mercoledì 31 ottobre 2018

ASIA BIBI


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Asia Bibi è stata assolta. La donna pakistana condannata a morte per “blasfemia”, potrà tornare libera, dopo aver trascorso quasi 10 ANNI nelle carceri pakistane, che non credo siano troppo confortevoli.
La notizia non può che render felice ogni essere umano degno di questo nome, ma non può modificare di una virgola il giudizio su quella che alcuni insistono a chiamare la “religione di pace”.
La suprema corte pakistana ha annullato la sentenza di morte, già confermata dalla suprema corte di Lahore, non perché ritenga ingiusto condannare a morte un essere umano per il solo fatto che ha bestemmiato. No, la suprema corte ha ritenuto che le accuse non fossero abbastanza provate ed ha deciso per un tardivo atto di clemenza (non intendo chiamarlo giustizia).

Asia Bibi è un po' la cartina di tornasole di tutte le contraddizioni, le ambiguità, le viltà della cosiddetta “sinistra progressista” dell'occidente.
Per Asia Bibi non si sono mobilitate le femministe di mezzo mondo. Hanno preferito strillare per le “ingiustizie” subite da un'altra Asia: Asia Argento. Per lei non ci sono state marce, mozioni, petizioni, minuti si silenzio, cartelli appesi nei luoghi pubblici. Gli intellettuali progressisti non hanno speso parole in difesa di una donna che ha vissuto per quasi 10 anni in carcere in attesa di una possibile impiccagione. Lo stesso Santo Padre non ha detto una parola in difesa di una donna condannata a morte, questa è la verità VERA, solo perché cristiana.

Se Asia Bibi fosse riuscita a fuggire dal Pakistan e avesse raggiunto l'Italia avrebbe dovuto essere accolta a braccia aperte, lei di certo avrebbe potuto essere definita “profuga”, ma... chissà se i “progressisti umanitari” sarebbero stati teneri con lei. Loro sono per la illimitata accoglienza di persone che probabilmente condividono una legislazione che manda a morte apostati e bestemmiatori. La loro benevolenza si attenua invece quando hanno a che fare con le vittime della “religione della pace”.

Non vorrei essere troppo polemico, ma... mi permetto di invitare, molto pacatamente, tutti a fare un piccolo esperimento mentale.
Poniamo che in Israele una giovane musulmana sia, non dico condannata a morte, non dico incarcerata per dieci anni, ma tenuta in prigione per dieci settimane o per dieci giorni per avere pronunciato una bestemmia contro il Dio di Israele. Quali sarebbero le reazioni del mondo? Cosa strillerebbero Roberto Saviano, Laura Boldrini e Gad Lerner? Quali “accorati appelli” pronuncerebbero il pontefice e il capo dello stato? La UE rimarrebbe in silenzio? L'ONU non emetterebbe subito una decina di risoluzioni contro lo “scempio dei diritti umani” messo in atto dallo stato ebraico? I TG di tutte le reti non ci aggiornerebbero in tempo reale sull'evolversi della “triste vicenda”?
L'occidente in crisi sta affondando in una mare di maleodorante ipocrisia. La tragica vicenda di una donna pakistana coraggiosa ce lo ricorda, dolorosamente.

martedì 16 ottobre 2018

FALLIMENTO?

Davvero l'Italia è sull'orlo del baratro? Davvero rischiamo il fallimento? Per stabilirlo occorre guardare non alle variazioni giornaliere dello spread e degli indici di borsa, ma ai fondamentali dell'economia.
Il più importante “fondamentale” è il tasso di incremento del PIL. Nel 2011 il tasso di incremento del PIL è stato dello 0,4%. Nel 2012 e nel 2013 abbiamo avuto decrementi del 2,5% e del 1,9%. Poi una crescita non superiore all'uno per cento fino al 2017 quando si è raggiunto un incremento dell'uno e mezzo per cento.
Per il 2018 la UE (fonte insospettabile) prevede una crescita dell'1,3%.
Siamo di fronte a livelli di crescita del tutto insoddisfacenti, ma nulla che faccia pensare ad un crollo dell'economia italiana. E, per dirla tutta, non si vede perché mai un rallentamento dello 0,2% della crescita prevista (PREVISTA) dovrebbe portare l'Italia dalle condizioni “buone” di cui tutti parlavano al tempo del governo Gentiloni a quelle “fallimentari” di oggi. La differenza fra “situazione buona” e “fallimento” è contenuta in uno 0,2% di incremento del PIL? Ma per favore!!!

