lunedì 30 giugno 2014

I TRE RAGAZZI E GLI IPOCRITI




Facciamo un piccolo esperimento mentale. Nel corso di un attacco israeliano contro postazioni di Hammas muoiono tre adolescenti palestinesi. Può succedere, anche perché i miliziani di Hammas amano piazzare le loro postazioni nelle vicinanze di scuole, asili ed ospedali. Cosa succederebbe se in un simile, deprecabile, caso qualcuno parlasse dei tre adolescenti palestinesi come di tre “giovani estremisti islamici”? Le grida degli occidentali politicamente corretti raggiungerebbero il cielo, con tutta probabilità. Invece, quando i tre ragazzi israeliani sono stati rapiti moltissimi hanno parlato di tre “ragazzi ultraortodossi”. Non che si giustificasse il rapimento, però... tre adolescenti “ultra ortodossi”, se lo dovevano aspettare in fondo, vero?
Per gli occidentali “buoni” gli islamici hanno diritto alla loro cultura, anche quando questa è condita di lapidazioni, pena di morte per gli apostati ed infibulazioni. Gli israeliani no, loro non possono essere ultra ortodossi, e se proprio lo vogliono essere... beh, stiano attenti...

E parlano spesso di “coloni israeliani” i nostri media. Chi sono i cosiddetti “coloni israeliani"? Persone che cacciano i “palestinesi” dalle loro terre? Che li privano delle loro case? NO. Si tratta di normalissimi esseri umani che vivono in zone che i “palestinesi” rivendicano come proprie. In realtà tutto il territorio di Israele è rivendicato dai “palestinesi”, tutti gli israeliani sarebbero “coloni”. Non entriamo nel merito di queste rivendicazioni, ammettiamo pure che quei territori spettino ai “palestinesi”. Questa è una buona ragione per definire “coloni”, quindi “invasori”, “aggressori” gli israeliani che li abitano? I nostri media definiscono forse “coloni” i “migranti” che arrivano tutti i giorni sulle nostre coste? Le case popolari, costruite a spese dei contribuenti italiani, che generosamente vengono assegnate ai “migranti” sono forse definite “insediamenti coloniali”? Per i “palestinesi” un israeliano non può vivere accanto a loro, se lo fa è un “colono”, uno che si può benissimo rapire ed ammazzare. Loro però possono benissimo vivere fra noi, anche se nessuno li ha invitati a venire, anche se si tratta di immigrati clandestini, anche se detestano la nostra civiltà. Costruire una sinagoga nei territori contesi è "colonialismo", costruire una moschea a Roma o Tel Aviv "multiculturalismo". Interessante.

"Trovati i corpi dei tre ragazzi rapiti. Israele vuole vendetta". Scrivono molti giornali. Che cattivi questi israeliani, come sono vendicativi!
Hammas è una organizzazione terroristica che si prefigge esplicitamente lo scopo di distruggere lo stato di Israele. Non si tratta di rivendicazioni territoriali, di contese di confine, o di controversie relative al controllo di fonti di materie prime, come fanno finta di credere gli occidentali “buoni”.
L'articolo sette dello statuto di Hammas è a questo proposito chiarissimo:

"Il Movimento di Resistenza Islamico crede che la terra di Palestina sia un sacro deposito (waqf), terra islamica affidata alle generazioni dell’islam fino al giorno della resurrezione. Non è accettabile rinunciare ad alcuna parte di essa. Nessuno Stato arabo, né tutti gli Stati arabi nel loro insieme, nessun re o presidente, né tutti i re e presidenti messi insieme, nessuna organizzazione, né tutte le organizzazioni palestinesi o arabe unite hanno il diritto di disporre o di cedere anche un singolo pezzo di essa, perché la Palestina è terra islamica affidata alle generazioni dell’islam sino al giorno del giudizio. Chi, dopo tutto, potrebbe arrogarsi il diritto di agire per conto di tutte le generazioni dell’islam fino al giorno del giudizio?
Questa è la regola nella legge islamica (shari’a), e la stessa regola si applica a ogni terra che i musulmani abbiano conquistato con la forza, perché al tempo della conquista i musulmani la hanno consacrata per tutte le generazioni dell’islam fino al giorno del giudizio."

