mercoledì 29 maggio 2013

FRANCA RAME




Nulla merita rispetto quanto la morte, e merita rispetto chi, superata la grande soglia, si avvia, per dirla con Shakespeare, verso quella terra inesplorata da cui nessuno è mai tornato. Franca Rame merita rispetto anche perché ha subito uno stupro, è stata vittima della più odiosa delle violenze. Ma se rispetto la morte di Franca Rame non mi sento di approvarne, in alcun modo, la vita. Se l'odiosa violenza di cui è stata vittima ha obbligato tutti ad essere solidali con lei, nessuna solidarietà le è dovuta, a mio parere, per le scelte che ha compito, le cose che ha detto e fatto nel corso della sua esistenza.

Era faziosa, di una faziosità intollerabile. Nel sentirla recitare si sentiva l'odio che le covava dentro. Anche Dario Fo era, ed è, fazioso. Ma sulla scena era talmente bravo da dissimulare la sua faziosità, trasformarla in risata, divertimento. Lei no. La ho vista recitare molte volte, ed in quegli anni le ero in qualche modo vicino politicamente. Non troppo vicino perché lei era una mao stalinista dogmatica, io un giovane trotskista, uno di quelli che lei, il suo compagno ed i loro amici del circolo culturale “la comune” consideravano “al soldo della borghesia”. Si, andavano così le cose fra “compagni”, a quei tempi. Tutti eravamo uniti contro la borghesia e l'imperialismo ma se eri in una setta rivale i compagni ti riempivano di botte, senza troppi complimenti. La ho vista recitare molto volte dicevo, e la sua faziosità, il suo astio, l'odio che le sprizzava da tutti i pori riuscivano, anche allora, ad infastidirmi. “I primi a dover essere fucilati subito dopo la vittoria della rivoluzione saranno gli intellettuali” disse una volta ad un dibattito, uno di quegli appassionati ed interminabili dibattiti che seguivano gli spettacoli suoi e di suo marito. Mi tornò in mente quella frase, alcuni anni dopo, quando il mio amore per Marx, Trotskij ed il “vero” comunismo stava finendo. In Cambogia i Kmer rossi di Pol Pot fucilavano chiunque sapesse leggere e scrivere. La “cultura borghese “ andava distrutta, dalle radici, per creare l'uomo nuovo e comunista. Io leggevo quelle notizie sconvolgenti, entravo sempre più in crisi, e mi tornavano in mente le parole di Franca Rame. Qualcuno stava facendo quello che lei aveva sognato, c'è chi dice cose mostruose e c'è chi le mette in pratica; chi è più colpevole?

Ricordo una assemblea, alla fine di una rappresentazione teatrale, forse era andato in scena il “mistero buffo”. Proprio in quel periodo era stato assassinato il commissario Calabresi e si parlava di quello, ovviamente, nel dibattito.
“L'uccisione di calabresi (uccisione, non omicidio) è una vittoria per le m
asse proletarie”, dicevano i compagni di lotta continua. “No”, ribattevano gli altri, “l'uccisione di Calabresi rende più difficili le lotte, crea problemi al movimento”.
“Nessuno piange la morte di un poliziotto fascista, ma non possiamo ignorare che quella morte crea problemi al movimento di massa...”
Si, proprio così. Quello era il tipo di argomenti che venivano avanzati in quei “dibattiti”. Quelle le cose che dicevano Dario Fo e Franca Rame. E io ero li, ad ascoltarli, a volte anche ad intervenire e sparare, a mia volta, cazzate.
Non sono un “pentito”. Ero marxista e ho smesso di esserlo, ho smesso di esserlo quando ho davvero capito Marx. Non ho mai fatto del male a nessuno, volevo il “vero comunismo” e non capivo che il vero comunismo era quello di Stalin e Mao, Dario Fo e Franca Rame. Quando lo ho capito ho mandato al diavolo i miei vecchi compagni, senza lacrime, e senza pentimenti. Non ho pentimenti, però quando ripenso a quella assemblea, a quegli interventi in cui si discuteva se piantare un proiettile nella nuca di un uomo era o non era “utile alle lotte”, un po' di vergogna la provo.

Lei no, credo. Era una stalinista ed è sempre rimasta tale. Io comunque non ho mai sentito una parola di auto critica da parte sua, né di suo marito. Hanno amato Mao tze Tung, la rivoluzione culturale e i laogai, Stalin ed i gulag, e tutti i tiranni del comunismo reale. Poi si sono invaghiti di certi magistrati ed hanno scoperto il valore rivoluzionario della “legalità”. Ma sono rimasti sempre quello che erano.
Per favore, non trasformiamo Franca Rame in un campione della democrazia! Non lo è mai stata.

martedì 28 maggio 2013

LE DUE ITALIE

E così Grillo se la prende con gli italiani. Troppi italiani vivono di politica, e di spesa pubblica, afferma Grillo:
Esistono due Italie, la prima, che chiameremo Italia A, è composta da chi vive di politica, 500.000 persone, da chi ha la sicurezza di uno stipendio pubblico, 4 milioni di persone, dai pensionati, 19 milioni di persone (da cui vanno dedotte le pensioni minime che sono una vergogna). La seconda, Italia B, di lavoratori autonomi, cassintegrati, precari, piccole e media imprese, studenti. La prima è interessata giustamente allo status quo. Si vota per sé stessi e poi per il Paese. Nella nostra bandiera c'è scritto Teniamo famiglia".
Insomma, c'è l'Italia degli assistiti, o dei parassiti, e quella degli emarginati, ovvio che i parassiti cerchino di mantenere intatti i loro privilegi, e votino di conseguenza.
C'è un grammo di verità nel discorso di Grillo. In effetti in Italia molta, troppa gente vive di spesa pubblica e questo è letale per l'economia. Ma si tratta del tipico granello di verità che rende più credibili le menzogne.

Grillo se la prende con chi vive di spesa pubblica, ma, forse che fra chi lo ha votato alle ultime elezioni non c'è un pensionato, o un dipendente pubblico? Solo i lavoratori produttivi votano, o hanno votato Grillo? I casi sono due: o i voti che Grillo ha perso sono voti di parassiti, e allora fino a ieri molti parassiti votavano per Grillo, o sono voti di persone che parassiti non sono, e allora il discorso di grillo è fondato sul nulla.

Perché grillo ce l'ha tanto con i pensionati? La maggioranza dei pensionati la sua pensione se la è pagata accumulando contributi per decenni,
NON SI TRATTA DI PARASSITI. Sono semmai molti “precari” e cassa integrati a vivere di spesa pubblica, spesso a ricevere assistenza dall'INPS, assistenza pagata coi contributi di chi lavora e cerca di costruirsi una pensione decente. E' molto strana la logica di Grillo. Per lui è un parassita chiunque abbia uno stipendio garantito, anche se quello stipendio remunera un lavoro produttivo.

Grillo propone il
salario di cittadinanza. A tutti devono essere garantiti 1000 euro mensili, indipendentemente dal fatto che lavorino e producano. E poi ha il coraggio di polemizzare contro l'Italia A, quella che per lui vive di politica!

Non basta inveire contro chi vive di spesa pubblica. Occorre trasformare il lavoro improduttivo in lavoro produttivo, ridurre l'area dell'assistenza ed aumentare quella del lavoro vero. Per tutto questo occorrono investimenti, tecnologia, energia, infrastrutture, occorre insomma
crescita economica. Ma è proprio lui, Beppe Grillo, a cianciare di “decrescita felice”, è lui ad opporsi a qualsiasi opera pubblica, a demonizzare qualsiasi infrastruttura!

Molti esponenti del PD in questi giorni affermano compiaciuti: “Grillo paga il prezzo della non scelta”. Il suo errore sarebbe stato di non appoggiare Bersani. Per questi personaggi una alleanza con Grillo sarebbe stata assolutamente positiva. Molto interessante il loro modo di ragionare. Potevamo allearci con Grillo, lui ci ha rifiutati e così ci siamo alleati col Pdl. Tutto è interscambiabile. Costruire il Tav o bloccarlo, favorire la crescita o la decrescita felice, ridurre la pressione fiscale o istituire il salario di cittadinanza. Cose equivalenti! Non c'è da stare troppo allegri.

venerdì 24 maggio 2013

LA AUTONOMIA DELLA MAGISTRATURA ALL'ITALIANA




Ne parlano tutti i forcaioli, e tutti la difendono a spada tratta, Mi riferisco alla
autonomia della magistratura. E' diventata la bandiera della sinistra italica, di tutta la sinistra italica, compresi i rottami del comunismo staliniano. La invoca una campionessa del garantismo come Rosy Bindi e se ne riempiono la bocca anche gli amici di Chavez e Fidel Castro. Si atteggiano a difensori della autonomia della magistratura anche coloro che guardano con simpatia ad un paese come la Corea del Nord, dove di certo la magistratura gode di ampia autonomia. Sono diventati tutti liberali, c'è da esserne soddisfatti.

