martedì 30 gennaio 2018

RISCALDAMENTO GLOBALE


Riporto, senza commentarlo, il filmato, finalmente sottotitolato in Italiano, del documentario dell'emittente britannica Channel 4 "The Great Global Warming Swindle" del 2007, che smonta la teoria del "riscaldamento globale causato dall'uomo". Sottotitoli di Aureliano Ferri The Channel 4 2007 documentary The Great Global Warming Swindle which debunks the theory of Man-made global warming, Finally available with Italian subtitles.

Ripeto, non commento il documentario perché non ho particolari conoscenze scientifiche, ma le argomentazioni mi sembrano estremamente serie e fondate su dati che è probabilmente possibile interpretare diversamente ma non ignorare.

Quante volte i media ci hanno detto che il mare, gli uomini e gli animali sono i più grandi "produttori" di CO2? O che solo lo 0,05% dell'atmosfera è composto di CO2, e che di questo 0,05 solo una frazione deriva da attività antropiche? o che in momenti di massimo sviluppo industriale la temperatira del pianeta è calata?
Ci hanno forse parlato dei drammi che provoca in Africa la scarsa elettrificazione? Ci hanno detto che l'idea di elettrificare un continente delle dimensioni dell'Africa col fotovoltaico e l'eolico è PURA FOLLIA?

Un documentario da vedere, anche se lungo, e meditare. Una voce fuori dal coro, pacata, seria, senza sensazionalismi. Se ne sentiva la mancanza.

PS. Per vedere il filamto in un formato decente è meglio prima farlo partire cliccando sul triangolino, poi cliccare sulla scritta "You tube". Buona visione!

sabato 27 gennaio 2018

GENOCIDI

E' genocidio il METODICO sterminio di un gruppo etnico, razziale o religioso”.
Questa la definizione di "genocidio". Nella definizione approvata nel 1946 dalle nazioni unite si faceva riferimento anche a gruppi sociali. La parola venne cassata per l'opposizione dell'URSS, chissà perché...
In ogni caso, dietro ad un genocidio sta una precisa decisione politica che mira allo sterminio programmato di un certo gruppo di esseri umani. I morti causati da guerre, conquiste, schiavismo, scontri di civiltà non possono essere definiti vittime di genocidi, anche se sono tutti collegati ad eventi eticamente ripugnanti. Hitler ha compiuto un mostruoso genocidio sterminando gli ebrei e altri gruppi etnici, ma i 50 milioni di caduti nel secondo conflitto mondiale non possono essere considerati conseguenza delle politiche genocide del del tiranno nazista. I morti di Katyn, per fare solo un esempio, non sono conseguenza della follia genocida di Hitler.

Un genocidio, proprio perché legato a precise scelte politiche di sterminio, avviene di solito in tempi relativamente brevi.
La “soluzione finale” venne decisa e programmata nel 1942. Il massacro in grande stile degli ebrei è concentrato in meno di tre anni.
La dekulakizzazione, cioè l'eliminazione dei contadini considerati “benestanti”, e la successiva collettivizzazione dell'agricoltura si sviluppano in URSS dal 1929 al 1933/34 e provocano carestie in cui muoiono almeno 7/8 milioni di esseri umani.
Il “gran balzo in avanti in Cina si sviluppa dal 1958 al 1962 e tocca i vertici fra il 1959 ed il 1961. Le requisizione selvagge dei raccolti e la deportazione dei contadini in fattorie collettive causano dai 15 ai 30 milioni di morti.
In Cambogia i Kmer rossi eliminano dai due ai tre milioni di esseri umani in un paese con una popolazione che non supera i 12 milioni di persone. Tutto questo in tre anni ed otto mesi di governo.
Il genocidio degli Armeni si concentra in due anni: 1915 e 1916 ed elimina circa un milione e mezzo di persone.

