Tizio. Hai ragione, forse aveva perso il posto di lavoro.
Sempronio. Israele, la sua politica criminale! Israele, la sua politica criminale!
Caio. E se fosse stato lasciato dalla moglie?
Tizio. Se avesse litigato col padre?
Caio. Se avesse litigato col figlio?
Tizio. Se fosse solo un drogato?
Caio. O un delinquente comune?
Tizio. Un uomo onesto che è diventato un delinquente comune perché ossessionato dal materialismo consumistico delle società ultra liberiste.
Caio. Sante parole!
Sempronio. Trump, Trump!
Tizio. Tutto è mercificato e ci stupiamo se un povero squilibrato ammazza gente a casaccio?
Sempronio. Marine le Pen, Wilders!
Tizio. Forse è un gay che deve nascondere la sua diversità.
Caio. Probabile, l'ennesima vittima del sessismo e della omofobia.
Sempronio. Salvini, Salvini!
Tizio. Forse è un liberale estremista.
Caio. O un buddista radicalizzato.
Tizio. O un greco ortodosso in crisi.
Sempronio. Il Mossad, la CIA, la CIA, il Mossad!
Caio. Forse è un taoista in crisi.
Tizio. O uno scintoista dissidente.
Arriva Pinco Pallo. Per me è un terrorista islamico.
Tizio, Caio e Sempronio, in coro. Terrorista islamico? Brutto populista xenofobo, sciovinista, islamofobo e RASISTA!


mercoledì 15 marzo 2017

OLANDA

Tutti esultano. Battuta l'estrema destra xenofoba, islamofoba, razzista eccetera. Molti parlano di “diga olandese” contro il populismo. Ci sarebbe da dire: “ma, non eravate voi quelli che strillavano contro i muri?” Evidentemente gli unici muri accettabili sono quelli che bloccano i “populisti”. A chi invece predica la sharia si spalanchino pure le porte!
In realtà le cose sono un tantino diverse. Il partito razzista, xenofobo, islamofobo eccetera di Wilders ha incrementato di circa un terzo la propria rappresentanza parlamentare, passando da 15 a 20 seggi. Il liberale di destra Rutte perde dieci (o sette, le TV esultano ma non danno numeri chiari) seggi su 40. I laburisti scompaiono, cedendo gran parte dei propri voti ai verdi. In altri momenti un simile risultato avrebbe gettato nel panico gli euroburocrati, oggi invece è accolto da grida di esultanza. Ed a ragione. In effetti per i sostenitori ella UE le elezioni olandesi sono state una boccata d'aria. Basta questo a dimostrare la crisi profonda in cui versa la cosiddetta '”Europa”.
Non solo. Rutte ha vinto anche grazie alla sua azione estremamente ferma nei confronti della Turchia. Il leader liberale ha adottato un trucco vecchio come il mondo per battere il rivale razzista, xenofobo, islamofobo eccetera: gli ha rubato parte del programma. Ha fatto LUI quello che avrebbe fatto Wilders se avesse vinto. A proposito, cosa ne pensano della Turchia e del suo leader i politici italiani? Invece di litigare su Lotti ci potrebbero esplicitare il loro pensiero su Erdogan? Loro accetterebbero o no di trasformare l'Italia in un campo di battaglia per fazioni turche? Ed ancora, proviamo ad immaginare cose direbbero tutti i “progressisti” se fosse stato impedito l'ingresso a diplomatici turchi non in Olanda ma negli Stati Uniti! Cosa strillerebbero in coro tutti i media, cosa direbbe il TG5, se fosse stato Trump invece di Rutte a rispedire a casa la pattuglia elettorale Turca? Fantasie...