E' molto importante la autonomia della magistratura, ma, cosa si intende con precisione con questo termine?
Semplicemente che il giudice non po' subire pressioni che lo condizionino
nella sua funzione di giudice. Un giudice non può subire imposizioni che lo spingano a condannare, o ad assolvere, Tizio, nessuno lo può trasferire per impedirgli di giudicare Caio, né può rischiare di vedersi ridurre lo stipendio se persegue Sempronio.
In Italia però la autonomia della magistratura è stata intesa in maniera diversa, estensiva ed inaccettabile. Non ci si è limitati a salvaguardare il giudice nelle sue funzioni di giudice, si è preteso che tutti i magistrati, e non solo i giudici, fossero messi al riparo di ogni tipo di condizionamento, diretto o indiretto, reale o potenziale, riguardante pressoché la totalità della loro esistenza.
Negli stati uniti i giudici, come si sa, sono elettivi. Nessuno può imporre ad un giudice americano di comportarsi in un certo modo nel corso di un processo, nessuno lo può trasferire per impedirgli di giudicare Tizio o Caio; però al termine del mandato il giudice è giudicato dagli elettori: egli è
autonomo ma non irresponsabile. Non mi interessa ora discutere sui pregi e i difetti di un simile sistema, è però interessante esaminare il tipo di obiezione che ad esso oppongono molti sostenitori della autonomia della magistratura all'italiana. Il sistema americano, dicono, non garantisce la autonomia della magistratura perché per un giudice il solo fatto di dover rendere conto agli elettori costituisce comunque un condizionamento. Per i sostenitori italiani della autonomia della magistratura questa si configura come una sorta di totale assenza di limiti di ogni tipo all'operato dei magistrati. Questi dovrebbero vivere in una sorta di campana di vetro, sottratti alle pressioni ed ai condizionamenti che sono inevitabilmente legati al solo fatto di vivere in società.

Nelle democrazie liberali ogni potere dello stato è limitato da altri poteri, o da qualcuno che non fa parte di quel potere. I parlamentari, ad esempio, sono giudicati dagli elettori, il governo è controllato dal parlamento. La magistratura no. Sottoporre i magistrati a qualsiasi tipo di controllo ad essi esterno vorrebbe dire lederne l'autonomia.
Le carriere dei magistrati in Italia sono di fatto automatiche, basta lo scorrere del tempo per salire nella scala gerarchica; se le promozioni fossero legate ad esami o concorsi questi lederebbe la autonomia della magistratura.
Tutti, anche in Italia, sono civilmente responsabili per i propri errori, se commessi con dolo o colpa grave; i magistrati no: renderli civilmente responsabili vorrebbe dire lederne l'autonomia.
Nessuno decide da solo l'ammontare dei propri stipendi, i magistrati italiani invece possono far pressioni sul potere politico tali da avvicinarli molto ad una simile situazione. Se i loro stipendi non fossero soddisfacenti la loro autonomia sarebbe a rischio, visto che chi non guadagna abbastanza è facilmente ricattabile, si dice.
Chiunque lavori deve rispettare certi criteri di efficienza e produttività e risponderne ad altri. I magistrati italiani ne rispondono solo a persone che essi stessi hanno eletto. Il controllato di oggi può benissimo diventare il controllore di domani. Se le cose cambiassero sarebbe in pericolo la autonomia della magistratura.
Insomma, la magistratura italiana è un corpo separato, sottratto ad ogni tipo di limite e controllo, autoreferenziale, responsabile solo di fronte a se stesso. Non di
autonomia si dovrebbe parlare ma di separatezza della magistratura.
Nulla però è tanto pericoloso per la democrazia come i corpi separati. Per rendersene conto basta fare un semplicissimo esperimento mentale. Poniamo che nella stragrande maggioranza i magistrati siano contrari ad una certa legge e non la applichino nei casi concreti. Non è una ipotesi molto fantasiosa: qualcosa di simile è avvenuto con la legge che istituiva il reato di immigrazione clandestina, di fatto quasi mai applicata. Chi può obbligare i magistrati ad applicare questa legge a loro invisa? Nessuno. I magistrati sono sottoposti al controllo, anche disciplinare, del consiglio superiore della magistratura, ma questo è per due terzi eletto dai magistrati stessi, quindi...
La sostanziale separatezza della magistratura italiana conduce così ad situazione paradossale: invocata per tutelare al meglio la separazione dei poteri questa separatezza nei fatti distrugge precisamente questa separazione. I magistrati di fatto possono rendere inefficace ogni legge, e questo anche a prescindere dai pesantissimi interventi degli stessi nella discussione che precede la approvazione di certe leggi. In Italia si assiste spesso allo spettacolo di magistrati che scendono in sciopero contro la approvazione di determinate leggi che è loro dovere fare applicare, qualcosa di unico, credo, in occidente.
Ma, anche a prescindere da queste considerazioni, resta il fatto fondamentale che un corpo separato è sempre, in quanto tale, un pericolo per la democrazia. Molti applaudono alla auronomia della magistratura all'italiana. In questo modo i magistrati possono proteggere meglio i cittadini, dicono, li possono proteggere senza dover subire pressioni o condizionamenti di alcun tipo. Ammettiamolo pure, ma...
chi protegge i cittadini dai magistrati? E' un problema di importanza fondamentale, di cui non a caso i forcaioli ed i rottami del comunismo staliniano neppure riescono a capire l'importanza. Nessuno è perfettamente virtuoso: i controllori devono a loro volta essere controllati, chi ci difende può benissimo trasformarsi in un oppressore, per questo il suo potere deve essere limitato.
Una autonomia totale, assoluta, dei magistrati, una autonomia che diventi nei fatti separatezza, non è un fattore di democrazia, al contrario, può trasformarsi in qualcosa di profondamente, pericolosamente illiberale ed antidemocratico. Il vero problema della magistratura italiana non sono solo i magistrati politicizzati. Questi esistono, è vero, e fanno molto danno, ma esistono anche nel nostro paese molti ottimi magistrati che fanno con scrupolo e coscienza il loro lavoro: ne è prova se non altro il fatto che la gran maggioranza delle montature giustizialiste finiscono nel nulla. Il problema principale è l'organizzazione complessiva della giustizia in Italia, che sembra fatta apposta per permettere ai peggiori, ai faziosi di emergere e di fare gran danno.

Alexis de Tocqueville ebbe a dire che la peggiore delle dittature è quella dei giudici. Come si sa il Tocqueville era un liberale moderato, una persona che amava profondamente la legalità e non aveva certo alcun motivo di rancore verso chi amministrava ai sui tempi la giustizia. Oggi però chi facesse una simile affermazione rischierebbe una incriminazione per oltraggio alla magistratura, e sarebbe di certo sepolto dalle proteste di garantisti alla Rosy Biondi o alla Marco Travaglio. Basta un simile, innocente fatterello a dimostrare quanto sia grave la situazione della giustizia in Italia.


mercoledì 22 maggio 2013

DON ANDREA GALLO




Don Andrea Gallo ha lasciato questo mondo.
Non è bello imbrattare una cosa tanto seria ed importante come la morte con polemiche politiche. Però la morte può essere una buona occasione per riflettere sulla vita di chi ci lascia, sulle sue scelte. Può esserlo, ed è importante che lo sia, specialmente se la morte di qualcuno diventa il pretesto per menzogne e mistificazioni.
Davvero don Gallo era un “prete di strada”? Un pacifista amico degli ultimi? Dipende da cosa si intende con simile espressioni. Certo, sarebbe tutto molto più semplice, e comprensibile, se si usassero termini meno nebulosi. Senza la minima intenzione di essere polemico io definirei don Gallo per quello che era: un prete comunista, cattocom
unista, per essere più precisi.