Non si può accusare Hammas di nascondere i propri obiettivi, si può solo fingere di ignorarli. E non si tratta solo di parole. Alle parole seguono i fatti: gli attentati, i rapimenti, i missili che quotidianamente cadono su Israele. Non fanno molte vittime questi missili, è vero: gli israeliani hanno imparato a neutralizzarne in parte gli effetti. Ed anche di questo vengono accusati dagli occidentali “buoni”. Loro sono pronti a versare qualche lacrimuccia sul cadavere di qualche ebreo assassinato, e ad accendere un lumino e a fare un minutino di silenzio. Ma se gli ebrei si difendono, ribattono colpo su colpo, distruggono le postazioni da cui partono i missili di Hammas, eliminano i caporioni che organizzano attentati, rapimenti ed omicidi, allora i dolci pacifisti strillano: “Israele vuole la vendetta”! “No, no alla vendetta, no all'escalation! Pace! Dialogo! Amore!”
Colpire militarmente hammas non è vendetta, sarebbe giustizia, semmai; ma è, prima di ogni altra cosa, legittima difesa. Indebolire i terroristi vuol dire render loro più difficile continuare a colpire. Non reagire alle loro aggressioni vuol dire incoraggiarli, renderli più audaci e pericolosi. Questo gli israeliani lo sanno benissimo.
Gli occidentali “buoni” fanno finta di non saperlo. La loro ipocrisia diventa ogni giorno più insopportabile.

mercoledì 25 giugno 2014

MARIO BALOTELLI




Non è una schiappa, a volte ha avuto delle invenzioni degne di un grande campione, in più ha un gran fisico. Però è arrogante, indisciplinato, non lega con allenatori e compagni di squadra. Non è il primo calciatore ad essere “genio e sregolatezza”, si pensi a Diego Armando Maradona; peccato che MARIO BALOTELLI non abbia neppure in minima parte il genio di Maradona. Così è, da sempre, relegato al ruolo di “grande speranza”, una speranza che non si attua mai.
Vogliamo dircela tutta la spiacevole verità? Se avesse la pelle bianca Balotelli non avrebbe avuto gli ingaggi che ha avuto, né, meno che mai, sarebbe stato promosso al ruolo di leader dell'attacco azzurro.
Un tempo lo fischiavano appena scendeva in campo. E tutti protestavano contro il “razzismo” di quei fischi. Forse c'era del razzismo nella mente di chi contestava Balottelli, però Mario non era il primo giocatore dalla pelle nera a calcare gli italici campi di calcio. Campioni come Sedorff o Gullit avevano raccolto applausi, non fischi. Ma nell'Italia politicamente corretta queste considerazioni non venivano neppure prese in considerazione. Chi fischia Balotelli è un razzista, ed è un razzista chi non lo vuole in nazionale, o gli fa delle critiche. Balotelli è diventato, forse suo malgrado, il simbolo dell'Italia politicamente corretta, multietnica, aperta ai “migranti”.
Balotelli doveva giocare al centro dell'attacco azzurro, a tutti i costi. Il post fascista Gianfranco Fini, entusiasta recluta nell'esercito dei politicamente corretti, intervenne a suo tempo per sponsorizzare la presenza di Mario Balotelli in azzurro. Va detto che lui, Mario, a volte ha cercato di sottrarsi al ruolo di “simbolo” cui lo avevano elevato alcuni politici poco seri, ma, con scarso successo. La politica ha spesso bisogno di simboli, e di falsi eroi.
Ora che il bluff si è sgonfiato fare di lui e della brutta nazionale italiana il simbolo del fallimento dell'Italia multi etnica sarebbe stupido. Lasciamo gli eroi, positivi e negativi, a politici falliti. Il calcio è solo un gioco, in fondo, ed uno spettacolo. Bello a volte, deprimente altre. E tanto basta.

domenica 22 giugno 2014

IL RAGIONEVOLE DUBBIO

 

Sono da sempre un garantista a prova di bomba. Però, devo confessarlo, mi lasciano un po' perplesso certe esternazioni che ho sentito sul caso del presunto assassino della povera Yara.
Nei paesi civili la colpevolezza dell'imputato deve essere provata al di là di ogni ragionevole dubbio, su questo non si può che concordare, pienamente. Però, cosa deve intendersi per dubbio ragionevole? Non si tratta di un quesito da poco.