In ogni caso gli euro burocrati hanno poco da esultare. L'Europa è e resta in crisi verticale. Sui “migranti” ogni paese fa quello che gli pare, sulla Turchia la UE è passata agli sforzi per farla entrare in”Europa” alle accuse di “nazismo”. Su tutto il resto è una rissa per cercare di aggirare vincoli e “quozienti”.
La cosiddetta Europa è finita, lo è anche se in Francia l'alleanza di tutti riuscirà a bloccare Marine Le Pen e se in Germania la Merkel vincerà ancora (perché non dovrebbe? La Germania dalla UE ci guadagna, e tanto...). La previsione è fin troppo facile: l'Europa esploderà travolta dai “populismi” o sarà sommersa dalle ondate migratorie. In quest'ultimo caso, altro che Europa tollerante, aperta, multiculturale! Altro che “famiglie arcobaleno”, sindache e ministre, quote rosa, adozioni gay, uteri in affitto e leggi anti omofobia. Altro che laicità. Vivremo felici sotto la sharia, sperando che non sia troppo dura. E in fondo ce lo saremo meritato...

lunedì 6 marzo 2017

IL BURKA E LA MINI

L'immagine può contenere: 1 persona, persona seduta


Una donna col velo integrale accanto ad un'altra, vestita in maniera piuttosto sexy. C'è chi dice che la seconda sia in realtà un trans e che sia vestita in maniera non tanto sexy quanto volgare, ma si tratta di dettagli ininfluenti. Il punto importante è un altro. Questa foto simbolizza davvero la LIBERTA' come dicono alcuni? Io penso di NO.

Per stabilire se il velo accanto alla mini simbolizzi davvero la libertà occorre innanzitutto farsi alcune domande.
La foto è stata scattata a New York, chiediamoci: avrebbe potuto essere scattata a Teheran? O Alla Mecca? O a Islamabad? Per farla breve, avrebbe potuto essere scattata in una qualsiasi delle numerose repubbliche islamiche sparse per il mondo? Basta porre la domanda per avere la risposta, e la risposta è un
NO grande come una casa.
Nei paesi islamici le donne
devono mettere il velo. In alcuni basta un velo, diciamo così, normale. In altri il velo deve essere integrale. In nessun caso una donna può andare in giro vestita come la donna, o il trans, della foto. E questo non sembra essere precisamente un fatto di libertà.
Qualcuno potrebbe obiettare che le donne musulmane sono ben contente di velarsi. Può essere vero, ma non dimostra nulla. A parte il fatto che sarebbe interessante verificare cosa farebbero le donne pakistane o iraniane se fossero libere di scegliere, a parte questo dettaglio, ad essere decisivo non è cosa empiricamente facciano le donne musulmane, ma cosa siano
libere di fare. Se in tutto il mondo musulmano anche una sola donna volesse togliersi il velo, avrebbe il diritto di farlo? La risposta è di nuovo NO. E di nuovo questo no è la negazione della libertà.
E veniamo così alla domanda fondamentale.
Le due donne della foto sono davvero egualmente libere? La donna in mini volendo può indossare il burka, ma la donna in burka volendo potrebbe indossare la mini? Per la terza volta la risposta è NO.
Sento gli strilli dei politicamente corretti. “E no, sbagli!” dicono indignati. “La foto non è stata mica scattata a Teheran, è stata scattata a New York e in quella città la donna in burka volendo può indossare la mini!!!”
O che teneri angioletti! Quando parlano di mini e burka che simboleggiano la libertà si riferiscono alle città dell'occidente! Non hanno mica in mente Islamabad o Medina, o Gaza! Ma no, hanno in mente Londra, Parigi o Tel Aviv. Dove l'Islam (per ora)
NON domina, dove NON esiste (per ora) la sharia, una donna in burka, può, teoricamente, indossare la mini. La legge la tutela. Peccato che a tutelarla sia la legge occidentale! E da cosa la tutela questa legge? Elementare: la tutela dalla sharia, dalla legge islamica, dall'Islam! La donna in burka è libera non grazie, ma malgrado l'Islam. Questo piccolissimo particolare sfugge ai cherubini della illimitata bontà e tolleranza.
Ma è poi davvero libera, anche a New York, la donna in burka? Ancora una volta la risposta è
NO!
Legalmente, astrattamente, è libera, grazie alle leggi laiche che ancora esistono in occidente. Ma le leggi spesso non bastano. La donna in burka ha un padre, un marito, dei fratelli, dei figli e questi esercitano su di lei una autorità, una violenza che difficilmente la legge può sconfiggere. I militanti della sinistra parlano da sempre, e quasi sempre a sproposito, di una libertà “sostanziale” da opporre ad una “secondaria” libertà solo formale e poi, di fronte all'esempio macroscopico di una libertà formale che, malgrado il suo valore, può risultare impotente, diventano i paladini della pura forma, contrapposta ad ogni sostanza. Segno dei tempi.