“Nel giugno 1976 una presa di posizione della comunità doveva provocare accese discussioni (…) si tratta della firma apposta al manifesto di solidarietà con i compagni della Baader Meinhof.”
Questo si può leggere nell'interessante volume “
Dalla dipendenza alla pratica della libertà”, una raccolta di documenti, interventi e “contributi dal basso” della comunità di San Benedetto, si, proprio quella, proprio quella di don Andrea Gallo.
Il documento citato affermava:
“Oggi l'imperialismo mondiale e le socialdemocrazie europee piangono la morte dell'alto ufficiale delle SS Hans Martin Schleyer.
Noi ricordiamo con commozione i compagni torturati ed uccisi nelle carceri della repubblica federale tedesca e i compagni caduti in azione a Mogadiscio, e onoriamo il coraggio e la fede della loro lotta rivoluzionaria.”
Firmato: Comitati per l'autonomia operaia, partito comunista marxista leninista, collettivo femminista autonomo,
comunità di san benedetto.
Hans Martin Schleyer era membro del dell'unione cristiano democratica e presidente della confindustria tedesca.
Venne sequestrato il 5 settembre 1977 a Colonia da un gruppo armato di terroristi della Rote Armee Fraktion dopo un sanguinoso agguato in Vincenz-Statz-Strasse terminato con la morte dei quattro uomini della sua scorta; dopo quarantatrè giorni di prigionia venne ucciso e il 18 ottobre 1977 il suo corpo venne ritrovato nel bagagliaio di un'auto a Mulhouse. Durante la seconda guerra mondiale fu in effetti ufficiale delle SS, come molti altri oltre a lui, compresi coloro che, fuggiti in medio oriente, divennero istruttori di varie formazioni terroriste impegnate nella lotta contro Israele, formazioni con le quali la Rote Armee Fraktion intratteneva ottimi rapporti. Schleyer fu ucciso non perché ex SS, ma in quanto presidente della confindustria tedesca.
Proseguiamo con le citazioni da: "Dalla dipendenza alla pratica della libertà".
“La comunità fu profondamente solidale con Enrico Fenzi, professore di letteratura italiana all'università di Genova. Egli fu arrestato per la prima volta il 17 maggio 1979, con una quindicina di persone dell'area della autonomia, in un bliz voluto dal generale Della Chiesa”.
Per la cronaca: Enrico Fenzi è stato uno dei principali leader della brigate rosse, condannato complessivamente a 18 anni di carcere si dissociò dal terrorismo ed ottenne la libertà vigilata.
Direi che può bastare.

Non credo che Don Gallo abbia fatto una seria, profonda, autocritica per le posizioni estremiste, al limite del favoreggiamento del terrorismo, prese dalla comunità di cui è stato leader per tanti anni. Non ho seguito le sue eventuali evoluzioni ideologiche, ma da quanto risulta da dichiarazioni, articoli, partecipazioni a manifestazioni, direi che fino a ieri è stato sempre lo stesso. Probabilmente negli ultimi tempi aveva preso in simpatia i magistrati, forse si diceva paladino della legalità, forse con la stessa foga con cui, anni fa, definiva oppressiva e borghese la stessa legalità. Ma questa è una contraddizione non solo sua. E' una contraddizione ed un dramma del paese lo spettacolo di magistrati che vanno a braccetto con autentici teorici dell'eversione.
Don Gallo è stato un prete comunista, lo è stato anche se probabilmente non ha letto un rigo di Marx, e se lo ha letto di certo non lo ha capito. E' stato uno dei tanti che ritengono che la povertà sia un valore, che non vivere in miseria sia quasi un crimine, che tutti i mali del mondo siano da addebitarsi alla civiltà occidentale.
E' stato un prete che non ha capito, a mio avviso, il senso profondo del messaggio cristiano. Non ha capito che la Chiesa non è un partito politico né una associazione non governativa, che il senso profondo della sua predicazione è rivolto al trascendente. La liberazione cristiana è una liberazione dalla finitezza, dall'umana accidentalità, qualcosa che non può essere oggetto di alcuna lotta politica, di alcuna “pratica della libertà”. Come tanti altri don Gallo ha pensato che il paradiso potesse essere costruito qui, sulla terra, e, come tanti, non si è reso conto che rendendo mondano l'assoluto si realizza il totalitarismo, si costruisce non il paradiso, ma l'inferno.
Pace all'anima sua.

sabato 18 maggio 2013

LA PRESCRIZIONE




E' l'istituto più odiato dai giustizialisti, sto parlando della prescrizione del reato.
Vorrebbero tempi di prescrizione lunghissimi, praticamente infiniti. Non conta quando hai commesso un reato, dicono, conta se lo hai commesso, e se lo hai commesso devi essere punito, punto e basta. E non va loro giù che la prescrizione intervenga dopo che il processo ha avuto inizio. Citano addirittura gli Stati Uniti d'America, dove i termini di prescrizione si interrompono appena è stata emessa la sentenza di rinvio a giudizio. Si, è proprio così, negli Usa la prescrizione si interrompe dal momento in cui il sospettato è rinviato a giudizio, ma, quali sono i termini di prescrizione negli Stati uniti d'America?
Un delitto che comporta la pena dell'ergastolo è sempre perseguibile.
Ogni altro delitto grave (rapine, furti, stupri, sequestri di persona) è perseguibile entro CINQUE ANNI.
I delitti meno gravi sono perseguibili entro DUE ANNI, quelli minimi entro UN ANNO.
Esclusi i delitti gravissimi, sempre perseguibili, negli Usa ogni crimine deve essere perseguito entro termini temporali abbastanza ristretti. Nel momento in cui inizia il processo però i termini di prescrizione si interrompono, e si evitano in questo modo eventuali manovre dilatorie. Questo non fa si che l'imputato debba passare lunghi periodi nella “zona di nessuno” in cui necessariamente vive chi è sottoposto a procedimento penale. Negli Usa infatti i processi sono piuttosto rapidi. Le udienze sono quotidiane, i giurati vivono praticamente da reclusi, impossibilitati addirittura a leggere i giornali o a guardare la TV, questo perché chi è chiamato a giudicare della vita di un essere umano deve formarsi la propria convinzione in base a ciò che emerge dal dibattimento, non dai talk show televisivi o dai predicozzi di giornalisti alla Travaglio. La differenza con quanto avviene in Italia è lampante. Un giudice popolare italiano ascolta oggi un teste, fra due mesi un altro, fra sei mesi la requisitoria del PM e fra otto l'arringa del difensore. Se tutto va bene fra un anno entrerà in camera di consiglio (fanno eccezione i processi a carico di Berlusconi che sono di solito rapidissimi). E' difficile pensare che in questo modo il giudice popolare italiano possa maturare una convinzione ponderata sulla base di quanto emerge dal dibattimento. Si aggiunga che negli Usa il pubblico accusatore non è, come in Italia, un collega del giudice, che la difesa contribuisce alla selezione della corte giudicante, che i giurati devono decidere alla unanimità e ci si renderà conto che in quel paese il processo penale, anche se esclude i tre gradi di giudizio automatici, è molto più garantista che nel nostro.

E' interessante mettere in evidenza una cosa: se nel nostro paese fosse in vigore la normativa americana molti procedimenti a carico di Berlusconi non avrebbero neppure potuto iniziare. Come hanno agito infatti i magistrati col cavaliere? Non appena è entrato in politica hanno iniziato inchieste riguardanti vecchie storie sulle quali sino a quel momento nessuno aveva indagato o, se indagini c'erano state le loro risultanze giacevano da tempo sotto montagne di pratiche inevase.
Nel processo All Iberian il cavaliere è stato rinviato a giudizio nel 1996 per finanziamento illecito ai partiti, reato che è avvenuto (
se è avvenuto) fra il 1991 ed il 1992, e di certo non è un reato grave (negli Usa non è neppure previsto come reato). La prima inchiesta a carico di Berlusconi, quella per le famose tangenti alla guardia di finanza, riguarda diverse tangenti, corrisposte a diversi soggetti, la prima della quali risalente al 1989, l'ultima al 1994. Il rinvio a giudizio è del 1995, quanto meno le prime tangenti non avrebbero quindi dovuto rientrare nel procedimento che, come si sa, si concluse con la piena assoluzione dell'imputato. Una indagine a carico di Berlusconi per traffico di droga si è conclusa nel 1991 con una archiviazione, i fatti risalgono al 1983. Non voglio continuare perché non sono e non mi interessa essere uno specialista in Belusconismo giudiziario (ho preso i dati dalla rete). Mi va solo di sottolineare che i termini americani di perseguibilità avrebbero reso assai più difficile il lavoro di magistrati assolutamente imparziali e privi di pregiudizi come Antonio Di Pietro o Ilda Boccassini.