Si possono fare considerazioni analoghe su un altro fondamentale: quello dell'andamento della occupazione.
Il tasso di disoccupazione è passato dal 8,4% del 2011 al 10,9 del 2017, dopo aver toccato un picco del 12,7% nel 2012. A Luglio 2018 il tasso di disoccupazione è sceso al 10,4% . Di nuovo: dati molto negativi ma nulla che faccia pensare al baratro. E se sono negativi quelli di oggi cosa erano qulli dei tempi felici dei governi Monti, Letta, Renzi e Gentiloni?

In realtà l'Italia NON è sull'orlo del baratro, NON rischia nessun fallimento. Il gran casino di questi giorni ha cause esclusivamente politiche. C'è chi tifa per lo spread, chi vorrebbe che davvero ci avvicinassimo all'orlo del baratro.
Ma fanno male i conti. La stesa UE non può tirare troppo la corda. Lo sa ogni impiegato di banca: far fallire una impresa affidata è una scelta molto, molto rischiosa in primo luogo per la banca. Se i fidi vengono revocati e l'impresa fallisce la banca vede azzerato o quasi il valore dei suoi crediti. E questo vale anche nel caso in cui l'impresa affidata rischi davvero il fallimento. L'Italia ha un mare di problemi ma è ben lontana da una simile situazione. Molti nella UE vorrebbe spingerla verso il baratro, ma anche loro sanno di non poter fare troppo i gradassi: scherzano col fuoco. E lo sanno
Farebbero bene a smetterla, il più presto possibile.

domenica 7 ottobre 2018

GLI ULTIMI GORNI DELL'IMPERO ROMANO




Michele de Jeaghere: “Gli ultimi giorni dell'impero romano”. Libreria editrice goriziana.

Un affresco appassionante della caduta del grande impero in cui l'accuratezza del racconto si intreccia con l'analisi rigorosa delle cause di quello che resta uno degli eventi cardine della storia universale.
Non esiste, afferma l'autore, una causa del crollo dell'impero romano, la storia non è una scienza esatta e le vicende umane non sono assimilabili a quelle del mondo fisico. Esistono diverse cause di quel crollo. Cause socio economiche che si intrecciano con scelte ed errori umani, motivi culturali, modificazioni della psicologia delle classi dirigenti.
La crisi economica e fiscale derivante dalla fine delle grandi conquiste e dall'affermarsi della pax romana. L'affermarsi di una aristocrazia terriera slegata dalla vita cittadina, l'estensione smisurata del lavoro schiavo che bloccava ogni tentativo di innovazione tecnologica sono alcune delle cause socio economiche che si intrecciano con la crisi demografica, l'abbandono dei vecchi ideali che costituivano il fondamento della lealtà di tutti gli strati della popolazione romana nei confronti della loro città imperiale, l'affermarsi di un materialismo edonista potenzialmente distruttivo.

L'impero romano fu distrutto dalle grandi migrazioni, su questo non possono esserci dubbi. Jeaghere contesta con estremo rigore, dati alla mano, la tesi di chi vorrebbe attenuare il carattere drammatico di questa distruzione, farla passare per un processo di “reciproca integrazione” quasi pacifico. NON fu così, come testimoniano tutti i contemporanei dell'evento, compreso un grande filosofo: Agostino di Ippona. Ne “La città di Dio” Agostino polemizza con chi, di fronte al disastro, dubita della bontà ed onnipotenza del Signore e fa coincidere il crollo dell'impero con la fine della civiltà. Le invasioni dei barbari sono un autentico flagello, ma questo non deve farci perdere la speranza perché noi cristiani, dice il Vescovo di Ippona, facciamo parte della città di Dio, oltre e prima che di quella dell'uomo. Siamo di fronte ad una catastrofe che però non deve far vacillare la nostra fede: in una simile posizione nulla può far pensare alle invasioni come ad un processo di graduale e reciproca “integrazione”. Il crollo fu un dramma e fu seguito da un generale declino della civiltà durato almeno un paio di secoli.