La storia del pensiero ce lo dimostra: si può dubitare di tutto, tranne che della coerenza logicsa delle proposizioni. Se A è X, non può, nello stesso tempo e dal medesimo punto di vista, essere anche Y, questo è certo. Se Giovanni è un uomo non può, nello stesso tempo e dal medesimo punto di vista, essere anche un cane. Ed ancora, dato A i casi sono due: o è X o non lo è, nello stesso tempo e dal medesimo punto di vista, non esistono altre possibilità. Giovanni può essere un uomo o può non esserlo, non può essere, nel contempo e sotto la medesima relazione, uomo e non uomo. Aristotele ha stabilito questa verità logica circa 23 secoli fa. Una novantina di anni fa Wittgenstein ha ribadito, nel “tractatus” il principio aristotelico: la congiunzione fra A e NON A è SEMPRE falsa. Se dico: “piove e non piove” dico il falso, sempre, per ragioni logiche, allo stesso modo in cui dico sempre il vero se affermo che piove o non piove.
Quando però si passa dall'analisi logica del linguaggio alle proposizioni inerenti verità o falsità
di fatto il discorso cambia completamente.
Prendiamo la proposizione: “
tutte le mattine il sole si leva ad oriente”, è vera o falsa? Se riferita al passato la proposizione è sicuramente vera, ma, la sua verità vale anche per i casi futuri? Stabilisce l'esistenza di una immutabile legge di natura? Tutto ciò che possiamo dire è che fino ad oggi il sole si è sempre levato ad oriente tutte le mattine. Ma, chi ci assicura che il futuro sarà simile al passato? E' pur sempre logicamente ipotizzabile che stanotte la terra cambi la direzione della sua rotazione, o smetta di girare, o che Dio d'improvviso faccia scomparire il sole. Domattina quindi il sole potrebbe levarsi ad occidente, o non levarsi affatto. Delle proposizioni inerenti le verità di fatto è quindi sempre possibile dubitare, ce lo ricorda in maniera efficacissima il vecchio David Hume.
Eppure il dubbio radicale è, nella sostanza, irragionevole. E' vero che logicamente non posso dire che il futuro sarà simile al passato, ma sono
obbligato a presupporlo se voglio dare un senso qualsiasi a ciò che dico. Se il futuro non fosse, almeno in parte, simile al passato lo stesso significato delle parole che pronuncio cambierebbe continuamente e il dubbio non potrebbe neppure essere espresso.
L'esistenza del mondo e, nel mondo, di un certo grado di ordine e prevedibilità sono indimostrabili logicamente, ma costituiscono la condizione indispensabile di ogni discorso intellegibile sul mondo; si trovano un po' sullo stesso piano del principio sommo della logica formale: il principio di non contraddizione, logicamente indimostrabile perché presupposto di ogni dimostrazione. Lo stesso Hume del resto ammette la insensatezza pratica del dubbio radicale. E' vero, afferma il filosofo scozzese, che nessuna ragione logica ci obbliga a credere che se si lascia cadere un bambino dalla finestra questi precipiterà al suolo invece di restare sospeso per aria, ma le madri non gettano dalla finestra i loro figli. E fanno bene.

Ora, è chiaro che il dubbio ragionevole di cui si parla nei processi
non è il dubbio radicale, e neppure quello filosofico, humiano. Si tratta di un dubbio che non coinvolge i principi base della nostra esperienza. L'esistenza del mondo e di una certa sua regolarità non possono essere messe in discussione nelle aule giudiziarie. Il principio di induzione, tanto criticato da Popper e dai popperiani di stretta osservanza (e forse da loro poco compreso) non è in discussione nei processi. Chi giudica della colpevolezza o della innocenza di un essere umano da per scontato, ad esempio, che ogni uomo abbia le sue impronte digitali diverse da quelle di tutti gli altri, riconosce che esiste la sfortuna ma non che si accanisca sempre contro la stessa persona, ammette che dei testimoni possano sbagliare, ma non che tutti sbaglino, e sempre nella stessa direzione. Ecco perché certi commenti sulla prova del DNA mi sembrano poco fondati. Allo stato attuale delle conoscenze scientifiche pare assodato che le probabilità che due persone abbiano DNA uguali o molto simili siano trascurabili. Nuove scoperte potrebbero domani smentire una simile conclusione? Forse, ma questo vale anche per l'unicità della impronte digitali, o la impossibilità dell'ubiquità o della telepatia. Nei processi, come del resto nella vita di tutti i giorni, si da per scontata la verità delle leggi naturali oggi universalmente accettate dalla comunità scientifica. “Il sole sorge tutte le mattine ad oriente”, fino a quando non vedremo, una mattina, il sole sorgere ad occidente questa proposizione resta vera per noi, ovunque, anche nelle aule giudiziarie.