Ma, a parte ogni tecnicismo, quale è la filosofia che sta dietro l'istituto della prescrizione, che i forcaioli di ogni tipo odiano? La risposta è semplicissima, la si può riassumere in una sola parola: garantismo. Garantismo che vale a tre livelli.
In primo luogo,
una persona non può essere indagata a vita. Se sei indagato vivi in una situazione di estrema provvisorietà. Se cerchi lavoro tutto diventa più difficile se è in corso un procedimento giudiziario a tuo carico, se il lavoro lo hai già le prospettive di carriera si complicano terribilmente. Chi è indagato ha diritto che in tempi ragionevolmente brevi il suo caso si chiuda. Ha diritto a questo anche chi è stato offeso dall'eventuale azione criminosa dell'indagato. Insomma, una giustizia rapida è nell'interesse di tutti, meno che dei criminali e dei calunniatori di professione.
In secondo luogo, a meno che non si tratti di reati gravissimi,
nessuno può essere chiamato a rispondere di cose avvenute molto tempo prima, con tutte le difficoltà di ricordare eventi, nomi, situazioni.
Infine, ed è la cosa più importante di tutte,
i termini di perseguibilità tendono ad impedire che qualche solerte magistrato possa perseguitare un cittadino andando a spulciare nella sua vita passata in cerca di qualche reato. Questa in particolare è la filosofia che sta dietro alla normativa americana. Tizio può essere indagato solo se esiste una specifica ipotesi di reato a suo carico e se c'è il ragionevole sospetto che possa essere implicato in quel reato. I magistrati insomma devono indagare su reati accertati, non andare alla ricerca di reati, meno che mai lo devono fare concentrandosi su una persona, ancora meno andando a spulciare tutta la sua esistenza per appurare se per caso ci sia in essa qualcosa di poco regolare.
L'istituto della prescrizione è inoltre collegato teoricamente con il principio della presunzione di innocenza. Non è vero che la assoluzione per prescrizione equivale ad una condanna. I termini di prescrizione fissano dei limiti alla azione del magistrato: questi deve riuscire a  far condannare il sospettato da lui ritenuto colpevole entro quei limiti, se non ci riesce il sospettato è innocente perché nei paesi civili la innocenza è presunta.

Da quanto si è detto emerge che non è affatto un caso che i giustizialisti forcaioli di tutte le risme abbiano profondamente in odio la prescrizione. Il loro ideale è una società in cui tutti si sia indagati, tutti si viva sempre sotto sorveglianza. Un “magistrato” come Ingroia è arrivato addirittura a proporre, in campagna elettorale, la inversione dell'onere della prova nei processi per reati finanziari: se Tizio è sospettato di evasione gli si confischino i beni, ha detto, poi lui avrà sei mesi di tempo per dimostrare la sua innocenza... magnifico! A Tizio sono concessi sei mesi per provare la sua innocenza, ma dieci anni per prescrivere un reato sono pochi, per il dottor Ingroia! E ora questo signore è di nuovo magistrato, non invidio valdostani.
La cosa grave è che simili idee forcaiole sono molto diffuse nel paese. Molta, troppa gente è convinta che il garantismo sia quasi un lusso, che tutto sia lecito pur di mettere dentro un presunto corrotto. Non si capisce che ogni arbitrio è possibile se vengono meno le fondamentali garanzie a tutela della libertà dei singoli, ogni arbitrio ed anche ogni corruzione.

mercoledì 15 maggio 2013

SPESE LEGALI




Pare che le spese legali sostenute finora da Berlusconi e dal suo gruppo ammontino a circa 400 MILIONI di euro, bazzecole. Qualche forcaiolo a sentire questa cifra farà il solito sorrisino di superiorità e sparerà la scontatissima battuta: “povero psiconano! Faremo una colletta per aiutarlo, lui soldi non ne ha...”, e dimostrerà, ancora una volta, di essere un cretino che non capisce assolutamente nulla.
Il problema non riguarda, o non riguarda solo, Berlusconi, il problema riguarda TUTTI i cittadini italiani, specialmente quelli che non dispongono di somme di denaro particolarmente elevate.
Quanti normali cittadini italiani sono in grado di spendere NON 400 MILIONI di euro ma QUATTROCENTOMILA euro senza dar fondo ai propri risparmi, vendere la casa, o, peggio, indebitarsi in maniera gravissima? Se sono accusato di qualche reato, per bene che mi vadano le cose, ho di fronte a me alcuni anni almeno di noie giudiziarie, e le noie giudiziarie costano, moltissimo. Gli avvocati non lavorano gratis, giustamente, e la loro parcella devo pagarla io, la devo pagare comunque, anche se vengo prosciolto in istruttoria, anche se le accuse che il PM mi ha rivolto si rivelano del tutto infondate, anche se risulta chiaro che se il PM avesse agito in maniera professionale non avrebbe mai dovuto accusarmi di nulla.
Tizio ha vinto la causa, Caio, il PM, invece la ha persa, si dice quando Tizio viene assolto, o prosciolto in istruttoria. Ma stanno davvero così le cose? Davvero Tizio ha vinto e Caio ha perso? Caio, il PM sconfitto, finita la causa parte con moglie e figli per un bel viaggetto ristoratore, Tizio, l'indagato vincitore, deve pagare un sacco di soldi ai suoi avvocati, ha la casa ipotecata, la polizza titoli azzerata o quasi, i suoi rapporti con moglie e figli sono compromessi perché spesso essere al centro di vicende giudiziarie distrugge la serenità familiare. Naturalmente Caio, il PM sconfitto, non sarà chiamato a pagare per il suo errore, da noi non esiste responsabilità civile dei magistrati, metterebbe in forse la autonomia della magistratura, dicono i forcaioli. Evidentemente in tutti i paesi occidentali la magistratura non è autonoma...
Altro che strillare che non si deve “delegittimare” la magistratura! Riformarla, e profondamente, è una autentica emergenza!

martedì 14 maggio 2013

ARISTOTELE, BERLUSCONI E IL PRINCIPIO DEL TERZO ESCLUSO



Gli affari giudiziari privati del signor Berlusconi non sono e non devono diventare un caso politico, chi è innocente si difenda nei processi”. Molti fanno commenti di questo tipo a proposito dei processi a carico del leader del centro destra. “Lasciamo fare ai magistrati”, dicono, “una cosa è la politica, altra cosa i processi, noi non commentiamo le sentenze”. Tutto molto legalitario, ed anche molto, molto ipocrita.
A sentire questi sottili distinguo mi viene in mente il principio del terzo escluso, si quello di Aristotele (e di tutta la logica a lui successiva), quello che dice: “è’ impossibile che il medesimo attributo, nel medesimo tempo appartenga e non appartenga al medesimo soggetto e nella medesima relazione”.
Cosa c'entra il vecchio Aristotele con alcuni dei commenti ai processi a carico del cavaliere? Molto semplice. Questi commenti violano clamorosamente proprio il principio del terzo escluso.
I processi a carico di Berlusconi non riguardano la politica, si dice, quindi non ne parliamo. I casi giudiziari si risolvano nelle aule giudiziarie. Apparentemente sembra un discorso sensato, invece non lo è, per niente. Ce lo dice il principio del terzo escluso.
Berlusconi è un leader politico. Dal momento in cui è entrato in politica questo leader ha dovuto subire oltre 100 inchieste a suo carico, più di 33 processi, centinaia di migliaia di intercettazioni. Le accuse a suo carico coprono quasi l'intero arco del codice penale. Si va dalle stragi mafiose al favoreggiamento della prostituzione minorile, passando per corruzione, concussione, peculato, voto di scambio, compravendita di senatori, frode fiscale e chi più ne ha più ne metta; roba che Al Capone al confronto sembra un innocente pargoletto.
Ora, come dice il vecchio Aristotele, e tutta la logica a lui successiva, i casi sono due,
non si scappa.

Se
Berlusconi è colpevole, anche solo della metà, o di un terzo o di un quarto dei crimini di cui è accusato, allora il più forte partito italiano è nella mani di un pericolosissimo criminale e questo, piaccia o non piaccia agli ipocriti, è un fatto politico a tutti gli effetti. Non si può collaborare con un partito fondato e diretto da un criminale, ed usato da questo criminale per cercare di risolvere i suoi problemi con la giustizia. Invece di collaborare o anche solo di discutere, o di polemizzare, con un simile partito occorrerebbe porsi il problema di metterlo fuori legge: direi che è più che legittimo il sospetto che un partito che ha come leader incontrastato un criminale sia a sua volta una associazione criminale. Considerazioni simili valgono per i collaboratori del cavaliere, quanto meno per quelli più stretti. Invece di collaborare col Pdl bisognerebbe aprire fior di inchieste giudiziarie sui vari Alfano, Gasparri e Cicchito che collaborano da anni col cavaliere. Occorrerebbe anche indagare il signor Gianfranco Fini che per diciassette anni è stato il suo fido scudiero. I collaboratori di Al capone venivano indagati e se possibile condannati, mi pare.