Certo, tentativi di integrazione ci furono. I romani adottarono la politica di concedere agli invasori che oltrepassavano i confini dell'impero lo status di “clientes”. Concedevano ai barbari terre ed ampie autonomie in cambio dell'impegno a fornire soldati destinati a difendere un impero smisurato. In certi momenti questo diede sollievo all'impero ed alle sue esauste finanze, ma alla lunga contribuì a minarlo irrimediabilmente. Nelle fasi precedenti della storia romana la fedeltà dei popoli vinti era la risultante di una politica che combinava una assimilazione severa con la concessione di molti benefici della romanità. Nelle fasi della decadenza invece si crearono nell'impero autentiche isole non romane, formalmente sottoposte alla autorità imperiale ma di fatti slegate, e spesso nemiche, della stessa.
Molto belle, nelle pagine finali del libro, le considerazioni sull'impero in quanto tale. Un impero di enormi dimensioni può assicurarsi la fedeltà dei popoli sino a quando questi possono godere dei benefici della pace e della relativa prosperità che l'impero stesso riesce ad assicurare. Quando si tratta invece si difenderlo armi alla mano si può constatare che un simile, smisurato organismo è in grado di suscitare pochi entusiasmi e scarso spirito combattivo.

Fermo restando che a storia non si ripete mai negli stessi termini, non ci vuole molto per notare le impressionanti analogie fra la situazione descritta da Jeaghere e quella che sta oggi sotto i nostri occhi. Crisi demografica, crisi economica, finanze dissestate, migrazioni fuori controllo, intere zone di grandi città europee in cui di fatto non vige più la legge inglese, o francese, o tedesca. Siamo nell'Europa di oggi ma sembra, da certi punti di vista, di essere in quella di quindici o sedici secoli fa...
E non ci si deve illudere, afferma Jeaghere, pensando che i contemporanei previdero il crollo dell'impero romano mentre noi oggi non prevediamo nulla di simile riguardo alla nostra declinante civiltà.
“I contemporanei della fine dell'impero romano” scrive Jeaghere, “rifiutarono di crederci per tutto il tempo in cui riuscirono ad afferrarsi alle loro chimere. “Nei tempi in cui cominciava a sorgere la luce del mondo questa Roma destinata a vivere fintanto che esisterà l'uomo...” scriveva Ammiano Marcellino nel libro XIV delle sue storie. Era il 385. Venticinque anni dopo, Alarico avrebbe preso Roma. Meno di un secolo e sarebbe scomparso l'impero di occidente”.
I contemporanei della fine dell'impero romano rifiutarono di crederci per tutto il tempo in cui riuscirono ad afferrarsi alle loro chimere! Fanno un certo effetto queste parole, fa effetto soprattutto quel rifiutarono di crederci, un rifiuto che non può non far pensare ai tanti illusi dei nostri giorni (non mi occupo di chi è in malafede) che non vogliono credere al peggio, alla crisi, neppure in via ipotetica, non vogliono neppure pensarci e che invece vogliono credere alle favolette che raccontano.

Non è il caso di dilungarci troppo. In ogni caso non riuscirei a dare una idea adeguata di un'opera come quella che sto cercando malamente di recensire. La narrazione è accurata, documentata e minuziosa, a volte un po' dura per il lettore che si trova avvolto in una miriade di nomi, eventi, congiure di palazzo, intrighi, difficile da seguire. In ogni caso mai noiosa, con pagine di autentica piacevolezza narrativa: le descrizioni dei principi barbari ad esempio, dei loro usi e costumi, degli incredibili banchetti.
In definitiva, nel tetro panorama editoriale dei nostri giorni questa storia dello Jeaghere rappresenta una bellissima eccezione. Un libro da leggere, meditare e, se si ha tempo, studiare!

giovedì 4 ottobre 2018

IDIOZIE ECONOMICHE

In questo momento di turbolenza dei mercati sarebbe essenziale che i media dessero al pubblico una informazione il più corretta possibile. Invece i vari TG sembrano fare a gara nel diffondere quelle che è lecito definire autentiche idiozie economiche. Eccone tre, fra le più ricorrenti.