Morti in quantità industriale concentrate nel tempo e conseguenza di precise,  specifiche scelte politiche criminali: questo è un genocidio. Quando il conteggio delle vittime riguarda secolari scontri di civiltà è scorretto parlare di genocidio, anche se siamo comunque di fronte ad esperienze devastanti e molto spesso moralmente ripugnanti. Nel secolo e mezzo successivo alla caduta dell'impero romano la popolazione europea si ridusse di oltre un terzo. Un evento assolutamente tragico che sarebbe però del tutto errato definire come genocidio.
Invece di questo termine si fa oggi un abuso indecente. Dalla “soluzione finale” ai migranti annegati in mare, dagli Armeni ai palestinesi che cadono negli scontri con gli israeliani, tutto ormai è genocidio. E tutti ne sono vittime. E si finisce così per condannare, nella giornata della memoria, la... islamofobia! Si ricordano gli ebrei gasati e, insieme a loro, i nipotini di Amin Al Husayni, il gran Mufti di Gerusalemme che collaborò con Hitler allo sterminio degli ebrei nei Balcani.
Segno di tempi in cui la ragione va in vacanza! 

mercoledì 24 gennaio 2018

REDISTRUBUZIONE

Lo si sente ripeter sempre più spesso: i ricchi diventano sempre più ricchi ed i poveri sempre più poveri. Il problema fondamentale è redistribuire le ricchezze, solo in questo modo si può abbattere la povertà.
Non mi interessa qui addentrarmi nelle statistiche, anche perché i numeri sono un po' come gli esseri umani: se li torturi adeguatamente puoi far dire loro ciò che vuoi. Non mi interessa neppure stabilire se la redistribuzione delle ricchezze sia sempre e comunque capace di stimolare la produzione di nuovi beni e servizi, né se possa essere considerata conforme ai principi dell'etica. Mi interessa invece cercare di stabilire se davvero la redistribuzione delle ricchezze provoca, in quanto tale, una contrazione della povertà.
Apparentemente sembra che le cose stiano proprio così. Poniamo che Tizio guadagni 100, mentre Caio e Sempronio guadagnano ognuno 10. Si tolga 60 a Tizio e lo si divida fra Caio e Sempronio e tutti avranno un reddito di 40. Sarà eliminata la super ricchezza di Tizio ma anche la povertà di Caio e Sempronio. Semplice vero? Si, troppo semplice.

Per cercare di capirci un po' meglio occorre esaminare da cosa è composta la ricchezza. Semplificando molto le cose, senza tuttavia compiere mistificazioni inaccettabili, si può stabilire che la ricchezza sia composta da:

- Denaro.
- Titoli: obbligazioni ed azioni.
- Mezzi di produzione.
- Beni patrimoniali: case, auto, gioielli, panfili, quadri eccetera.
- Terra.
Vediamo ora di stabilire se la redistribuzione di questi beni aumenti la ricchezza di chi vive in povertà.

Denaro. Il denaro ha valore solo se esistono beni e servizi che possono essere acquistati col denaro. Senza questa copertura il denaro non vale assolutamente nulla. La redistribuzione del denaro contrae la povertà solo se grazie a questa redistribuzione aumenta o quanto meno non diminuisce la quantità globale di beni e servizi. Ad essere decisiva è la produzione, non la redistribuzione. Se in seguito alla redistribuzione la produzione si contrae la povertà non si riduce ma aumenta. E' solo il caso di aggiungere che questo è stato storicamente il risultato di molte politiche redistributive.

Titoli: obbligazioni ed azioni. Le obbligazioni sono debiti contratti dalle aziende col pubblico dei risparmiatori. Chi possiede una obbligazione ha un credito nei confronti di una certa azienda. E' chiaro che la obbligazione ha valore se l'azienda produce abbastanza per pagare gli interessi e restituire il capitale alla scadenza. In caso contrario la obbligazione non vale nulla. Le azioni sono titoli di proprietà, ogni azione rappresenta una quota parte del capitale di una azienda. Vale per le azioni lo stesso discorso delle obbligazioni: hanno valore se l'azienda produce ricchezza, fa utili, paga dividendi ed incrementa il suo valore. Se questo non avviene il valore delle azioni è pari a zero (lo sanno bene molti risparmiatori). Anche nel caso dei titoli ad essere decisiva è quindi la produzione, non la redistribuzione. Redistribuire riduce la povertà se e solo se grazie alla redistribuzione la produttività aumenta invece che contrarsi.