Se invece
Berlusconi è innocente, quanto meno, innocente della gran maggioranza dei crimini di cui è accusato, e magari è colpevole solo di aver commesso qualche leggerezza di poco peso, allora è un caso politico l'incredibile accanimento con cui i magistrati lo perseguitano da venti anni. Non è serio in questo caso parlare di “errori” dei magistrati. Si possono commettere molti errori giudiziari riguardo a molte persone, o pochissimi, uno, due al massimo, errori giudiziari riguardo alla stessa persona, ma non si possono commettere moltissimi errori giudiziari che riguardano sempre la stessa persona. Aprire di continuo nuove inchieste sempre a carico dello stesso un uomo, stralciare da vecchi procedimenti inchieste nuove sempre sullo stesso uomo non può essere definito un “errore giudiziario”. Dietro ad una simile marea di “errori” è fin troppo facile individuare il desiderio di trovare qualche reato a carico di una specifica persona, di arrivare comunque a qualche condanna che la faccia uscire con disonore dall'arena della politica. Insomma, se Berlusconi è innocente esiste, ed è enorme, il problema dell'uso politico della giustizia e quella della riforma della magistratura diventa una autentica emergenza democratica. Tertium non datur.

E così, anche riguardo a Berlusconi ed alle sue vicende giudiziarie hanno ragione il vecchio Aristotele ed il suo principio del terzo escluso. Ed hanno torto gli ipocriti, quelli che dicono: “lasciano fare ai magistrati”, “i processi sono una cosa la politica un'altra”.
Ed ha torto anche Beppe Grillo. Il demagogo genovese ha detto, a proposito di Berlusconi, che lo “psiconano” farebbe bene a lasciare l'Italia. Che scappi in un'isola caraibica, lì, pieno di soldi e circondato da favolose veline, potrà passare in pace il resto dei suoi giorni senza rompere le palle agli italiani. E no caro signor Grillo, lei sta violando il principio del terzo escluso! Se Berlusconi è il criminale che si dice non deve andare in un'isola caraibica, troppo comodo! Deve finire in galera, in una cella di rigore, magari buia, umida, ubicata trenta metri sotto terra. Il nuovo Al Capone dovrebbe scappare ai Caraibi? E perché, solo perché ha tanti soldi? O perché tanti italiani lo amano? Ma, essere amato da un branco di evasori fiscali rincoglioniti dalla TV non è mica una attenuante! Non rende mica innocenti i delinquenti!
Forse anche uno come Grillo si sente un po' a disagio immaginando il leader del più importante partito italiano in cella. Sono fatti suoi! Aristotele gli ricorda il principio del terzo escluso: non si può essere forcaioli a metà, se sei forcaiolo lo devi essere fino in fondo, anche se magari a volte ti prende un leggero senso di fastidio pensando a
alle conseguenze delle cazzate che spari!
O con Aristotele o con gli ipocriti. Tertium non datur... appunto!

sabato 11 maggio 2013

SLOGAN


Foto 7

Lo avete notato? Strillano sempre: “vergogna vergogna”. Un tempo gli slogan dell'estremismo di sinistra trasmettevano in maniera super semplificata una qualche visione del mondo; erano slogan ideologici al massimo grado, saturi di settarismo estremista ma dicevano qualcosa, in positivo e in negativo.
“Lo stato borghese si abbatte non si cambia”. “Valpreda è innocente, la strage è di stato, avanti con le lotte del proletariato”. “Tutte le carceri salteranno in aria, l'unica giustizia è quella proletaria”. “Viva Marx, viva Lenin, viva Mao Tze Tung”. “A tutti i delatori gli spareremo in bocca, autonomia operaia non si tocca”. Sono alcuni degli slogan che si sentivano nelle manifestazioni degli anni 70 dello scorso secolo, se ne potrebbe riempire un libro. Li sentivi e ti facevi un'idea di chi fossero “quelli li”, di quale fosse la loro visione del mondo.
Oggi le cose sono diverse. Li senti strillare e non ci capisci nulla, meglio, capisci solo che si tratta di un branco di imbecilli pieni di odio e di livore, capisci che vorrebbero vedere morta una certa persona, ma quanto al resto, è notte fonda.
Li senti gridare “giustizia” e magari pensi di aver sentito male . Sono giovani dei centri sociali, teppistelli che hanno aggredito pacifici cittadini, fatto blocchi stradali e ferroviari, che si sono pestati con agenti di polizia, ma li vedi schierati a fianco dei MAGISTRATI! Li vedi fare a pezzi un bancomat e subito dopo difendere la sacralità della legge, maledire il capitalismo e dirsi solidali coi piccoli imprenditori, giustificare, se non difendere lo sparatore di Roma e subito dopo invocare la legalità!
Quel grido: “Vergogna, vergogna” copre tutto. Copre la nullità delle loro idee, il vuoto assoluto dei loro cervelli, la loro distanza siderale dal mondo reale. Chi non è con loro deve “vergognarsi” di essere diverso da loro, tutto qui. Io non mi vergogno di essere radicalmente diverso da loro, anzi, sinceramente, ne sono fiero.

P.S.
Molto interessante lo slogan "hai le orge contate". Esprime molto bene il "pensiero" della ragazzotta che tiene il cartello, e quello di tanti altri come lei, probabilmente. La assoluta sicurezza che le orge ci siano davvero state, il moralismo bacchettone, magari combinato con la teorizzazione del sesso libero, che equipara a depravazione i rapporti con belle donne, la fiduciosa certezza che i giudici condanneranno Berlusconi mettendo fine all'abomionio delle sue orge. Soprattutto esprime l'odio, un odio violento, assoluto, impermeabile ad ogni ragionamnto, estraneo al pensiero. Quella ragazza non perde tempo a pensare, odia, e strilla, e grida "vergogna". Poverina!

giovedì 9 maggio 2013

DECALOGO PEL PERFETTO IMBECILLE GIUSTIZIALISTA FORCAIOLO

Potremmo definire quelli che seguono i dieci comandamenti del forcaiolo. Si tratta di cose vecchie, trite e ritrite, ripetute, meglio, strillate, infinite volte. Val la pena di raggrupparle però. Si ascolti una arringa di Travaglio, si legga un articolo del “Fatto quotidiano” e subito si troverà il comandamento corrispondente. Ho fatto seguire ad ogni comandamento un breve commento. Forse è inutile visto che molte delle idiozie che enumero si commentano da sole, ma a volte "repetita iuvant"...

1) I politici sono cittadini come tutti gli altri, quindi i magistrati possono agire nei loro confronti usando le stesse procedure che valgono per tutti gli altri cittadini.

Commento
. I magistrati hanno il potere enorme di togliere la libertà a degli esseri umani. Può succedere che qualcuno di loro pensi di utilizzare a fini politici questo potere. OVUNQUE esistono perciò norme volte ad impedire, o a rendere difficile, una cosa simile. Queste norme esistevano anche nella nostra costituzione, prima che “tangentopoli” le spazzasse via.

2) Chi è indagato deve dimettersi. Una volta che la magistratura avrà riconosciuto la sua innocenza potrà tornare ai vecchi incarichi.

Commento
. In Italia indagini e processi durano decenni. Se bastasse essere indagati per essere obbligati alle dimissioni qualsiasi PM potrebbe far fuori qualsiasi politico, per sempre. Inoltre, se vale la presunzione di innocenza, non può esistere alcun obbligo alle dimissioni prima della sentenza definitiva.

3
) Chi ha subito condanne penali non può essere eletto parlamentare.
Commento.
Se il giudice condanna l'imputato alla interdizione dai pubblici uffici questo non può diventare deputato, ovviamente. Se questa condanna non c'è non si capisce perché debba comunque valere la ineleggibilità. Si pretende una sorta di condanna d'ufficio, indipendente dalla stessa sentenza del giudice.


4
) Bisogna allungare i termini di prescrizione, comunque non bisogna assolutamente abbreviarli.
Commento
. Chi è indagato vive in una bruttissima situazione di provvisorietà che occorre cercare di ridurre, per quanto è possibile. Ogni cittadino ha diritto a non essere indagato a vita. A meno che non si tratti di reati gravissimi, ha anche diritto a non dover rispondere di fatti avvenuti molto tempo prima dell'inizio delle indagini, con la quasi impossibilità di ricordare avvenimenti e circostanze.

5) Una assoluzione per prescrizione del reato equivale ad una condanna. Chi vuole che la sua innocenza venga riconosciuta rinunci alla prescrizione.
Commento
. Non è vero. E' l'accusa che deve provare la colpevolezza dell'imputato, e deve farlo entro certi tempi e seguendo certe modalità. Se non ci riesce, e l'imputato è assolto per prescrizione, l'imputato è innocente, visto che in tutti i paese civili vale la presunzione di innocenza. La rinuncia alla prescrizione è un diritto dell'imputato, non una condizione per veder riconosciuta la propia innocenza.

6
) Fissare per legge la durata massima dei processi aiuta i delinquenti a farla franca.
Commento. Costituzione della repubblica italiana, articolo 111, secondo comma: “Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata”.