Non c'è nulla da obiettare allora al coro trionfalistico che ha accompagnato la cattura del presunto assassino di Yara Gambirasio?
NO, ci sono molte cose da obiettare.
Innanzitutto, prima di strillare la propria gioia per la cattura del presunto colpevole, occorrerebbe appurare che le analisi siano state effettuate in maniera corretta, che i reperti siano stati custoditi seguendo procedure rigorose e che non abbiano subito alterazioni. Non si tratta di inezie. Negli Stati Uniti, per fare un esempio, i test scientifici non effettuati ed i reperti non conservati secondo rigorose procedure
non valgono come prova nel dibattimento. Non tutti lo sanno ma se vigessero in Italia le regole in vigore negli Stati Uniti molti processi che da noi infiammano la pubblica opinione non inizierebbero neppure. Indumenti con tracce di liquido organico conservati nel cassetto di una scrivania, in normali sacchetti di plastica, insieme ad altri indumenti: in Italia avvengono cose che in altri paesi farebbero inorridire qualsiasi magistrato, e bloccherebbero sul nascere ogni processo. Angelino Alfano, ultima recluta nel partito dei forcaioli queste cose probabilmente le ignora, qualcuno dovrebbe prendersi la briga di informarlo.
Inoltre, come ha ricordato qualche inquirente serio, il DNA prova la
presenza, non il delitto. Se il mio DNA viene trovato in casa di Tizio ciò prova che io sono stato in quella casa, non che ho ucciso Tizio. Certo, se il mio DNA viene trovato sul corpo di una persona assassinata, che io nego di aver mai visto e conosciuto, la mia posizione processuale non è delle migliori. Ma, appunto, è il dibattimento a dover fare emergere le mie contraddizioni, ed è nel dibattimento che queste possono trasformarsi in prove o gravi indizi a mio carico. Per i forcaioli tutte queste sono inezia, si tratta invece dei pilastri dello stato di diritto.

Val la pena di fare un'ultima considerazione. Nel caso di Yara Gambirasio sono stati effettuate analisi del DNA in maniera massiccia: si parla addirittura di 18.000 campioni di DNA prelevati “a casaccio”, anche se, pare, su base volontaria, fra persone che abitavano più o meno vicino al paese della povera ragazza. Anche se alla fine venisse dimostrato che una simile procedura ha permesso la cattura di un efferato assassino, io resterei del parere che questa non sia ammissibile. Si può prelevare un campione di DNA ad una persona solo se esiste qualche indizio che questa sia in un modo o nell'altro coinvolta in un evento criminoso. Inoltre, nei paesi in cui lo stato di diritto è una cosa seria, i risultati dell'analisi sono messi a disposizione della difesa della persona indagata, che ha tutto il diritto di controllare sulla correttezza delle analisi e della conservazione dei reperti.
Effettuare analisi del DNA indiscriminatamente invece può aprire invece la porta ai peggiori abusi o favorire errori in grado di rovinare la vita a persone innocenti. Se io concedo che venga analizzato un campione del mio DNA e non sono accusato di alcun crimine, di certo i reperti delle analisi non saranno consegnati ai miei difensori: io
non ho difensori in un caso simile, non ho bisogno di averne. A questo punto però, chi mi assicura che le analisi siano state effettuate correttamente? Che il campione del mio DNA venga conservato in maniera corretta? Che non subisca alterazioni? Ed ancora, chi mi garantisce che il campione non serva a qualche funzionario poco onesto per fabbricare prove a mio carico? Io non mi sentirei affatto sicuro sapendo che un campione del mio DNA è nella mani di qualcuno che può manipolarlo come meglio crede, al di fuori di ogni controllo.
Ma l'Italia è il paese in cui tanti forcaioli “diversamente intelligenti” strillano: “intercettateci tutti, chi non ha fatto nulla non ha nulla da temere”. La loro fiducia nei confronti di chi ci controlla è semplicemente patetica. Sarò pessimista, ma, al di la di ogni considerazione sulla colpevolezza o meno di Mario Giuseppe Bossetti, ho il timore che il caso della povera Yara Gambirasio contribuirà a rendere ancora un po' meno giusta la traballante giustizia italica.

lunedì 16 giugno 2014

IL PEGGIO DEL PEGGIO DEL PEGGIO




“Anche l’art.27 della Costituzione, quello della presunzione di non colpevolezza, diventa una barzelletta se si leggono le carte delle indagini su Expo e sul Mose, dove i protagonisti delinquono in diretta telefonica, o a favore di telecamera: non c’è bisogno della Cassazione, e nemmeno della sentenza di primo grado, per capire che rubavano davvero”.

