E' morta, alla bella età di 96 anni,
Rossana Rossanda, fondatrice, assieme a Lucio Magri e Luigi Pintor
del “Manifesto”.
Espulsa dal PCI quando la dissidenza
sua e di altri a lei vicini assunse carattere pubblico, fu definita
da molti una “comunista critica”. Quasi “libertaria” per
alcuni.
In effetti era una persona capace di pensare, cosa assai
rara ai nostri giorni. Ma esser capaci di pensare non sempre vuol
dire saper pensare BENE. Né dissentire dalla linea ufficiale
del PCI equivale ad essere “libertari”, meno che mai democratici
o, Dio mai non voglia, liberali.
Le “tesi del manifesto”
che lei contribuì a formulare erano un minestrone indigeribile di
utopismo totalitario che con la democrazia nulla ha in comune.
Punto
centrale di quelle tesi era la “maturità del comunismo”. Oggi, per la
prima volta nella storia, il comunismo, inteso come superamento del
calcolo economico, delle classi e dei contrasti di classe, quindi
della politica e della mediazione politica, della democrazia
pluralista e dello stato è diventato insieme necessario è
possibile. Questa la grande scoperta teorica degli intellettuali del
Manifesto e fra questi, in prima posizione, di Rossana
Rossanda.
Manca però un tassello per realizzare, da subito,
questa utopia, o, per meglio dire, questa utopia distopica: gli esseri umani non sono
ancora pronti per gustarne la bellezza. Quindi vanno cambiati,
radicalmente. Ha tentato di farlo Mao tze Tung con la grande
rivoluzione culturale proletaria. E Rossanda era letteralmente
innamorata di Mao, lo è stata sino all'ultimo, quando le cifre
mostruose della tirannide maoista non lasciavano spiragli per nessun
tipo di giustificazionismo.
Mao mandò gli studenti a lavorare i
campi e mise alla gogna gli intellettuali, le sue guardie rosse
bruciarono libri in quantità tale da far invidia ai nazisti,
vandalizzarono siti archeologici, distrussero tutto ciò che non era
conforme alla linea del celeste presidente. Nel periodo culminante
della “rivoluzione culturale” in Cina si potevano leggere solo
opere di Mao Tze Tung, SOLO QUELLE, in tutti i campi dello scibile
umano.
Per Rossanda e gli intellettuali del “Manifesto”
questa barbarie era un grandioso tentativo di costruire l'uomo nuovo,
capace di meritare la “bellezza infinita” del comunismo.
Per
questi intellettuali Stalin andava criticato non per i gulag, i
processi farsa, la fame e le carestie che la sua politica provocò
nelle campagne, con tanto di sorgere del cannibalismo (fenomeno che
si verificò anche nella Cina del “gran balzo in avanti"). No,
Stalin andava criticato perché aveva diviso in due tappe la marcia
verso il comunismo: la prima, in cui si dovevano sviluppare le forze
produttive, la seconda in cui si sarebbero instaurati nuovi ed
armoniosi rapporti fra gli esseri umani. NO, le due tappe
andavano unificate, come aveva fatto Mao con la “grande rivoluzione
culturale proletaria”. La barbarie spacciata per “via nuova”
verso la “liberazione”.
La barbarie dal volto umano: questo
il parto teorico principale di Rossana Rossanda e del “Manifesto”.
Poi, passata la fase alta del “movimento del 68", lei ed i sui
compagni smisero di far parlare di se. Qualcuno si riavvicinò alla
sinistra ufficiale, altri comparvero in qualche TG ed in molti talk
show. Ed iniziarono a difendere la UE e a sparare a zero contro la
“retrograda” destra italiana. Nessuno spese un minuto per
analizzare e sottoporre a critica le sue posizioni di un tempo. Come
le camicie le idee si cambiano senza dir nulla. Anzi, si nega
infastiditi di averle mai cambiate.
Probabilmente Rossanda non cambiò
nulla delle sue posizioni teoriche. Pare che il suo amore per Mao sia
sempre rimasto vivo. E' stata coerente, forse, della lucida coerenza
dei fanatici.
Riposi in pace.