7) Berlusconi ha evitato molte condanne grazie a leggi “ad personam”.
Commento
. Una legge riguarda milioni di cittadini ed anche Silvio Berlusconi? E' una legge ad personam. Si vuole abbreviare la durata dei processi? E' una legge ad personam perché Berlusconi deve sostenere una valanga di processi; si vogliono ridurre le imposte di successione? E' una legge ad personam perché Berlusconi lascerà una sostanziosa eredità ai suoi figli. Se un giorno un ipotetico governo Berlusconi riducesse il prezzo della benzina si tratterebbe di una legge ad personam perché il cavaliere ha molte auto, e molto potenti.

8
) Se un pentito ti accusa una ragione ci sarà...
Commento
. Se un pentito ti accusa avrà di certo enormi sconti di pena, forse la libertà, spesso un ottimo stipendio pagato dai contribuenti. Ovunque le accuse dei pentiti devono essere suffragate da riscontri di fatto.

9
) Indagateci, intercettateci tutti! Chi non ha fatto nulla non ha nulla da temere.
Commento
. In primo luogo chiunque potrebbe avere qualcosa da temere, se qualcuno lo spiasse 24 ore al giorno. I forcaioli sono tanto cretini da credere che i controllori siano sempre onestissimi. Tizio non ha commesso nessun reato ma tradisce la moglie, Caio, che lo intercetta, potrebbe farsi venire l'idea di un riccattuccio, o no? A parte questo, ogni cittadino ha diritto alla sua privacy, ha diritto a tenere per se i fatti suoi, a non far sapere a tutti quali sono i suoi gusti e le sue preferenze. Ai forcaioli tutto questo non interessa. Il loro ideale è “1984” di Orwel...

10) Siamo in guerra contro i corrotti, gli evasori, i mafiosi. Dobbiamo vincere questa guerra, ad ogni costo!

Commento
. In guerra valgono le leggi di guerra. In guerra ci sono meno garanzie liberali, meno democrazia, nessuno lo nega. Ma, proprio per questo, occorre distinguere col massimo rigore le situazioni di guerra, o di emergenza gravissima, dalle altre. Una cosa sono le cannonate che ci fanno a pezzi, altra cosa la criminalità comune o organizzata. Una cosa è il terrorismo che ammazza tutti i giorni persone innocenti, altra cosa un barista che non fa lo scontrino fiscale. Una cosa è l'attentato alle torri gemelle, altra cosa un politico che si fa rimborsare dallo stato il conto della pizzeria o le vacanze al mare. Considerare “guerra” il fatto che esistano corruzione e criminalità vuol dire teorizzare la fine della democrazia, l'eliminazione dei diritti della persona, comunque una loro drastica restrizione.

Una sola considerazione, per finire. E' particolarmente VOMITEVOLE il fatto che molti giustizialisti forcaioli, nel momento stesso in cui invocano pugno di ferro contro la corruzione si rivelino a loro volta corrotti, molto più corrotti di coloro contro cui alzano l'indice accusatore. Gente che molto probabilmente è ben dentro lo scandalo del Monte Paschi fa patetiche prediche sul valore della assoluta onestà. Che pena.. e.. che schifo!!!

LENIN E I MAGISTRATI



Lenin, che era un avvocato fallito, odiava i giuristi, di qualsiasi tipo e detestava particolarmente i magistrati. La cosa non è affatto strana, al contrario. Il magistrato è un tutore dello status quo, deve applicare la legge ai casi concreti e non si sogna neppure di contestare la validità delle leggi che sta applicando. La magistratura difende la società così come questa è in un certo momento storico; persegue chi, infrangendo la legge, si pone fuori e contro le regole che rendono possibile l'ordinato svolgersi della vita sociale. Si tratta, com'è evidente, di una funzione diametralmente opposta a quella del rivoluzionario che vuole invece rovesciare l'ordine sociale, infrangere le regole su cui questo di basa.
In effetti quelle che dovrebbero essere le virtù del buon magistrato sono quanto di più distante si possa immaginare dalle virtù del buon rivoluzionario.
Il buon magistrato è imparziale, oggettivo, equilibrato. Il suo ideale è la assoluta oggettività e, anche se sa di non poter raggiungere tale ideale, cerca di attenervisi il più possibile. Il buon rivoluzionario invece è la persona meno imparziale del mondo. Non vuole essere “parte terza” fra i contendenti, egli è, a pieno titolo, parte in causa nella contesa. Il rivoluzionario non deve stabilire in maniera ponderata ed oggettiva da che parte stia la ragione, vuole far vincere la sua ragione; a differenza del buon magistrato, che deve tener conto di tutti i punti di vista, il rivoluzionario vuole che sia il suo punto di vista a prevalere, a qualsiasi costo. Il buon magistrato non è mai in guerra con nessuno, neppure con la “criminalità”: si limita ad appurare chi nel caso specifico abbia commesso un certo crimine. Il rivoluzionario invece è in guerra con lo stato di cose esistente ed è intenzionato a continuare questa guerra fino a che lo stato di cose esistente non sia stato distrutto, dalle fondamenta.
Il magistrato ed il rivoluzionario sono quindi figure diametralmente opposte. Il magistrato, difendendo la “sacralità della legge”, difende una società che il rivoluzionario si propone invece di distruggere. Lenin non sbagliava, dal suo punto di vista, quando riempiva di odio e disprezzo i giuristi di ogni tipo, e soprattutto i magistrati.

In Italia però accade oggi un fatto molto strano. Molti magistrati scendono in politica e militano in partiti e movimenti accanto a dei comunisti dichiarati. I vari Di Pietro, Ingroia, De Magistris vanno a braccetto con un dinosauro comunista come Oliviero Diliberto, manifestano insieme ai giovani dei centri sociali, sono solidali coi NO TAV. Non solo, indipendentemente dalle loro scelte politiche, molti, troppi, magistrati italiani mostrano di avere virtù che non sono caratteristiche della funzione che svolgono e sono invece molto simili alle virtù del buon rivoluzionario.
Si ascolti un Ingroia, o un Di Pietro e non si troverà nelle loro parole nulla che assomigli, neppure alla lontana, all'equilibrio, alla imparzialità, alla ponderatezza. Un magistrato, un magistrato
vero intendo, definirebbe mai “criminale” una persona che non ha ancora subito una condanna definitiva? E si sognerebbe mai di partecipare a comizi politici? E di confessare candidamente, arringando la platea, la sua parzialità? Un magistrato autentico si porrebbe mai l'obiettivo di “rivoltare la società come un calzino”? E un magistrato degno di questo nome strillerebbe contro la approvazione di questa o quella legge? Il suo compito di magistrato e quello di giudicare le persone in base alle leggi, non di giudicare le leggi. Un magistrato che giudica una legge è una autentica contraddizione in termini. Eppure in Italia di simili “magistrati” ce ne sono, molti.
In Italia ci sono oggi molti magistrati che non si pongono il compito di applicare con rigore ed imparzialità le leggi, si pongono invece il compito, del tutto opposto, di usare le leggi per raggiungere determinati fini politici.
Lenin non
avrebbe mai previsto una situazione tanto strana, eppure non c'è molta differenza fra il magistrato che usa le leggi contro “il sistema” ed rivoluzionario che usa lo scanno parlamentare come tribuna per propagandare idee sovversive. Lenin aveva teorizzato un uso dei diritti democratici finalizzato alla distruzione della democrazia, ma non è mai giunto a teorizzare che la legge “borghese” potesse diventare un'arma contro “la borghesia” o quantomeno contro alcuni suoi importanti esponenti. Ulteriore dimostrazione che la realtà supera, in molti casi, la più fervida delle fantasie.