Libertà non vuol dire far vivere, l'una accanto all'altra, persone libere e persone in catene. Si ha la libertà quando non esistono persone in catene. La libertà politica non sarebbe più ampia in Italia se accanto ai partiti già esistenti ci fosse un partito neonazista con dimensioni di massa. Il crollo del comunismo non ha ridotto la libertà solo perché, mettendo fuori gioco una ideologia che ha prodotto decine di milioni di morti, ha “ridotto” il numero delle opzioni ideologiche a disposizione. Il giorno in cui l'Islam diventasse una religione come tutte le altre, e non ci fossero più adulte lapidate e apostati decapitati, ed il velo fosse davvero il frutto di una scelta libera, quel giorno ci sarebbe più, non meno libertà, anche se, molto probabilmente, non sarebbe più possibile scattare foto come quella che alcuni scambiano per un simbolo della libertà.
Per essere chiari: non sto dicendo che il velo “normale” andrebbe vietato (quello integrale si, almeno per motivi di sicurezza). Visto il ginepraio in cui ci siamo cacciati una simile misura creerebbe molti più problemi di quanti non potrebbe risolverne e rischierebbe di diventare illiberale.
Semmai andrebbero inaspriti i controlli e le misure repressive a tutela delle donne, senza comunque farsi troppe illusioni.
Sto dicendo una cosa diversa:
la coesistenza di minigonna e velo NON è un simbolo né un sintomo di libertà. E' al contrario il simbolo ed il sintomo della situazione di crisi in cui versa l'occidente di oggi.
Qualcuno può dire in tutta sincerità che la donna in burka e quella in mini possono diventare amiche? Qualcuno le vede andare una sera a cena inseme in un ristorante del centro? O organizzarsi per una scampagnata, o una escursione in montagna? Quelle due donne sono estranee, anche se sedute l'una accanto all'altra nel metrò. Non esiste fra loro nessuna “integrazione” reale.
Questa è oggi la situazione dell'occidente. Una civiltà sempre meno integrata, attraversata da divisioni culturali non sanabili. Non qualcosa di unitario, ma aggregato di etnie, forse addirittura di tribù, che si ignorano nel migliore dei casi, si combattono nel peggiore.
Se la foto di cui stiamo parlando simboleggia qualcosa questo qualcosa è la disgregazione della nostra vecchia, gloriosa civiltà. Altro che "libertà"!


giovedì 2 marzo 2017

ESISTE IL DIRITTO ALLA MORTE?

