Il venticinque Aprile 1945 è una data
importante, da ricordare. Quella data ci ricorda la fine di una
dittatura che aveva precipitato il paese ad una guerra disastrosa e
segna il crollo del nazismo, una delle due grandi tirannidi
totalitarie del secolo scorso. E quella data ha rappresentato, è
bene non scordarlo
mai, la fine di un incubo orrendo per gli ebrei
d'Europa, quelli scampati alla “soluzione finale” sognata e messa
in atto con feroce determinazione, dai nazisti e dai loro
scherani.
Giusto quindi festeggiare il venticinque Aprile. Giusto
farlo a condizione di non scambiare la storia con la sua
rappresentazione ideologica.
In effetti la storia della resistenza
e, più in generale, del nazismo e del secondo conflitto mondiale, è
carica di silenzi, reticenze se non addirittura di autentiche
menzogne. Enumerarli tutti, o parlare anche solo dei più importanti
con un minimo si approfondimento, è impossibile, mi limiterò quindi
a qualche telegrafico esempio.
Per decenni sono state attentamente occultate
le enormi responsabilità dell'URSS nello scoppio del secondo
conflitto mondiale. Col patto Molotov Ribbentrop Stalin non solo
fornì alla Germania nazista l'assicurazione che invadendo la Polonia
non si sarebbe esposta ad una guerra su due fronti, ma si divise la
stessa Polonia con Hitler. Se si vuole essere rigorosi si deve
riconoscere che Francia ed Inghilterra avrebbero dovuto dichiarare, nel settembre del 1939, guerra sia alla Germania che all'URSS, visto che
le due democrazie occidentali si erano impegnate a difendere la
Polonia e che questa subì
due invasioni: una, ad occidente, da parte
della Germania nazista e un'altra, quando era ormai già piegata dai
tedeschi, ad oriente, da parte dell'URSS.
E tante altre cose sono
state per decenni occultate sul conflitto più sanguinoso della
storia. Le menzogne decennali sulle fosse di Katyn, le violenze
gratuite che seguirono la liberazione in Italia e in altri paesi, il
dramma delle Foibe, i bombardamenti anglo americani delle città
tedesche, che causarono un numero mostruoso di vittime civili senza
avere importanti conseguenze strategico militari. Certo, la ferocia
dei crimini nazisti è inarrivabile, ma sarebbe bene che, a settanta
anni di distanza dalla sua conclusione, la storia del secondo
conflitto mondiale fosse studiata senza pregiudiziali ideologiche,
col coraggio di chiamare col loro nome i crimini, da chiunque
commessi.
Soprattutto, sarebbe ora di liberarsi del
mito
della resistenza.
Quando parlo di mito della resistenza non
mi riferisco tanto alle sciocchezze di chi afferma che “l'Italia è
stata liberata dai partigiani”. Una simile affermazione fa
semplicemente sorridere: l'Italia, piaccia o non piaccia la cosa, è
stata liberata dagli anglo americani ed il ruolo militare della
resistenza partigiana è stato secondario. No, il mito vero della
resistenza è un altro ed ha segnato in profondità la storia della
nostra repubblica. Secondo tale mito la resistenza è stata condotta
da uomini che, al di la delle differenze che pure li
caratterizzavano, erano tutti profondamente legati agli ideali di
democrazia, libertà, progresso sociale. Fra i resistenti c'erano
comunisti e socialisti, democratici cattolici e liberali, uomini con
idee, valori e visioni del mondo assai diverse. Tutti però volevano
la democrazia, la giustizia, l'indipendenza nazionale. Ciò che li
divideva era di gran lunga meno importante di ciò che li univa.
Conseguenza di questa concezione è l'idea che l'antifascismo sia
stato un
valore in se. Non una alleanza temporanea dettata
dalla necessità di far fronte ad un nemico potente, ma una visione
del mondo davvero unitaria, un coerente sistema di valori.