Certo, la struttura istituzionale del nostro paese ha favorito, eccome, il sorgere di una situazione tanto paradossale. In un vero stato di diritto vale la regola secondo cui ogni potere dello stato è controllato da qualcuno ad esso esterno. A controlla B, B controlla C, C controlla A: questa dovrebbe essere la regola, e lo è nelle più importanti democrazie dell'occidente. In Italia invece la magistratura si “autogoverna”, è di fatto sottratta ad ogni controllo e limite. I nostri padri costituenti avevano il terrore, giustificato in fondo, che qualche forza politica potesse utilizzare contro i propri avversari l'enorme potere di cui i magistrati sono depositari. Hanno creato così una magistratura autoreferenziale, irresponsabile, unico controllore di se stessa. Molto bello, per alcuni. I magistrati in questo modo difendono i cittadini senza che nessuno possa in nessun modo condizionarli. Si, molto bello, però...
chi difende i cittadini dai magistrati? Chi controlla i controllori? I forcaioli di ogni tipo questi problemini non se li pongono.
E così in Italia alcuni magistrati, che in un paese come gli Usa sarebbero cacciati a pedate dalla magistratura, fanno il bello ed il cattivo tempo, emettono sentenze assurde, si inventano inchieste sempre nuove a carico della stessa persona, intercettano mezzo mondo, pretendono di avere l'ultima parola su tutto o quasi.
Ed il paese intanto continua ad affondare.

domenica 5 maggio 2013

DUE PAROLE SUL FEMMINICIDIO



“Le donne vengono uccise in quanto donne” ha affermato il presidente della camera Laura Boldrini. L'avvocato Giulia Buongiorno, dal canto suo, ha affermato che chi uccide una donna lo fa perché convinto che la donna sia un essere inferiore. Per questo motivo ha annunciato che presenterà una proposta di legge che prevede l'ergastolo per chi commette un “femminicidio”.
Alcune osservazioni, molto pacate.
1) Ogni omicidio, ogni atto di violenza ha le sue cause particolari che lo rendono diverso da tutti gli altri. Certo, dietro ad ogni omicidio ci sono anche scenari generali, relazioni sociali, culture, ma dire che chi uccide una donna lo fa perché si tratta di una donna è una di quelle generalizzazioni che non spiegano nulla.
2) SEMPRE chi uccide o usa violenza ad un essere umano, maschio o femmina che sia, non rispetta la sua dignità, dimostra di considerarlo una cosa, in un modo o nell'altro lo considera inferiore a se.
3) Chi uccide o usa violenza ad un essere umano commette un atto di inaudita gravità indipendentemente dalle sue convinzioni etiche, politiche o metafisiche. Poniamo che Tizio sia un rigorista kantiano, creda sinceramente nella pari dignità di tutti gli esseri umani, maschi o femmine, bianchi o neri che siano. Tizio, malgrado le sue belle convinzioni, uccide una vecchietta per rubargli i soldi della pensione. E' forse meno colpevole di Caio che invece uccide una ragazza perché la la considera un essere “inferiore”? Tizio, che ha ucciso senza avere motivazioni ideologiche merita 20 anni di carcere e Caio invece merita l'ergastolo? Uccidere una donna per derubarla è meno grave che uccidere una donna perché è donna?
4) Se non sbaglio l'omicidio è già punibile nel nostro paese con l'ergastolo. Si provi ad usarlo per gli omicidi, se la loro colpevolezza è stata provata, e, soprattutto, lo si faccia davvero scontare ai condannati.
5) La presidente della camera quasi equipara “femminicidi” ed uso del corpo femminile nella pubblicità; eppure nessuno obbliga belle ragazze a girare degli spot poco vestite, e dire: “che bella ragazza” non equivale ad uccidere nessuno. Inoltre, per essere ancora più chiari, ormai in pubblicità si usa abbastanza anche il corpo maschile, e ci sono molte signore che sospirano “che bel ragazzo” guardando qualche giovane attore. Dietro a molte considerazioni sul “femminicidio” emerge il vecchio odio comunista verso tutto ciò che è mercato, commercio, scambio... roba vecchia.
6) Molti fra coloro che parlano a sproposito di “femminicidio” sono fautori del “dialogo” coi nostri “fratelli mussulmani”. Sono pronti ad indignarsi per una battuta un po' pesante, o per un seno scoperto in uno spot pubblicitario, ma non per la lapidazione delle adultere, o il ripudio delle mogli.
E così il circolo è completo. Anche la lotta, sacrosanta, contro la violenza alle donne finisce, quando è condotta di persone come Laura Boldrini, nel calderone degli strilli e delle urla contro la civiltà occidentale.

PS. Vorrei dire due cose sulla foto: si tratta di una ragazza di 22 anni lapidata perchè "adultera" da un gruppo di terroristi di Al qaeda, in un villaggio a 320 chilometri da Bagdad. Non mi riusulta che per lei, per quella giovane sventurata, e per tantissime come lei, nessuno abbia mai parlato di "femminicidio"

L'IDIOZIA

L'idiozia dilaga, incontrastata.

Ogni giorno qualche donna viene ammazzata. Da noi di rado chi ammazza un essere umano, maschio o, più spesso, femmina che sia, si fa più di dieci anni di carcere. Però l'importante è chiamare “femminicidio” l'uccisione di una donna. Presto l'uccisione di un cinese diventerà “cinesicidio”, quella di un nero “nericidio” e quella di un mussulmano “mussulmanicidio”, da punire con rigore almeno triplicato, ovviamente. Nell'occidente politicamente corretto il rapporto fra parole e cose si è totalmente invertito. Mi resta un dubbio: se una donna fa fuori un'altra donna è sempre “femminicidio”? Non ci dormo di notte.

Siamo a Maggio e fa freddo. Non solo nel posto in cui io abito. I media ci dicono che questo inverno è stato rigidissimo, in Europa come negli Usa, e che la primavera tarda ad arrivare. Però, continuano a parlarci, come se niente fosse, di “pianeta rovente”, “caldo torrido”, insomma, del solito effetto serra causato dalla “umana follia”. Ho il dubbio che l'”umana follia” sia tutta dalla parte di chi continua a sparare cazzate!

C'è tanta gente in Italia che è contro le grandi opere, odia le infrastrutture, impedisce la costruzione di ponti e tratte ferroviarie. Non vuole rigasificatori e termovalorizzatori, ha bloccato il nucleare, non vuole petrolio e carbone, ha qualcosa da ridire anche sull'eolico. Ed è anche contro qualsiasi tipo di mobilità del lavoro, e contesta che debba esistere un rapporto fra livello dei salari e ricchezza prodotta. Però vuole occupazione e bollette meno care, e strilla contro la crescente povertà. Sono stupidi o fanno finta di esserlo? Un bel problema.

Si potrebbe continuare, molto a lungo, purtroppo; ma, non è il caso: è troppo deprimente...

mercoledì 1 maggio 2013

L'ODIO

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Ne siamo circondati. Lo so trova ovunque, denso, appiccicaticcio, è l'odio. L'odio politico, meglio, collettivo. L'odio rivolto contro impalpabili soggetti collettivi: “la politica”, “i magnati della finanza”, “i padroni”, “le multinazionali”; oppure rivolto contro i singoli ridotti a personificazioni, incarnazioni di questi soggetti collettivi. E' da venti anni che cresce, l'odio, nel nostro paese ed ora sta superando i livelli di guardia. Potremmo esserne travolti, tutti.



Quello che porta ad odiare gli altri esseri umani è un processo nel corso del quale si elimina, gradualmente, tutto ciò che in qualche modo ci accomuna a loro.
Due
rivali politici sono divisi su molte cose, litigano spesso, ma hanno, anche a livello politico, qualcosa che li unisce. Entrambi si riconoscono in alcuni valori fondamentali, entrambi amano il loro paese, sono rivali, appunto, non nemici. Diventano nemici politici quando non esiste più nulla in comune fra loro, quando le idee, gli interessi, i valori che ognuno dei due propugna escludono quelli dell'altro, totalmente, senza possibilità di mediazione alcuna. E l'inimicizia politica diventa inimicizia tout court quando l'estraneità fra i due investe anche i sentimenti umani, elimina quel senso di comune appartenenza al genere umano che fa si che ognuno di noi si senta in dovere di rispettare i suoi simili. Il processo che dalla rivalità porta alla assoluta inimicizia estranea totalmente, al suo culmine, gli esseri umani l'uno dall'altro, trasforma l'altro in assolutamente altro, alieno.
Gli esseri umani sono tutti diversi, non possono mai integrarsi interamente fra loro, lo impedisce il peso insopprimibile della loro individualità. Ma possono riconoscersi come diversi perché qualcosa li unisce, perché sono simili, pur nella diversità. Il filosofo lituano Emmanuel Levinas, trattando il tema del “volto dell'altro”, ricorda la difficoltà di uccidere un essere umano dopo averlo guardato in faccia. E' abbastanza facile uccidere migliaia, decine di migliaia, di persone premendo un bottone, è più difficile ucciderne alcune decine in battaglia, diventa difficilissimo, impossibile per alcuni, uccidere
un solo essere umano guardandolo negli occhi, sentendolo implorare di aver salva la vita. Anche quando manchi ogni condivisione con l'altro, anche quando lo si consideri un nemico da distruggere, resta l'umana pietà, quel sentimento che ci spinge a provar compassione anche del peggiore dei criminali se lo vediamo mentre si avvia al patibolo. Possiamo  essere convinti che quel criminale meriti la pena che lo attende, eppure abbiamo un istintivo moto di pietà nei suoi confronti, comunque lo spettacolo della sua morte ci fa star male, ci riempie d'angoscia. E forse questa angoscia deriva dal fatto che siamo in grado di metterci mentalmente al suo posto. Riusciamo a metterci mentalmente al suo posto, quindi non lo consideriamo totalmente altro, sentiamo che condividiamo qualcosa con lui, e per quanto lo possiamo detestare, riusciamo a provare per lui pena, e compassione. E' il peggiore degli uomini ma è un uomo, malgrado tutto.

