domenica 20 settembre 2020

ROSSANA ROSSANDA, COMUNISTA NON LIBERTARIA

 È morta Rossana Rossanda, fondatrice del Manifesto, giornalista e  intellettuale - la Repubblica


E' morta, alla bella età di 96 anni, Rossana Rossanda, fondatrice, assieme a Lucio Magri e Luigi Pintor del “Manifesto”.
Espulsa dal PCI quando la dissidenza sua e di altri a lei vicini assunse carattere pubblico, fu definita da molti una “comunista critica”. Quasi “libertaria” per alcuni.
In effetti era una persona capace di pensare, cosa assai rara ai nostri giorni. Ma esser capaci di pensare non sempre vuol dire saper pensare BENE. Né dissentire dalla linea ufficiale del PCI equivale ad essere “libertari”, meno che mai democratici o, Dio mai non voglia, liberali.
Le “tesi del manifesto” che lei contribuì a formulare erano un minestrone indigeribile di utopismo totalitario che con la democrazia nulla ha in comune.
Punto centrale di quelle tesi era la “maturità del comunismo”. Oggi, per la prima volta nella storia, il comunismo, inteso come superamento del calcolo economico, delle classi e dei contrasti di classe, quindi della politica e della mediazione politica, della democrazia pluralista e dello stato è diventato insieme necessario è possibile. Questa la grande scoperta teorica degli intellettuali del Manifesto e fra questi, in prima posizione, di Rossana Rossanda.
Manca però un tassello per realizzare, da subito, questa utopia, o, per meglio dire, questa utopia distopica: gli esseri umani non sono ancora pronti per gustarne la bellezza. Quindi vanno cambiati, radicalmente. Ha tentato di farlo Mao tze Tung con la grande rivoluzione culturale proletaria. E Rossanda era letteralmente innamorata di Mao, lo è stata sino all'ultimo, quando le cifre mostruose della tirannide maoista non lasciavano spiragli per nessun tipo di giustificazionismo.
Mao mandò gli studenti a lavorare i campi e mise alla gogna gli intellettuali, le sue guardie rosse bruciarono libri in quantità tale da far invidia ai nazisti, vandalizzarono siti archeologici, distrussero tutto ciò che non era conforme alla linea del celeste presidente. Nel periodo culminante della “rivoluzione culturale” in Cina si potevano leggere solo opere di Mao Tze Tung, SOLO QUELLE, in tutti i campi dello scibile umano.
Per Rossanda e gli intellettuali del “Manifesto” questa barbarie era un grandioso tentativo di costruire l'uomo nuovo, capace di meritare la “bellezza infinita” del comunismo.
Per questi intellettuali Stalin andava criticato non per i gulag, i processi farsa, la fame e le carestie che la sua politica provocò nelle campagne, con tanto di sorgere del cannibalismo (fenomeno che si verificò anche nella Cina del “gran balzo in avanti"). No, Stalin andava criticato perché aveva diviso in due tappe la marcia verso il comunismo: la prima, in cui si dovevano sviluppare le forze produttive, la seconda in cui si sarebbero instaurati nuovi ed armoniosi rapporti fra gli esseri umani. NO, le due tappe andavano unificate, come aveva fatto Mao con la “grande rivoluzione culturale proletaria”. La barbarie spacciata per “via nuova” verso la “liberazione”.
La barbarie dal volto umano: questo il parto teorico principale di Rossana Rossanda e del “Manifesto”. Poi, passata la fase alta del “movimento del 68", lei ed i sui compagni smisero di far parlare di se. Qualcuno si riavvicinò alla sinistra ufficiale, altri comparvero in qualche TG ed in molti talk show. Ed iniziarono a difendere la UE e a sparare a zero contro la “retrograda” destra italiana. Nessuno spese un minuto per analizzare e sottoporre a critica le sue posizioni di un tempo. Come le camicie le idee si cambiano senza dir nulla. Anzi, si nega infastiditi di averle mai cambiate.
Probabilmente Rossanda non cambiò nulla delle sue posizioni teoriche. Pare che il suo amore per Mao sia sempre rimasto vivo. E' stata coerente, forse, della lucida coerenza dei fanatici.
Riposi in pace.