Mezzi di produzione. Possedere mezzi di produzione rende qualcuno ricco solo se con questi vengono prodotti in gran quantità beni e servizi. Se possiedo una officina meccanica ma non sono in grado di avvitare un bullone l'officina non mi serve a nulla. Ci ripetiamo: ad essere decisiva è di nuovo la produzione.

Beni patrimoniali: case, auto, gioielli, panfili, quadri eccetera. I beni patrimoniali di lusso sono fatti apposta per essere goduti individualmente. Poniamo che si espropri Berlusconi dei suoi beni patrimoniali. Questo arricchirebbe gli italiani poveri? In che modo? Ogni operaio potrebbe dormire una volta ogni due mesi a Villa Arcore? Sua moglie potrebbe passeggiare una volta ogni tre mesi con al collo una collana di diamanti? Si potrebbero organizzare gite in costa Smeralda per ammirare la villa del cavaliere? Questo ridurrebbe la povertà di qualcuno? Non scherziamo...

Terra. La terra è l'unico bene la cui redistribuzione può assicurare una contrazione reale della povertà. Non a caso l'abbattimento del latifondo è stato da sempre alla base di rivendicazioni democratiche e socialiste. Naturalmente la redistribuzione delle terre riduce la povertà se è accompagnata dal miglioramento e dalla razionalizzazione delle tecniche di coltivazione, dalla applicazione della scienza all'agricoltura, tutte cose che in prospettiva creano disuguaglianze fra i coltivatori.

Per concludere, la redistribuzione dei beni in quanto tale non abbatte o abbatte in misura minima la povertà; può abbatterla realmente solo se stimola la produzione e l'incremento della ricchezza totale. In molti casi questo non è avvennuto e politiche redistributive demagogiche hanno causato radicali contrazioni della ricchezza ed un  incremento spaventoso della miseria. Nella Russia rivoluzionaria la politica, molto "redistributiva", di distruzione della borghesia ha messo in crisi l'economia e distrutto i ponti fra città e campagne. I bolscevichi hanno cercato di far fronte alla crisi nell'unico modo che dei dogmatici dominati dall'ideologia potessero concepire: una politica di saccheggio delle campagne affiancata dalla instaurazione nelle fabbriche di una spietata disciplina sul lavoro.
Il ripristino di diseguaglianze nei redditi radicali e sganciate da criteri di efficienza è andato di pari passo con la crescita di un potere soffocante dello stato sulla società tutta, a partire dai lavoratori.
I risultati li conoscono tutti, tranne coloro che preferiscono chiudere gli occhi. Ho la sensazione che tanti "grandi giornalisti" che presentano di continuo la redistribuzione come una miracolosa ricetta contro la povertà facciano parte di questa categoria di ciechi volontari

mercoledì 17 gennaio 2018

ARISTOTELE, LE DEFINIZIONI, LE RAZZE


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Aristotele afferma che per definire un ente occorre individuare il genere prossimo e la differenza specifica. “L'uomo è un animale razionale”. In questa definizione il termine “animale” designa il genere prossimo, quello “razionale” la differenza specifica. L'uomo ha ciò che caratterizza gli animali (la sensibilità e la capacità di muoversi) ed in più la razionalità, la capacità di pensiero astratto e di linguaggio simbolico.
Ciò che in certe definizioni è genere prossimo diventa in altre differenza specifica. Ad esempio si può definire “animale” un essere vivente dotato di sensibilità e mobilità. “Animale” era genere prossimo nella definizione di uomo ma per definirlo a sua volta occorre trovare un altro genere prossimo, “vivente” in questo caso, ed un'altra differenza specifica che lo distingua, in quanto animale, dal genere dei viventi (la sensibilità per Aristotele).
In Aristotele molte definizioni classificano gli enti come superiori ed inferiori nella scala dell'essere. “Animale” è ontologicamente più elevato di “vivente” perché l'animale ha le caratteristiche tipiche dei viventi ed in più altre caratteristiche (la sensibilità e la mobilità) che sono monopolio degli animali. L'uomo a sua volta ha le caratteristiche tipiche dei viventi e degli animali ed in più la razionalità. Si colloca in questo modo ad un livello ontologicamente più elevato rispetto alle piante ed agli animali.