Così scrive Marco Travaglio in un articolo del “fatto quotidiano” che qualcuno ha giustamente definito il “manifesto del forcaiolo”.
La presunzione di innocenza è il principio che sta alla base di ogni stato di diritto, ed ha importantissime conseguenze sulla condotta processuale. La presunzione di innocenza implica che Tizio, accusato di qualche reato, non deve provare di essere innocente, è chi lo accusa a dover provare che egli è colpevole. Per Travaglio tutto questo è una “barzelletta”. Perché? Perché ci sono casi in cui la colpevolezza dell'imputato appare chiara sin da subito. Ma questo nessuno lo nega. Difendere il principio della presunzione di innocenza non vuol dire, ad esempio, dubitare che Kabobo abbia ucciso tre persone a picconate. A volte il processo non ha il compito di stabilire se l'imputato abbia o non abbia commesso il tal reato,  ma, per fare degli esempi, se esistano o meno delle circostanze attenuanti, o se l'imputato sia o non sia sano di mente, o se ci sia o non ci sia premeditazione. Anche in questi casi però vale il principio secondo cui l'onere della prova è a carico dell'accusa: è l'accusa che deve provare che non ci sono circostanze attenuanti o che l'imputato è capace di intendere e di volere, o che esiste premeditazione.
Da buon sofista Marco Travaglio elabora il seguente sillogismo: In certi casi la colpevolezza dell'imputato non è in discussione, “quindi” il principio della presunzione di innocenza è una barzelletta. NO, il principio della presunzione di innocenza NON è una barzelletta neppure in quei casi. NON lo è perché, anche in quei casi, spetta all'accusa provare la sanità mentale dell'imputato, o la assenza di circostanze attenuanti, o la particolare efferatezza del reato. Insomma, vale in ogni caso il principio secondo cui l'onere della prova è a carico dell'accusa, diretta conseguenza del principio della presunzione di innocenza.
Per Marco Travaglio tutte queste sono inutili sottigliezze. Per lui la presunzione di innocenza è un inutile impiccio, non vale neppure in quei casi in cui la colpevolezza dell'accusato non è affatto evidente da subito. Non esistono innocenti a certi livelli, afferma Travaglio, solo colpevoli non ancora scoperti. Molto chiaro il suo “pensiero”: sostituiamo la presunzione di colpevolezza a quella di innocenza, invertiamo l'onere della prova. Lo aveva già proposto Ingroia. Buon sangue non mente.

Ma il significato vero del “pensiero” di Travaglio emerge dalle proposte che egli, sempre nello stesso articolo, avanza per combattere la corruzione. Due sono particolarmente significative, val la pena di esaminarle separatamente.

Introdurre gli agenti provocatori per saggiare la correttezza dei pubblici amministratori”.
Tizio è un pubblico amministratore, non ha mai commesso alcun reato. Un bel giorno entra nel suo ufficio Caio. Chiacchierano un po', e alla fine Caio dice a Tizio: “senti, aspetto da un anno una certa autorizzazione, non potresti accelerare le cose? Se lo fai... non te ne pentirai...” Tizio borbotta qualcosa: “beh, si può vedere...”. Caio salta su e lo ammanetta: “sei un disonesto, un corrotto!!!”
Nei paesi civili si puniscono i reati, non i peccati. Compito della giustizia non è quello di stabilire se Tizio sia o non sia corruttibile, ma se sia incorso o meno nel reato di corruzione. Per Travaglio queste sono distinzioni inutili. Lui non vuole che si appurino i fatti, vuole cambiare la natura degli uomini, li vuole insensibili alle tentazioni. Non si tratta di scovare i colpevoli ma di metter alla gogna i potenziali peccatori. Ma tutti siamo potenziali peccatori, nessuno di noi è del tutto insensibile alle tentazioni. Lo ha detto, oltre due millenni fa un certo Gesù Cristo, e lo ha ripetuto, molti secoli secoli dopo, un filosofo di scarsa importanza, pare si chiamasse Immanuel Kant. “Chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra”. “Dal legno storto dell'umanità non si potrà mai ricavare nulla di diritto”. Sciocchezze, per Travaglio. Lui è interessato agli psicoreati prima che ai reati; lui e i forcaioli come lui sono al di sopra di ogni tentazione, possono scagliare la prima pietra, ed anche la seconda, e la terza.

“Imporre a chi vuole concorrere ad appalti una dichiarazione in cui accettano di essere intercettati, a prescindere da ipotesi di reato”
.
Con una dose incredibile di faccia tosta Marco Travaglio afferma di essere nientemeno che un liberale. Il grande filosofo liberale Isaiah Berlin ha affermato che un essere umano è libero quando esiste un'area che è solo sua, una sfera privata in cui solo lui può decidere e che deve essere messa al riparo dalle altrui intrusioni. “Di chi mi innamoro? Preferisco il mare o la montagna? Quale lavoro scelgo? Che preferenze sessuali ho? Mi piace Beethoven o Mozart? Kant mi convince più o meno di Hegel? Credo in Dio? Sono soddisfatto della mia vita?” Solo IO posso rispondere a queste, e a tante altre simili domande. Nessuno, sia esso un magistrato o una assemblea democraticamente eletta, può pretendere di rispondere ad esse al mio posto.
La tutela della privacy è una diretta conseguenza di questa libertà. IO sono padrone nella mia area privata, quindi nessuno può entrare arbitrariamente in questa area. Nessuno può leggere le lettere che scrivo, né ascoltare le mie telefonate, né filmarmi a mia insaputa, a meno che non esistano pesanti ipotesi di reato, accompagnate da forti indizi a mio carico. Travaglio se la ride di simili “sofisticherie”. Per lui non esistono innocenti ma solo colpevoli non ancora scoperti. Difendere la privacy dei cittadini equivale per lui a proteggere dei colpevoli. Che tutti siano intercettati! E, se intercettare tutti vi pare troppo, si intercettino almeno tutti coloro che lavorano con la pubblica amministrazione. Li si intercetti e basta, anche se non esistono a loro carico ipotesi di reato e meno che mai indizi di colpevolezza. E chi afferma simili mostruosità ha il coraggio di definirsi “liberale”!