Lo dico subito, per chiarire e non essere frainteso. Se mi trovassi nelle condizioni del Dj Fabo probabilmente (sottolineo il probabilmente) sceglierei di morire. Non solo, se una persona che amo si trovasse in quelle condizioni e mi chiedesse di aiutarla a morire probabilmente accetterei di farlo. Questo però è solo un aspetto del problema. Non si tratta di valutare un caso particolare, singolo. In questi giorni, sull'onda dell'emozione suscitata dal caso del Dj si è aperto un vasto dibattito, ampiamente pilotato e manipolato dai media, sul tema più generale del “fine vita”. Apro parentesi, perché si chiama “fine vita“ la morte? Il linguaggio eufemistico del politicamente corretto penetra ovunque; chissà, fra un po' definiremo i morti “diversamente vivi”. Chiusa parentesi.
Tornando a bomba. Non si tratta di valutare un caso particolare ma di affrontare un problema generale, perché le leggi, lo sanno (quasi) tutti, sono generali ed astratte. E se si deve affrontare un problema generale bisogna cercare quanto meno di “centrarlo”, capire di cosa realmente si tratta.
Innanzitutto bisogna smetterla con la confusione in cui i media letteralmente sguazzano. In questi giorni si sente parlare di “rifiuto dell'accanimento terapeutico”, “eutanasia” e "suicidio assistito” come se fossero la stessa cosa. Così non è. Si rifiuta l'accanimento terapeutico quando non si accettano più cure inutili e dolorose che possono ritardare solo di poco tempo la fine. Si ha eutanasia quando si uccide, di solito ma non sempre su richiesta del paziente, un malato terminale o cronico; entrambi questi casi differiscono radicalmente dal suicidio assistito. Nel suicidio assistito una persona che vuol porre termine ai suoi giorni viene aiutata a farlo. Si mure in maniera “tranquilla” ed indolore, cosa praticamente impossibile o molto difficile se si ricorre a forme non assistite di suicidio. Il suicidio assistito non è riservato solo ai malati terminali o cronici, né a chi conduce una vita semi vegetativa. Gli esseri umani possono desiderare di morire per mille ragioni. Si può desiderare il suicidio per una delusione d'amore, il fallimento economico, la morte di una persona cara. Si può voler morire semplicemente perché non si trova più alcun senso al proprio vivere o ci si è “stancati di esistere”. Kirillov, uno dei personaggi più oscuri di quel capolavoro che è “i demoni” di Dostoevskij vuole uccidersi perché solo uccidendosi può opporre la propria distruttiva onnipotenza alla onnipotenza divina. Non è il caso di dilungarsi troppo. Una cosa dovrebbe essere chiara: non occorre patire un intollerabile dolore fisico o essere inchiodati su un letto per desiderare la morte. Del resto, nella clinica svizzera in cui si pratica il suicidio assistito è morto, tempo fa, Lucio Magri, a suo tempo dirigente de “il manifesto”. Non so cosa abbia spinto Magri al suicidio, ma di certo le sue condizioni non erano quelle del Dj Fabo. Non era un malato terminale né cronico. Eppure la clinica svizzera ha offerto anche a lui i suoi “servizi”.

I media come al solito mistificano tutto e cercano di affrontare un problema generale di estrema rilevanza e difficoltà facendo leva sull'emozione prodotta da un episodio particolare. Dietro a tutte le polemiche che la vicenda del Dj Fabo ha scatenato si cela invece una domanda terribile, a cui è difficilissimo dare una risposta esaustiva. Una domanda filosofica, piaccia o non piaccia la cosa: Abbiamo il diritto di rinunciare alla vita, di darci la morte? Da sempre gli uomini danno risposte diverse a questa domanda. Per i cattolici e più in generale i credenti la risposta è NO. Non abbiamo diritto di rinunciare alla vita perché la vita non è nostra, è un dono di Dio, un bene indisponibile che abbiamo il dovere di preservare ed utilizzare al meglio. Si tratta di una posizione molto coerente e dignitosa che non è però esente da critiche ed obiezioni.
Una salta subito agli occhi: se la vita non mi appartiene, commetto un crimine tentando di togliermela? Un poveretto che tenta il suicidio e fallisce dovrebbe essere processato e condannato? Non sembra davvero che una cosa simile possa essere considerata in nessun modo “giusta”.
Proseguiamo. Pochi, penso, sono disposti a negare che io abbia, in quanto essere umano, certi diritti. Ho il diritto di avere o non avere figli, di scegliere che lavoro fare e dove vivere, di votare per questo o quel partito e tanti altri. Ora, se la vita non è mia posso davvero continuare a godere a pieno titolo di tutti questi diritti? La vita è un dono che ho il dovere di preservare ed utilizzare al meglio; se le cose stanno così posso, ad esempio, decidere di non avere figli? Dio ci ha creati in grado di riprodurci ed è interessato, si dice, alla riproduzione della specie umana. La mia decisione di non aver figli non rischia di contravvenire ai desideri di chi mi ha donato la vita? La concezione secondo cui la vita che vivo non è mia ma un dono di Dio rischia di privarmi di alcuni fondamentali diritti. A parte queste considerazioni, questa concezione si scontra comunque con una difficoltà insormontabile:
non vale per chi non ha la fede. Un credente può considerare non sua la vita che sta vivendo, ma non può ragionevolmente cercare di imporre questa sua convinzione a chi credente non è. Ma le leggi, in un moderno e laico stato di diritto, valgono per tutti, credenti e non credenti. Il problema resta irrisolto.