1) Quando la borsa cala si BRUCIANO miliardi.
PALLA! In borsa non si brucia mai neppure un centesimo, come d'altronde non si crea mai neppure un centesimo di nuova ricchezza. Questo per il semplice motivo che la borsa è un gioco a SOMMA ZERO.
Nel '600 scoppiò in Olanda la famosa crisi dei tulipani. Il prezzo dei tulipani salì rapidamente fino a toccare vette incredibili. Poi la “bolla” si sgonfiò, ovviamente. Nelle fasi di massimo rialzo il prezzo di un mazzo di tulipani era pari (ad esempio) a quello di una casa, dopo il ribasso con un mazzo di tulipani si poteva comprare al massimo una sedia di quella casa. Nella fase di rialzo era aumentata la ricchezza nazionale olandese e questa era diminuita nella fase di ribasso? NO, ovviamente. La ricchezza era sempre la stessa, ad essere cambiati erano i VALORI RELATIVI dei vari beni. La ricchezza era rappresentata, per semplificare al massimo, dalla casa e dal mazzo di tulipani, sia prima che dopo i rialzi ed i ribassi. Solo che nella fase di rialzo con i tulipani potevi avere la casa, dopo il ribasso no. Del resto, se fosse vero che in borsa si crea o si brucia ricchezza dovremmo dire che nelle fasi rialziste il PIL aumenta mentre in quelle ribassiste diminuisce. Una idiozia galattica!

2) Lo spread oggi è aumentato. Dobbiamo pagare più interessi sul debito.
PALLA. Se OGGI lo spread dovesse aumentare pagheremmo più interessi solo nel caso che OGGI ci fosse una nuova emissione di BTP. Se l'emissione ci sarà fra tre mesi ad incidere sul costo per interessi sarà lo spread FRA TRE MESI. L'andamento dello spread è determinato dal corso dei titoli sul mercato secondario ed ha effetti indiretti e differiti. I media lo presentano invece come causa immediata del costo per interessi.

3) Aumenta il debito. E' come se tuo figlio appena nato si trovasse indebitato per tot euro.
PALLA. Un simile ragionamento vale solo per la parte del debito pubblico in mano ad investitori esteri. Per la parte del debito in mano ad investitori nazionali l'aumento del debito rende gli italiani, contemporaneamente, debitori e creditori di se stessi.
Compro un BTP. In  seguito al mio acquisto lo stato ha un debito nei miei confronti e, nel contempo, io ho un credito nei confronti dello stato. Visto però che sono io a finanziare con tasse ed imposte lo stato, nel momento in cui compro un BTP divento automaticamente creditore e debitore di me stesso.

NON intendo sostenere, sia chiaro, che debito, spread e movimenti di borsa non siano importanti per l'economia, al contrario, sono molto importanti, a volte importantissimi. Ma NON per i motivi che i media truffaldini ci raccontano. Un a crisi finanziaria, un debito fuori controllo, uno spread alle stelle rischiano di bloccare i flussi finanziari dai settori in avanzo a quelli in disavanzo e questo può mettere in crisi l'economia reale. Fenomeno di enorme gravità che però a poco o nulla a che vedere con le PALLE dei vari TG.

martedì 2 ottobre 2018

NON HANNO PAURA


L'immagine può contenere: una o più persone, persone in piedi e spazio all'aperto


















Sono l'Italia che non ha paura. Infatti non hanno paura:


Del fondamentalismo islamico
Del terrorismo
Dell'incremento della criminalità
Del degrado di interi quartieri
Di stupri, rapine, scippi, furti, pestaggi
Della crisi verticale della civiltà occidentale
Dell'abbandono di usi,costuni, tradizioni che ci caratterizzano come popolo e civiltà

In compenso hanno paura:

Dell'effetto serra
Dei sacchetti di plastica
Dell'aumento del livello degli oceani
Di alcune parole "proibite"
Del "sessismo" , escluso quello che riguarda l'Islam
Dell'"omofobia" (idem come sopra)
Del razzismo (che per fortuna NON ha oggi dimensioni di massa)
Del fascismo (idem come sopra)


Hanno sostituito al mondo reale la loro immagine ideologica del mondo. E questa indirizza le loro paure ed il loro (presunto) coraggio.

Non so davvero come definirli. Preferisco non farlo...