Una considerazione salta agli occhi leggendo le proposte di Travaglio. Perché limitare le intercettazioni e gli interventi degli “agenti provocatori” solo a chi lavora o ha rapporti con la pubblica amministrazione? E perché limitare i controlli alle intercettazioni telefoniche?
Luisa è maestra d'asilo, potrebbe essere pedofila, la si intercetti, la si “provochi”! Mario è cassiere in banca. Chi ci assicura che non sia colto dalla tentazione di rubare un po' di soldini? Lo si filmi a sua insaputa, si metta a dura prova la sua capacità di resistere alle tentazioni! Anna è segretaria di un parlamentare, chissà quante cose sa! La si spii giorno e notte.
Travaglio non inventa nulla di nuovo. La società che a lui piace è già stata descritta da un certo George Orwell in quell'autentico capolavoro che è “1984”. Tutti sorvegliati, sempre, 24 ore al giorno. Telecamere in ogni abitazione controllano ogni tua mossa. La “psicopolizia” indaga non sulle tue azioni ma sui tuoi pensieri, i tuoi sentimenti, le tue pulsioni. Ed infine i colpevoli, cioè quasi tutti gli esseri umani, sono sottoposti a “rieducazione”; li si trasforma in uomini incapaci di peccare. Di certo Marco Travaglio sente un brivido di piacere pensando ad una simile società, con lui, ovviamente, nei panni dell'inquisitore massimo, del nuovo, incorruttibile, infallibile “grande fratello”.

A parte i paragoni letterari, val la pena di porsi una domanda: davvero proposte deliranti come quelle di Travaglio sarebbero efficaci contro la corruzione? NO, ovviamente.
Tutti i forcaioli partono da un assunto indimostrato e indimostrabile: i controllori sono sempre onesti, incorruttibili. Travaglio ci vorrebbe tutti intercettati, ma chi ci assicura che chi intercetta non usi le informazioni che ha acquisito a bassi scopi privati? Vorrebbe gli “agenti provocatori” che ci tentino, ma chi ci assicura che questi non siano a loro volta corruttibili? Per Travaglio l'Italia, forse il mondo, è una immensa fogna in cui tutti sono disonesti e corrotti. Però i suoi intercettatori, i suoi “agenti provocatori” dovrebbero essere, per definizione, angelici e incorruttibili.
A Travaglio, ed ai forcaioli come lui, non passa neppure per la mente che la corruzione si batte davvero delegificando, semplificando, riducendo lo statalismo, e, ovviamente, applicando in maniera rigorosa le leggi. Marco Travaglio ricorda quei comunisti che affermavano, convintissimi, che nella Cina di Mao “nessuno rubava”, e tutti erano puri ed onesti. Poi è venuto fuori che i supremi garanti di quell'ordine angelico spendevano in bagordi somme enormi, sottratte ai lavoratori cinesi. Certo, i super burocrati mao comunisti non commettevano illegalità alcuna, né corrompevano nessuno. LORO erano la legge ed i padroni del paese, chi avrebbero dovuto corrompere?

Voglio essere chiaro fino in fondo, per non essere frainteso. DETESTO I CORROTTI, trovo INDECENTE che in un momento come quello che stiamo vivendo ci sia chi si arricchisce con furti di pubblico denaro, o che paghi con pubblico denaro le proprie campagne elettorali, o che, sempre con pubblico denaro, finanzi questo o quel partito. La legge dovrebbe essere garantista e severa. Assicurare a chi è accusato le più ampie garanzie di difesa e punire severamente coloro la cui colpevolezza sia stata provata in maniera convincente: questo dovrebbe avvenire in un vero stato di diritto. Quindi, lo ripeto, detesto i corrotti, ma, se fossi obbligato a scegliere, preferirei vivere in una società in cui ci siano molti corrotti piuttosto che in quella specie di lagher che ci propone Marco Travaglio. Se l'alternativa fosse (SE FOSSE, non credo lo SIA) fra corruzione e stato etico sceglierei, molto a malincuore, la prima. Preferisco dover pagare una mazzetta per avere un pubblico servizio che essere spiato 24 ore al giorno, un magistrato onnipotente mi fa più paura di un politico corrotto.
Per dirla in una frase: Marco Travaglio e quelli come lui sono il peggio del peggio del peggio. E tanto basta.