Sul versante opposto troviamo i campioni dell'estremismo laico. La vita è mia e solo mia, dicono, ed io posso disporne come voglio.
Io HO il diritto di uccidermi e solo degli integralisti intolleranti possono negarmelo. Esiste il diritto di scegliersi un lavoro o la località in cui vivere, il diritto di sposarsi o non sposarsi, di avere o non avere figli, di votare, ed esiste, accanto a questi, il diritto al suicidio. Un diritto estremo, è vero, ma non per questo meno reale, meno “diritto” di tutti gli altri.
Anche questa posizione ha la sua dignità e la sua interna coerenza, ma va anch'essa incontro ad insuperabili obiezioni.
Esiste il diritto di uccidersi come esiste il diritto di scegliere dove vivere o se avere o non avere figli. Ammettiamo per un attimo che questo sia vero. Cosa ne discende? Io ho il diritto di uccidermi, un bel giorno lo metto in atto e mi butto nel mare in tempesta. Tizio mi vede, si getta anche lui fra le onde, mi raggiunge e mi salva. Se è vero che cercando di uccidermi io esercito un mio diritto Tizio che mi ha salvato la vita dovrebbe essere considerato non un eroe ma un criminale, quanto meno un prepotente intollerante che mi ha impedito con la violenza di esercitare un mio sacrosanto diritto. Ed ancora, se uccidersi è un diritto dovrebbe essere libera la vendita degli strumenti che permettono alla gente di esercitare questo diritto. Ho il diritto di scegliere se mangiare carne, pesce o verdura, quindi al mercato trovo il banco del pesce, quello della frutta e della verdura e quello della carne. Allo stesso modo dovrei trovare il banco dei veleni e delle droghe che mi permettono di morire senza sofferenze, se davvero il suicidio fosse un diritto.
E cosa dovrebbe avvenire, se il suicidio fosse un diritto, nel campo della salute? Come si dovrebbe comportare il servizio sanitario nazionale? L'aspirante suicida dovrebbe entrare in ospedale, munito dell'impegnativa del medico di famiglia, e chiedere che gli venga indicato dove si trovano le camere della morte? Non è il caso di dilungarsi troppo. La trasformazione del suicidio in “diritto” ci mette di fronte a scenari che qualsiasi persona di buon senso giudica semplicemente mostruosi, e non a torto.