L'odio, l'odio assoluto, distrugge anche questo estremo senso di umanità condivisa. Chi odia totalmente, assolutamente, elimina tutto ciò che in qualche modo lo unisce alla persona odiata. Idee, interessi, valori, sentimenti, riconoscimento di una comune umanità, tutto scompare. Resta solo lui, l'alieno oggetto del mio odio implacabile. Di lui non dico: “sarà il peggiore degli uomini ma è un uomo, malgrado tutto”, no, lui non è più un uomo, e non è neppure un essere che in qualche modo possa ispirare in me sentimenti benevoli di alcun tipo, e neppure posso essere indifferente nei suoi confronti, non posso neppure rapportarmi a lui mettendo al primo posto considerazioni di tipo economico: “potrei sfruttarlo, mi può essere utile”. Si, lo posso sfruttare, e lo farò, ma la sua vista, il semplice pensiero che un simile essere viva, mi ispirano rabbia e paura, indignazione e ribrezzo; prima o poi l'oggetto del mio odio deve morire.
Hitler paragonava gli ebrei a topi di fogna, li definiva “sifilide del genere umano”. Pare che anche alcuni membri delle SS provassero, all'inizio, un senso di istintiva ripugnanza a fucilare bambini ebrei; la propaganda nazista puntò, per eliminare questi spiacevoli sentimenti, proprio sul tema della alterità totale dell'ebreo. L'ebreo, anche il bambino ebreo, era l'assoluto alieno, da uccidere senza provare alcun sentimento di pietà, né di vergogna.
Lenin e Stalin preferivano gli insetti ai topi. I “nemici di classe”, i kulaki, i contadini indipendenti, i borghesi, gli operai non bolscevichi, o i bolscevichi dissidenti, erano insetti velenosi, bestie immonde che infettavano la ridente patria del socialismo. Andavano eliminati senza pietà alcuna. Anche loro, come gli ebrei, non facevano parte del genere umano, non c'era nulla in comune fra loro ed i “buoni bolscevichi”. Gli insetti velenosi vanno eliminati, punto e basta.

Si arriva a questa totale disumanizzazione di colui che si odia perché lo si spoglia delle sue caratteristiche umane. L'oggetto dell'odio non è più un essere umano, con le sue umane caratteristiche. Non ha più una storia personale, affetti, desideri, amicizie. Colui che era un essere umano diventa la personificazione di un soggetto collettivo metafisico. Tizio cessa di essere Tizio e diventa “il padrone”, “l'ebreo”, il “politico”, un essere umano disincarnato, rappresentazione vivente di una astrazione ideologica.
Ma non si possono odiare le astrazioni ideologiche. Si odiano gli esseri umani in carne ed ossa, non “il sistema” o “la politica”, e gli esseri umani devono avere delle caratteristiche, qualcosa di concreto contro cui l'odio possa essere indirizzato. Così, lo stesso processo che spoglia le persone delle loro caratteristiche specifiche, trasformandole in pallide incarnazioni di soggetti collettivi, gliele restituisce in qualche modo, queste caratteristiche, ma gliele restituisce completamente deformate, irriconoscibili.
Silvio Berlusconi, tanto per non fare nomi, è un uomo non molto alto, ama essere sempre al centro della scena, cerca continuamente di apparire simpatico e spiritoso, e a qualcuno è pure simpatico, racconta barzellette che possono o non possono piacere, soprattutto, ama abbastanza le donne, specie se giovani e belle. Tutte queste caratteristiche non trasformerebbero nessun normale essere umano in un mostro, ad alcuni piacerebbero, ad altri piacerebbero meno, tutto qui. Ma Silvio Berlusconi non è un normale essere umano, è la personificazione di quanto esiste di più spregevole nel capitalismo. E' un imprenditore che ha fatto soldi vendendo agli esseri umani svago ed evasione, è il capitalismo comunicativo in forma umana, o disumana. Questo cambia le sue caratteristiche concrete, le rende ripugnanti. La sua bassa statura lo trasforma in “psiconano”, la sua voglia di essere sempre al centro della scena lo fa diventare un megalomane che vuole umiliare gli altri, le sue barzellette diventano osceni tentativi di nascondere, dietro ad un manto di simpatia, la sua malvagità. Il suo amore per le belle donne diventa perversione sessuale, disprezzo per l'altro sesso, latente pedofilia. L'odio ideologico prima toglie ai concreti esseri umani le loro caratteristiche specifiche, li trasforma in rappresentazioni di una astrazione ideologica, poi li trasforma in mostri rendendo loro queste caratteristiche ideologicamente deformate. Ed è facile odiare i mostri, facile e bello, addirittura.
L'odio di cui stiamo parlando è un odio ideologico, un odio che riduce gli esseri umani a stereotipi del maligno e che, proprio per questo, li rende alieni, ne fa insetti velenosi o topi da fogna, enti che si può solo odiare, con tutte le forze. E precisamente perché ideologico un simile odio può combinarsi con il più nobile e disinteressato amore.
Si odiano le incarnazioni del male, gli stereotipi del maligno, perché si amano gli uomini, li si vuole rendere felici, e nulla li può rendere tanto felici quanto l'eliminazione del male, e delle sue incarnazioni. Ma, esattamente come l'odio che lo accompagna, anche questo amore è profondamente ideologico. Non si amano gli esseri umani concreti, gli uomini e le donne così come sono, con tutti i loro umanissimi pregi e difetti. Si ama, di nuovo, una astrazione ideologica; non si amano Tizio e Caio, Laura e Maria, si ama l'”uomo” o la “donna”, meglio ancora, si ama l'”umanità”. Una umanità formata da esseri disincarnati, da persone che sono la pura personificazione del bene, di un bene quanto mai astratto e lontano dalla vita delle persone vere. Si ama un “uomo” privo di passioni, sentimenti, pulsioni, desideri. Si ama una “ragione” che ha perso ogni contatto col mondo concreto, con i dati dell'esperienza sensibile, si lotta per una “felicità” universale che in realtà non rende felice nessuno e rende invece concretamente infelici un numero sterminato di persone.
L'odio ti ama, da morire.

In Italia l'odio ideologico cresce, da venti anni. Prima era un odio concentrato contro una persona, autentica rappresentazione sensibile del male. Poi questo odio si è allargato, ha investito uno schieramento, una parte politica. Questa stessa parte in alcune occasioni ha ricambiato l'odio con altro odio, come è naturale, ma non bello, che avvenga- Occorre dire, per amor del vero, che l'odio del popolo di centro destra nei confronti di quello di centro sinistra è stato meno intenso e pervasivo del suo contrario, ne è prova se non altro il diverso atteggiamento di questi due popoli nei confronti del governo di larghe intese che il paese si è finalmente dato. Questo primo, timido, passo verso la pacificazione è stato accolto con soddisfazione dalla gran maggioranza dei militanti e degli elettori del centro destra, ha invece precipitato nello sconforto moltissimi militanti, e probabilmente molti elettori, del centro sinistra. La cosa è comprensibile, in fondo. Non è facile allearsi con chi è stato presentato per venti anni come la personificazione del maligno.
E ora, si, proprio ora avanza una novità, un nuovo tipo di odio ancora più pervasivo. Centro destra e centro sinistra si sono odiati, in misura diversa, per venti anni, ora entrambi stanno diventando oggetto di un nuovo odio rivolto contro tutti, contro una nuova astrazione metafisica: la “politica”.
Tizio è “un politico” quindi è, per definizione, un ladro, un disonesto, un profittatore. Tutti i mali del mondo derivano dalla politica; anche coloro che devono, in fondo, un po' di riconoscenza ai politici arraffoni e profittatori, coloro che sono stati spediti in pensione a 45 anni, o che sono stati assunti in enti fantasma e pagati per far nulla, anche questi sono “vittime” dei “nuovi mostri”, povere vittime dei politici disonesti, cioè di tutti i politici meno un gruppo di nobili e disinteressati idealisti che seguono il verbo di un comico genovese.

Proprio in questi giorni si sono lette in rete cose francamente oscene sulla sparatoria di Roma. “Se Luigi Preiti avesse colpito un politico tutti lo avrebbero applaudito” fanno affermato in molti, senza neppure rendersi conto della inaudita gravità delle loro affermazioni. Sono in tanti, troppi, a non capire che con l'odio, specie con l'odio ideologico, non si scherza. Se, in nome dell'odio, si comincia a giustificare le pistolettate ci si mette in una strada che può portare ovunque. E' bene non scordarsene, mai.