sabato 14 giugno 2014

CORRADINO MINEO




Essere, come me, “diversamente giovani” ha qualche vantaggio, oltre ai molto numerosi e gravi svantaggi.
Io Corradino Mineo lo ho conosciuto. Non era solo un giornalista del “manifesto” come recitano le sue biografie che è possibile reperire in rete. Era un militante del gruppo politico del “manifesto”. Lo era quando il “manifesto” aveva fatto del maoismo raffinato la sua bandiera ideologica.
Cosa era il maoismo “raffinato”? Un maoismo che criticava l'eccesso di “economicismo” presente, a suo dire, nel marxismo classico. La teoria marxiana secondo cui il socialismo si può edificare solo sulla base di un forte sviluppo delle forze produttive sociali porterebbe ad una divinizzazione della tecnica “borghese”. Non lo sviluppo delle forze produttive ma l'educazione culturale e politica delle masse permetterebbe di realizzare, da subito, i “superiori” rapporti sociali comunisti. Era quanto Mao aveva fatto in Cina, con la “Grande rivoluzione culturale proletaria” (GRCP). Insomma, la gogna ed i pubblici linciaggi di intellettuali e dissidenti come via al paradiso comunista. Santoro avrebbe approvato.
Corradino Mineo non dava troppa importanza a queste dissertazione teoriche. Lui, ed il padre Mario Mineo, erano leninisti puri e duri, con qualche venatura di trotskismo. Teorizzavano la “congiunturalità della rivoluzione". La rottura rivoluzionaria è la risultante, dicevano, di eventi eccezionali. La rivoluzione è una occasione da prendere al volo, come aveva fatto Lenin nell'ottobre del 1917. Il problema non sono i “rapporti sociali” comunisti, ma saper cogliere l'attimo. E una volta che “l'attimo “ sia passato? Non c'è problema, una volta passato l'attimo c'è il potere, e chi lo sa difendere, non col voto, ovviamente.

Messi costantemente in minoranza nel “Manifesto” Mario e Corradino Mineo uscirono da quel gruppo; fondarono una rivista: “Praxis” in cui esponevano insieme ad altri le proprie concezioni. La rivista, cui in misura molto ridotta collaborai anche io (mamma mia quanti peccati ho commesso!!!) non ebbe successo alcuno ed alla fine cessò di uscire.
Poi ci siamo ritrovati Corradino in RAI e nel PD.
Corradino ha mai sottoposto a critica le sue concezioni? Io non ne so nulla, francamente NON CREDO.
Fanno così questi signori. Prima sono mao leninisti, un po' trotskisti e un po' stalinisti, poi, dall'oggi al domani, diventano “Civatiani” (e si che da Lenin a Civati il salto è grande). Non dicono una parola, non spiegano nulla. Non hanno il coraggio di dire: "MI SONO SBAGLIATO". Tutto normale, tutto regolare.
Corradino Mineo è stato espulso dalla commissione affari costituzionali. Un tipetto simile NON doveva esserci, nella commissione affari costituzionali.
Certo, Renzi è stato duretto col suo nemico interno, ma, sinceramente, non piango per Corradino. Ha subito una "epurazione", è vero. Ma, non me ne frega niente.

giovedì 12 giugno 2014

L'OSSIMORO PRATICO





L'ossimoro
è una figura retorica che consiste nell'accostamento di due termini di senso contrario o comunque in forte antitesi tra loro. Come figura retorica l'ossimoro è assai efficace. La contraddizione che in esso si cela non è una reale contraddizione logica. L'accostamento di termini contraddittori serve ad esprimere alcuni concetti in maniera stilisticamente originale, al fine di coinvolgere l'attenzione dell'ascoltatore o dell'interlocutore. “Assordante silenzio”, ad esempio, esprime la nota verità che a volte il silenzio è più esplicativo di qualsiasi parola; “illustre sconosciuto” rende assai bene l'idea che una certa persona, chiamata magari a coprire cariche di responsabilità, è del tutto sconosciuta e, probabilmente, non adatta ai compiti che le sono stati assegnati; “ghiaccio bollente” sta ad indicare una persona che dietro l'apparente freddezza cela sentimenti e passioni molto forti.