A questo punto ci si può chiedere: questa distinzione gerarchica caratterizza tutte le possibili definizioni? La risposta è NO.
Proviamo a definire in termini aristotelici “europeo”. Potremmo definirlo come uomo che è nato e vive in Europa. In questo caso “uomo” indica il genere prossimo e “nato e vivente in Europa” la differenza specifica. Ma questa differenza specifica non colloca gli europei in una posizione superiore rispetto agli altri uomini. In questo caso ciò che è essenziale nell'uomo è dato non dalla differenza specifica ma dal genere prossimo. La differenza specifica aggiunge una particolarità importante per la definizione ma ininfluente per la collocazione in una gerarchia ontologica. Dicendo: “Tizio è un uomo biondo” definisco Tizio in base al genere prossimo (uomo) ed alla differenza specifica (biondo), ma l'essere biondo non rende Tizio gerarchicamente superiore a Caio, scuro, e Sempronio, castano. Le particolarità accidentali di Tizio, Caio e Sempronio servono a definirli senza collocarli in alcuna gerarchia ontologica.
Allo stesso modo dire che i quadrupedi sono animali con quattro zampe definisce certi animali senza collocarli in una scala gerarchica più o meno elevata. Ciò che è ontologicamente rilevante ai fini della posizione nella gerarchia dell'essere è definito, di nuovo, dal genere prossimo (animale) non dal fatto di essere bipedi o quadrupedi.
Considerazioni simili si possono fare per le razze. Un nero è un uomo dalla pelle nera. La differenza specifica (la pelle nera) definisce il nero senza però togliere od aggiungere nulla alla sua essenzialità umana. Il nero è uomo quindi gode delle caratteristiche essenziali degli esseri umani: è vivente, animale e razionale come tutti gli uomini. L'avere la pelle nera lo differenzia dagli altri uomini per certe sue caratteristiche accidentali, esattamente come l'avere la pelle bianca contribuisce a definire altri uomini per le loro caratteristiche accidentali.

L'idea che per non essere razzisti si debba negare l'evidenza, cioè che esistono razze umane è, come si vede, priva di qualsiasi fondamento. Come sono prive di fondamento molte considerazioni “scientifiche” che si portano a sostegno di tale idea. Ad esempio che le differenze genetiche fra individui sono in media più rilevanti di quelle che differenziano gruppi razziali. E' vero, la differenza fra me e Leonardo da Vinci, entrambi bianchi, entrambi italiani, è molto più ampia di quella che mi differenzia da un uomo dalla pelle nera. Ma questo dimostra solo che il razzismo è privo di basi scientifiche, non che le razze non esistono. Le differenze individuali sono più rilevanti di quelle etnico razziali, quindi non esiste una gerarchia etnico razziale fra gli esseri umani, ma da questo non discende che non esistano razze ed etnie. La piccola differenza che c'è fra me ed un uomo dalla pelle nera è quella che determina il fatto che i miei figli non avranno la pelle nera ed i suoi si. Questo non da luogo ad alcuna gerarchia ontologica? Certo, ma... su questo siamo perfettamente d'accordo!
Sarebbe bello se si riuscisse a parlare di questi argomenti con spirito laico!

sabato 13 gennaio 2018

LA FILOSOFIA DELLA IPOCRISIA

Donald Trump ricorda a volte Silvio Berlusconi. Anche il cavaliere si lasciava scappare ogni tanto qualche battutaccia che scatenava vespai di polemiche. E, come ieri Silvio Berlusconi, così oggi Donald Trump dovrebbe imparare a tenere a freno la lingua: è il presidente degli Stati Uniti e le sue parole hanno un gran peso. Inoltre è costantemente nel mirino dei suoi numerosi nemici e davvero non si vede perché debba fornir loro pretesti per polemiche gratuite.
Ciò detto, le reazioni isteriche con cui sono state accolte le sue, presunte, affermazioni su alcuni paesi africani e caraibici dimostrano solo una enorme, insopportabile ipocrisia.
E sono anche, queste reazioni, una sorta di esemplificazione del modo di pensare dei “liberal”, una estrinsecazione della loro filosofia politica. Val la pena di spendere su questo qualche parola.