Tutto
questo altro non è che un mito, anche se, come tutti i miti,
contiene un frammento di verità. E' vero, i partigiani hanno
condotto una lotta comune contro nazismo e fascismo, ma
non è
vero che avessero fini comuni; i loro fini erano profondamente
diversi, anzi, radicalmente opposti. I partigiani comunisti (la
maggioranza, va ammesso) volevano trasformare l'Italia in una
democrazia popolare del tipo di quelle che furono imposte si popoli
dell'est Europa dalla armata rossa. Il loro leader autentico era
Giuseppe Stalin e combatterono al fianco degli anglo americani solo
perché Stalin in quel momento era loro alleato. Altre formazioni
partigiane volevano una repubblica democratica, più o meno
“socialmente avanzata”, ma completamente diversa dal tipo di
“repubblica democratica” che i “liberatori” sovietici avevano
imposto a Cecoslovacchia o Romania, Bulgaria o Germania orientale.
Questa differenza interna alla resistenza ne marca
sanguinosamente la storia. La resistenza non è stata lotta unitaria
di uomini diversi ma affratellati dalla comune fede antifascista. No,
la storia della resistenza è anche storia di crudeli lotte intestine
risolte molto spesso a suon di plotoni d'esecuzione. Lotte intestine
non solo fra partigiani comunisti e non, lotte intestine, ed
autentiche purghe, anche all'interno della resistenza comunista. Ne è
prova la vicenda di
Pietro Tresso.
Pietro Tresso aveva
aderito al Partito comunista d'Italia sin dal 1921 ed era diventato in
seguito membro del comitato centrale dello stesso. Espulso dal
partito nel 1930 per la sua vicinanza alle tesi di Trotzky, Tresso
aderì all'opposizione di sinistra ed in seguito alla quarta
internazionale. Partecipò alla resistenza francese e nel 1944 venne
fucilato. Non dai nazisti, ma da un gruppo di partigiani stalinisti.
Non è un caso isolato. La guerra civile spagnola è stata
caratterizzata da purghe sanguinose interne al movimento comunista.
Il leader del POUM, una formazione di sinistra filo trotzkista,
Andres Nin, venne rapito ed ucciso dagli staliniani. A chi chiedeva
loro dove fosse Nin questi usavano rispondere, per dispregio: “A
Paris o a Berlin”. Indicativo...
Non è il caso di
dilungarsi sui casi particolari. Se davvero la resistenza fosse stata
quel grande movimento unitario democratico che si dice non si capisce
perché mai il fronte antifascista si sia frantumato dopo la fine
della seconda guerra mondiale. L'antifascismo come fenomeno unitario
non sopravvisse alla rottura fra i vincitori del nazismo. Eventi
drammatici come l'imposizione ai paesi dell'est Europa di ferree
dittature comuniste, con la conseguente spaccatura fra USA e URSS,
provocarono in Italia la rottura fra comunisti e democristiani e
questa trascinò il paese sull'orlo della guerra civile. La melensa
retorica sugli “uomini della resistenza uniti dagli ideali
dell'antifascismo” non può cancellare il fatto che per alcuni anni
quegli uomini furono, letteralmente, sul punto di spararsi addosso. E
la stessa retorica sui “padri della repubblica”, tutti
considerati autentici democratici, non può cancellare il fatto che
uno di quei padri, Palmiro Togliatti, non solo ha responsabilità
gravissime, al limite della complicità, nei crimini dello
stalinismo, ma rinunciò alla prospettiva insurrezionale solo perché
era troppo intelligente da non capire che questa non aveva
possibilità di vittoria, vista la presenza, per lui inquietante, in
Italia dei marines made in USA.