Non tutti gli ossimori però sono così innocenti. Alcuni celano autentiche contraddizioni logiche o sono il paravento retorico di politiche criminali.
Il primo fu, probabilmente, Rousseau. Disse che “si può obbligare un uomo ad essere libero”, e dopo di lui i giacobini inventarono il “dispotismo della libertà”. Contraddizioni logiche? Formalmente si, nei fatti no. Perché obbligando un uomo ad essere libero lo si rende solo schiavo, e non c'è libertà alcuna nel “dispotismo della libertà”.
Poi Lenin e Trotzsky teorizzarono la “dittatura democratica”. Da buoni marxisti hegeliani detestavano il principio di non contraddizione; ma neppure loro incorsero, nei fatti, in alcuna contraddizione: la loro “dittatura democratica” era tutto fuorché democratica.
Poi vennero i marxisti raffinati della scuola di Francoforte, che parlarono della “società industriale avanzata” come di un orribile, disumano, "sistema" caratterizzato dalla “tolleranza repressiva”. Non potevano tollerare che il “sistema” non venisse contestato da coloro che avrebbero dovuto essere i suoi affossatori. La classe operaia, ben lungi dal fare la rivoluzione pensava solo ad aumenti salariali, al massimo a buone riforme. Questo dimostrava, ovviamente, che il sistema era “repressivo” che, la sua tolleranza era la massima forma di oppressione mai esistita. Idiozie logiche? Certo. Che però mascheravano solo la rabbia impotente di pochi intellettuali che non perdonavano al mondo ed agli esseri umani di non essere come loro li avrebbero voluti.

I giorni d'oggi non sono fatti per i teorici. Oggi nessuno teorizza più; a ben vedere le cose quasi nessun politico, oggi, dice qualcosa, se per “dire” intendiamo qualcosa di diverso dall'intollerabile bla bla diffuso dai media.
Gli ossimori odierni sono pratici, riguardano le azioni, non le teorie.
Giorno dopo giorno si sta svolgendo in mare, sotto i nostri occhi, quella che si può definire una azione legale di favoreggiamento della illegalità.
Anche dopo la eliminazione del reato di clandestinità la immigrazione clandestina resta un illecito amministrativo. Favorirla è quindi illegale. Eppure l'operazione “mare nostrum” fa proprio questo: favorisce legalmente l'illegale ingresso di clandestini nel nostro paese, un autentico ossimoro pratico.
E, come nel caso degli altri ossimori, la contraddizione è solo apparente. Perché dietro alla legalità di “mare nostrum” si cela la sua illegalità sostanziale. Non può esistere una azione legale che protegga la illegalità perché questa stessa protezione rende illegale l'azione.
E non solo una azione come “mare nostrum” è, nella sostanza, illegale, contribuisce a fare a pezzi la legalità. Molti dicono: “non preoccupiamoci troppo degli sbarchi, i migranti proseguiranno il loro viaggio verso i paesi del nord Europa”. Ammettiamo pure che sia vero (ammettiamo!!), e, con questo? Andare illegalmente in Francia o in Germania è qualcosa di “legale”? 
Siamo il paese in cui tutti strillano “legalità” ed intanto intascano tangenti. Siamo il paese in cui si invocano di continuo nuovi controlli su tutto e tutti, per “battere la corruzione”, fino a scoprire che i controllori sono a volte più corruttibili dei controllati.
E siamo il paese in cui in nome della “accoglienza” si presta soccorso legale ad una enorme azione illegale di massa.
Siamo insomma il paese degli ossimori pratici.
POVERI NOI!!

giovedì 5 giugno 2014

LA CORRUZIONE

In Italia tutto o quasi si decide a livello politico. C'è tanto da stupirsi se i partiti poi chiedono il conto?
Siamo letteralmente soffocati da leggi, leggine, regolamenti, sotto regolamenti. Per ogni cosa c'è bisogno di un documento, una autorizzazione, un certificato. La montagna di scartoffie burocratiche che ci opprime costituisce un formidabile incentivo alla corruzione e, nel contempo, un ottimo nascondiglio per i corrotti.
Si vuole ridurre la corruzione? Si tolga potere alla politica, si snellisca la burocrazia, si eliminino un bel po' di leggi, leggine, regolamenti ed autorizzazioni. Si facciano, per gli appalti ad esempio, poche norme, chiare, trasparenti, che non si prestino ad interpretazioni di comodo, con la chiara indicazione dei compiti, dei costi e dei tempi di attuazione
NON lo si farà. Si faranno, c'è da scommetterci, nuove leggi “anticorruzione”, si inventeranno nuovi reati astrusi tipo il “traffico di influenze illecite”, si piazzerà in qualche ufficio un “garante” contro la corruzione, che magari, fra qualche anno, sarà arrestato con l'accusa di essere, a sua volta, corrotto. Gli statalisti forcaioli sono fermamente convinti che i controllori siano sempre onesti; per questo non fanno altro che moltiplicare all'infinito i controlli. Vedere incriminato un GENERALE DELLA FINANZA deve essere stato un bello choc per loro.
Nuove leggi, nuove regole, nuovi controlli e nuovi garanti NON faranno diminuire la corruzione, la faranno al contrario aumentare. In compenso renderanno ancora più farraginose le procedure, più lenti e più costosi i lavori. Soprattutto renderanno TUTTI meno liberi. Ma questo importa a pochi, nel medioevo prossimo venturo in cui stiamo precipitando.