I “liberal” partono spesso da posizioni di principio assolutamente condivisibili. Tutti gli esseri umani hanno pari dignità, indipendentemente dal sesso, dalla religione o dal paese di appartenenza. Chi non concorda con questo principio cardine della nostra civiltà? Forse a non concordare sono, a volte, proprio alcuni “liberal” che assumono nei confronti di certi strati sociali atteggiamenti di insopportabile ed aristocratico disprezzo, ma... tralasciamo...
I “liberal” partono quindi da giusti principi, ma solo per trarre da questi conclusioni assolutamente inaccettabili. Tutti gli esseri umani hanno pari dignità... quindi tutte le umane realizzazioni sono sullo stesso piano. Questa la conclusione a cui giungono i “liberal”. Siccome ogni persona merita rispetto, tutte le aggregazioni umane sono egualmente degne di elogio, tutte le civiltà e le culture sono sullo stesso piano, ogni gerarchia, ogni attribuzione della qualifica di “superiore” od “inferiore” a qualsivoglia umana realizzazione è conseguenza di “pregiudizi meschini”.
Non esistono “brutti posti”, quartieri o paesi in cui non si vorrebbe vivere, località insicure. Chi dicesse: “io in quel paese non ci vivrei mai, neppure se mi regalassero la casa” sarebbe vittima di inaccettabili pregiudizi, se poi quel paese fosse africano, chi fosse contrario a viverci sarebbe, di certo, un miserabile “razzista”.
Abitare al centro di Milano o alla periferia di Mogadiscio sarebbe lo stesso. Un migrante che arriva qui da noi su un barcone, privo di documenti, meriterebbe la stessa fiducia di un turista che atterra alla Malpensa con tutti i documenti perfettamente in regola. Un medico di fama internazionale che arriva a New York per tenere una conferenza può essere sospettato di narco traffico allo stesso modo di un giovanotto messicano che entra irregolarmente negli USA. E se qualcuno avanza dubbi in proposito è, ovviamente, un “razzista”.

Tutti abbiamo diritto alla dignità, ma nel corso della storia si sono create civiltà, aggregazioni umane, culture profondamente diverse in cui lo stesso peso del riconoscimento dei diritti umani è stato ed è ben diverso. L'invenzione, o la scoperta, dei diritti umani è in fondo qualcosa di relativamente recente. Oppressione, schiavismo, fanatismi religiosi, repressione del libero pensiero, persecuzioni  etniche, oppressione della donna sono costanti della storia umana. E non sono qualcosa di superato neppure oggi. Ed OGGI tutto questo è presente in certe parti del mondo molto più che in certe altre. Oggi in certi paesi le adultere vengono lapidate, in altri trattano le condizioni del divorzio. Queste situazioni sono sullo stesso piano? Una donna sessualmente emancipata preferirebbe vivere negli USA o in Arabia Saudita? Basta fare la domanda per avere la risposta.
Se abbiamo la dignità dobbiamo presupporci liberi, ma se siamo liberi abbiamo anche la libertà di sbagliare, o di commettere il male, il famoso “libero arbitrio”. Da questo, anche da questo, nascono molti degli errori e degli orrori di cui la storia umana è infarcita. Ma il liberal non vede queste sottigliezze “logico filosofiche”. Come non vede il mondo, quello vero. Per lui tutto è dolce, armonioso, tutto egualmente vivibile in pace ed amore. Una melassa che esiste solo nella sua testa.
Se davvero esiste. Si, perché val davvero la pena di chiedersi se il liberal crede davvero alle cose in cui dice di credere. Il liberal intellettuale e benestante si indigna se qualcuno dice che la Norvegia è meglio della Nigeria, ma non vivrebbe mai in Nigeria. Se ci va in vacanza è solo per rinserrarsi in villaggi turistici sorvegliati da miriadi di guardie armate. Il liberal considera tutti egualmente vivibili i quartieri delle nostre città, ma neppure passa in certe vie o certe piazze, meno che mai dopo una certa ora, da solo. L'intellettuale liberal di solito non frequenta treni e metrò, i suoi figli studiano in università prestigiose, se si ammala si ricovera in cliniche costose, lontano dalla folla. Lui ama il popolo, a condizione che questo stia a rispettosa distanza.