La cosa più grave è che la
nostra costituzione è figlia di questa disomogeneità fra coloro che
la hanno scritta. E' vero: la costituzione della repubblica italiana
è nata dalla resistenza, ma
proprio per questo è una
costituzione - compromesso. Intendiamoci, tutte le costituzioni
contengono dei compromessi, se non altro per l'ovvio motivo che alla
redazione di tutte le costituzioni hanno contribuito forze sociali,
politiche, culturali diverse. Ma raramente il compromesso riguarda i
valori fondanti dello stato. Questa invece è la
caratteristica della nostra costituzione. I padri costituenti erano
in parte fedeli seguaci dell'URSS staliniana, in parte democratici
cattolici o liberali che guardavano quanto meno con simpatia agli
USA. Il documento che è venuto fuori dal loro lavoro è, appunto,
un compromesso sui valori. Ne è prova il dibattito che accompagnò
in sede di assemblea costituente la redazione del primo articolo
della nostra carta costituzionale. I costituenti liberali e
democristiani volevano che questo dicesse che l'Italia è una
repubblica democratica, quelli comunisti e socialisti (il PSI era
allora fedele alleato del PCI) pretendevano che la dicitura fosse:
“l'Italia è una repubblica democratica
di lavoratori”,
qualcosa di simile insomma alla famigerata RDT. Alla fine un
democristiano, Fanfani, proporrà la dicitura di compromesso:
“l'Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro” che
non significa nulla. Il resto della costituzione è fedele a questa
linea, con articoli che nella prima parte enunciano principi liberal
democratici e nella seconda li attenuano, quando non li
contraddicono. Non è un caso che la costituzione repubblicana sia
stata “tirata per la giacca” da una parte e dall'altra per
cercare di interpretarla in modi spesso diametralmente opposti. La
cosa può non piacere ma va riconosciuta, una volta per tutte: la
nostra repubblica è nata senza avere a fondamento idee e valori davvero condivisi. Tutta la nostra storia successiva ne è
stata condizionata.
Le parole cambiano spesso significato, nel
corso della storia. La parola “
resistenza” è una di
queste. Col termine “resistenza”, inteso in senso storico, si
intendeva un tempo la resistenza contro i fascisti ed i nazisti nel
corso della seconda guerra mondiale. Poi, lentamente, il termine ha
cambiato significato. Questo si è ampliato, fino a comprendere
qualsiasi tipo di resistenza contro tutto ciò che una certa parte
politica giudica odioso. La “resistenza” contro il nazismo ed il
fascismo è diventata di volta in volta “resistenza” contro i
padroni sfruttatori, la finanza internazionale, la scuola di classe,
gli inquinatori del mondo, o contro partiti antifascisti come la DC o
il partito socialista di Craxi, o contro questo o quel governo. Ed
oggi è di gran moda la “resistenza” contro il sionismo e chi il
sionismo lo difende, o comunque non lo condanna, cioè la stragrande
maggioranza degli ebrei.
L'antisemitismo è stata la
caratteristica principale della ideologia hitleriana. Un
antisemitismo assoluto, paranoico, omicida. Se le cose avessero un
senso i primi a sfilare nei cortei che commemorano il 25 aprile
dovrebbero essere gli ebrei, e la stella di Davide, quella con cui
gli ebrei venivano identificati per essere condotti al macello,
dovrebbe
aprire tutti i cortei che commemorano la liberazione.
Invece no. Nei cortei che commemorano la fine del nazismo la stella
di Davide non può essere esposta, al suo posto sventolano le bandiere
palestinesi! E poco conta, per i settari che le innalzano al cielo,
che i “palestinesi” abbiano collaborato con Hitler nel corso del
secondo conflitto mondiale, i settari se ne fregano della storia, di
quella vera, la hanno sostituita con la sua immagine ideologica.
La
brigata ebraica ha combattuto contro le SS più o meno nello stesso
periodo in cui il gran Mufti di Gerusalemme organizzava squadre
militari che con le SS collaboravano, ma i nipotini dei collaboratori di
Hitler sono oggi fra i protagonisti dei cortei “resistenziali” da
cui è esclusa la brigata ebraica. Bisogna avere il coraggio di dire
la verità: le celebrazioni del venticinque aprile, o almeno la loro
maggioranza, non hanno ormai più nulla a che vedere con lo spirito
più positivo della resistenza. Sono o retoriche rimembranze di un
tempo ormai lontano o esibizioni di intollerabile settarismo,
caratterizzate spesso da un antisemitismo appena mascherato da
antisionismo. Se qualcuno avesse detto, 70 anni fa, che un giorno il
ricordo della liberazione sarebbe stato caratterizzato
dall'antisemitismo tutti si sarebbero messi a ridere. Invece è così
che vanno, oggi, le cose. Meglio allora lasciare che i settari
manifestino da soli, mischiarsi a loro non ha alcun senso, né alcuna
utilità.