Il fatto è, molto semplicemente, che
il suicidio non è un diritto. Può essere una tragica scelta estrema, ma non si può trasformare in diritto questa scelta estrema, pena il creare autentici scenari da incubo.
Perché il suicidio non può essere un diritto? E' molto semplice: perché
i confini della vita sono anche i confini dei diritti e delle scelte. Ha senso parlare di scelte e diritti fino a che si è dentro la vita, il diritto di uccidersi altro non è che il diritto di non avere diritti.
Il “diritto” di uccidersi è radicalmente diverso dal diritto, ad esempio, di votare alle elezioni. Il secondo riguarda la vita ed il modo in cui stiamo nella vita. Il primo vorrebbe essere il diritto di uscire dalla vita. Ma fuori dalla vita c'è il nulla. L'esistente è circondato, pressato dal nulla, ed il nulla è indicibile, impensabile, inesperibile.
Il nulla è il non senso che pressa e delimita il senso. E' talmente profondo e radicale il non senso del nulla che qualsiasi frase lo contenga diventa anch'essa, a rigore, priva di senso. “Entrare nel nulla, andare al nulla”... quale è il senso di simili espressioni? Si può “entrare nel nulla” se il nulla non è? Cosa si sceglie realmente quando si opta per il non essere? Che razza di scelta, che razza di diritto sarà mai qualcosa che ci immerge nel non senso? Il non senso in cui, morendo, vogliamo immergerci non fa diventare priva di senso la nostra stessa scelta di morire? Non esistono probabilmente risposte a simili domande. Queste in fondo riguardano la morte per suicidio come quella per vecchiaia o malattia e ci rimandano, tutte, alla nostra insopprimibile umana finitezza. Ma anche se prive di risposta una cosa simili domande ce la possono dire: è impossibile e prima ancora che impossibile terribilmente sciocco e banale trasformare il suicidio in un diritto. Trasformando in diritto il suicidio si trasforma il rapporto col non senso del nulla in un normale rapporto con gli enti e gli eventi del mondo. Il rapporto col non essere viene ad essere messo sullo stesso piano dei rapporti variegati dentro la sfera dell'essere. Scegliere se vivere o morire sarebbe come scegliere se votare per Renzi o per Salvini. Che terrificante idiozia!

Il suicidio non è né un diritto né un crimine, è una scelta estrema, un atto disperato, il rifiuto radicale dell'essere compiuto da chi non vede più nell'essere nulla di buono.
Come rapportarsi ad un simile atto? Occorre distinguere, dicono in molti, abbastanza a ragione. Una cosa è il “diritto” al suicidio cosa ben diversa il rifiuto dell'accanimento terapeutico o la stessa eutanasia praticata a chi la chieda e si trovi in situazioni impossibili ed irreversibili. Ma, una volta stabilito che è bene fare distinzioni non tutto è risolto. Dove tracciare le linee di demarcazione? Come evitare che, una volta stabilito un precedente per far fronte ad una situazione estrema, non si amplino sempre più i limiti e non ci si venga a trovare di fatto nella situazione del “diritto al suicidio”?
Per rapportarsi al suicidio non servono le formule e neppure le leggi, credo. Le regole fisse, i
SI SI, NO NO rischiano di condurci in vicoli ciechi. Intorno al suicidio sorgono spesso i dilemmi morali: situazioni in cui non si fronteggiano un torto ed una ragione chiaramente identificabili, ma due ragioni, diverse e difficilmente mediabili. Meglio far ricorso allora a quelle che Kant chiamava le idee regolative. Principi che non dicono, come le regole e le leggi, cosa si debba fare in tutti i possibili casi, ma aiutino ad orientarsi in una situazione estremamente complessa e a valutare ragionevolmente caso per caso. Uno di questi principi potrebbe essere che il suicidio, pur non diventando mai un diritto, non va criminalizzato. E questo non solo nel senso ovvio di non criminalizzare chi lo tenta ma anche chi, in certi casi, lo rende possibile. Se una persona che si trova in una situazione di sofferenza insopportabile ed irreversibile chiede di essere aiutata a morire e trova chi pietosamente la aiuta, non credo che chi compie un simile atto di pietà possa essere punito. Lo so, è molto indeterminato tutto questo. I principi regolativi possono trasformarsi in leggi e da questi può venir fuori il “diritto” al suicidio, oppure restringere talmente il loro campo di applicazione da risultare praticamente inutili. Ma questo capita sempre quando ci si muove su un terreno terribilmente accidentato. Il mondo è assai più complicato di quanto pensino certi superficiali semplificatori. E a noi non resta che prenderne atto, consci della nostra strutturale debolezza di uomini.