Donald Trump non è un maestro di diplomazia. Spesso è rozzo, istintivo, si comporta come un rinoceronte in una cristalleria. Ma è infinitamente più vicino al sentire della gente normale che non i suoi spocchiosi critici liberal.
“Che posto di m...da"! Chi non ha mai detto, o pensato, una cosa simile riferendosi ad uno stato, una città, un quartiere? Qualcuno lo avrà detto riferendosi ad un paese africano, altri ad una città europea, altri ancora lo avranno detto riferendosi... agli Stati Uniti d'America, ma pochissimi, credo, non hanno mai detto o pensato una cosa simile. Solo l'intellettuale liberal pensa, o dice di pensare, che le cose non stiano così, crede, o finge di credere, che la melassa che ha in testa sia davvero il mondo reale, e che le gente normale condivida davvero le zuccherose banalità che il suo cervellino progressista produce in continuazione.
Per quante critiche sia possibile muovere al presidente Trump questi resta infinitamente superiore agli ipocriti che si indignano o fingono di indignarsi per le sue uscite spesso estemporanee. Quanto meno il presidente resta attaccato al mondo reale. I liberal ed i loro media faziosi veleggiano inve
ce nell'isola che non c'è.

martedì 2 gennaio 2018

METEO E CLIMA

E' stata una delle ultime polemiche anti Trump del 2017.
Gli Stati Uniti sono colpiti da una eccezionale ondata di freddo ed il presidente si è lasciato andate ad una battuta ironica sul “riscaldamento globale”. Apriti cielo! “Nuova gaffe di Trump” hanno cinguettato, o latrato, dai teleschermi annunciatori ed annunciatrici.
Poi, la spiegazione “scientifica”. “Il presidente confonde clima e meteo”, hanno annunciato con aria saccente.
Ma che bravi! Non bisogna confondere clima e meteo, cioè l'andamento di lungo periodo del tempo atmosferico e le sue variazioni di breve periodo. Profondissima considerazione, che però sono proprio i sostenitori del “riscaldamento globale” a violare di continuo. Basta infatti un acquazzone particolarmente violento, o un paio di mesi secchi, o una estate più calda del solito per sentirli strillare che la “umana follia” ha condotto il pianeta “sull'orlo dell'abisso”.
Il presidente Trump, con la sua battuta ha in realtà ignorato la differenza fra clima e meteo assai meno di quanto non lo faccia la propaganda martellante sul riscaldamento globale. Trump non è partito da un evento meteorologico per teorizzare il raffreddamento del pianeta, si è limitato a dire che l'ondata di gelo che attanaglia gli Stati Uniti contrasta con la pevisione di un irreversibile riscaldamento della terra. Una affermazione difficilmente contestabile. Sono i media invece che si servono di eventi meteorologici per cercare di convincere il popolo bue che il nostro pianeta sta diventando una palla rovente, che fra breve molte città saranno sommerse dalle acque e via dicendo.

Del resto, se la teoria del riscaldamento globale antropico si rivelasse vera nella sua versione più catastrofista, quella propagandata dai media, a scomparire dovrebbe essere precisamente la differenza fra clima e meteo.
Se il clima globale del pianeta cambia in maniera catastrofica sono proprio le differenze meteorologiche di breve periodo a perdere di importanza. Se per incanto la terra si allontanasse dal sole di milioni di chilometri il suo raffreddamento renderebbe irrilevanti le differenze fra estate ed inverno. Lo stesso avverrebbe nel caso di un avvicinamento al sole. Su Mercurio fra un gran caldo sempre. Al tempo delle grandi glaciazioni le differenze fra estate ed inverno erano molto ridotte, non a caso. Continuare a terrorizzare la gente con la prospettiva di un radicale e catastrofico mutamento CLIMATICO e poi, a fronte di un inverno piuttosto rigido, tirar fuori l'argomento della differenza fra clima e meteo non è intellettualmente onesto.
Questo al di fuori di ogni considerazioni scientifica sul “riscaldamento globale”. Quale che sia la validità delle ricerche scientifiche serie sull'argomento, è del tutto evidente che il modo con cui i media lo trattano ed i politici lo usano non ha con la scienza assolutamente nulla da spartire.