
I grillini lo hanno ripetuto sino alla nausea: gli eletti non devono tradire gli elettori. Hanno addirittura proposto il vincolo di mandato: se un parlamentare è eletto in un certo partito non può, una volta ottenuto il posto, cambiare schieramento.
Poi il signor Di Maio ha fatto di tutto per convincere Salvini a rompere l'alleanza di centro destra. Dimenticando che Salvini si è presentato agli elettori come membro di quella alleanza e se la avesse rotta avrebbe fatto proprio ciò che il M5S per anni ha indicato come un peccato mortale.
Con Salvini gli è andata male; e non poteva andare diversamente, perché è buffonesco pretendere di discutere con qualcuno ponendogli la precondizione di rompere coi suoi alleati.
Allora il signor Di Maio si è rivolto al PD. Il M5S ha per anni definito il PD non un partito che porta avanti una politica inaccettabile, questo rientra nella normale dialettica democratica. No, lo ha definito un partito di farabutti, venduto alle oscure forze della finanza (ebraica?). Del resto è QUESTA la caratteristica dei 5S. Non hanno rivali ma nemici e neppure nemici politici. I loro nemici sono semplicemente dei criminali, criminali comuni. Si tratti del PD, di FI o di altri il risultato non cambia, sempre di mascalzoni si tratta. Non a caso il re dei giustizialisti forcaioli, il “giornalista” (si fa per dire) Marco Travaglio, è fra i principali sostenitori del M5S.
Ma,visto che si deve cercare di fare un governo, il signor Di Maio ha messo da parte le vecchie “divergenze” ed ha lanciato accorati appelli al PD. Ha sostituito il vecchio programma con una sequela di ovvie banalità (lotta alla povertà, trasparenza, no agli sprechi) e su questa ha cercato di agganciare quel partito. Ha blaterato patetiche scemenze sulla differenza fra “alleanza” e “contratto di programma” e, in un momento di inarrivabile creatività, ha addirittura tirato fuori dal cilindro il conflitto di interessi, cosa ridicola in un momento in cui Berlusconi non può neppure diventare parlamentare. Ma a Di Maio questo non basta più. Chi possiede una TV non può fare politica, anche se neppure si candida alle elezioni. Potrebbe comunque usare le sue TV per “influenzare il voto”. Seguendo una simile “logica” (si fa per dire) si dovrebbe interdire a chi segue la politica l'uso di Internet o chiedere che chi supera un certo reddito sia escluso dal diritto di voto: potrebbe usarlo per difendere i suoi interessi finanziari! Potranno votare solo i nullafacenti. In questo caso il M5S otterrebbe il 90% dei suffragi!
Il signor Di Maio ha strillato queste idiozie senza sosta. Mirava a sollecitare il ventre molle del PD, è chiaro. E ha trovato in quel partito molte orecchie attente, non a caso. Perché il PD è pieno di gente che con i grillini ha molto in comune: dal giustizialismo forcaiolo al misticismo ecologico, dalla antipatia, o peggio, per Israele alla vicinanza con l'ideologia gender.
Ma gli è andata di nuovo male. Perché nel PD c'è ancora gente, a cominciare da Matteo Renzi, occorre riconoscerglielo, in grado di capire che fare da stampella al M5S distruggerebbe il partito.
Poi sono arrivati gli elettori che hanno inferto al M5S due sonore batoste in Molise ed in Friuli. E così il buon di Maio saltella, insulta, minaccia, strilla e strepita.
Il fatto è che Luigi Di Maio in realtà ha un ruolo che non gli spetta. Non è il leader dei 5 stelle, non ha fondato lui il movimento e non è lui a guidarlo. E' una mezza figura, un ometto alle prese con cose più grandi di lui.
Senza voler essere troppo polemici, una nullità. Che però abbiamo rischiato di trovarci presidente del consiglio. Il rischio è superato? Non lo so. Forse si andrà di nuovo a votare e le cose potranno cambiare. Ma il rischio di essere governati da personaggi come Di Maio persiste. Purtroppo.